lunedì 25 maggio 2015

VARIE 15/429

1.ARRASSUSIA! Tipica, usatissima locuzione avverbiale esclamativa partenopea che vale lontano sia!, non sia mai! formata dall’aggettivo arrasso e dal congiuntivo ottativo sia; etimologicamente,a mio avviso l’espressione parte – come ò detto – da un aggettivo/avverbio: arrasso (derivato dall’arabo arah/arasa = lontano), aggettivo cui è agglutinato il congiuntivo ottativo sia (che è dal lat sit). Per amor di completezza ricorderò che l’amico prof. Carlo Iandolo nel suo Dizionario Etimologico Napoletano ipotizza per arrassusia una derivazione dal lat. abrasum-sit= sia cancellato! Tuttavia l’ipotesi non mi convince e mi dispiace non esser d’accordo con l’amico Iandolo,ma me lo impongono due considerazioni: 1) semanticamente è pressoché impossibile (o almeno io non ci riesco!) stabilire o cogliere un punto di contatto tra il “sia cancellato!”del latino ed i “lontano sia!, non sia mai!” del napoletano; 2) morfologicamente poi trovo un po’ troppo macchinoso il passaggio da abrasum ad arrasso: nulla da eccepire sulla probabile assimilazione regressiva br→rr ma mi lascia molto perplesso quella geminazione della iniziale sibilante (s) scempia che normalmente in napoletano mi pare evolva nella palatalizzazione ( s+vocale → sci cfr. simia→scigna – semum→scemo) e non nel raddoppiamento. 2.ANNOTATÒZZOLE Potrà sembrare strano, ma piú d’uno dei miei consueti ventiquattro lettori mi à chiesto di chiarire e dare una spiegazione della voce napoletana in epigrafe e me l’ànno chiesto probabilmente perché non ne ànno trovato riscontro nei numerosi lessici dell’idioma partenopeo, lessici che nella maggior parte dei casi, con pochissime eccezioni, sono stati vergati attingendo nei testi classici degli scrittori d’antan e non anche (come invece sarebbe giusto ed auspicabile) nel parlato comune ed in primis in quello della città bassa dove nacque e continua a nascere la magna pars delle voci napoletane. Tanto premesso entro in medias res dicendo che il termine in epigrafe, agg.vo e/o sost.vo m.le e fem.le è usato nell’icastico idioma napoletano per indicare due tipi di persone: 1 che/chi, reiteratamente e con protervia getti in faccia a qualcuno parole di rimprovero anche per colpe veniali 2 (estensivamente e nell’uso maggiore) che/chi per esser falsamente caritatevole e/o benevolo, ami rammentare con risentimento a qualcuno piccoli benefici saltuariamente a costui fatti. Esemplifico per esser piú chiaro: la padrona di casa che rimproverasse la domestica per non aver portato in tavola sollecitamente il sale ed il pepe, sarebbe un’annotatòzzole come ed anche di piú lo sarebbe chi avendo beneficato un bisognoso di un po’ di cibo sottolineasse con l’interessato o con i terzi quella sua piccola munificenza gloriandosene a dismisura per vestire falsamente i panni del/della buono/a, altruista, solidale, fraterno/a, generoso/a, compassionevole. La voce in esame etimologicamente risulta essere l’agglutinazione di un voce verbale (annota) e di un sostantivo (tòzzole): annota voce verbale (3ª pers. sg. ind. pres.) dell’infinito annutà (cosícome nell’italiano) 1prendere nota di qualcosa, annotare, chiosare, postillare; vale però anche (ed è il caso che ci occupa)2 sottolineare accentuare, evidenziare, rilevare, rimarcare, enfatizzare, notare.Il verbo annutà è dal lat. adnotare→annutà, comp. di ad e notare. tòzzole s.vo f.le pl. di tòzzola = 1(in primis) cantuccio o pezzo di pane, per lo piú raffermo; 2 (estensivamente) cosa da poco, inezia, piccolezza, bazzecola, quisquilia, nonnulla; per l’etimologia non vi sono certezze assolute e molti dal Garzanti al Treccani si rifugiano, procurandomi attacchi d’orticaria, nel pilatesco etimo incerto; una prima scuola di pensiero anonimo (cui aderisce l’amico prof. C. Iandolo) fa riferimento,corredandolo però d’ un punto interrogativo ad un accusativo lat. tursu(m)=gambo della pianta, torso; dal m.le tursu(m), il f.le*turza→tuzza→tózza + il suff. diminutivo ola del lat. m.le olu(m); tuttavia rifuggo da questa idea che non mi convince né morfologicamente (trovo il passaggio da tursum a tozza arzigogolato, gratuito ed arbitrario) né semanticamente(che nesso mai corre tra un gambo ed un tozzo di pane?...); a mio parere è migliore l’idea propugnata da un’altra scuola di pensiero ( quella cui aderí il D’Ascoli ed alla quale mi associo) chefa riferimento ad una voce spagnola tóca→tóza = pezzo di legno ed estensivamente di altro.Va da sé che alla voce tóza passata a tózza con raddoppiamento espressivo dell'affricata alveolare sorda (z) è aggiunto il suff. diminutivo ola del lat. m.le olu(m) ottenendosi tóza→tózz(a)+ ola→tózzola con il pl. tozzole. E qui faccio punto fermo augurandomi d’essere stato chiaro ed esauriente ed aver soddisfatto la curiosità dei miei ventiquattro lettori e di chi forte si imbattesse in queste paginette.Satis est. 3. ARRAPATO COMME A ‘NA SCIGNA Ad litteram: Sessualmente eccitato al pari di una scimmia Espressione usata iperbolicamente per burlarsi di chi non riuscendo a dominarsi si mostri costantemente su di giri, acceso, agitato anche quando le circostanze non lo richiedano; ancòr piú l’espressione si attaglia a chi non sa porre un freno al proprio istinto ed alla prima occasione proprizia faccia le viste di essere cosí tanto infoiato/a da non potersi frenare ed esser costretto/a quasi a dare spettacolo di sé tal quale uno scimpanzé di sesso maschile aduso a soddisfarsi, anche onanisticamente, senza alcuna remora coram populo et ceteris. Va da sé che l’agitazione che è propria delle scimmie antropomorfe è presa a riferimento per schernire chi sia molto eccitato anche non sessualmente. arrapato è il part. pass. usato anche come agg.vo dell’infinito arrapà (arrapare) che è v.bo tr.vo di origine meridionale,pervenuto anche nel lessico italiano sia pure come voce volgare. [denominale del lat. rapa, propr. neutro pl. di rapum 'rapa', poi considerato come f.le sg.in senso maliziosamente allusivo alla durezza dell’ortaggio] = eccitare sessualmente; piú spesso usato come intr. o intr. pron. (arrapà, arraparse, fà arrapà), eccitarsi sessualmente; quantunque sia piú comunemente usata al maschile (arrapato= eccitato ) nulla vieta che la voce sia coniugata anche al f.le (arrapata= eccitata) quantunque l’eccitazione maschile meglio si presti in pratica ad esser rappresentata dalla turgidità della rapa! scigna s.vo f.le = scimmia; voce deriva dal lat. simia→simja, con un consueto passaggio di s+ vocale a sci: (cfr. alibi semum→scemo) e con passaggio di mj a gn (come in ca(m)mjare→cagnà). 4. ARRIDUCERSE COMME A SSANTU LAZZARO Questa volta è stato il caro amico N. C. (i consueti problemi di riservatezza mi costringono ad indicare solo le iniziali di nome e cognome) a chiedermi via e-mail di chiarirgli significato e portata dell’antica e non desueta espressione partenopea in epigrafe. Gli ò risposto che l’espressione da rendersi in italiano: Ridursi come un san Lazzaro à un duplice significato, ma in ambedue i casi si fotografa una situazione negativa, dannosa, sfavorevole, svantaggiosa; nel primo caso essa riguarda un individuo cosí tanto povero. bisognoso, misero, squattrinato, spiantato,da potersi appaiare a quel tal Lazzaro che indigente, malagiato, meschino giaceva ai piedi della tavola d’un ricco gaudente e vi stazionava nella speranza di potersi nutrire degli avanzi del crapulone o quanto meno delle miche che gli cascavano dal tavolo (cfr. il vangelo di Luca 16/19-31); nel secondo caso la situazione negativa, dannosa, sfavorevole, svantaggiosa fotografata è quella che riguarda un individuo cosí tanto male in arnese affetto com’ è da malattie ripugnanti tale da renderlo malandato, malconcio, malmesso, malridotto, quando non disgustoso, nauseante, repellente, ributtante alla medesima stregua di un tal san Lazzaro di Gerusalemme del 1° secolo, non meglio identificato, medico affetto da lebbra [che fu debellata dal medesimo]; sotto la sua protezione sorse l'Ordine Militare e Ospedaliero di San Lazzaro di Gerusalemme, un ordine costituitosi a Gerusalemme nell'XI secolo nato per dare cure ed assistenza ai lebbrosi, ordine che poi si fuse con l'Ordine Cavalleresco e Religioso di san Maurizio creato da Amedeo VIII il pacifico(Chambéry, 4 settembre 1383 –† Ripaille, 6 gennaio 1451) quando, divenuto vedovo, si ritirò con sei Gentiluomini nell'eremo di Ripaglia, nel Chiablese (Alta Savoia), vicino ad un monastero di Canonici regolari di Sant'Agostino, con chiesa dedicata a San Maurizio. Nell’un caso e nell’altro ci si riferisce dunque a soggetti che possono suscitare sensazioni di pietà e/o di ripulsa, quale che sia il san Lazzaro di cui parli. 5. ARRUZZUTO/ARRUZZENUTO & DINTORNI Anche questa volta faccio sèguito ad un quesito rivoltomi dall’amica M.F. (al solito, motivi di riservatezza mi impongono di riportar solo le iniziali di nome e cognome di chi mi scrive per sollecitar ricerche) occupandomi dellA antica, ma non desueta voce napoletana in epigrafe e dei suoi coloriti sinonimi. Cominciamo: arruzzuto/a agg.vo m.le o f.le vale 1in primis riferito a cose arrugginito/a; 2 per ampiamento semantico riferito a persona malconcio/a, malmesso/a, indebolito/a; etimologicamente è un denominale del sost.vo f.le ruzza [ marcato sul siciliano ruggia dal lat.rubeus] = ruggine; la voce a margine è anche attestata con pari significati come arruzzenuto/a agg.vo m.le o f.le inteso part. passato dell’infinito arrezzení = arrugginirsi, indebolirsi. Coloriti sinonimi delle voci or ora esaminate sono: accunciato/a p’ ‘e ffeste espressione aggettivale maschile o f.le che letteralmente vale conciato/a per le feste da intendersi però in senso antifrastico: ridursi in cattivo stato; sciuparsi; accunciato/a etimologicamente è il part. pass. di accuncià(dal Lat. volg. ad + *comptiare, deriv. di comptus 'ornato, adorno', da come°re 'mettere insieme'); arruinato/a agg.vo m.le o f.le vale 1in primis riferito a cose rovinato/a; 2 per ampiamento semantico riferito a persona malridotto, malandato, malmesso; etimologicamente è il part. pass. di arruinà( denominale del Lat. ad + ruina(m), deriv. di ruere 'precipitare); ‘nguajato/a agg.vo m.le o f.le vale 1in primis riferito a persone messo/a nei pasticci, molto malato; 2 per ampiamento semantico riferito a cosa in tanto cattivo stato da precluderne l’uso; etimologicamente è il part. pass. di ‘nguajà[denominale di in+guajo che etimologicamente è da un antico tedesco wàwa =disgrazia, sventura ed in senso piú limitato: calamità, fastidio, impiccio]; scuffato/a agg.vo m.le o f.le vale 1in primis riferito a persone e solo a persone bastonato/a, storpiato/a; 2 per ampiamento semantico sempre riferito solo a persona indebolito/a, fiaccato/a, sfiancato/a, estenuato/a, spossato/a, stremato/a; la voce a margine è attestata anche come scioffato/a di pari significato con etimo ambedue da un lat. volg. exuffatu(m). Non mi pare proprio ci sia altro da aggiungere per cui mi fermo qui, sperando d’avere accontentato l’amica M.F. ed interessato qualcun altro dei miei ventiquattro lettori e chi forte dovesse imbattersi in questo paio di paginette. 6. AUGLIUSO & AURIUSO Ancóra una volta tenterò di dare adeguata risposta ad un quesito postomi dal caro amico D.C. (al solito, motivi di riservatezza mi impongono di riportar solo le iniziali di nome e cognome di chi mi scrive per sollecitar ricerche) che mi à chiesto di mettere a fuoco portata, significato e valenza del vocabolo napoletano augliuso in epigrafe, che non à trovato accoglimento nei numerosi lessici del napoletano in circolazione e che è dato consultare, ma che un tempo e che ancóra si puó cogliere sulle labbra dei napoletani d’antan, soprattutto di quelli della città bassa. Dico súbito che trattai già l’argomento tanti anni orsono al tempo(anni ’70 del 1900) quando sul quotidiano partenopeo IL ROMA la professoressa Settimia Cicinnati teneva la rubrica de I Mosconi accogliendovi dai lettoririchieste inerenti voci ed espressioni partenopee e le girava a gli addetti ai lavori ed a gli appassionati che spesso si celavano sotto il nome di Incappucciati.Fui uno di quelli ed all’epoca, rammento, mi scontrai con l’amico avv.to Renato de Falco che, chiamato in causa, inopinatamente confuse la voce in esame: augliuso con l’aggettivo auriuso di tutt’altro – come vedremo - significato, salvo a scusarsene, adducendo a sua scusante il fatto che la richiesta gli era stata riportata, distorta, a voce inducendolo in errore, ed ad addivenire alla mia corretta interpretazione che qui reitero. Cominciamo dunque con augliuso/ósa agg.vo m.le o f.le 1 in primis oleoso/a, untuoso/a; 2 rancido/a e lo si dice esattemente di un gheriglio di noce di cattivo sapore,allappante, inacidito 3 per traslato, riferito a soggetto umano servile , viscido, mellifluo, ipocrita; 4 per ampiamento semantico noioso, fastidioso, irritante, sgradevole, spiacevole cosí come un gheriglio di noce dal pessimo sapore di olio irrancidito, inacidito, andato a male; voce etimologicamente denominale di uoglio= olio (dal lat. oleu-m→ lat. volg. *òlju-m con lj→gli come in filia-m, familia-m diventate figlia, famiglia); ad *òlju-m è aggiunto il suffiusso uso/ósa, suffisso di tipologia per aggettivi derivati dal latino o tratti da nomi, dal lat. -osu(m)→usu(m); indica presenza, caratteristica,qualitàecc.(scarduso/dósa,mafiuso/ósa,zezzuso/ósa). Tutt’altra cosa, come ò anticipato, l’agg.vo auriuso/ósa agg.vo m.le o f.le beneaugurante, augurale, che/chi porta o esprime augurio; voce denominale di aurio (augurio, auspicio, presagio, pronostico, vaticinio dal lat. au(gu)riu(m)→aurio 'presagio')addizionato del suffiso uso/ósa, di cui antea; dicevo – come si evince - tutt’altra cosa è l’agg.vo aurioso/ósa che non può esser confuso con augliuso/ósa se non per mero errore! E qui giunto mi fermo convinto d’avere esaurito l’argomento, d’aver adeguatamente risposto al quesito dell’amico D.C. e sperando d’avere interessato i miei consueti ventiquattro lettori. 7. MANNAGGIA Ô SURICILLO E PPEZZA ‘NFOSA. Letteralmente: accidenti al topolino ed (allo) straccio bagnato. Il motto viene pronunciato a mo’ di imprecazione da chi voglia evitare di pronunciarne altra piú triviale. Varie le interpretazioni della locuzione in ispecie nei confronti del topolino fatto oggetto di maledizione Esamino qui di seguito le varie interpretazioni e per ultima segnalo la mia. 1 – (avv. Renato de Falco) L’illustre amico e scrittore di cose napoletane reputa che il suricillo in epigrafe altro non sia che il frustolo d’epitelio secco che si produceva in ispecie sulle braccia e sulle gambe allorché le si lavavano soffregandole non con una spugna, ma con uno straccetto bagnato. È vero, da ragazzi usavamo dare il nome di suricillo a quei frustoli d’epitelio e/o pàtina grassa sporca divelti con il soffregamento dello straccio madido d’acqua.Ma il dotto amico de Falco, per far passare per buona la sua idea è costretto a leggere la e dell’epigrafe non come congiunzione ma come aferesi di de e leggere ‘e pezza ‘nfosa pronunciando in maniera scempia la p di pezza, laddove il proverbio raccolto dalla viva voce della gente suona: mannaggia ‘o suricillo e ppezza ‘nfosa ed è chiara la geminazione iniziale della p di pezza e il significato di congiunzione della e.Per cui, a malgrado dell’amicizia e della stima che nutro per l’avvocato de Falco, non posso addivenire alla sua idea. 2 –(prof. Francesco D’Ascoli) Il defunto professore (parce sepulto!) nel suo per altro informato LA FILOSOFIA POPOLARE NAPOLETANA, sbrigò la faccenda, ravvisando nel suricillo i pezzetti di panno che si staccavano assumendo la forma del musculus, dallo straccio per lavare a terra;l’idea non è percorribile stante anche per D’Ascoli la medesima lettura impropria della locuzione che ne fa il de Falco leggendo la E come aferesi di de e non come congiunzione. 3 – (dr. Sergio Zazzera)L’ottimo (?) dr. Zazzera si lava le mani e propone un improbabile sorcio alle prese con un orcio di olio dal quale sia saltato via uno stoppaccio non si comprende perché umido. A questo punto reputo che potrebbe essere piú veritiera l’interpretazione che mi fu data temporibus illis da mia nonna che asserí che la locuzione conglobava una imprecazione rivolta ad un sorcetto introdottosi in una casa ed un suggerimento dato agli abitanti di detta casa quello cioè di introdurre sotto le fessure delle porte uno straccio bagnato per modo che al topo fossero precluse le vie di fuga e lo si potesse catturare.Volendo dire: È entrato il topino?Non c’è problema! Ce ne possiamo liberare:lo catturiamo, ma prima affinchè non ci sfugga, turiamo con uno straccio bagnato ogni fessura in modo da precludergli vie di fuga e procediamo alla cattura! Ma poiché fino a che non ci si sente soddisfatti, è buona norma continuare ad investigare, continuando nell’investigazione, mi pare di poter affermare che la nonna aveva dato una casta spiegazione a dei vocaboli (e perciò a tutta l’espressione) per non inquietare la fantasia di un piccolo adolescente. Infatti alla luce di ulteriori indagini ed al supporto di altre menti di appassionati studiosi di cose napoletane mi pare si possa accogliere la tesi del prof. Amedeo Messina che vede nel suricillo (marcato su di un *xurikilla tardo latino usato in luogo del piú classico mentula) il membro maschile... Peraltro l’amico prof. Carlo Iandolo illustre scrittore di cose partenopee in una sua dotta lettera mi fa notare che nella passata parlata napoletana le pezze piú note erano quelle che le donne portavano nel loro corredo, e che usavano per i loro bisogni fisiologici di ogni volger di luna; con il nome pezze si indicavano altresí quelle che significavano il danaro ed in effetti tra il 1750 ed il 1865 con il termine pezza si indicò una grossa moneta d’argento del valore di 12 carlini, ossia 120 grana, moneta pari quindi ad oltre 1 ducato che contava 100 grana. Ecco dunque che , messa da parte la casta spiegazione data dalla nonna si possa addivenire a ritenere che l’innocente imprecazione con la quale si è soliti commentare piccolissimi inconvenienti ai quali non occorra dare faticose soluzioni, sia sgorgata sulle labbra di una donna trovatasi davanti alla improcrastinabile richiesta di favori, da parte del suo uomo (...pronto alla tenzone...) e gli abbia dovuto opporre che non era… il tempo adatto, giacché sebbene ‘o suricillo fosse inastato, ‘a pezza ...era ‘nfosa e dunque l’accesso sconsigliato o vietato! Etimologicamente il termine mannaggia è appunto una deformazione ( per una sorta di sincope e fusione interna con raddoppiamento espressivo della nasale n) della frase: ma(le)+ n(e)= malanno aggia→ mannaggia= male ne abbia. In origine malanno aggia fu dal lat. malum + habeat →malum abjat→malum aggia→ malanno aggia→ ma(la)nn(o)aggia→mannaggia . Esiste poi una variazione piú letteraria che del parlato popolare di mannaggia ed è malannàggia, ma è pochissimo usata pur essendo piú vicina all’etimo iniziale. 8. MANNAGGIA BBUBBÀ! La consorte del mio caro amico A.M. (i consueti problemi di riservatezza mi costringono ad indicare solo le iniziali di nome e cognome)mi chiese per le vie brevi significato, portata ed origine dell’ espressione esclamativa partenopea in epigrafe che un tempo si poteva cogliere sulle labbra di persone avanti negli anni per esprimere generico, ma contenuto disappunto,dispiacere, rammarico, contrarietà, stizza,delusione, rincrescimento davanti ad avvenimenti fastidiosi od imprevisti,ma ineludibili;avendo in attesa una visita non potetti che risponderle frettolosamente e le dissi che il termine bbubbà che accompagna il mannaggia non era una onomatopea (come mi parve di capire la signora sospettasse che fósse), ma una contrazione/corruzione d’altra parola. Faccio ora ammenda d’essermi sbrigato frettolosamente e chiarisco qui,a beneficio dell’amica e di qualche altro dei miei ventiquattro lettori, significato e portata dell’ espressione esclamativa nonché origine di quell’oscuro (a prima vista) bbubbà.Comincio perciò con il dire l’espressione in epigrafe andrebbe correttamente scritta in napoletano non mannaggia bbubbà (come la corruzione del parlato ci costrinse e talora ancóra ci costringe ad ascoltare)ma: mannaggia ô bbubbà, dove la ô sta per a +lo / a + il= al atteso che l’espressione va tradotta come male ne abbia il bbubbà e nella parlata napoletana, come ebbi a dire alibi, il complemento oggetto allorché sia persona o soggetto animato (o inteso tale) va introdotto da una A segnacaso che è residuo di un latino parlato ( ad es.: aggiu visto a pateto= ò visto tuo padre oppure aggiu ‘ntiso ô cane= ò sentito il cane, ma aggiu pigliato ‘o bicchiere= ò preso il bicchiere.) Ciò precisato entriamo in medias res e diciamo che nel significato corrente, la voce mannaggia non risulta essere una corruzione di madonnaccia, come qualcuno erroneamente pensa, ché se così fosse mannaggia sostanzierebbe una gravissima bestemmia, laddove essa risulta essere invece solo una contenuta esclamazione di rabbia e/o stizza o imprecazione rivolta contro qualcuno (mannaggia a tte!) o qualcosa (mannaggia â morte!) e sta per accidenti a, perbacco!, maledizione a..., ovvero "male ne abbia colui o la cosa contro cui è diretto il mannaggia. Etimologicamente il termine mannaggia è appunto una deformazione ( per una sorta di sincope e fusione interna con raddoppiamento espressivo della nasale n) della frase: ma(le)+ n(e)= malanno aggia→ mannaggia= male ne abbia. In origine malanno aggia fu dal lat. malum + habeat. E veniamo demum a dire di quell’oscuro bbubbà che poi tanto oscuro non è trattandosi della contrazione/corruzione del s.vo m.le be-a-bà→bbiabbà→bbubbà ; con tale antico e desueto s.vo m.le be-a-bà (stranamente assente nel D’Ambra e nel P.P.Volpi, ma presente nel datato R.Andreoli e nel piú recente F.D’Ascoli) si indicò 1 in primis il sillabario, il libro sul quale si impara a leggere e a scrivere, l’abbecedario; 2 per ampliamento semantico i primi rudimenti, l'insieme dei princpî e delle nozioni elementari di una disciplina, di una tecnica, l’abbiccí d’ un quid; la voce fu ricavata per bisticcio e metatesi dalle prime lettere dell’alfabeto a,bi lètte a,be donde be- a – bà→bbiabbà→bbubbà.Chiariti origine ed etimo della voce mettiamo a ffuoco l’interessante semantica dell’espressione che – come dicevo – s’era soliti cogliere sulle labbra di persone avanti negli anni per esprimere generico, ma contenuto disappunto,dispiacere, rammarico, contrarietà, stizza,delusione, rincrescimento davanti ad avvenimenti fastidiosi od imprevisti, ma ineludibili; in effetti l’espressione non era un maledire il sillabario o l’abbiccí d’ un quid; sostanziava al contrario una maledizione diretta contro l’ignoranza in presenza della quale occorreva assoggettarsi a far ricorso al sillabario o l’abbiccí d’ un quid.In coda rammento che anche Eduardo De Filippo nella versione a stampa del suo Chi è cchiú felice ‘e me?! usò l’espressione “Mannaggia ô bbi-a-bbà”mentre nella messa in iscena televisiva, forse in ossequio al piú comune parlato corrente la mutò in “Mannaggia bbubbà”. E qui penso di poter far punto convinto d’avere esaurito l’argomento,meritato il perdono dell’amica e soddisfatto ed interessato qualcun altro dei miei ventiquattro lettori e piú genericamente chi dovesse imbattersi in queste paginette.Satis est. 9. MANNAGGIA Ô PATATURCO Cominciamo con una precisazione di carattere linguistico dicendo che l’espressione in epigrafe va correttamente scritta in napoletano non mannaggia ‘o Pataturco, ma (cosí come riportato): mannaggia ô Pataturco, dove la ô sta per a +lo / a + il= al atteso che l’espressione va tradotta come male ne abbia il Padre de’ turchi e nella parlata napoletana, come ebbi a dire alibi, il complemento oggetto (il Padre de’ turchi, ‘o Pataturco) allorché sia persona o soggetto animato (come nel caso in esame) va introdotto da una A segnacaso che è residuo di un latino parlato ( ad es.: aggiu visto a pateto= ò visto tuo padre oppure aggiu ‘ntiso ô cane= ò sentito il cane, ma aggiu pigliato ‘o bicchiere= ò preso il bicchiere.) Ciò precisato entriamo in medias res e diciamo che nel significato corrente, la voce mannaggia non risulta essere una corruzione di madonnaccia, come qualcuno erroneamente pensa, ché se così fosse mannaggia sostanzierebbe una gravissima bestemmia, laddove essa risulta essere invece solo una contenuta esclamazione di rabbia e/o stizza o imprecazione rivolta contro qualcuno (mannaggia a tte!) o qualcosa (mannaggia â morte!) e sta per accidenti a, perbacco!, maledizione a..., ovvero "male ne abbia colui o la cosa contro cui è diretto il mannaggia. Etimologicamente il termine mannaggia è appunto una deformazione ( per una sorta di sincope e fusione interna con raddoppiamento espressivo della nasale n) della frase: ma(le)+ n(e)= malanno aggia→ mannaggia= male ne abbia. In origine malanno aggia fu dal lat. malum + habeat →malum abjat→malum aggia→ malanno aggia→mannaggia Esiste poi una variazione piú letteraria che del parlato popolare di mannaggia ed è malannàggia, ma è pochissimo usata pur essendo piúvicina all’etimo iniziale. E veniamo alla completa espressione dell’ epigrafe : mannaggia ô Pataturco; essa, come ò accennato va tradotta male ne abbia il padre de’ turchi, accidenti al padre etc. e risulta essere una eufemistica imprecazione usata per non scivolare, col discorso, (si pensi ad una possibile assonanza di Pataturco con altro Padre) in una becera bestemmia (che evito di scrivere!...). Per vero in origine (1915 circa) l’espressione in epigrafe non fu mannaggia ô Pataturco, ma mannaggia ô patatucco e solo in seguito, portata a Napoli dai fanti (per fortuna!) reduci della grande guerra, e non periti come avvenne per molti fanti meridionali,mandati a difendere i sacri (la retorica dell’epoca cosí recitava!) confini nordici di una patria non … sentita tale da tutti, si corruppe in mannaggia ô Pataturco sostanziando l’imprecazione eufemistica usata per non pronunciare una grave bestemmia. Ma cosa c’entra il patatucco coi fanti reduci della grande guerra? C’entra giacché l’originario patatucco ( derivato dalla fusione di patat(a) + (cr)ucco) designò nel nord est dello stivale una sorta di giocosa offesa rivolta contro i soldati austro-tedeschi considerati sciocchi e minchioni adusi a mangiar patate, da cui l’attacco patata di patatucco, mentre la voce crucco donde la seconda parte di patatucco fu il nome dato dai soldati italiani a quelli tedeschi durante la prima e poi la seconda guerra mondiale; all'orig. era appellativo dato agli slavi, derivato dalla voce serbo-croata kruh 'pane', quello che i soldati erano soliti chiedere quando invadessero una zona. La voce patatucco fu recepita dai militi napoletani che usarono addizionarla al loro tipico mannaggia per insolentire i soldati nemici; quando poi i reduci tornarono a Napoli, portandosi dietro quel loro mannaggia ô patatucco= accidenti al tedesco, il popolo napoletano che non aveva avuto dimestichezze belliche con il crucco ed il patatucco corruppero per assonanza questo patatucco con un piú noto Pataturco derivato con tutta probabilità da un pate(padre)+ Ataturk (Mustafa Kemal Atatürk che fu il fondatore (padre) e primo presidente della Repubblica Turca (dal 1923 al 1938). ) = Padre de’ turchi, Maometto; va da sé che legando mannaggia a Pataturco sostanziarono quell’imprecazione eufemistica di cui ò detto usata per non bestemmiare. 10. MANNAGGIA Ê CANE ‘E CANCIELLO! Tengo dietro con queste paginette a quanto dissi alibi (per rispondere ad un quesito della consorte del mio caro amico A.M. (i consueti problemi di riservatezza mi costringono ad indicare solo le iniziali di nome e cognome)) illustrando l’espressione esclamativa MANNAGGIA BBUBBÀ! Comincio con il dire che la locuzione esclamativa in esame che vale Accidenti ai cani da guardia! rappresenta una sorta d’alternativa a quella MANNAGGIA BBUBBÀ! ed è usata da chi voglia esprimere generico, ma contenuto disappunto,dispiacere, rammarico, contrarietà, stizza,delusione, rincrescimento davanti ad avvenimenti fastidiosi od imprevisti ed imponderabili e non voglia dare in scostumate escandescenze.Questa locuzione in epigrafe è molto datata e risale alla fine dell’ ‘800 ed i principî del ‘900 quando si poteva cogliere come espressione di disappunto,dispiacere, rammarico sulle labbra non di ladri e/o malfattori (come a tutta prima potrebbe apparire) che si dolessero di trovare feroci cani di guardia alle proprietà che essi lestofanti volessero visitare, quanto sulle labbra di innamorati e/o spasimanti cui un severo genitore della ragazza o un geloso marito di una sposa circuita opponevano la presenza di numerosi agguerriti cani da guardia (i napoletani cane ‘e presa) sguinzagliati davanti i cancelli o per le scale ed innanzi alle porte al fine di dissuadere innamorati e/o spasimanti (cfr. CANCIELLO ‘E SPOSA gustosa canzone partenopea del 1950 firmata da Armando De Gregorio per la musica di Furio Rendine (Napoli, 23 marzo 1920 –† Roma, 22 febbraio 1987)) Brak

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