mercoledì 16 marzo 2016

VARIE 16/232

1.SI 'O VALLO CACAVA, COCÒ NUN MUREVA. Letteralmente: Se il gallo avesse defecato, Cocò non sarebbe morto. La locuzione la si oppone sarcasticamente, a chi si ostina a mettere in relazione di causa ed effetto due situazioni chiaramente incongruenti, a chi insomma continui a fare ragionamenti privi di conseguenzialità logica. 2.À PERZO 'E VUOJE E VVA ASCIANNO 'E CCORNA. Letteralmente: À perduto i buoi e va in cerca delle loro corna. Lo si dice ironicamente di chi cerchi pretesti per litigare comportandosi come chi avendo [per propria insipienza] perduto cose di valore, ne reclami almeno piccole vestigia, adducendo sciocche rimostranze e pretestuose argomentazioni. 3.PURE LL'ONORE SO' CASTIGHE 'E DDIO. Letteralmente: Anche gli onori son castighi di Dio. Id est: anche agli onori si accompagnano gli òneri; nessun posto di preminenza è scevro di fastidiose incombenze. La locuzione ricorda l'antico brocardo latino: Ubi commoda, ibi et incommoda. 4.MADONNA MIA FA' STÀ BBUONO A NNIRONE Letteralmente: Madonna mia, mantieni in salute Nerone. È l'invocazione scherzosa rivolta dal popolo alla Madre di Dio affinché protegga la salute dell'uomo forte, di colui che all'occorrenza possa intervenire per aggiustare le faccende quotidiane. Nella locuzione c'è la chiara indicazione che il popolo preferisce l'uomo forte e deciso (anche se cattivo), piuttosto che l'imbelle democratico; con altra interpretazione, piú caustica, si ritiene che il popolo preferisca tenere in salute l'uomo forte e deciso (anche se cattivo),nel timore che, nel caso di decesso, lo sostitusca uno peggiore. 5.PE TTRECCALLE 'E SALE, SE PERDE 'A MENESTA. Letteralmente: per pochi soldi di sale si perde la minestra. La locuzione la si usa quando si voglia commentare la sventatezza di qualcuno che per non aver voluto usare una piccola diligenza nel condurre a termine un'operazione, à prodotto danni incalcolabili, tali da nuocere alla stessa conclusione dell'operazione. 'O treccalle era una delle piú piccole monete divisionali napoletane pari a stento al mezzo tornese ed aveva un limitatissimo potere d'acquisto, per cui era da stupidi rischiare di rovinare un'intera minestra per lesinare sull'impiego di trecalli per acquistare il necessario sale.Il cavallo oppure callo fu una moneta di pochissima importanza coniata in rame in piú valori (uno, due, tre, quattro, cinque, nove) dal 1472 al 1815 (quando fu sostituito dal tornese), era la dodicesima parte di un grano napoletano. Dal 1814 passò, invece, a rappresentare la decima parte di un grano napoletano con un controvalore in lire italiane di 436 centesimi per cui il treccalle valeva appena 1 lira e 38 centesimi, una cifra veramente irrisoria! 6.S'È AUNITO 'O STRUMMOLO TIRITEPPE E 'A FUNICELLA CORTA. Letteralmente: si è unita la trottolina scentrata e ballonzolante e lo spago corto. Id est: ànno concorso due fattori altamente negativi per il raggiungimento di uno scopo prefisso, come nel caso in epigrafe la trottolina di legno non esattamente bilanciata e lo spago troppo corto e perciò inadatto a poterle imprimere il classico movimento rotatorio.La voce tiriteppe (talora riportata come tiriteppola) è la riproduzione onomatopeica del rumore prodotto, nel suo vorticare da una trottolina scentrata e ballonzolante che non prilli secondo norma. 7.LL'AUCIELLE S'APPARONO 'NCIELO I 'E CHIAVECHE 'NTERRA. Letteralmente: gli uccelli si accoppiano in cielo e gli uomini spregevoli in terra. È la trasposizione in chiave rappresentativa del latino: similis cum similibus, con l'aggravante della spregevolezza degli individui che fanno comunella sulla terra. Il termine: chiaveche è un aggettivo sostantivato, formato volgendo al maschile plurale il termine originario fem.le: chiaveca [s.vo f.le [ dal lat. pop. *clavĭca, rifacimento di clavaca (in glosse), , per il lat. class. cloāca]. che è la cloaca, la fogna; tenendo ciò presente si può capire quale valenza morale abbiano per i napoletani, gli uomini detti chiaveche.Rammento che nell’espressione I [derivato dall’iberico Y] è una congiunzione usata, per evitare l’allitterazione, al posto della congiunzione E davanti all’art. m.le o f.le ‘E (gli/le) e solo davanti all’art. ‘E. 8.'E CIUCCE S'APPICCECANO I 'E VARRILE SE SCASSANO. Letteralmente: Gli asini litigano e i barili si rompono. Id est: i comandanti litigano e le conseguenze le sopportano i soldati. Cosí va il mondo: la peggio l'ànno sempre i piú deboli, anche quando non sono direttamente responsabili d'alcunché. La cultura popolare napoletana à tradotto icasticamente il verso oraziano: quidquid delirant reges, plectuntur Achivi (Qualsiasi delirio dei re, lo pagano gli Achei...). 9. Â VVESSENTERÍA, NUN S' À DDA STREGNERE 'O FETICCHIO. Letteralmente: Alla diarrea non si deve (opporre) il restringimento dell'ano. Id est: Non ci si deve opporre al naturale fluire delle cose, anzi, al contrario, occorre sapersi adattare alle circostanze, anche le piú spiacevoli. 10.'O TRUMMETTA D’’A VICARIA Letteralmente: il trombetto della Vicaria. Id est: il propalatore di notizie, il divulgatore non desiderato di faccende altrui. In senso ironico: chi non sappia mantenere un segreto. La locuzione prende l'avvio da un personaggio veramente esistito in Napoli durante il periodo viceregnale, allorché - in mancanza di altri mezzi mediatici - per diffondere i pubblici bandi ci si serviva appunto di un banditore che girava la città e, fermandosi ad ogni cantonata, dava lettura dell'atto da comunicare dopo lo squillo di una tromba che serviva per richiamare l'attenzione degli astanti. Il trombetto è detto della Vicaria perché dalla Vicaria (sede dei tribunali della città) cominciava il suo lavoro il banditore. 11.A CCAROCCHIE, A CCAROCCHIE PULICENELLA ACCEDETTE Â MUGLIERA. Letteralmente: con ripetuti colpi in testa, Pulcinella uccise la moglie. Id est: i risultati si ottengono perseguendoli giorno dopo giorno anche con reiterate piccole azioni. La carocchia è un colpo assestato sul capo con la mano chiusa a pugno mossa dall'alto verso il basso e con la nocca del medio protesa in avanti a formare un cuneo. Un singolo colpo non produce gran danno, ma ripetuti colpi possono anche ferire una persona e lasciare il segno. 12. GUAGLÚ, LEVÀTE 'O BBRITO! Letteralmente: ragazzi, togliete il vetro... Id est: Ragazzi togliete di mezzo i bicchieri. È il comando che proprietari delle bettole o cantine dove si mesceva vino a pagamento, rivolgevano ai garzoni, allorchè si avvicinava l'ora di chiusura dell'esercizio, affinché ritirassero i bicchieri e le bottiglie usati dagli avventori. Per traslato, la frase viene usata quando si voglia far capire che si è giunti alla fine di qualsivoglia operazione e non si è intenzionati a cominciarne altra. 13. 'A CORA È 'A CCHIÚ BRUTTA 'A SCURTECÀ. Letteralmente: la coda è la cosa peggiore da scarnificare. Id est: il finale di un'azione è il piú duro da conseguire, perché un po' per stanchezza, un po' per sopraggiunte difficoltà non preventivate, i maggiori ostacoli si incontrano alla fine delle operazioni intraprese. In fondo, anche i latini asserivano la medesima cosa quando dicevano: in cauda venenum (il veleno è nella coda). 14. 'O VALLO NCOPP' Â ‘MMUNNEZZA. Letteralmente: il gallo sull'immondizia. Cosí, a buona ragione, viene definito dalla cultura popolare partenopea, il presuntuoso, il millantatore, colui che - senza particolari meriti, ma per mera fortuna o per naturale fluire del tempo - abbia raggiunto una piccola posizione di preminenza, e di lassú intenda fare il buono e cattivo tempo, magari pretendendo di far valere il proprio punto di vista, proprio come un galletto che, asceso un cumulo di rifiuti, ci si sia posto come su di un trono e, pettoruto, faccia udire i suoi chicchirichí. 15.ASPETTA, ASENO MIO, CA VÈNE 'A PAGLIA NOVA. Letteralmente: Attendi (a sdraiarti), asino mio, ché è in arrivo la paglia nuova. È una locuzione usata quando si voglia indicare la inutilità di un'attesa o ironicamente quando si voglia minacciare qualcuno di un'imminente vendetta.Nella fattispecie il padrone dell’asino sa che non gli procurerà strame fresco e si prende gioco della bestia minacciandolo di percosse se non continuerà il lavoro e si abbandonerà al riposo. 16.'A GATTA QUANNO SENTE 'ADDORE D''O PESCE, MACCARUNE NUN NE VO’ CCHIÚ. Letteralmente: la gatta quando avverte l'odore del pesce, di maccheroni non ne vuole piú. Id est: Quando l'uomo à la possibilità di metter le mani su quanto c'è di meglio, non si contenta piú dell'eventuale succedaneo, ma ambisce al meglio, in senso sia teorico che pratico. 17. A -CHI CHIAGNE FOTTE A CCHI RIDE. B - 'O PICCIO RENNE Letterealmente: A - Chi piange frega chi ride. B - Il pianto rende. Le due locuzioni appalesano gli ottimi risultati che si possono ottenere con la politica del pianto e del lamento che a lungo andare producono frutti per coloro che la perseguono e mettono in atto 18.CU LL'EVERA MOLLA OGNEDUNO S'ANNETTA 'O CULO! Letteralmente: con l'erba morbida, ognuno si pulisce il sedere. Id est: chi dimostra di non aver nerbo e/o carattere diventa succube di chiunque ed è destinato, nella vita, ad essere soccombente in qualsiasi occasione e ad essere usato a piacimento degli altri. 19. SANTU MANGIONE È 'NU GRANNE SANTO. Letteralmente: San Mangione è un gran santo. La locuzione fa riferimento ad un ipotetico, ma non per questo inesistente, San Mangione, ritenuto dal popolo napoletano il santo protettore dei corrotti e dei concussori, santo potentissimo capace di fare 14 grazie al giorno, addirittura una in piú di quel sant'Antonio da Padova, gran taumaturgo accreditato di 13 grazie al giorno.Con l'affermazione in epigrafe si appalesa la disincantata maniera di guardare alla realtà che è propria del napoletano, che - per averlo provato sulla propria pelle - è convinto che la corruzione e non altro, governi l'universo. 20.PE VULIO 'E LARDO, VASA 'NCULO Ô PUORCO. Letteralmente: per desiderio di lardo, bacia il sedere del maiale. Lo si dice sarcasticamente a dileggio di chi, pur di ottenere anche un'inezia, è disposto alle piú disonorevoli azioni. Brak

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