domenica 24 gennaio 2016

VARIE 16/102

1. MANNÀ A ACCATTÀ ‘O TTOZZABANCONE oppure MANNÀ A ACCATTÀ ‘O PPEPE Ad litteram: mandare a comprare l'urtabancone. oppure mandare a comprare il pepe. Anticamente, quando le famiglie erano numerose, in ogni casa si aggiravano un gran numero di bambini, la cui presenza impediva spesso alle donne di casa di avere un incontro ravvicinato col proprio uomo. Allora, previo accordo, il bottegaio (salumiere, droghiere) della zona si assumeva il compito di intrattenere, con favolette o distribuzione di piccole leccòrnie, i bambini che le mamme gli inviavano con la frase stabilita di “accattà 'o tozzabancone” oppure”accattà ‘o ppepe” . Altri tempi ed altre disponibilità! Nota: 1)Per l’etimo del verbo accattà cfr. oltre sub 3. 2)Il sost.vo pepe = pepe, in napoletano è di genere neutro come altri alimenti: ‘o ppane, ‘o zzuccaro, ‘o ccafé etc. e come neutro preceduto dalle vocali o oppure u esige la geminazione della consonante iniziale; perciò ‘o ppepe e non ‘o pepe come ‘o ppane e non ‘o pane, ‘o zzuccaro e non ‘o zuccaro, ‘o ccafé e non ‘o cafè. Rammento che c’è un solo caso in cui ‘o zzuccaro non esige la doppia zeta ed è nel caso del diminutivo ‘o zuccariello usato però non in riferimento all’alimento, ma come aggettivazione vezzeggiativa nei confronti di un bambino piccolo accreditato d’essere quasi dolce come lo zucchero. Rammento altresí che per la voce caffè ci si può imbattere nella morfologia ‘o cafè (con la l'occlusiva velare sorda (c) scempia), ma in tal caso non ci si riferisce all’ alimento, alla polvere o alla bevanda con essa approntata, ma ci si riferisce al cafè s.vo m.le che è il locale pubblico, l’esercizio, la rivendita,lo spaccio in cui quella bevanda viene approntata e servita all’avventore 2.ACCATTARSE ‘O CCASO. Ad litteram: portarsi via il formaggio. Per la verità nel napoletano il verbo accattà significa innanzitutto: comprare, ma nella locuzione in epigrafe bisogna intenderlo nel suo primo significato etimologico di portar via dal latino: adcaptare iterativo di capere (prendere). La locuzione non à legame alcuno con il fatto di acquistare in salumeria o altrove del formaggio; essa si riferisce piuttosto al fatto che i topi che vengono attirati nelle trappole da un minuscolo pezzo di formaggio, messo come esca, talvolta riescono a portar via l’esca senza restar catturati; in tal caso si usa dire ca ‘o sorice s’è accattato ‘o ccaso ossia che il topo à subodorato il pericolo ed è riuscito a portar via il pezzetto di formaggio, evitando però di esser catturato. Per traslato, ogni volta che uno fiuti un pericolo incombente o una metaforica esca approntatagli, ma se ne riesce a liberare, si dice che s’è accattato ‘o ccaso. 3. FÀ ACQUA 'A PIPPA. Letteralmente: la pipa fa acqua; id est: la miseria incombe, ci si trova in grandi ristrettezze. Icastica espressione con la quale si suole sottolineare lo stato di grande miseria in cui versa chi sia il titolare di questa pipa che fa acqua. Sgombro súbito il campo da facili equivoci: con la locuzione in epigrafe la pipa, strumento atto a contenere il tabacco per fumarlo, non à nulla da vedere; qualcuno si ostina però a vedervi un nesso e rammentando che quando a causa di un cattivo tiraggio, la pipa inumidisce il tabacco acceso impedendogli di bruciare compiutamente, asserisce che si potrebbe affermare che la pipa faccia acqua. Altri ritengono invece che la pipa in questione è quella piccola botticella spagnola nella quale si conservano i liquori, botticella che se contenesse acqua starebbe ad indicare che il proprietario della menzionata pipa sarebbe cosí povero, da non poter conservare costosi liquori, ma solo economica acqua. Mio avviso è invece che la pippa in epigrafe sia qualcosa di molto meno casto e della pipa del fumatore, e di quella del beone spagnolo e stia ad indicare, molto piú prosaicamente, il membro maschile che laddove, per sopravvenuti problemi legati all’ età o ad altri malanni, non fosse piú in grado di sparger seme si dovrebbe contentare di emettere i liquidi scarti renali, esternando cosí la sua sopravvenuta miseria se non economica, certamente funzionale.Del resto nell’icastico parlar napoletano il gesto onanistico maschile corrisponde alla moderna espressione: farse ‘na pippa! che negli anni ’50 del 1900 sostituí le piú antiche: farse ‘na sega! o anche farse ‘na pugnetta! 4. TENÉ ‘E PECUNE Letteralmente si può rendere con: avere, mostrar di avere i piconi (sorta di punte presenti sulla pelle dei volatili; non esiste un termine corrispondente nell’italiano); ma vale: essere ormai o finalmente cresciuto/maturato mentalmente e/o caratterialmente; lo si dice di solito degli adolescenti che si mostrino piú maturi di quel che la loro età farebbe sospettare; di per sé ‘o pecone(che per etimo è un derivato in forma di accrescitivo (cfr. il suff. one) del francese pique/piqué= punta/tessuto a rilievo) è una sorta di punta che appare sulla pelle del corpo dei volatili, punta prodromica dello spuntar delle piume/penne; l’apparire di tali punte dimostra che il volatile non è piú un giovanissimo implume, ma è cresciuto e fisicamente evoluto, pronto ad affrontar la vita; per similitudine degli adolescenti che siano già o ormai maturi e si dimostrino scafati e cioè attenti, svegli e smaliziati, si dice che abbiano ‘e pecune (pl. di pecone), quantunque realmente sulla pella degli adolescenti non si riscontrino punte simili a quelle dei volatili. A margine rammento che il termine pecune è usato anche nell’espressione tené ‘e ccarne pecune pecune che rende l’italiano rabbrividire. 5. (FARSE Fà) ‘NA SPAGNOLA Letteralmente : Farsi fare una (sega) spagnola. La voce spagnola (che di per sé è un agg.vo qui però sostantivato indica una sorta masturbazione intermammaria): piú esattamente occorrerebbe perciò dire sega spagnola in quanto che spagnola è soltanto un aggettivo; la sega di per sé (con derivazione deverbale dal lat. seca(re) indica quale s.vo f.le 1 utensile usato per tagliare materiali diversi, costituito da una lama di acciaio munita di denti, inserita in un telaio o in un manico: sega a mano; sega da falegname, da macellaio; sega chirurgica; sega da meccanico, seghetto per metalli | coltello a sega, con la lama dentata; serve per tagliare pane, dolci e sim. 2 macchina che à impieghi simili alla sega a mano: sega elettrica, meccanica; sega a nastro, con la lama costituita da un nastro d'acciaio dentato, chiuso ad anello e teso fra due pulegge; sega circolare, in cui la lama è un disco d'acciaio dentato; sega alternativa, simile a un grosso seghetto per metalli azionato da un motore elettrico 3 (mus.) strumento idiofono (s. m. (mus.) ogni strumento musicale in cui il corpo vibrante è costituito dal corpo stesso dello strumento p. e. la campana, il triangolo) del primo Novecento; consiste in una normale sega a mano che, stretta fra le ginocchia, viene posta in vibrazione sfregando il lato non dentato con un archetto di violino, violoncello o contrabbasso 4 (region.) segatura; mietitura: la sega del grano 5 (volg.ed è il caso che ci occupa) masturbazione maschile | non valere, non capire una sega, (fig.) niente, nulla; essere una sega, una mezza sega, (fig.) una persona che vale poco o anche persona piccola, minuta quasi frutto di un gesto onanistico però non portato a compimento per intero ; ovviamente la masturbazione maschile è semanticamente definita sega in considerazione dell’analogo movimento che si fa usando l’attrezzo per tagliare o compiendo l’atto onanistico. 6 fare sega, (centr.) nel gergo degli studenti, marinare la scuola 7 pesce sega, grosso pesce marino con un lungo prolungamento della mascella simile alla lama di una sega (fam. Pristidi). Ad ogni buon conto preciso qui che la masturbazione maschile (sega) intermammaria prende il nome di (sega) spagnola in quanto metodo di soddisfazione sessuale maschile ideato ed attuato dalle prostitute partenopee che prestavano la loro opera nei bassi e fondaci attigui a quelli che sarebbero stati gli acquartieramenti dei soldati spagnoli (XVI sec.), ma che già nel XV sec. ospitavano (1495)i soldati francesi di Carlo VIII (Amboise, 30 giugno 1470 – † Amboise, 7 aprile 1498) che fu Re di Francia della dinastia dei Valois dal 1483 al 1498. Salí alla ribalta cominciando la lunga serie di guerre Franco-Italiane; Carlo VIII, campione di disordine, disorganizzazione, dissesto, eccesso, intemperanza, sfrenatezza,sperpero etc. entrò in Italia nel 1494 con lo scopo preciso di metter le mani sul regno napoletano e la sua avanzata caotica e disordinata scatenò un vero terremoto politico in tutta la penisola. Incontrò, nel viaggio di andata, timorosi regnanti, che gli spalancarono le porte delle città pur di non aver a che fare con l'esercito francese e marciò attraverso la penisola, raggiungendo Napoli il 22 febbraio 1495. Durante questo viaggio assediò ed espugnò il castello di Monte San Giovanni, trucidando 700 abitanti, e assediò, distruggendone i due terzi e uccidendone 800 abitanti, la città di Tuscania (Viterbo).Incoronato re di Napoli, fu oggetto di una coalizione avversa che comprendeva la Lega di Venezia, l'Austria, il Papato e il Ducato di Milano. Sconfitto nella Battaglia di Fornovo nel luglio 1495, fuggí in Francia al costo della perdita di gran parte delle sue truppe. Tentò nei pochi anni seguenti di ricostruire il suo esercito, ma venne ostacolato dai grossi debiti contratti per organizzare la spedizione precedente, senza riuscire a ottenere un sostanziale recupero. Morí due anni e mezzo dopo la sua ritirata, per un banale incidente, sbattendo la testa contro l’architrave d’ un portone; trasmise una ben misera eredità e lasciò la Francia nei debiti e nel disordine come risultato di una sconsiderata ambizione che venne definita, nella forma piú benevola, come utopica o irrealistica; la sola nota positiva, la sua sconsiderata, dispendiosa ed improduttiva spedizione fu di promuvere contatti tra gli umanisti italiani e francesi, dando cosí vigore alle arti e alle lettere francesi nel tardo Rinascimento.) ; i quartieri spagnoli, o più semplicemente i quartieri, presero questo nome (che però non indicò come s.vo m.le ciascuno dei quattro rioni in cui per lo piú si suddividevano le città ed oggi, zona circoscritta di una città, avente particolari caratteristiche storiche, topografiche o urbanistiche: quartiere residenziale; un vecchio quartiere popolare | quartieri alti, la zona più elegante della città; quartieri bassi, la zona più popolare | quartiere satellite, agglomerato urbano contiguo a una grande città, autonomo quanto a servizi ma non amministrativamente, ma indicò il (mil.) complesso di edifici o di attendamenti dove alloggia un reparto dell'esercito: quartiere d'inverno, d'estate | quartier generale, il complesso degli ufficiali, dei soldati e dei mezzi necessari al funzionamento del comando di una grande unità mobilitata; il luogo dove esso à sede | lotta senza quartiere, (fig.) senza esclusione di colpi, spietata | chiedere, dare quartiere, (fig.) chiedere, concedere una tregua, la resa) presero, dicevo, questo nome intorno alla metà del XVI secolo (1532 e ss.) per la vasta presenza delle guarnigioni militari spagnole, volute dal viceré don Pedro di Toledo, destinate alla repressione di eventuali rivolte della popolazione napoletana. All'epoca, come già precedentemente al tempo di Carlo VIII, comunque tali quartieri siti a Napoli a monte della strada di Toledo erano un luogo malfamato come tutti i luoghi dove siano di stanza i militari, un luogo malfamato dove prostituzione e criminalità la facevano da padrone, con malgrado del viceré di Napoli, Don Pedro di Toledo da cui il nome della strada (Pedro Álvarez de Toledo y Zuñiga (Salamanca, 1484 –† Firenze, 22 febbraio 1553) che marchese consorte di Villafranca e dal 1532 al 1553 viceré di Napoli per conto di Carlo V d'Asburgo , , emanò alcune apposite leggi tese a debellare il fenomeno; torniamo dunque alla cosiddetta sega spagnola che fu un ingenuo accorgimento adottato dalle meretrici allorché si diffuse nella città un pericoloso morbo: la lue o sifilide (détto comunemente: mal francese o morbo gallico) e si ritenne che tale morbo fosse stato portato e propagato ( nel 1495 circa) nella città, attraverso il contatto con le prostitute locali, dai soldati francesi al sèguito di Carlo VIII ; da notare che – per converso – i francesi dissero la lue: mal napolitain nella pretesa che fossero state le prostitute partenopee a diffonderlo fra i soldati carlisti; fósse francese o napoletano le prostitute invece di soddisfare i clienti soldati con un normale coito, si limitarono ad un contatto superficiale con quell’esercizio che fu detto (sega) spagnola in quanto le prostitute esercitavano in tuguri (bassi e fondaci) di quei quartieri poi détti spagnoli. 6 ‘A FESSA ‘E MÀMMETA, DINT’Ê FASULE! Ad litteram: La vulva di tua madre nei fagioli! Colorita, icastica seppur becera invettiva esclamatoria rivolta da uno spazientito individuo che si senta disturbato, seccato, annoiato o piú semplicemente importunato dall’inopportuno comportamento di qualcuno che lo stia infastidendo oltremodo con parole e/o azioni, le une e le altre mai costruttive e frutto di proterva arroganza miranti solo a porre il bastone tra le ruote dell’altrui operato o dell’altrui pensiero, nell’intento di cercar di affermare in modo aggressivo le proprie vuote idee. A tale arrogante individuo che agisca con protervia,spocchiosa presunzione ed irruenza prevaricante si tenta di mettere un freno e magari zittirlo offendendolo e chiamando in causa sua mamma accreditata con malizia d’essere una donnaccia assimilata ad una scrofa o piú esattamente ad una troia quella i cui genitali salati, seccati e variamente aromatizzati (verrinia/ventricina) veniva un tempo usata in luogo o assieme alle cotiche di maiale nell’approntare una gustosa zuppa di fagioli o minestra di pasta e fagioli. Va da sé che per traslato ed accostamento semantico la verrinia/ventricina della scrofa nell’icastica, colorita ma becera espressione partenopea à preso il piú comune nome di fessa con cui si indica l’organo genitale della donna.Per ulteriori nomi rimando alibi. Il s.vo f.le verrinia = genitale o mammella della scrofa e genericamente carne di scrofa, etimologicamente è da un lat. *uberigine(m)→(u)berigine(m)→veri(gi)ne(m)→verrinia con tipica alternanza partenopea b→v (cfr. barca→varca, bocca→vocca etc.) e raddoppiamento espressivo della consonante liquida vibrante (r) 7. PORTA CU TTICO E MMAGNA CU MMICO Ad litteram: Porta (qualcosa) con te e mangia con me L’espressione cela il perentorio invito a presentarsi, se invitati, per una qualsiasi ragione, a desinare, a presentarsi non a mani vuote, ma muniti di un dono da offrire a mo’ di ringraziamento per l’invito ricevuto. Piú ampiamente la locuzione può essere usata in qualsiasi occasione per significare che nulla può essere ottenuto gratuitamente e che invece ogni cosa va meritata a fronte di un corrispettivo.Preciso infine che la locuzione non à il significato, come impropriamente pensa qualche sprovveduto, e come ad una frettolosa lettura potrebbe intendersi, non à il significato di un invito a portar seco delle cibarie da condividere, ma – come ò détto - à il significato di un invito a portar seco uno o piú doni da offrire all’anfitrione. Linguisticamente faccio notare che nell’espressione in esame è presente un doppio uso pleonastico, ma rafforzativo del cu (= con che è dal lat. cu(m)) già presente in posizione enclitica nei successivi ttico (= con te che ripete dritto per dritto il lat. tícu(m), comp. di tí (abl. di tu) e cum 'con') e mmico (= con me che ripete dritto per dritto il lat. mícu(m), comp. di me e cum 'con'). Rammento in chiusura che il cu = con va correttamente scritto senza alcun segno diacritico e ciò rispondendo alla regoletta del napoletano per la quale i termini apocopati di consonante/i e non di sillaba vocalica, non necessitano di segni diacritici (ad es.: cu= con da cum – pe=per da per – mo=ora da mox – po= poi da post ). 8. MARONNA MIA AVÓTTALO E SAN FRANCISCO AVÓNNALO! Ad litteram: Madonna mia sospingilo (via), San Francesco lascialo travolgere dalle onde! Malevola, ma icastica implorazione/richiesta rivolta verso due importanti componenti la famiglia celeste e cioè la santa Vergine e san Francesco di Paola, perché ci liberino, con il loro fattivo intervento, di un fastidioso importuno individuo, la cui presenza sia tanto seccante, noiosa, irritante, sgradevole da suggerire addirittura pensieri omicidi. Ci si rivolge alla Madonna (che alibi per solito è invocata (‘a Maronna t’accumpagna! = la Madonna ti accompagni!) perché sia di buona compagnia al viandante evitandogli i pericoli del percorso,) perché questa volta in luogo di semplicemente accompagnare, sospinga, lungo l’ipotetico percorso, il fastidioso importuno individuo e ne acceleri l’allontanamento; ci si rivolge ugualmente invocandolo a san Francesco di Paola affinché lui notoriamente protettore dei naviganti questa volta in luogo di semplicemente traghettare il fastidioso importuno individuo,trasportandolo sul suo mantello, (come secondo una leggenda occorse al santo di Paola che dovendo attraversare il braccio di mare tra le Calabrie e la Sicilia, avendo ricevuto il rifiuto di un trasbordo su di un naviglio, distese sullo specchio d’acqua il suo mantello, vi montò e raggiunse la Sicilia), in luogo di semplicemente traghettare il fastidioso importuno individuo, lungo un ipotetico percorso, questa volta lo faccia travolgere dalle onde affogandolo ed accelerandone in tal modo l’allontanamento, addirittura definitivo. Linguisticamente nella locuzione in esame c’è da soffermarsi sulla voce verbale avónna-lo che vale:travolgilo con le onde e non è da confondere con aónna-lo che à un significato positivo e sta per rendi-lo abbondante; infatti avónna-lo è la 2ª pers. sg. dell’imperativo di avunnà (dal lat. volg. *ab-undare rafforzativo di *undare =inondare, mentre aónna-lo è la 2ª pers. sg. dell’imperativo di aunnà (dal lat. abundare→a(b)undare→aunnare = traboccare): nel verbo avunnà si è avuta la tipica alternanza b→v del napoletano (cfr.bocca/voccavarca/barca,vitru(m)→vritu(m)→britu(m)→brito etc.) e l’assimilazione progressiva nd→nn, mentre per aunnà si è avuta la sincope della b e la consueta assimilazione progressiva nd→nn ottenendo dal medesimo verbo latino di partenza due verbi affatto diversi. 9. QUANNO 'A GALLINA SCACATEA, È SSIGNO CA À FATTO LL'UOVO. Letteralmente: quando la gallina starnazza vuol dire che à fatto l'uovo. Id est: quando ci si scusa reiteratamente, significa che si è colpevoli.È il modo napoletano di render quasi (in maniera piú icastica) il brocardo latino excusatio non petita etc. 10. QUANNO SÎ 'NCUNIA STATTE E QUANNO SÎ MARTIELLO VATTE Letteralmente: quando sei incudine sta fermo, quando sei martello, percuoti. Id est: ogni cosa va fatta nel momento giusto, sopportando quando c'è da sopportare e passando al contrattacco nel momento che la sorte lo consente perché ti è favorevole. 11. MIETTELE NOMME PENNA! détto che letteralmente vale : Chiamala penna!; La locuzione viene usata, quasi volendo consigliare e suggerire rassegnazione, allorchè si voglia far intendere a qualcuno che à irrimediabilmente perduto una cosa, un oggetto, divenuto quasi (penna) piuma d'uccello; La piuma essendo una cosa leggera fa presto a volar via, procurando un cattivo affare a chi à incautamente operato un prestito atteso che spesso sparisce un oggetto prestato a taluni che per solito non restituiscono ciò che ànno ottenuto in prestito. miéttele nomme letteralmente mettigli nome e cioè chiamalo id est: ritienilo; miéttele= metti a lui, poni+gli voce verbale (2° pers. sing. imperativo) dell’infinito mettere=disporre, collocare, porre con etimo dal lat. mittere 'mandare' e successivamente 'porre, mettere'; nomme = nome; elemento linguistico che indica esseri viventi, oggetti, idee, fatti o sentimenti; denominazione, con etimo dal lat. nomen e tipico raddoppiamento espressivo della labiale m come avviene ad es. in ommo←hominem, ammore←amore(m), cammisa←camisia(m) etc. Rammento che un tempo con la voce penna (dal lat. penna(m) 'ala' e pinna(m) 'penna, piuma', confluite in un'unica voce) a Napoli si indicò, oltre che la piuma d’un uccello, anche una vilissima moneta dal valore irrisorio, moneta che veniva spesa facilmente, senza alcuna remora o pentimento; tale moneta che valeva appena un sol carlino (nap. carrino) prese il nome di penna dal fatto che su di una faccia di tale moneta (davanti ) v’era raffigurata l’intiera scena dell’annunciazione a Maria Ss. mentre sul rovescio v’era raffigurato il particolare dell’arcangelo con un’ala (penna) dispiegata; ora sia che la penna in epigrafe indichi la piuma d’uccello, sia indichi la vilissima moneta, la sostanza dell’espressione non cambia, trattandosi di due cose: piuma o monetina che con facilità posson volar via e/o perdersi. 12. ACQUA CA NUN CAMMINA, FA PANTANO E FFÈTE. Letteralmente: acqua che non corre, ristagna e puzza. Id est: chi fa le viste di zittire e non partecipare, è colui che trama nell'ombra e che all'improvviso si appaleserà con la sua puzza per il tuo danno! 13.'NFILA 'NU SPRUOCCOLO DINTO A 'NU PURTUSO! Letteralmente: Infila uno stecco in un buco! La locuzione indica una perentoria esortazione a compiere l'operazione indicata che deve servire a farci rammentare l'accadimento di qualcosa di positivo, ma talmente raro da doversi tenere a mente mediante un segno ben visibile come l'immissione di un bastoncello in un buco di casa, per modo che passandovi innanzi e vedendolo ci si possa rammentare del rarissimo fatto che si è verificato. Per intenderci, l'espressione viene usata, a sapido commento allorchè, per esempio, un uomo politico mantiene una promessa, una donna è puntuale ad un appuntamento et similia. 14.ASTIPATE 'O MILO PE QUANNO TE VÈNE SETE. Letteralmente:Conserva la mela, per quando avrai sete. Id est: Non bisogna essere impazienti; non si deve reagire subito sia pure a cattive azioni ricevute;insomma la vendetta è un piatto da servire freddo, allorché se ne avvertirà maggiormente la necessità. 15.PUOZZ'AVÉ MEZ'ORA 'E PETRIATA DINTO A 'NU VICOLO ASTRITTO E CA NUN SPONTA, FARMACIE NCHIUSE E MIEDECE GUALLARUSE! Imprecazione malevola rivolta contro un inveterato nemico cui si augura di sottostare ad una mezz'ora di lapidazione subíta in un vicolo stretto e cieco, che non offra cioè possibilità di fuga e a maggior cordoglio gli si augura di non trovare farmacie aperte ed imbattersi in medici erniosi e pertanto lenti al soccorso. 16. NU'CAGNÀ MAJ À VIA VECCHIA P'À NOVA, CA SAJE CHELLO CA LASSE E NUN SAJE CHELLO CA TRUOVE. Non cambiare mai la strada vecchia per la nuova perché conosci ciò che lasci, mna non quello che troverai.. Id est: Continua ad utilizzare i vecchi metodi già validi e sperimentati invece che quelli nuovi dubbi ed incerti. 17.SI 'A MORTE TENESSE CRIANZA, ABBIASSE A CHI STA 'NNANZE. Letteralmente: Se la morte avesse educazione porterebbe via per primi chi è piú innanzi, ossia è piú vecchio... Ma, come altrove si dice: ‘a morte nun tène crianza... (la morte non à educazione), per cui non è possibile tenere conti sulla priorità dei decessi. 18. PURE 'E CUFFIATE VANNO 'MPARAVISO. Anche i corbellati vanno in Paradiso. Cosí vengono consolati o si autoconsolano i dileggiati prefigurando loro o auto prefigurandosi il premio eterno per ciò che son costretti a sopportare in vita. Il cuffiato è chiaramente il corbellato cioè il portatore di corbello (in arabo: quffa/kuffa) 19. 'O PURPO SE COCE CU LL'ACQUA SOJA. Letteralmente: il polpo si cuoce con la propria acqua, non à bisogno di aggiunta di liquidi. Id est: Con le persone di dura cervice o cocciute è inutile sprecare tempo e parole, occorre pazientare e attendere che si convincano da se medesime. 20. FÀ 'E CCOSE A CCAPA 'E 'MBRELLO. Agire a testa (manico) di ombrello. Il manico di ombrello è usato eufemisticamente in luogo di ben altre teste. La locuzione significa che si agisce con deplorevole pressappochismo, disordinatamente, grossolanamente, alla carlona. 21. FÀ 'O FARENELLA. Letteralmente:fare il farinello. Id est: comportarsi da vagheggino, da manierato cicisbeo. L'icastica espressione non si riferisce - come invece erroneamente pensa qualcuno - all'evirato cantore settecentescoCarlo Broschi detto Farinelli, (Andria, 24 gennaio 1705 – † Bologna, 16 settembre 1782), considerato il piú famoso cantante lirico castrato della storia, ma prende le mosse dall'àmbito teatrale dove le parti delle commedie erano assegnate secondo rigide divisioni. All'attor giovane erano riservate le parti dell'innamorato o del cicisbeo. E ciò avveniva sempre anche quando l'attore designato , per il trascorrere del tempo, non era piú tanto giovane ed allora per lenire i danni del tempo era costretto a ricorre piú che alla costosa cipria, alla piú economica farina, diventando per i colleghi ‘o farenella. Raffaele Bracale

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