lunedì 7 settembre 2015

ROVISTARE – FRUGARE - & dintorni

ROVISTARE – FRUGARE - & dintorni L’idea di queste paginette nacque all’indomani d’un mio incontro con l’amico N.C.(i consueti problemi di riservatezza mi costringono ad indicare solo le iniziali di nome e cognome) che, al termine di infruttuose ricerche (operate in un paio delle mie librerie colme di libri e/o faldoni di mie noterelle) di non ricordo bene quale vecchio volume, mi chiese quali verbi del napoletano rendessero quelli dell’italiano. Cercherò perciò con le paginette che seguono di accontentare l’amico N. C. e qualche altro dei miei ventiquattro lettori. Cominciamo dunque con le voci dell’italiano: Rovistare v. tr. cercare minutamente e diligentemente; frugare (anche assol.): rovistare i cassetti, frugare nella spazzatura. L’etimo è il lat. revisitare→revis(i)tare→rovistare, comp. di re-, con valore iterativo, e visitare 'visitare'; Frugare v. intr. cercare minutamente e insistentemente tra piú cose: frugare tra i rifiuti, nei cassetti ; come v.tr. 1 rovistare: frugare le tasche 2 perquisire: ordinò di frugare i passeggeri | (fig.) indagare, esaminare con lo sguardo; scrutare; 3 (ant.) stimolare | tormentare. Etimologicamente derivato da una lettura metatetica del lat. volg. *furicare→*frucare→frugare, dal class. furari 'rubare', che è da fur/ furis 'ladro'; Razzolare v. intr. 1 raspare il terreno per trovare cibo (detto spec. di pollame) ' predicare bene e razzolare male, (fig.) comportarsi bene solo a parole ' prov. : chi di gallina nasce, convien che razzoli, nei figli si ritrovano i difetti dei genitori 2 (estens. fam.come nel caso che ci occupa ) rovistare, frugare: razzolare fra le carte. Etimologicamente forse derivato da un ant. razzare «raspare, grattare», che è da un longobardo razjan, ma non manca chi sospetta un lat. parlato *radiulare intensivo di *radiare = il raspare che fa il cavallo con le zampe; preferisco la derivazione dal latino parlato. E veniamo all’idioma napoletano dove, al solito, troviamo voci verbali che sono molto piú precise delle generiche voci dell’italiano. Cartapellà/scartapellïà v. tr. ( si tratta di due verbi di cui il secondo è un frequentativo (cfr. la prostesi della s intensiva e/o iterativa napoletana) del primo); valgono ambedue : frugare, rovistare intensamente,ma farlo tra oggetti vecchi ed inutili,carabattole,cianfrusaglie masserizie di nessun tutte cose che in napoletano son dette (con derivazione dal t. lat. *cartabellu(m)=brogliaccio) cartapelle/scartapelle donde i verbi a margine che ne son denominali; il verbo scartapellïà oltre ai significati détti, à quello piú preciso di sfogliare un volume o dei fogli, ma in fretta e disordinatamente, alla ricerca di qualcosa: scartapellïà ‘nu cartularo (sfogliare un vecchio brogliaccio o quaderno) .Per quanto riguarda la coniugazione del verbo in ïare/ïà ci si regoli come per la voce successiva; Fucechïà v. int. antico verbo partenopeo tanto antico e appartenente quasi del tutto ai lessici popolari e/o familiari, da non trovar posto in nessuno dei numerosi calepini della lingua partenopea da me consultati che ànno tutti (con qualche rara eccezione) il torto d’esser stati compilati attingendo quasi esclusivamente o solo negli scritti dei classici e non anche nel parlar popolare. Cominciamo súbito col fornire il particolare, singolare significato italiano del verbo fucechïare/fucechïà che vale: frugare insistentemente e continuamente, rovistare con insistenza, cercare e reiteratamente indagare, ma (ecco la particolarità!) non allo scopo di trovare un quid, quanto per dar libero sfogo al proprio bisogno, per vizio o curiosità, di rimestare insistentemente nelle cose (tasche, scatole, mobili ed affini) anche senza un preordinato fine; tale comportamento un tempo fu tipico dei bambini, ma pure di taluni adulti. Prima di soffermarci sull’etimologia del verbo in esame, rammenterò che il verbo fucechïare/fucechïà, come il precedente scartapellïà avendo la ï della desinenza ïare/ïà comporta una coniugazione dell’ind. presente del tipo in ejo piuttosto che in eo pur cui avremo: fucechéjo – fucechje – fucecheja – fucechjammo – fucechjate – fucechejano (e non fúceco – fúceche – fúceca – fucecàmmo – fucecàte – fúcecano) come vedemmo altrove per tutti i verbi terminanti in ïare; è ovvio che tale tipo di coniugazione valga ugualmente per tutti gli altri tempi, avendosi ad es. per il pass. remoto fucecheïaje e non fucecaje e cosí via. E veniamo infine all’etimologia del verbo a margine. Fucechïare/fucechïà à una evidente derivazione (come l’italiano frugare) da un lat. volg. *furicare, per il class. furari 'rubare', che è da fur furis 'ladro', però secondo un diverso percorso morfologico; nel napoletano abbiamo:furicare→ (per metatesi) fruicare donde con epentesi eufonica di una C→ frucicare→fucicare con successiva dissimilazione totale della prima liquida r ed infine con ulteriore anaptissi, cioè epentesi vocalica della I (che poi occorse fornir di dieresi per non incorrere nel dittongo ià) si giunse al napoletano fucechïare/ fucechïà.Anche il percorso semantico mi appare ovvio atteso che è proprio del fur (ladro) il bisogno di frugare insistentemente e continuamente, rovistare con insistenza, cercare e reiteratamente indagare allo scopo di trovare e/o scegliere ciò che vi sia da sottrarre. Revistà v. tr. cercare minutamente, ma un po’ alla carlona; frugare. Come il corrispondente rovistare dell’italiano è verbo a funzione generica e plurima che si adatta a molte circostanze. L’etimo è dal lat. revisitare→revis(i)tare→revistare/revistà, comp. di re-, con valore iterativo, e visita¯re 'visitare'; Scatulïà v. tr. cercare minutamente e diligentemente; frugare, ma farlo segnatamente tra cose ed oggetti conservati in iscatole; è verbo perciò piú preciso e circostanziato dei precedenti. Quanto all’etimo si tratta di un denominale iterativo (attraverso l’anaptissi di una i ) del s.vo scatula (che è da una lettura metatetica del lat. med. castula(m) ); Scervecà v. intr. cercare, frugare, ma farlo con ordine e sistematicità come si evincerà dall’etimologia; si tratta però di un verbo molto antico che benché un tempo fosse stato molto usato nel parlato della città bassa ed in particolare della zona piú popolare, è ormai del tutto desueto e ne resta la sola memoria, a parte in qualche calepino, nel Lo Cunto de li Cunti overo lo trattenemiento de' Peccerille denominato piú spesso Pentamerone, per la struttura formata da cinque giornate e cinquanta racconti, opera fondamentale del letterato e scrittore italiano di epoca barocca, primo a utilizzare la fiaba come forma di espressione popolare, Giambattista Basile detto anche il Boccaccio napoletano le cui opere piú famose"Le muse napolitane" furono scritte nell’idioma napoletano: (Giugliano in Campania, 1566 o 1575 – †Giugliano in Campania, 1632); interessantissima l’etimologia del verbo a margine: è voce derivata da un tardo lat. *ex-seper(i)care (frequentativo di un class. *ex-separare = separare con sistematicità) con prefisso ex che è estrattivo, metatesi exsepercare→exserpecare→scerpecare,e lenizione di p→v e dunquescerpecare →scervecare/scervecà verbo che semanticamente contiene l’idea della ricerca operata con ordine e sistematicità, separando le cose con metodo ed organicità. Trafechïà v. intr. 1 trafficare, darsi da fare, affaccendarsi, aver pratica 2 (per est.come nel caso che ci occupa)frugare ripetutamente, rimestare ma improduttivamente continuatamente tra le medesime cose; etimologicamente il verbo a margine è da un basso lat. *trans-ficare dove il ficare sta per facere da *trans-ficare→tra(ns)ficare→ traficare donde con anaptissi di una ï e della conseguenziale h per render gutturale il suono della c altrimenti palatale seguito dalla i, si giunge a trafechïà che comporta la coniugazione simile a quella dei pregressi scartapellïà e fucechïà; l’anaptissi della ï e della conseguenziale h si resero necessarie per evitare di confondere il verbo in esame con un precedente trafecà diverso per significato ed etimo: infatti il preesistete trafecà (che è dal catalano trafegar ) significa travasare il vino e non frugare ripetutamente, rimestare, né trafficare, darsi da fare. Ora per mera associazione di idea con la voce cartapella/scartapella penso sia interessante soffermarsi sul termine scandibbascio/scantibbascio. Dico che ci troviamo di fronte a due forme morfologicamente un po’ diverse d’ unica ennesima voce partenopea di vecchio conio, voce ormai desueta e non piú reperibile neppure nei calepini piú usati e piú corposi della parlata napoletana: Andreoli, Altamura, D’Ambra, D’Ascoli, de Falco, Iandolo etc. ; eppure si tratta di un vocabolo estremamente icastico nel suo ampio ventaglio di significati, vocabolo che – a mio avviso – ancóra meriterebbe d’essere usato da tutti i napoletani e non solo da quelli un po’ avanti negli anni. Personalmente mi piace di usarlo ancóra e perciò ne parlo, augurandomi d’essere esauriente e di far cosa gradita a chi mi leggesse o si sentisse interessato. Vediamo, dunque: scandibbascio/scantibbascio s.vo masch. che vale in primis: qualsiasi vecchio mobile, ingombrante e malmesso, credenzino, credenzone sgangherato, sciupato, sbreccato e tarlato e per divertito traslato persona vecchia,corpulenta, fastidiosa ed acciaccata; sia del mobile, che della persona - come spiego qui di sèguito – se ne parla con la non troppo nascosta idea di doversene/volersene disfare al piú presto, in quanto intesi (e la suppellettile e la persona) ormai inutili, anzi fastidiosamente invadenti ed al tal proposito sottolineo che parlandone di una persona s’usa addizionarlo dell’ offensivo agg.vo vecchio: ‘stu viecchio scandibbascio! Rammento che intorno agli anni ’50 del 1900 di un mobile ingombrante e malmesso, sgangherato, sciupato, sbreccato e tarlato s’usava dire: Chist’è oramaje ‘nu scantibbascio bbuono sulo p’’a lampa ‘e sant’Antuono (Questo è ormai un mobilaccio adatto soltanto (ad essere arso sul) falò (durante la festa) di sant’Antonio abate. Prima di affrontare il termine scantibbascio/ scandibbascio, diciamo che lampa è un sost. femm. derivato dal franc. lampe, che è dal lat. lampada e vale in primis: falò che è presso a spegnersi (quando è ancòra ben acceso è detto fucarazzo) e per traslato piccolo bicchiere di vino tracannato d’un colpo ed in tale accezione, semanticamente si spiega in quanto tale piccolo bicchiere di vino tracannato d’un colpo viene a consunzione in un niente come a consunzione rapida viene il falò presso a spegnersi. Atteso che per scandibbascio/scantibbascio non ò trovato occorrenze di sorta circa l’etimo posso solo congetturare e proporre qualcosa; ò comunque sottoposto la mia idea etimologica all’amico prof. C. Iandolo, a cui è piaciuta; eccola: premesso che scandibbascio/scantibbascio sono voci chiaramente e segnatamente partenopee ci si sarebbe aspettato che i gruppi nd ed nt avessero dato (come solitamente avviene) nn con tipica assimilazione progressiva; la cosa non è avvenuta mantenendo gli inconsueti scandibbascio/scantibbascio in luogo dell’ atteso scannibbascio o anche scannebbascio che avrebbe risolto pilatescamente l’alternanza nd ed nt; si è dunque di fronte ad una sorta d’anomalia, che però può leggersi come eccezione che conferma la regola. Ciò détto per ciò che riguarda l’etimologia di scandibbascio/scantibbascio reputo che morfologicamente si debba pensare al verbo latino scand(ere) da una radice: akshad = infrangere, dividere addizionato con l’avv. bascio forma colleterale di vascio (dal lat. bassus) = in basso, giú, al di sotto; semanticamente, nel caso di mobile vecchio, la faccenda si spiegherebbe in quanto che lo scandibbascio/scantibbascio, altro non è che un mobile vecchio e logoro da eliminare infrangendolo dal basso per modo che crolli frontumandosi in piú pezzi da ardere evitando in tal modo un aggravio di lavoro per chi volesse rompere il detto mobile cominciando inutilmente dall’alto; va da sé poi che semanticamente la cosa reggerebbe anche nel caso che con il termine scandibbascio/scantibbascio ci si riferisse per traslato ad una persona vecchia,corpulenta, fastidiosa ed acciaccata, persona per la quale iperbolicamente si auspicherebbe una sorta di crurifragio, quello che era adoperato con i condannati alla crocefissione per accelerarne la morte e quindi al fine di liberarsene.s. e.& o. E cosí penso d’aver convenientemente e ad abundantiam risposto alla domanda dell’amico N.C. e d’aver contentato anche qualche altro dei miei ventiquattro lettori, per cui reputo di poter mettere il punto fermo con il consueto satis est. Raffaele Bracale

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