mercoledì 18 novembre 2015

VARIE15/849

1 ESSERE A LL'ABBLATIVO. Letteralmente: essere all'ablativo. Id est: essere ormai alla fine, ineluttabilmente alla conclusione dell’opera intrapresa; si è fatto tutto ciò che che si poteva fare; per traslato, trovarsi nella condizione di non poter porre riparo a nulla. Come facilmente si intuisce l'ablativo della locuzione è appunto l'ultimo caso delle declinazioni latine. 2 ESSERE MURO E MMURO CU 'A VICARIA. Letteralmente: essere adiacente alle mura della Vicaria. Id est: essere prossimo a finire sotto i rigori della legge per pregressi reati che stanno per esser scoperti. La Vicaria della locuzione era la suprema corte di giustizia operante in Napoli dal 1550 in poi ed era insediata in CastelCapuano assieme alle carceri viceregnali. Chi finiva davanti alla corte della Vicaria e veniva condannato, era subito allocato nelle carceri ivi esistenti o in quelle vicinissime di San Francesco. 3 CU 'O TIEMPO E CU 'A PAGLIA... Letteralmente: col tempo e la paglia (maturano le nespole). La frase, pronunciata anche non interamente, ma solo con le parole in epigrafe vuole ammonire colui cui viene rivolta a portare pazienza, a non precorrere i tempi, perché i risultati sperati si otterranno solo attendendo un congruo lasso di tempo, come avviene per le nespole d'inverno o coronate che vengono raccolte dagli alberi quando la maturazione non è completa e viene portata a compimento stendendo le nespole raccolte su di un letto di paglia in locali aerati e attendendo con pazienza: l'attesa porta però frutti dolcissimi e saporiti. 4 SÎ ARRIVATO Â MONACA ‘E LIGNAMMO. Letteralmente: sei giunto presso la monaca di legno. Id est: sei prossimo alla pazzia. Anticamente la frase in epigrafe veniva rivolta a coloro che davano segni di pazzia o davano ripetutamente in escandescenze. La monaca di legno dell’epigrafe altro non era che una statua lignea raffigurante una suora nell’atto di elemosinare . Detta statua era situata sulla soglia del monastero delle Pentite presso l’Ospedale Incurabili di Napoli, ospedale dove fin dal 1600 si curavano le malattie mentali e dove prestava servizio il famoso Giorgio Cattaneo, da cui il s.vo mastuggiorgio (cfr. alibi) . 5 STAMMO A LL'ERVA. Letteralmente: stiamo all'erba. Id est: siamo in miseria, siamo alla fine, non c'è piú niente da fare. L'erba della locuzione con l'erba propriamente détta c'entra solo per il colore; in effetti la locuzione, anche se in maniera piú estensiva, richiama quasi il toscano: siamo al verde dove il verde era il colore con cui erano tinte alla base le candele usate nei pubblici incanti: quando, consumandosi, la candela giungeva al verde, significava che s'era giunti alla fine dell'asta e occorreva tentare di far qualcosa se si voleva raggiunger lo scopo dell'acquisto del bene messo all'incanto; dopo sarebbe stato troppo tardi. 6 HÊ SCIUPATO ‘NU SANGRADALE. Letteralmente: Ài sciupato un sangradale. Lo si dice di chi, a furia di folli spese o cattiva gestione dei propri mezzi di fortuna, dilapidi un ingente patrimonio al punto di ridursi alla miseria piú cupa ed esser costretti, magari, ad elemosinare per sopravvivere; il sangradale dell'epigrafe è il santo graal la mitica coppa in cui il Signore istituí la santa Eucarestia durante l'ultima cena e nella quale coppa Giuseppe d'Arimatea raccolse il divino sangue sgorgato dal costato di Cristo a seguito del colpo infertogli con la lancia dal centurione sul Golgota. Si tratta probabilmente di una leggenda scaturita dalla fantasia di Chrétien de Troyes che la descrisse nel poema Parsifal di ben 9000 versi e che fu ripresa da Wagner nel suo Parsifal dove il cavaliere Galaad, l'unico casto e puro, riesce nell'impresa di impossessarsi del Graal laddove avevan fallito tutti gli altri cavalieri non abbastanza puri. 7 FATTE CAPITANO E MAGNE GALLINE. Letteralmente: diventa capitano e mangerai galline. Id est: la condizione socio-economica di ciascuno, determina il conseguente tenore di vita (olim il mangiar gallina era ritenuto segno di lusso e perciò se lo potevano permettere i facoltosi capitani non certo i semplici, poveri soldati). La locuzione à pure un'altra valenza dove l'imperativo fatte non corrisponde a diventa, ma a mostrati ossia: fa’ le viste di essere un capitano e godine i benefici. 8 CHI NASCE TUNNO NUN PO’ MURÍ QUATRO. Letteralmente: chi nasce tondo non può morire quadrato. Id est: è impossibile mutare l'indole di una persona che, nata con un'inclinazione, se la porterà dietro per tutta la vita. La locuzione, usata con rincrescimento osservando l'inutilità degli sforzi compiuti per cercar di correggere le cattive inclinazioni dei ragazzi, in fondo traduce il principio dell'impossibilità della quadratura del cerchio. 9 A CHI PARLA ARRETO, 'O CULO LE RISPONNE. Letteralmente: a chi parla alle spalle gli risponde il sedere. La locuzione vuole significare che coloro che parlano alle spalle di un individuo, cioè gli sparlatori, gli spettegolatori meritano come risposta del loro vaniloquio una salve di peti. 10 A CCRAJE A CCRAJE COMME Â CURNACCHIA. Letteralmente: a cra, a cra come una cornacchia. La locuzione, che si usa per commentare amaramente il comportamento dell'infingardo che tende a procrastinare sine die la propria opera, gioca sulla omofonia tra il verso della cornacchia [cra-cra] e la parola latina cras che in napoletano è resa con craje e che significa: domani, giorno a cui suole rimandare il proprio operato chi non abbia seria intenzione di lavorare . 11 CHELLO CA NUN SE FA NUN SE SAPE. Letteralmente:(solo) ciò che non si fa non si viene a sapere. Id est: La fama diffonde le notizie e le propaga, per cui se si vuole che le cose proprie non si sappiano in giro, occorre non farle, giacché ciò che è fatto prima o poi viene risaputo. 12 'O PESCE GRUOSSO, MAGNA Ô PICCERILLO. Letteralmente: il pesce grande mangia il piccolo. Id est piú generalmente: il potente divora il debole per cui se ne deduce che è lotta impari destinata sempre all'insuccesso quella combattuta da un piccolo contro un grande. 13 'O PUORCO SE 'NGRASSA PE NE FÀ SACICCE. Letteralmente: il maiale è ingrassato per farne salsicce. La locuzione vuole amaramente significare che dalla disincantata osservazione della realtà si deduce che nessuno fa del bene disinterassatamente; anzi chiunque fa del bene ad un altro mira certamente al proprio tornaconto che gliene deriverà, come - nel caso in epigrafe - il maiale non deve pensare che lo si lasci ingrassare per fargli del bene, perchè il fine perseguito da colui che l'alleva è quello di procurarsi il proprio tornaconto sotto specie di salsicce. 14 JÍ METTENNO 'A FUNA 'E NOTTE. Letteralmente: Andar tendendo la fune di notte. Lo si dice sarcasticamente nei confronti specialmente dei bottegai che lievitano proditoriamente i prezzi delle loro mercanzie, ma anche nei confronti di tutti coloro che vendono a caro prezzo la loro opera. La locuzione usata nei confronti di costoro - bottegai e salariati - li equipara quasi a quei masnadieri che nottetempo erano soliti tendere lungo le strade avvolte nel buio, una fune nella quale incespicavano passanti e carrozze, che stramazzando a terra diventavano facilmente cosí oggetto di rapina da parte dei masnadieri. 15 SE SO' RUTTE 'E TIEMPE, BAGNAJUÓ. Letteralmente: Bagnino, si sono guastati i tempi(per cui non avrai piú clienti bagnanti ed i tuoi guadagni precipiteranno di colpo). La locuzione è usata a mo’ d’avvertimento quando si intenda sottolineare che una situazione sta mutando in peggio e si appropinquano relative conseguenze negative. 16 PARLA QUANNO PISCIA ‘A GALLINA! Letteralmente: parla quando orina la gallina.Id est: Zittisci! Cosí, icasticamente ed in maniera perentoria, si suole imporre di zittire a chi parli inopportunamente o fuori luogo o insista a profferire insulsaggini e/o magari gratuite cattiverie. Si sa che la gallina espleta le sue funzioni fisiologiche, non in maniera autonoma e separata, ma in un unicum, per modo che si potrebbe quasi pensare che, non avendo un organo deputato esclusivamente alla bisogna, la gallina non orini mai, di talché colui cui viene rivolto l'invito in epigrafe pare che debba tacere sempre. 17 PUOZZE PASSÀ P''A LOGGIA. Letteralmente: Possa passare per la Loggia (di Genova). E' come a dire: Possa tu morire. Per la zona della Loggia di Genova, infatti, temporibus illis, transitavano tutti i cortei funebri provenienti dal centro storico e diretti al Camposanto. 18 CORE CUNTENTO Â LOGGIA. Letteralmente: Cuor contento alla Loggia. Cosí il popolo suole apostrofare ogni persona propensa, anche ingiustificatamente, ad atteggiamenti giocosi ed allegri, rammentando con la locuzione il soprannome dato, per la sua perenne allegria, alla fine dell'Ottocento, ad un celebre facchino della Loggia di Genova che era una sorta di territorio franco concesso dalla città di Napoli alla Repubblica marinara di Genova, dove i genovesi svolgevano i loro commerci, autoamministrandosi. 19 CESSO A VVIENTO! Letteralmente: gabinetto aperto. Offesa totalizzante e che non ammette replica rivolta a persona spregevole sia fisicamente, ma soprattutto moralmente che viene equiparata a quei vespasiani pubblici di un tempo costruiti in ghisa ed aperti, per consentire un agevole ricambio d'aria, sia in alto che in basso. 20 'A MALORA 'E CHIAJA. Letteralmente: la cattiva ora di Chiaja. Cosí a Napoli viene apostrofato chiunque sia ripugnante d'aspetto e di modi. Occorre sapere, per comprendere la locuzione che Chiaja è oggi uno dei quartieri piú eleganti e chic della città, ma un tempo era solo un borgo molto prossimo al mare ed era abitato da popolani e pescatori d'infimo ceto. Orbene, temporibus illis, era invalso l'uso che le popolane abitanti a Chiaja, sul tardo pomeriggio del giorno solevano recarsi nei pressi del mare a rovesciare nel medesimo i contenuti maleodoranti dei grossi pitali nei quali la famiglia lasciava i propri esiti fisiologici: quel lasso di tempo in cui si svolgevano queste operazioni era detto 'a malora. 21 FARNE UNA CCHIÚ 'E CATUCCIO. Letteralmente: compierne una piú di Catuccio. Id est: farne di tutti i colori, compiere infamie e scelleratezze tali da sorpassare quelle compiute in Francia dal settecentesco Louis Philippe Bourguignon (La Courtille, Belleville, 1693 -† Parigi 1721).Costui, figlio d'un bottaio, lasciò gli studi intrapresi presso i gesuiti, per darsi alla malavita e divenne protagonista, durante una dozzina d'anni, di furti e avventure d'ogni sorta, che resero la sua biografia popolare in tutta Europa . Questo celebre brigante venne soprannominato Cartouche, nome corrotto in napoletano con il termine Catuccio. Arrestato, fu giustiziato nella piazza di Grève. La locuzione viene usata per bollare il comportamento non raccomandabile di chi agisce procurando danno a terzi, ma iperbolicamente anche per sottolineare il comportamento un po' troppo vivace dei ragazzi. 22 ESSERE PASSATA 'E CÒVETA O 'E CUTTURA. Letteralmente: essere passata di raccolta cioè già sfiorita sull'albero perché abbondandemente maturata oppure essere oramai passata di cottura cioè bruciacchiata perchè troppo cotta. Ambedue le espressioni fanno furbescamente riferimento ad una donna piuttosto in avanti con gli anni perciò sfiorita e non piú degna di attenzioni galanti alla medesima stregua o di un frutto lasciato sul ramo troppo tempo dopo la maturazione o come un cibo lasciato sul fuoco oltre il tempo necessario, facendolo quasi bruciare. 23 QUANNO 'O DIAVULO T'ACCAREZZA È SSIGNO CA VO’ LL'ANEMA. Letteralmente : quando il diavolo ti carezza, significa che vuole l'anima. Lo si afferma a commento delle azioni degli adulatori o di coloro che godono di cattiva fame; se uno di costoro ti blandisce, offrendoti servigi o opere gratuite, bisogna non fidarsi, giacché nel loro operare c'è nascosta la richiesta di qualcosa molto piú importante della prestazione offerta. 24 È GGHIUTO 'O CCASO 'A SOTTO E 'E MACCARUNE 'A COPPA. Letteralmente: È finito il cacio sotto ed i maccheroni sopra. La locuzione la si usa per commentare con disappunto una situazione che non si sia evoluta secondo i principi logici ed esatti e codificati. In effetti, secondo logica si vorrebbe che il formaggio guarnisse dal di sopra un piatto di maccheroni, non che facesse loro da strame. Id est: maledizione! Il mondo va alla rovescia! 25 DOPPO MUORTO, BUZZARATO. Letteralmente: dopo morto, buggerato; dopo aver subito la morte, sopportare anche il vilipendio. La locuzione corrisponde, anche se in maniera un po' piú dura al toscano: il danno e la beffa. Essa fu usata nel corposo linguaggio partenopeo da un anonimo prelato napoletano che assistette al consueto percuotimento del capo del defunto papa PIO XII, con il previsto martelletto d'argento operato dal cardinale camerlengo, per accertarsi che il pontefice non reagisse dimostrando cosí d'essere effettivamente morto. 26 TROPPI GALLE A CCANTÀ NUN SCHIARA MAJE JUORNO. Letteralmente: troppi galli a cantare, non spunta mai il giorno. Id est: quando ci sono troppe persone ad esprimere un'opinione, un parere, non si arriva mai ad una conclusione; ed in effetti tenendo presente l'antico adagio latino: tot capita, tot sententiae: tante teste, tanti pareri, sarà ben difficile, anzi sarà impossibile trovarne di collimanti per modo che si possa finalmente giungere ad una conclusione. 27 NUN C'È PRERECA SENZA SANT' AUSTINO. Letteralmente: Non v'è predica senza sant'Agostino. Come si sa, sant'Agostino, vescovo d' Ippona, è uno dei piú famosi padri della Chiesa cattolica e non v'è predicatore che nei sermoni non usi citare gli scritti del santo vescovo. L'espressione in epigrafe viene usata a mo' di risentimento da chi si senta chiamato in causa - soprattutto ingiustamente - e fatto segno di attenzioni non richieste e perciò non desiderate. 28 TENÉ DDOJE FACCE, COMME A SAN MATTEO Con questa espressione s’usa riferirsi ad una persona ipocrita o dalla doppia vita.Per il vero nessun testo biblico attesta che il santo evangelista fósse un ipocrita o dalla doppia vita, se si esclude il fatto che Levi [questo era il nome di Matteo allorché svolgeva la professione di pubblicano] chiamato dal Signore abbandonò la propria attività per seguire il Cristo cambiando vita e nome; questa evenienza altamente positiva non può aver ispirato l’espressione chiaramente negativa. Il bandolo della matassa sta nel fatto che il san Matteo, a cui si fa riferimento nell’espressione, è quello realizzato da Michelangelo Naccherino(Firenze 1550 - †Napoli 1622).[ Allievo a Firenze del Giambologna, ne trascrisse i moduli in un'ampia produzione per la quale si avvalse anche di una operosa bottega. Nel 1573, dopo una permanenza in Sicilia, si stabilì a Napoli, dove, nominato scultore di corte, scolpí con grazia decorativa monumenti funebri (tomba Pignatelli in S. Maria dei Pellegrini; tomba Caniglia in S. Giacomo degli Spagnoli) e statue (Madonna delle Grazie in S. Giovanni a Carbonara etc.]. La statua del san Matteo, tuttora conservato sull’altare della cripta del Duomo di Salerno, è stranamente bifronte e la si può vedere da entrambi i lati dell’altare e non è peregrina l’idea che lo scultore nel realizzarla abbia utilizzato una precedente opera di bottega raffigurante un Giano bifronte. 29 CHILLO SE ‘MPIZZA 'E DDETE 'NCULO E CACCIA 'ANIELLE. Ad litteram: Quello si ficca le dita nel sedere e tira fuori anelli. Id est: la fortuna di quell'essere è cosí grande che, a mo’ di un prestidigitatore, è capace di procurarsi beni e ricchezze anche nei modi meno ortodossi o possibili. 30 AVIMMO PERDUTO 'APARATURA E 'E CENTRELLE. Ad litteram: abbiamo perduto gli addobbi ed i chiodini. Anticamente, a Napoli in occasione di festività, specie religiose, si solevano addobbare i portali delle chiese con gran drappi di stoffe preziose; tali addobbi erano chiamati aparature; accaddeva però talvolta che - per sopravvenuto mal tempo, il vento e la pioggia scompigliasse, fino a distruggere gli addobbi ed a svellere drappi e chiodini usati per sostenerli; la locuzione attualmente viene usata per dolersi quando, per sopravvenute, inattese cause vengano distrutti o vanificati tuttti gli sforzi operati per raggiungere un alcunché. aparature s.vo fle pl. di aparatura = addobbo; voce deverbale dal part.pass. dello spagnolo aparar che è dal lat. parare=preparare seguendo il percorso a (prefisso intensivo)+ paratu(m) + il suff. di pertinenza ura; centrelle s.vo fle pl. di centrella = chiodino; la voce centrella è un diminutivo del greco kéntron= chiodo. 31.A FEMMENA È CCOMME Â CAMPANA: SI NUN 'A TUCULIJE, NUN SONA. Ad litteram: la donna è come una campana: se non l'agiti non suona; id est: la donna à bisogno di esser sollecitata per tirar fuori i propri sentimenti, ma pure i propri istinti. 32. 'A FEMMENA BBONA SI - TENTATA - RESTA ONESTA, NUN È STATA BUONO TENTATA. Ad litteram: una donna procace, se - una volta che venga tentata –(non cede e) resta onesta, significa che non è stata tentata a sufficienza. Lo si dice intendendo affermare che qualsiasi donna, in ispecie quelle procaci si lasciano cadere in tentazione; e se non lo fanno è perché... il tentatore non è stato all'altezza del compito... 33. TRE CCOSE NCE VONNO P''E PICCERILLE: MAZZE, CARIZZE E ZIZZE! Ad litteram: tre son le cose che necessitano ai bimbi:mazze (cioè busse), carezze e tette. Id est: per bene allevare i bimbi occorrono tre cose il sano nutrimento(le tette), busse quando occorra punirli per gli errori compiuti, premi (carezze)per gratificarli quando si comportano bene. 34. 'E PEJE JUORNE SO' CCHILLE D''A VICCHIAIA. Ad litteram: i peggiori giorni son quelli della vecchiaia; il detto riecheggia l'antico brocardo latino: senectus ipsa morbus est; per solito, in vecchiaia non si hanno piú affetti da coltivare o lavori cui attendere, per cui i giorni sono duri da portare avanti e da sopportare specie se sono corredati di malattie che, del resto, in vecchiaia non mancano mai... 35. DIMMÉNNE N'ATA, CA CHESTA GGIÀ 'A SAPEVO. Ad litteram: raccóntamene un'altra perché questa già la conoscevo; id est: se (come pare) ài intenzione di truffarmi o farmi del male, adopera altro sistema, giacché questo che stai usando mi è noto e conosco il modo di difendermi, vanificando il tuo operato. 36 DENARO 'E STOLA, SCIOSCIA CA VOLA. Ad litteram: denaro di stola, soffia ché vola via. Id est: il danaro ricevuto o in eredità, o in omaggio da un parente prete, si disperde facilmente, con la stessa facilità con cui se ne è venuto in possesso. 37. FATTE CAPITANO E MAGNE GALLINE. Ad litteram: diventa capitano e mangerai galline: infatti chi sale di grado migliora il suo tenore di vita, per cui, al di là della lettera, il proverbio può intendersi:(anche se non è veramente accaduto), fa' le viste di esser salito di grado, cosí vedrai migliorato il tuo tenore di vita. 38.'E MARIUOLE CU 'A SCIAMMERIA 'NCUOLLO, SO' PPEJE 'E LL' ATE. Ad litteram: i ladri eleganti e ben vestiti sono peggiori degli altri. Id est: i gentiluomini che rubano sono peggiori e fanno piú paura dei poveri che rubano magari per fame o necessità. mariuole s.vo m.le pl. di mariuolo = ladro, il mariolo, ed estensivamente la persona in genere disonesta anche quando non sia dedita al furto continuato; per ciò che attiene all’etimologia del termine mariuolo non c’è uniformità di vedute; taluno si trincera dietro un etimo incerto, qualche altro (D.E.I.) propende per un antico aggettivo francese mariol = furbacchione,forse da collegare ad un’origine orientale (turca) donde forse anche il greco mod. margiólos= astuto, furbo etc. qualche altro ancóra lo legherebbe allo spagnolo marraio e marrullero = imbroglione, monello;la proposta del D.E.I.sarebbe interessante se si fermasse al francese mariol e non chiamasse in causa (senza specificarla!) un’origine turca, ma Carlo Battisti che si prese la responsabilità della lettera M evita di chiarire o precisare e con la sua proposta non mi convince per cui non mi sento di accoglierla, come non posso accogliere l’idea dello spagnolo marraio o marrullero morfologicamente troppo lontana da mariuolo e non chiarita nel percorso morfologico da seguire per pervenirvi; trovo invece molto interessante la scuola di pensiero (C. Iandolo) che fa risalire la voce mariuolo ad un acc. latino malevolu(m)→marevolu(m)→marevuolo con sincope definitiva della v donde mareólo→ mareuólo e mariuólo quantunque nel napoletano siano rintracciabili piú frequentemente delle epentesi consonantiche eufoniche ( n, v) infisse a mezzo dittonghi o iati, che delle sincopi. sciammeria s.vo f.le = giacca elegante con falde lunghe, tipica delle cerimonie o ricorrenze importanti, con esclusione dei matrimoni eleganti nei quali sia previsto il tight (detto giocosamente a Napoli: cafè a ddoje porte) in senso traslato e giocoso vale coito.Etimologicamente la sciammeria probabilmente non è un denominale forgiato sul francese chambre, ma molto piú probabilmente è derivato direttamente dallo spagnolo chamberga sempre che non derivi dal nome del duca di Schönberg (17° sec.) che volle che le sue truppe fossero equipaggiate con una lunga palandrana che, dal nome del duca, fu resa in italiano col termine giamberga da cui non è lontana sciammeria; personalmente trovo però piú convincente l’ipotesi ispanica che piú si presta ad approdare a sciammeria attraverso la napoletanissima, solita prostesi di una s intensiva all’originario cia (ch) spagnolo, assimilazione regressiva della b, sincope del gruppo rg sostituito da un ri con una i atona; come ò accennato si tratta di una giacca molto ampia che inviluppa quasi chi l’indossa al segno che, ripeto, per traslato giocoso e furbesco con il termine sciammeria si intende anche il coito, in particolare quello in cui l’uomo assume una posizione tale che copra del tutto la donna col proprio corpo ed al proposito rammento che con molta probabilità quando i napoletani accennano ad una sciammeria onirica (nella smorfia napoletana è codificata al numero 64), è al coito e non alla giacca che intendono riferirsi, giacché probabilmente la loro fantasia notturna fu accesa dalla scena d’una unione sessuale, piuttosto che dalla visione d’una giacca da cerimonia! Brak

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