‘E PPAPARELLE
Nel parlato napoletano, ma pure nei repertori letterari
c’ è e ci fu un congruo numero di
termini usati per indicare il danaro; qualcuno si è preso la briga di
contarli e ne à trovato circa sessanta a
cominciare in ordine alfabetico da quel sonante abbrunzo che richiama
ovviamente la lega metallica (bronzo) con cui s’usava tempo addietro batter
moneta, per passare poi al termine agresta che in primis indica l’uva
primaticcia, quasi acerba, quella stessa che era effigiata in una cornucopia
sul verso di un’antica moneta spagnola in uso nella seconda metà del 1500;
rammento ancora l’ironica
acquavite che è bevanda notoriamente tonica ed è fuor di dubbio che il
danaro dia tonicità a chi ne possieda;
ricorderò ora il termine agniento che di per sé indica l’unguento, il balsamo,
e va da sé che il danaro è un balsamo che può lenire parecchi mali, oltre che
l’unguento che a mo’ di grasso s’usa per ungere chi di dovere per assicurarsi
un beneficio;
sempre con riferimento alle capacità curative si pone il
termine aruta l’erba aromatica
che il popolo ritiene apportatrice di tanti benefici effetti: aruta ogne male
stuta al pari del danaro che si ritiene possa risolver ogni problema
sia fisico che morale;
lasciando da parte ora i riferimenti curativi o lenitivi
rammenterò il termine argiamma patente corruzione del francese argent in
riferimento, come il pregresso abbrunzo, al metallo usato per batter moneta.
E continuiamo con una rapida elencazione in ordine
alfabetico dei termini piú comunemente usati per indicare il danaro:
armellino che
indica esattamente una moneta aragonese (anni 1445 e ss.) battuta dapprima in
argento (donde il nome riferito al candore della moneta che sul rovescio con la
scritta DECORUM aveva l’effige d’un ermellino) con valore di 5 grana e poi
anche in oro con il valore di due ducati.
bisante o besante dal bizantino:buzantion (moneta d’oro);
boragna dal greco
bora (nutrimento) addizionato del suffisso aggettivale lat. anea(m)→agna sí da
lasciar pressupporre che in origine il termine fosse un aggettivo di moneta e si aveva moneta boranea = moneta nutrizionale;caduto poi il
termine moneta l’aggettivo fu sostantivato e s’ebbe semplicemente boranea donde boragna;
chiuove probabilmente per la somiglianza delle monete con
le grosse teste dei chiodi;
cianfrone dallo
spagnolo cànflon moneta argentea che al tempo di Carlo V (1530 ca) valeva 1
ducato e sotto Filippo III (1598 ca) causa l’inflazione solo
½ ducato;
ciaraffe dall’arabo
giarif (moneta sonante)
cicere (ceci) il povero legume usato un tempo come merce
di baratto;
crespielle dal
francese crêpe frittella increspata e
dorata richiamante l’oro della moneta e la rugosità del conio;
crie monete cosí
chiamate perché portavano effigiata la spiga dell’orzo (in greco kri),
cuocciole dal
greco còclos (conchiglia); un tempo le
conchiglie furono usate come moneta negli scambi commerciali;
dummineche dal
nome di un Giandomenico
Tramontano[mancano notizie anagrafiche]che fu uno degli abilissimi zecchieri della vasta stirpe dei Tramontano, coniatore di stampi di moneta, attivo, quale
soprastante presso la zecca del reame napoletano, nella seconda metà del
1500;
fajenze dal nome
della città di Faenza dove erano prodotte le costosissime stoviglie in
terracotta pregiata; col nome della città di Faenza sostantivato in fajenza e
nel suo plurale fajenze si finí per
designare il danaro in generale atteso che ne occorreva impiegare moltissimo
per acquistare le terracotte ivi prodotte;
filusce o filusse
o ancora felusse. Sull’origine del termine si è a lungo discusso chiamando in
causa volta a volta, ma fantasiosamente il latino folliculus contenitore dei soldi e per estensione soldi
medesimi o ancora piú fantasiosamente il nome dei sovrani spagnoli Filippo I o
II o III da cui: Felippo, Felippusse ed
infine Filusse. La faccenda è molto piú semplice e seria derivando, a mio
avviso, il vocabolo de quo dall’arabo
fulus plurale di fals (dal greco phóllis =obolo)nel significato
appunto di moneta, danaro; la voce araba invase tutto il bacino mediterraneo al
segno che in Calabria, con analogo significato, abbiamo filusu , in Sicilia:
filussi, in Toscana: pilosso, in Spagna: felús ed in Portogallo: fuluz;
frisole (i fagioli spagnoli) e fasule usati, temporibus illis a mo’ di moneta o merce di scambio al pari
dei ciceri summenzionati in precedenza;
furmelle il
termine originariamente indicò i bottoni fatti con grossi dischetti di legno, di osso o di metallo, dischetti semplici, nudi o ricoperti di stoffa, successivamente con il detto termine si
indicarono pure, per la loro somigliante forma,
le grosse, sonanti monete coniate dalla zecca partenopea;
gigliati in
riferimento al giglio d’oro impresso sulle monete d’epoca angioina;
gliuommero dal latino: glŏmere principalmente gomitolo e
poi anche: rotolo di monete e da esso monete tout court;
grano d’ovvia
valenza simile all’odierna grana, ma quanto piú espressivamente corretta attesa
la sacertà del cereale richiamato;
manteca
dall’omologo termine spagnolo: saporita crema di panna, burro, latte e
zucchero che richiama l’idea del buono ed utile
ungere proprio del danaro;
maglie dritto per
dritto dal francese: maille=moneta, rammentado che chi è sprovvisto di
danaro s’usa indicarlo come: sfasulato
(con riferimento ai pregressi fasule) o – giustappunto: smagliato;
medaglie o cemmeraglie
per l’ovvia somiglianza tra le battute monete e le coniate medaglie;
miglio sulla
falsariga del precedente grano;
mignòlo o
mognèlo termini di oscura derivazione e
significato però fortunatamente ed abbondandemente desueti;tuttavia qualcuno
(ed io per completezza riporto) vuol leggere nei due termini un adattamento
metatetico locale del termine
mancòso/mengòso (moneta d’oro del valore di 30 denari/tarí d’argento) con
cambio di suffisso òso→òlo/èlo; la voce mancòso/mengòso è dall’arabo mankus =
coniato;
numerosissimi i vocaboli sotto la lettera P , ricorderò:
parpagnola[ voce,di semantica ignota, dal fr. parpaillole, di origine provenzale ].
– moneta di lega metallica semi preziosa, originaria della Provenza (sec. 14° e
15°), imitata poi in varî stati e paesi. L’antico sostantivo in esame in primis (cfr. P.P.Volpi) venne usato e
registrato per indicare la palpebra e solo succesivamente, prendendo spunto
dall’etimo che à riportato, indicò per traslato il danaro; infatti
etimologicamente la voce parpagnola derivando
dal prov. parpaillon valse in
primis farfalla ; ora come
semanticamente è facile cogliere il collegamento tra lo sbatter rapido delle
ali di una farfalla ed il medesimo movimento rapido della palpebra, altrettanto
facile è cogliere il collegamento tra lo sbatter rapido delle ali di una
farfalla ed il successivo dileguarsi d’esso insetto, ed il medesimo movimento
rapido con cui si dilegua il danaro!
patane voce d’uso gergale della malavita che al sg. suona
patana [dal s.vo iberico patata, der.
del quechua papa,con dissimilazione t→n];
papagne voce d’uso popolare della città bbassa che al sg. suona papagno
[da un lat. reg. papanja] che indica in primis il papavero e poi anche per
traslato il denaro ed uno schiaffo, un
ceffone capaci questi di stordire cosí
come il denaro può chetare le pretese sino a mettere a riposo chi ne riceva;
patacche voce che
al sg. suona patacca [dal s.vo prov. patac] ed indica un’antica moneta dello
scarso valore di 5 carlini ; per
traslato in riferimento allo scarso valore, la
patacca indica pure una decorazione fasulla o un oggetto d’antiquariato
di scarsa autenticità;
picciule voce di origine sicula [das una rad. picc
addizionata del suff.dim. lat. iolu-s] usata per indicare del denaro
divisionale di scarso valore.
E veniamo al
termine paparelle con il quale oggi furbescamente si suole indicare il
danaro;
è pur vero che con il termine paparelle in napoletano si
indicano i piccoli dell’anitra, ma con tale accezione il danaro non c’entra
nulla; come significante la moneta, a mio avviso, per detto termine occorre
risalire al nome del facoltosissimo e
munifico nobiluomo Aurelio Paparo fondatore
con un tal Nardo di Palma di un
Monte di Pietà in cui profuse parecchio danaro di suo per combattere la piaga della povertà ed
usura.Su di un’analoga via di beneficenza si pose Luisa, figlia di Aurelio
Paparo, che sovvenzionata dal genitore
fondò un tempio o conservatorio di donne povere e neglette chiamate dal popolo: paparelle.Da
detto nomignolo prese il nome una strada napoletana, quella dov’era ubicato il
tempio;
e continuiamo ad elencare:
pennacchie dal nome di una vilissima moneta penna dal
valore esiguo di 1 carlino, quella stessa moneta che per la facilità con cui
veniva spesa diede vita al detto: miéttele nomme penna (chiamala penna) in
riferimento ad ogni cosa che si potesse facilmente perdere o
cedere senza lasciar tracce di remore o dispiaceri;
purchie ed il suo
corrotto perucchie ambedue coniati sul termine porchia
nel significato di gemma, pollone, richiamante quel
rigoglio della vita facilmente assimilabile alla rigogliosità che può dare il
danaro;
prubbeca che si
ritrovò con qualche adattamento morfologico in altre regioni del meridione; in
origine con la voce prubbeca (poi passata a designare genericamente il danaro
metallico) si indicò una moneta di rame
del valore d’un tornese (vedi alibi) o di sei calli (ca(va)lli) fatta
coniare da Filippo III di Spagna intorno al 1550; su detta moneta era coniato
il motto publica commoditas donde si ricavò popolarmente il termine metatetico
prubbeca;
e potrei ancora continuare in un’elencazione, ma correrei
il rischio di segnalare termini non piú usati; preferisco perciò indicare solo
un ultimo ed attuale, corrente e cioè:
sfardelle termine
un po’ becero, ma ancora oggi in uso nel parlare popolare anche se di
lontanissima provenienza in quanto
corruzione della parola ferdinandelle o
ferrantelle dal nome di una moneta
battuta tra il 1460 ed il 1490 a Napoli sotto Ferdinando o Ferrante d’Aragona,
figlio naturale seppure illegittimo e
successore di Alfonso il Magnanimo.
A margine di tutte queste voci trovo interessante
indicare le principali monete in uso nel reame di napoli tra il 1750 ed
1865;abbiamo:
GLIUOMMERO (43650 lire it.) = rotolo di 100 DUCATI –
DUCATO/SCUDO popolarmente piezzo janco o pezza (= 436,5 lire it.) = 100 GRANI/GRANA;
ogni grana era corrispondente a 4,365
lire italiane –
TARí = 2 CARLINI =20 GRANI = 87,30 lire italiane
CAVALLO O CALLO: Coniata in rame in piú valori (uno, due,
tre, quattro, cinque, nove) dal 1472 al 1815 (quando fu sostituito dal
tornese), era la dodicesima parte di un grano napoletano. Dal 1814 passò,
invece, a rappresentare la decima parte di un grano napoletano.
PREVETINA = 13
GRANI = 56,745 lire italiane
CALLO = 1/12 DI GRANO = 0,363 lire italiane
TRECALLI = 1.09 lira italiana
CARLINO = 10 GRANI = 43,650 lire italiane; il
carlino quando il suo valore passò a
1/2 e poi a 1/20 GRANO. cioè a 2,1825 e poi 02,18 lire italiane prese
poi popolarmente il nome di penna
per indicare il suo scarso valore e per il fatto che su di una faccia di tale
moneta (davanti ) v’era raffigurata l’intiera scena dell’annunciazione a Maria Ss. mentre sul
rovescio v’era raffigurato il
particolare dell’arcangelo con un’ala
(penna) dispiegata;
TORNESE = 2 GRANI = 8,73 lire italiane
GRANO nome di diverse monete coniate nel Regno di Napoli
e Sicilia, Malta e in Spagna a far tempo
da Ferdinando I di Napoli (1458-1494) fino al regno di Ferdinando IV di Napoli e III di Sicilia
(1751 -1825); al tempo preso in esame 1750
– 1865 il grano napoletano fu moneta divisionale di scarso valore e potere d’acquisto,
corrispondente a circa 4,4 lire
italiane.
E trovandomi in
tema elenco qui di sèguito i principali pesi e misure di ardi e liquidi in uso
nel reame di napoli tra il 1750 ed 1865
quantunque esulino dal discorso sulle monete; abbiamo:
TOMOLO/TUMOLO (misura per aridi) = litri 55,32 divisi in
24 MISURE –
MISURA (misura per aridi o liquidi) = litri 2,31 –
BARILE(misura per liquidi) = litri 43,62 diviso in 60 caraffe
CARAFFA(misura per liquidi) = litri 0,727
STAIO (misura per olio) = litri 10,081 pari a 96
misurelle
MISURELLA o MESURIELLO = litri 0,105
CANTÀRO(misura per aridi ) = kg. 89,1 pari a 100 rotoli
ROTOLO /RUOTOLO = 890 grammi (a Napoli e nel napoletano,
mentre in Sicilia corrispondeva a 793 grammi)
pari a 33,35 once a Napoli e 29,70 once in Sicilia -
ONCIA = 26,7 grammi pari a 30 trappesi
TRAPPESE = 0,89 grammi.
Ed a questo punto penso d’avere esaurito l’argomento,
d’aver contentato ed aver interessato
qualcuno dei miei ventiquattro lettori e penso poter ben dire Satis est.
Raffaele Bracale
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