mercoledì 22 luglio 2015

IL RADDOPPIAMENTO DELLE CONSONANTI NELLA PARLATA NAPOLETANA

IL RADDOPPIAMENTO DELLE CONSONANTI NELLA PARLATA NAPOLETANA Premesso che a mio avviso la questione del raddoppiamento détto pure geminazione iniziale o interno delle consonanti, quantunque rappresenti, soprattutto per i non addetti ai lavori o per chi sia alle prime armi,ma pure (purtroppo) per taluni spocchiosi studiosi o sedicenti tali che ne negano l’utilità e/o l’obbligatorietà (e faccio, uno per tutti, il nome di A.Altamura il cui calepino del napoletano brulica di strafalcioni morfologici..., quantunque la questione rappresenti, una delle maggiori difficoltà nel rendere per iscritto i dialetti centro meridionali e segnatamente la parlata napoletana,ma che comunque non presenti difficoltà insormontabili, rammenterò che già intorno al 1780 in ordine a tale questione ed altre similari s’erano scontrati letterati del calibro di Luigi Serio e dell’abate Ferdinando Galiani. ( Luigi Serio letterato e patriota (Massa Equana, Napoli, 1744 † Napoli 1799); fu allievo di A. Genovesi, prof. di eloquenza all'univ. di Napoli, dopo il 1790 fu repubblicano, e morí combattendo i sanfedisti. Fu improvvisatore e autore di melodrammi; egli propugnò (in un'arguta risposta polemica in dialetto (Lo Vernacchio) all'abate Galiani), propugnò e giustamente una scrittura dialettale quanto piú prossima possibile alla lingua parlata, servendosi perciò senza lesinare di geminazioni,accenti e segni diacritici, nonché di apocopi, aferesi etc. )Di parere diametralmente opposto fu il cosiddetto abate Galiani ( Ferdinando Galiani: economista e letterato (Chieti 1728 † Napoli 1787). A 16 anni scriveva dissertazioni di argomento politico, economico, archeologico etc. pubblicò poi un trattatello sul Dialetto napoletano (1779) ed un vocabolario del medesimo dialetto (post., 1789)). Rammentato lo scontro tra letterati del calibro di Luigi Serio e dell’abate Ferdinando Galiani, preciso súbito ch’io mi schiero con Lugi Serio e son dalla sua parte e non per simpatie politiche! Tutt’altro! Sono un convinto filoborbonico e sanfedista… e tuttavia in campo letterario mi schiero con lui e non son dalla parte del cafoncello F. Galiani che aveva la pretesa di dissertar di napoletano,a malgrado che in realtà fosse solo un chietino! Dirò altresí che comunque sulla questione del raddoppiamento o geminazione iniziale o interno delle consonanti, occorre essere cauti, ma fermi, dando poche, ma sufficienti e nitide dritte e/o indicazioni. Inizio perciò con il chiarire che diversa è la questione del A)raddoppiamento consonantico iniziale da quella del B) raddoppiamento consonantico interno A)raddoppiamento consonantico iniziale Per quanto riguarda il raddoppiamento consonantico iniziale, occorre fare una prima, basilare considerazione: anche in italiano ci sono tante consonanti iniziali che, precedute da vocale, si pronunciano forti e raddoppiate, ma la loro scrittura (per una scelta dei padri fondatori della lingua nazionale, scelta che non condivido) è sempre scempia; ad esempio: in italiano “a poco a poco”, di fatto vien pronunciato a ppoco a ppoco, “a me” lo pronunciamo di fatto a mme, “vado a casa” lo pronunciamo di fatto vado a ccasa. Ma, ripeto, la loro scrittura (cosí vollero, ahi loro, i padri della lingua nazionale…) è sempre scempia e non si capisce proprio in base a quale criterio si evitò di scrivere quelle parole le cui consonanti iniziali son pronunciate in maniera forte e raddoppiata, con la consonante iniziale geminata. Ebbene, prendendo a modello l’italiano, qualcuno (A. Altamura, per non far nomi, ma solo cognomi!..., si chiede (ma erroneamente), perché mai in napoletano si dovrebbero avere o si ànno per iscritto tanti raddoppiamenti di consonanti iniziali. Sarebbe piú giusto chiedersi il contrario: perché mai l’italiano eviti la scrittura delle consonanti geminate e non si capisce proprio in base a quale criterio si debbano scrivere scempie le consonanti iniziali pronunciate doppie! D’altro canto se anche esistesse un criterio o una regola dell’italiano chiara e codificata e non dovuta all’uso, che affermasse l’inutilità dell’indicazione per iscritto della consonante iniziale geminata, non vedo perché la cosa dovrebbe valere per l’idioma napoletano scritto che è linguaggio autonomo, rispondente a regole proprie e non è tributario di quelle della lingua nazionale. Ma quel qualcuno ed altri suoi pari: L.I., N.D.B.( e qui pago il mio tributo alla solita carità cristiana che m’impone di limitarmi alle iniziali di nome e cognome, per tacere che si tratta: il primo d’un notissimo medico/letterato uso ai teleschermi regionali ed il secondo d’un altrettanto noto cattedratico del principale ateneo partenopeo) intignano ed insistono con il sostenere che a loro avviso, il lettore (sia esso partenopeo che di diversa origine) non à bisogno di essere guidato graficamente alla pronuncia doppia, dal momento che è già abituato (se è italiano) a pronunciare raddoppiate tante consonanti iniziali che si appoggiano ad una vocale precedente.Ebbene vorrei chiedere a quei dessi come si comporterebbe, a parer loro uno straniero che dovesse leggere un testo napoletano scritto alla maniera del Galiani o di costoro suoi epigoni che osservano inoltre che il non napoletano non saprà mai ben pronunciare il dialetto partenopeo neppure se fosse guidato dai piú accurati e puntigliosi segni diacritici e fonetici.Ognuno vede che si tratta d’una sciocca petizione di principio priva di conclamata prova. Né mette conto dar risposta a colui che scioccamente si chiedesse perché utilizzare per (o abbondare in ) il napoletano scritto combinazioni grafiche del tutto estranee alle regole ed alla tradizione della lingua madre nazionale? Non mette conto dar risposta a costui che dimostrerebbe chiaramente d’ignorare che l’idioma napoletano scritto o orale è un linguaggio autonomo, che risponde a regole proprie e non è tributario di regole d’altro linguaggio, men che meno della lingua nazionale. Da ciò il sedicente professore A. A.( è lui quel desso che piú di tutti ignora talune regole linguiste e scioccamente intigna) ne trasse il convincimento che è superfluo raddoppiare graficamente le consonanti iniziali se non in quei pochi casi che possano ingenerare confusioni o incertezze: giunse a fare l’esempio di ccà (qui) rispetto a ca (che, perché).Ed aggiunse che peraltro anche in tale esempio sarebbe agevole osservare che la doppia “c” è superflua in quanto come discrimine diacritico sarebbe sufficiente la sola accentazione della vocale “a” per la voce avverbiale; quanta supponente sciocca asinaggine!Gli rintuzzo infatti che è erroneo e sciocco accentare l’avverbio napoletano di luogo cca corrispondente dell’italiano qua; infatti l’avverbio cca (qua) etimologicamente deriva dal latino (e)cc(um h)a(c) ed un professore universitario dovrebbe sapere (e se non lo sa è un asino calzato e vestito…e conferma la regola che quando non si conosce qualcosa, bisogna insegnarla!...) che la caduta finale d’una consonante e non d’una sillaba non lascia alcun residuo in segni diacritici: accenti o apostrofi come càpita nel napoletano con mo←mo(x), pe←pe(r), cu←cu(m),e nell’italiano con re←re(x) esiti tutti che non richiedono accento o apostrofe, e chi li ponesse sbaglierebbe! La cosa grave è che il sedicente prof. A.A. à fatto proseliti(purtroppo è nella natura umana seguire chi erra piuttosto che chi stia nel giusto…) e nel suo medesimo senso si è espresso anche L. I.(altro letterato napoletano sodale del cattedratico Nicola De Blasi) suggerendo di raddoppiare graficamente la consonante iniziale “soltanto quando ciò rivesta un’utilità grammaticale”, ricordando un po’ troppo semplicisticamente che vanno pronunziate doppie - anche se si scrivono semplici - le consonanti iniziali delle parole che sono precedute da: a (moto a luogo), e/’e,, cchiú, tre, cu, nu’ (non), sî (tu sei), è, à, so’ (io/essi sono), sto’ (io sto), accussí, ògne, quarche; nonché quelle che sono precedute dai pronomi dimostrativi plurali maschili e femminili. Già Pirro Bichelli (altro addetto ai lavori, ma di nessuna affidabilità stante la cervelloticità di certe sue proposte o soluzioni grammaticali) , nel 1974, aveva affermato che il “raddoppiamento grafico… non si verifica generalmente per le consonanti in posizione iniziale, in base al principio della uniformità della parola, dato che esse, nella détta posizione, per alcuni casi si pronunziano col suono forte, per altri col suono normale: a ssecuzzune=a schiaffoni, ma ‘e secuzzune.Il Pirro semplicisticamente pretese di considerare regola una particolarità o un’ eccezione! Tanto premesso e chiedo scusa d’essermi dilungato (ma era necessario), torniamo al nostro assunto e parliamo del A)Raddoppiamento Consonantico Iniziale 1 - In generale si usano nello scritto e nell’orale doppie le consonanti iniziali di monosillabi che abbiano un monosillabo analogo scritto con consonante scempia ma di significato diverso (ad es. l’avverbio cca (= qua )e non ccà come asinescamente scritto da qualche sedicente letterato o professore, cca da non confondere con la congiunzione ed il pronome ca (=che); l’avverbio di luogo lla (corrispondente all’italiano là) pur non confondendosi nel napoletano con nessun altro monosillabo la (articolo che in napoletano è dal ‘600 in poi sempre ‘a, tranne nell’unico caso di quel disinformato Salvatore Di Giacomo che scrisse La luna nova…) dicevo l’avverbio di luogo lla (corrispondente all’italiano là) si scrive con la doppia per rispettare l’etimologia (i)lla(c) ed in napoletano non è necessario accentarlo (llà) giacché in napoletano la o lla non si confonde con nulla. 2- si leggono e scrivono altresí doppie le consonanti iniziali di parole precedute o da vocali non evanescenti (cfr. scenne ‘o cchiummo ma scenne chiummo , damme tuorto ma damme ‘o ttuorto famme sèntere, ma stamme a ssèntere etc.) oppure dall’ articolo neutro ‘o (il) (es. ‘o ppane, ‘o ppepe, ‘o ppecché, ‘o cchiummo etc.), ma se l’art. ‘o (il) è maschile (es. ‘o pesce, ‘o cinema etc.) la consonante iniziale torna ad essere scempia perché si pronunzia debole; 3 - come pure si leggono e si scrivono ugualmente doppie le consonanti iniziali di parole precedute dall’ articolo femm. ‘e (le) (es. ‘e ffiglie (=le figlie), ma ‘e figlie(=i figli). Vado oltre e preciso altresí che il raddoppiamento iniziale delle consonanti nel napoletano 1)può dipendere da un aferesi che lascia una doppia (ad es.: ‘a cchiesa/cchiesia←(e)cclesia(m) – ll’/llu/lle(art.)←(i)ll(e)/ (i)ll(a) – lloro ←(i)lloru(m); di lla (là)←(i)lla(c) ò già détto; 2) le consonanti iniziali b, p e g (palatale) sono sempre geminate (ad es.:bbuccaccio, bbuttone, bbutteglia,bbuvero, gGiorgio,ggente, ggioverí etc.; non si opera il raddoppiamento se la consonante g, di voci maschili ma non le altre comprese le esplosiva (p,b) è seguita dai dittonghi uo, ua (es.: ‘e guante etc.,ma ‘e gguallere, ma ‘o bbuono, ma a cquanno); il raddoppiamento invece avviene se la consonante g di voci maschili e le altre comprese le esplosiva (p,b) è seguita dai dittonghi ie, ia, iu (es.: a ppiede, a Ggiesú, ‘o ggiaccone, ‘a ggiuventú, ‘o ggiuvinotto etc.) 3) la geminazione della consonante iniziale può dipendere ancóra da assimilazione regressiva in + parole comincianti per m→mm (ad es.: in mezzo→ ‘mmiezo etc.), da assimilazione regressiva con parole introdotte da termini che conservano una sorta di consonante finale etimologica funzionale: cfr. a←ad, tre←tres,cchiú←plus che producono raddoppiamenti del tipo vaco a mmare – tre ccose – cchiú ccurto etc. o pure la geminazione della consonante iniziale può dipendere da assimilazione progressiva m+b/m+v→mm (cfr. ‘mmocca←in+bucca→’nbucca→’mbucca→mmocca; ‘mmidia←invidia(m)→’nvidia(m)→’mvidia(m)→mmidia;’mmitare/’mmità ←invitare)→’nvitare→’mvitare→’mmitare/’mmità); 4) si verifica altresí la geminazione della consonante iniziale di parole che seguono gli aggettivi femminili ati(altre), bbelli(belle),bbrutti (brutte) chelli (quelle) chesti/’sti(questi) cierti(talune) quanti (quante) tanti(tante) (cfr. ad es.: ati ccose, bbelli ffemmene, bbrutti scarpe, chelli/chesti/’sti ccarte, cierti vvote, quanti/tanti ggunnelle ma quanti/tanti cavalle etc.) 5) si verifica altresí la geminazione della consonante iniziale z (seguíta da a, i,,o,u) di parole che sono o sono intese neutre mentre la consonante iniziale z (seguíta da a, i,,o,u) di parole di altro genere resta scempia; 6) si verifica infine la geminazione della consonante iniziale dei lemmi usati in funzione di esclamazione: Ggiesú, Ggiesú! Uh Mmaronna! 7)ecco infine un elenco di lemmi con raddoppiamenti iniziali derivanti da aferesi non segnalata graficamente e da successiva assimilazioni regressive cchiú ← *(i)nplu(s) →nchiú→cchiú dDio ←*(oh) Dio→oddio→(o)ddio→dDio – ggenio ← *(i)ngeniu(m) – lloco non da *illoloco→illoco→lloco, ma piú verosimilmente da un *hoc (oppure in) loco donde *oc-loco→olloco→(o)lloco oppure *in-loco→illoco→(i)lloco; mmaje (forma alternativa della scempia maje; mmaje è spiegabile sempre come assimilazione regressiva con una partenza da un *(ia)m magis→*(ia)mma(gi)s→*(ia)mmaj(s)→ (ia)mmaje; di per sé maje = mai, in nessun tempo, in nessun caso derivato dal latino magi(s)= piú con caduta della sibilante finale e della g intervocalica sostituita da una j di transizione e con paragoge della semimuta finale e al posto della i ; mme e tte ( = mi e ti) forme collaterali di me e te; il raddoppiamento consonantico riporta ad una base (a)d me, (a)d te nel valore sintattico di compl. oggetto o di termine; tale raddoppiamento però non è tassativo e può essere talora usato in funzione di rafforzamento espressivo. E veniamo al B) Raddoppiamento Consonantico Interno Premesso che tutte le consonanti interne esplosive che formano sillaba con una vocale tonica si pronunziano e si scrivono doppie (cfr. ad es. tabacco in italiano ma in napoletano tabbacco, abete in italiano, ma in napoletano abbete etc.); e premesso che ugualmente si leggono e scrivono doppie, oltre le esplosive b e p, anche il gruppo br→bbr e quello bl→bbl, la zeta , e la g palatale soprattutto nelle parole che in italiano terminano in zione o gione ed in napoletano vanno rese, se precedute da vocale in zzione e ggione mentre conservano la zeta o la gi scempia nel caso zione o gione siano precedute da consonante; tanto premesso entriamo in altri dettagli. 1) son sempre doppie le consonanti interne in parole derivanti da assimilazioni regressive (cfr. abbasta← ad+basta); 2)una serie di geminazioni è dovuta (sulla scia di esito osco ) all’assimilazione progressiva dei foni –mb-, -nd – che evolvono nelle doppie delle rispettive nasali: mb→mm, nd→nn (cfr. cchiummo←plumbeu(m), palummo←palumbu(m), fronna←fronda, unnece←undeci(m); 3) si à sempre il raddoppiamento consonantico di tipo espressivo in parole derivate da lemmi in cui la consonante originariamente ed etimologicamente è scempia (cfr. cammurista←camorra – cannottiera ←canotto etc.); 4) si à ugualmente sempre il raddoppiamento consonantico di tipo espressivo in parole in cui la consonante originariamente ed etimologicamente è scempia, raddoppiamento dovuto all’intensità dell’accento tonico e dai suoi riflessi su sillabe caratterizzate da liquide o nasali (cfr. ad es.:melòne→mellone ,amóre→ammóre, innamorato→nnammurato, varechína→varrichina/varricchina etc.) 5) altri casi di raddoppiamento interno soprattutto nella seconda sillaba risalgono ad un originario prefisso ad- che à subíto una normale assimilazione regressiva con la consonante iniziale successiva producendo esiti del tipo:ad+b→abb, ad+c→acc, ad+d→add,etc. 6) consueti casi di raddoppiamento interno riguardano le consonanti b,br,g (palatale) che se intervocaliche vanno sempre soggette alla geminazione scritta ed orale (cfr. debiti→diebbete, libro→libbro, aprile→abbrile, cugino→cuggino etc.). Come penso di aver sufficientemente espresso, si tratta di poche e chiare norme alle quali occorre attenersi, norme che non m’appaiono né difficili , né complesse il tutto con buona pace dei paludati studiosi e/o sedicenti professori A.A., L.I.,N.D.B. che pretenderebbero, cassando n’atu rigo ‘a sott’ ô sunetto di banalizzare ciò che di per sé è già semplice e facilmente comprensibile. In coda a tutto quanto già détto,sulla scia di quanto mi suggerí l’amico prof. Carlo Iandolo, preciso quali sono le voci che comportano il raddoppiamento consonantico iniziale della parola che le segue; si tratta innanzi tutto di una piccola schiera di diciassette monosillabi speciali costituiti dalla sola vocale oppure da una consonante + vocale, a cui vanno aggiunti i due aggettivi bisillabi ògne e quacche, nonché l’avverbio trisillabo accussí: esse voci, poste avanti ad una parola con avvio consonantico, ne causano il raddoppiamento in modo del tutto particolare. Tale fenomeno à una sua giustificazione nel fatto che il napoletano come altri idiomi/dialetti specchio del “latino volgare possono avérconservato –specie ed almeno nei monosillabi– le caratteristiche forme originarie conservando sia pure nascosta nel loro sottofondo una loro antica consonante finale( cfr. a ← “a-d”, è ← “e-st”, e ← “e-t”, né ← “ne-c”, so’ ← “su-m oppure su-nt”, tre ← “tres”…), che risulta ancóra talmente vitale e funzionale da procurare un’assimilazione regressiva, fenomeno fonetico per cui essa diventa eguale alla successiva consonante iniziale.Seguiamo l’iter di quell’antica consonante che in un primo momento diventò uguale a quella iniziale della parola successiva pur rimanendo nelle rispettive sedi; ma in seguito avvenne che la consonante finale del monosillabo si staccò andandosi ad agganciare all’inizio della parola successiva, procurando appunto il raddoppiamento anche scritto:ess.: tu e-t nuje → tu en nuje →tu e nnuje; tre-s vote → trev vote →tre vvote;e-st guaglione → eg- guaglione → è gguaglione…;etc. Ora non ci rimane, a mo’ di riepilogo che l’elencazione dei A) diciassette “monosillabi speciali”del napoletano: a (← a-d), che (qui-d), cchiú (← plu-s), cu (← cu-m), è (← e-st), e (← e-t), formula à dda + infinito (← *hat da), né (← ne-c), nu’ (= nu-n), l’articolo neutro (il-l)u(-d) →’o(-d), l’articolo plur. femminile (*l)e(-s)→’e, il pronome (*l)e(-s)→’e + verbo, pe (← pe-r), po’ + infinito (← *po-test), tu sî (← si-s), so’ (← su-m opp. su-nt), sto’ (← *stom: come “su-m” ), tre (← tre-s). Una seconda conferma della consonante nascosta ma attiva,è rappresentata anche nel “qui-d” latino = “che” napoletano voce che asddirittura conserva ancóra l’originaria “-d” nell’espressione interrogativa ched’è / cher’è?(cosa è?)che riproduce esattamente il lat. quid e(st) e non à ragione di scrivere che d’è; l’apostrofo di ched’è è usato solo per soddisfare il senso estetico dell’occhio che non apprezzerebbe un ched è. B) Ancóra poi anche dodici aggettivi terminanti in i, pur senz’avere la consonante finale nascosta ed operante, procurano egualmente il raddoppiamento de quo, ma soltanto se la parola successiva è di genere femminile: ati, bbelli, bboni, bbrutti, chelli, chesti, cierti, (antico articolo) li, quali, quanti, ’sti, tanti, troppi (che per giunta –in quanto proclitici, cioè posti prima, ma intimamente legati alla parola successiva– ànno pronunzia piena, anche se la loro “-i” finale risulta atona). Ess: ati ffemmene, cierti ssartulelle, chesti ssignore, quanti vvote, ’sti mmane, li ccerase rosse, tanti ffessarie, troppi ccose… Quando però i medesimi aggettivi, ad eccezione di ati, chelli, chesti, cierti, quanti, ’sti, tanti, troppi [che son sempre proclitici] seguono il sostantivo femminile assumono la classica morfologia in “-e” finale di tono evanescente e sono: bbelle, bbone, bbrutte che sono i medesimi bbelle, bbuone, bbrutte posposti usati per il m.le plurale e non v’à ragione di usare per gli agg.vi m.li pl. le forme bbelli, bbuoni, bbrutti con la pronunzia piena della “-i” finale atona. È mia convinzione che la desinenza femminile “-i” di suono pieno altro non sia che una “-e” camuffata per dare alla parola suono pieno. ancorché atono e non quello evanescente della “-e”. C) Diverse le ragioni del raddoppiamento iniziale di voci quali ‘o rre (il re) ‘o rraú (il ragú) ‘a rrobba (la roba); vediamole analiticamente: nel caso d el sg. ‘o rre (il re) con ogni probabilità il raddoppiamento è dovuto ad una sorta di analogia con la voce pl. li rre (i re) nella quale temporibus illis si procedette alla geminazione della consonante iniziale ad imitazione di quella dovuta all’ art. f.le li di cui antea; la geminazione della voce plurale fu poi mantenuta nell’uso comune anche per il sg. ‘o rre; nel caso della voce rraú il raddoppiamento è da riferirsi all’ art.icolo neutro (ill)u-d →’o onde l’assimilazione regressiva di cui già dissi; nel caso di rrobba (roba) come per altri lemmi quali rraggia (rabbia), rricietto (sistemazione, riposo) bisogna rammentare che nei lessici ottocenteschi i lemmi sono registrati come arrobba, arraggia, arricietto per cui non fa meraviglia se nel corso del tempo la A iniziale fu intesa come articolo e disglutinata lasciò lemmi con la geminazione della consonante iniziale. In coda ed in aggiunta a tutto quanto qui détto rammento e preciso che in napoletano la “B” nonché la “G” palatale (soprattutto + “i”) di termini preceduti da articolo (cosí da propiziare una posizione intervocalica) propendono al raddoppiamento consonantico iniziale per un fenomeno popolare naturale.Con ogni probabilità si tratta d’un influsso toscano sul napoletano (reiterato nei secoli), cosí come congetturò il grande grammatico Alfredo Schiaffini, che individuò condizioni d’origine di tale raddoppiamento nell’area senese, poi piattaforma di diffusione : ad es.: il giovane [pronunciato il ggiovane], il bicchiere [pronunciato il bbicchiere]; nel napoletano aduso, come ò piú volte rammentato, a ripetere graficamente i raddoppiamenti fonetici avremo quindi ’ o bbicchiere, ’o bbabbà, ‘o ppanecuotto e via via ‘o ggiovane, ‘a ggiuventú, ‘o ggiurnale ‘o ggiuvinotto etc. Del resto anche il Rohlfs (Fonetica della lingua italiana e dei suoi dialetti) a pag. 211 (paragrafo 156) precisa che nell’Italia meridionale “questa g palatale viene pronunciata con un appoggio piuttosto forte della voce, per cui è quasi una gg; alle volte si forma una vocale d’appoggio, per es. in romanesco ggente, brindisino ‘a ggènda, napoletano ‘a ggente, calabrese ‘a ggenti = “la gente” (dove per vocale d’appoggio l’illustre studioso intendeva l’articolo ’a…) ecc. Ciò a riprova della precisazione ben valida dello Schiaffini, che delineò l’origine locativa del fenomeno. E giunto a questo punto, per evitare che mi scappino i cavalli e smarroni nei confronti di qualche cattedratico, faccio punto augurandomi di non dover far ricorso ad un errata corrige. Satis est. Raffaele Bracale

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