GLI
AVVERBI DI TEMPO NEL NAPOLETANO
Per
praticità e comodità didattica tratto in avvio le voci dell’italiano aggiungendo in coda ad
ognuna di esse la corrispondente nel napoletano; preciso súbito che molte di
queste voci sono usate in italiano non solo come avverbio, ma pure come aggettivo
e talora come sostantivo, ma io qui mi limiterò a parlare dell’uso avverbiale;
presto,avv. di tempo 1 entro breve tempo, tra poco; súbito: ritornerò
presto; ti scriverò assai presto; piú presto che puoi; ben
presto lo saprai; presto o tardi se ne accorgerà; arrivederci
presto, a presto, formule di commiato | al piú presto, quanto
prima, nel piú breve tempo possibile: te lo farò avere al piú presto; fra
un anno al piú presto, non prima
2 in fretta, rapidamente (anche come comando, esortazione): cercate
di far presto; vieni presto al dunque; à fatto presto a cambiar
idea; presto, aiutatemi!; presto, presto, venite!; si fa
presto a dire, a fare, ci vuol poco, è facile | piú presto, (ant.)
piú volentieri, piuttosto | proverbio
: presto e bene raro avviene, fare le cose richiede tempo
3 di buon'ora: al mattino presto; alzarsi presto; dormi,
è ancora presto | in anticipo, prima del tempo stabilito, di un termine
fissato: arrivai presto e i negozi erano ancora chiusi; te ne vai cosí
presto?; è ancora troppo presto per decidere.
Etimologicamente è voce dal lat.
praesto, avv., 'alla mano, a disposizione; al cospetto'.
In napoletano la voce in esame si rende con AMBRESSA/AMPRESSA
= presto, rapidamente; doppia morfologia (una volta con la consonante occlusiva
bilabiale sonora (B), una
volta con la consonante occlusiva bilabiale sorda (P) usata piú spesso; qualche volta anche reiterata per farne al
solito una sorta di superlativo: ampressa ampressa (prestissimo) es.:
facimmo ambressa/ampressa (facciamo presto!) arrivaje
ampressa
ampressa (giunse prestissimo). Talvolta questo avverbio in esame è reso
icasticamente con la locuzione ‘na cosa
‘e juorno es.: facimmo ‘na cosa ‘e juorno (facciamo
presto!; id est che la cosa si esaurisca nel lasso del giorno, senza protrarne
l’azione fino a notte.) Etimologicamente
la voce napoletana è dal lat.
in + pressē= a stretto giro con
doppia preposizione nel tempo: in +
presse→’mpresse, ad + ‘mpresse→am-mpressa →ampressa per assimilazione regressiva.
talora, avv. di tempo qualche volta, alle
volte, non sempre, talvolta (davanti a consonante, si tronca
spesso, spec. nel verso, in talór): è un’erba
usata talora come farmaco;come talora è accaduto. Etimologicamente
questa voce è l’agglutinazione di tale→tal (lat.
tale(m))+ ora (s.vo f.le dal lat. hŏra, dal gr. ὥρα).
Nel napoletano tale avverbio non
è usato e gli si preferisce le locuzioni QUACCHE
VVOTA (qualche
volta),Ê VVOTE (alle volte).
finora/fin
ora/sinora avv.
di tempo 1. Fino a
questo momento, fino ad ora: le
notizie giunte finora; i progressi compiuti fin ora dalla scienza. Si
preferisce scrivere staccato, ed à la
variante fino a(d) ora, quando indica esattamente l’ora o il momento presente:
ò aspettato fin ora; dove sei stato fino ad ora?
2. ant. e raro: Sin da ora Finor t’assolvo (Dante); Di questo mal,
che
teco Mi fia comune, assai finor mi rido (Leopardi).
Etimologicamente questa voce è
l’agglutinazione di fino→fin (preposizione
dal
lat. fine, abl. di finis 'limite', col significato preposizionale
di 'fino a')+ ora ( s.vo f.le dal lat. hŏra, dal gr. ὥρα).
Nel napoletano tale avverbio è reso sempre con
morfologia staccata NFI’ A MMO
= sino ad adesso; nfi’ è l’apocope del lat.
fine→fi’ con protesi di una n eufonica che pertanto non
necessita di segni diacritici (cfr. nc’è= c’è); per il mo vedi ultra.
allora avv. di tempo in quel momento, in
quel tempo (riferito al passato o al futuro): allora non me ne resi conto;
devi vederlo, solo allora capirai | con valore enfatico: allora sí
che si viveva felici! | allora allora, proprio in quel momento, da
pochissimo tempo: era arrivato allora allora | allora come allora,
in quella contingenza, sul momento: allora come allora non seppi dargli una
risposta | d'allora, di allora, di quel tempo: dove sono
andati gli amici d'allora? | da allora, da allora in poi, da
quel momento | fino ad allora, fino allora, sin allora,
fino a quel momento, fino a quel tempo | fin da allora, fin da quel
momento, fin da quel tempo | per allora, per quel giorno; per quei
tempi. Etimologicamente questa voce è dal
lat. ad illa(m) (h)ora(m)→ a(d) (i)lla(m) (h)ora(m)→allora 'a quell'ora'.
Nel napoletano
tale avverbio è reso con la voce TANNO
=allora, in quel tempo,a quel punto; tale voce è usata anche per
indicare una celerità d’azione o d’avvenimento nella locuzione Tanno
Pe Ttanno che rappresenta un
sinonimo di SÚBBETO = súbito e cfr. ultra.Tuttavia anche nel napoletano si
usa allora
quando s’usa come congiunzione; ess: si ‘e ccose stanno accussí,
allora è inutile ‘nzistere(se le cose stanno così, allora è inutile insistere) allora?; allora addó jammo?; e allora dillo,
fatte ascí ‘o sciato!
(allora?; allora dove andiamo?; e allora dillo, parla!).Etimologicamente
la voce napoletana tanno è dal
lat. tande(m)→tande→tanne→tanno =
finalmente con normale esito nd→ nn
per assimilazione progressiva.
prima avv. di tempo
1 antecedentemente a quel/questo
momento, nel tempo anteriore, in precedenza: questo palazzo prima non c'era;
avresti dovuto pensarci prima; prima finisci il tuo lavoro, poi
andiamo al cinema; due giorni prima; l'anno, un'ora prima;
un po', immediatamente prima; ne so quanto prima; ci
capisco meno di prima; sono stanco come prima; non è piú quello
di prima | le usanze di prima, di un tempo, di una volta ' prima o poi,
una volta o l'altra ' quanto prima, il piú presto possibile: ci
vedremo quanto prima; quanto prima potrò | far prima, far piú
presto degli altri ' arrivare prima, per primo | da prima,
dapprima
2 in un luogo, in uno spazio precedente; avanti, davanti: prima c'è
un giardino, poi la casa; un paragrafo prima
3 in primo luogo: non vengo, prima perché sono stanco e poi perché
non ò tempo; prima lo studio, poi il divertimento
4 (ant.) per la prima volta: ricorro al tempo ch'io vi vidi
prima / tal che null'altra fia mai che mi piaccia (PETRARCA Canz.
XX, 3-4). Etimologicamente questa
voce è dal tardo lat. prima dall’agg.vo (lat. class.) prīmus «primo».
Nel napoletano tale avverbio è reso con PRIMMA che à il medesimo etimo del
prima dell’italiano, ma con il raddoppiamento espressivo della consonante
nasale bilabiale (m) cosí come in comme
per come, nomme per nome, tremmo per tremo, fremmo
per fermo etc.Accanto alla forma primma il
napoletano ne contempla anche una allungata
e rafforzata: APPRIMMA←ad+prima = molto prima, per prima cosa.[es.: apprimma mettimmo ‘e ccose ‘nchiaro e ppo se vede (per prima cosa,
facciamo chiarezza e poi vi vedrà)]
poi, ant. o poet. po',
avv. di tempo
1 in seguito, dopo, appresso: poi verrò a casa vostra; poi
sarà troppo tardi; poi poi, adesso ò da fare! | unito pleonasticamente
a un altro avv. di tempo: poi dopo si
vedrà | usato per indicare successione: prima entrò il padre poi la
madre; per ora facciamo cosí, poi studieremo meglio la cosa | prima
o poi, un giorno o l'altro | a poi, a piú tardi: arrivederci a poi
| in poi, in avanti: d'ora in poi; da domani in poi | per
poi, per dopo: lo lascio per poi
2 inoltre, in secondo luogo: non sarebbe onesto, e poi non ne vedo la
necessità
3 usato in posposizione, serve a riprendere il discorso o a introdurre
un altro argomento: quando poi videro che non c'era nulla da fare... ; quanto
poi all'argomento di cui si trattava... ' con valore conclusivo: che à
detto poi di male?; partirai domani, poi? | con valore avversativo
(anche unito a ma): lui poi che colpa ne à?; questo è il mio
consiglio, tu poi fa’ come credi; ma poi non so se sia vero | in
espressioni enfatiche: questa poi!; questo poi no!; e poi ài
il coraggio di fare la predica a me!; no e poi no! Etimologicamente
è voce dal lat.
postea→po(st)ea→poi, e non da post come spesso ritenuto: infatti
morfologicamente se poi derivasse da post non ci si spiegherebbe donde
sortirebbe fuori la i finale di poi.
Nel napoletano la
voce a margine è resa con
l’avverbio PO = poi voce,
questa sí dal lat. post→po(st)→po, avverbio che in napoletano non esige
nessun segno diacritico finale (come invece succede quando a cadere è una
sillaba vocalica e non un gruppo consonantico (cfr. qua(le)→qua’ ed invece mo
(ora)←mo(x), re(monarca)←re(x)). Accanto alla forma po il napoletano ne contempla anche una allungata e rafforzata: AROPPO con
etimo dal lat. ad +de post→adepo(st)→adopo→aropo→aroppo con rotacizzazione
osco-mediterranea dell’occlusiva dentale sonora
(D) e raddoppiamento
espressivo della consonante occlusiva bilabiale sorda (P).
domani, pop. o lett. dimani, avv. di tempo
1 nel giorno immediatamente seguente all'oggi: domani mattina, pomeriggio;
partiremo domani | dopo domani, domani l'altro, il giorno
dopo di domani, fra due giorni | domani (a otto), fra otto giorni a
partire da domani | a domani, formula di commiato con cui ci si
ripromette di incontrarsi di nuovo il giorno seguente
2 con senso piú generico indica un tempo futuro, spec. in
contrapposizione con oggi: oggi qui, domani là | oggi o domani,
una volta o l'altra, un giorno o l'altro, fra non molto | dàgli oggi e dàgli
domani, a lungo andare | da oggi a domani, súbito, su due piedi | rimandare
qualcosa dall'oggi al domani, continuare a differirla
3 (iron. , scherz.) mai, in nessun tempo: «Mi regali
questo anello?» «Sí, domani!» Etimologicamente è voce derivata dal lat.
tardo dí mane, propr. 'di mattina'.
Dal medesimo lat.
tardo dí mane→dimane deriva la voce napoletana DIMANE che rende il
domani dell’italiano; rammento che soprattutto nel parlato dimane è attestato anche nella morfologia RIMANE con la frequente
rotacizzazione osco-mediterranea dell’ occlusiva dentale
sonora (d) morfologia che sconsiglio vivamente di adoperare atteso che
è omografa ed omofona della 2ª pers. sg.ind. pr. dell’infinito rimané(dal lat.
remanēre, che è da manēre, col pref.
re) ; preciso altresí che nel napoletano accanto a dimane /rimane il domani
dell’italiano è reso (o meglio si rendeva)
con l’avverbio CRAJE dal lat. cras.
dopodomani avv. di tempo fra due giorni, la giornata immediatamente successiva al
domani, cioè due giornate dopo l’oggi: ritornerò dopodomani; ci rivediamo
dopodomani Etimologicamente è voce derivata dall’agglutinazione di dopo
(dal lat. de+po(st))+ domani.
Nel napoletano
l’avverbio a margine è reso (o meglio si rendeva) con l’avverbio PISCRAJE dal lat. bis +cras.
A questo punto ricordo che nel napoletano d’antan oltre i
termini già esaminati (craje e piscraje) esistevano avverbi ad hoc per
indicare una particolare successione di giorni, avverbi che non trovavano e non
trovano corrispondenti nell’italiano (al solito meno preciso e circostanziato
del napoletano); gli avverbi che voglio ricordare erano e sono, ancorché
pochissimo usati
PESCRILLE/ PESCRIGNO
= tra tre giorni; pescrillo è dal latino post tres ille=dopo tre di quei(giorni);pescrigno = tra tre giorni o meglio: dopo quel domani piú lontano
è da un acc.vo lat. volg. post crineu(m)←cras+ineu(m) questo ineu(m) fu un suffisso di valore
diminutivo con riferimento a tempo piú lontano;
PESCRUOZZO=tra
quattro giorni da un acc.
lat. volg. post
croceu(m)←cras+oceu(m) questo oceu(m)
fu un suffisso di valore diminutivo con riferimento a tempo molto lontano;
oggi avv. di tempo
1 nel giorno in corso: arriverà oggi; oggi non sto bene; oggi
ne abbiamo 3; oggi è il 3 del mese | in espressioni rafforzate: oggi
stesso; quest'oggi | oggi a otto, a quindici, a un
mese ecc. , esattamente fra una settimana, quindici giorni, un mese ecc. | oggi
è un mese, un anno ecc. , esattamente un mese, un anno fa | da
oggi, d'oggi in poi, a partire da questo momento | oggi come oggi,
al presente, per il momento
2 contrapposto a ieri o domani, con valore piú generico: oggi
vuole una cosa domani un'altra, un giorno vuole una cosa un altro un'altra;
ieri non voleva, oggi sí, in un primo tempo non voleva, adesso vuole; ieri
era ricco, oggi è povero, in passato era ricco, attualmente è povero | proverbio
: oggi a me domani a te, ciò che è capitato a uno può capitare anche a
un altro
3 nel tempo presente, nell'epoca attuale: oggi i giovani sono piú
indipendenti; un taglio d'abito che oggi non usa piú
4 (region.) nel pomeriggio: stamani non ò tempo, ne parleremo
oggi. Etimologicamente è voce derivata dal
lat. hodie, da hoc die 'in questo giorno'.
Dal medesimo lat.
hodie il napoletano d’antan
trasse OJE usato per
rendere l’oggi dell’italiano. Rammento qui ciò che dissi alibi e cioè che oggi,
purtroppo, nell’imbastardito napoletano corrente si usano termini italianizzati come ogge invece di oje, dimane invece di craje, doppodimane in luogo di piscraje,e
cosí via e non facendo piú progetti a
lunga scadenza, non si parla proprio del terzo giorno dopo, né ovviamente del
quarto giorno dopo! Mi corre l’obbligo di rammentare altresí che taluni
sprovveduti scrittori partenopei che non ànno frequentazione con i classici, né
con antichi lessici ed ignorano l’esistenza del s.vo oje (oggi) lo usano impropriamente al posto del vocativo oj (ehi!)generando la
stortura ad es. di un errato Oje Marí,
in luogo del corretto Oj Marí! Proseguiamo
ieri avv. di tempo
il giorno che precede immediatamente l'oggi: ieri mattina
(o iermattina); ieri sera (o iersera); ieri notte
(o iernotte); non lo vedo da ieri ' ieri l'altro (o ier
l'altro), l'altro ieri (o rar. l'altrieri), il giorno prima
di ieri, due giorni fa | ieri a otto, una settimana fa a partire da ieri
' da ieri a oggi, nel giro di ventiquattr'ore; (fig.) in
pochissimo tempo ' nato ieri, (fig.) si dice di persona ingenua e
priva di esperienza; voce dal lat. heri.
Nel napoletano l’avverbio a margine è reso con la voce AJERE
che è dal lat. ad+heri→a(dh)eri→ajere
con caduta della dentale sonora (d) e aggiunta di un suono di
transizione (J) come in ajutare ←a(d)iutare.
avantieri
o avant'ieri, avv.
di tempo
il giorno prima di ieri; ieri l'altro. Etimologicamente è
voce che piú che agglutinazione di avanti ed ieri, è stata marcata
spudoratamente comp. di avanti e ieri, sul modello del fr. avant’hier. Nel napoletano
l’avverbio a margine è reso con la voce agglutinata AUTRJERE = l’altro ieri, ieri
l’altro; ò parlato di voce agglutinata e ne preciso i termini che ànno concorso
a formarla: autro (altro) e ajere (ieri); questo il percorso morfologico autro
+ ajere→autr(o)(a)jere→ autrjere; di ajere ò détto antea, autro (altro) è dal lat.alteru(m)→alt(e)rum→autro
con consueto passaggio di al ad au con dissimilazione totale della
consonante laterale alveolare (L).
adesso
avv. di
tempo
1 in questo momento, al presente, ora: adesso vengo; l'ò visto
adesso; e adesso che facciamo? | per adesso, per il momento |
da adesso in poi, d'ora in poi, per il futuro | fino adesso,
finora | adesso adesso, proprio in questo momento
2 poco fa, or ora: ò mangiato proprio adesso; sono stato
adesso da loro
3 fra poco: parto adesso
4 adesso che, ora che (introduce prop. temporali-causali, con
verbo all'indic.): adesso che lo sai, règolati!.
Etimologicamente è voce dalla prima parte della locuzione
latina ad ipsu(m) (tempus) 'al (momento) stesso'; questo il percorso
morfologico: ad ipsu(m) (tempus) → ad epsu(m)→adessu→adesso con
assimilazione regressiva ps→ss.
ora avv. di tempo
[la forma tronca or è propria dell'uso letterario;
nell'uso parlato ricorre solo in talune loc.]
1 in questo momento, adesso; attualmente, al presente: ora non posso
uscire; ora le cose vanno meglio; cose che ora non si usano piú,
al giorno d'oggi, nel tempo presente ' alcuni mesi, giorni, anni
or sono, alcuni mesi, giorni, anni fa (con soggetto al sing. è di uso
lett.: or è un anno) ' per ora, ora come ora, per il
momento, in queste circostanze (con allusione alla possibilità che in futuro si
presentino condizioni diverse): grazie, per ora; per ora non mi serve;
ora come ora non saprei rispondere | d'ora in poi, d'ora in avanti,
da questo momento in poi, per tutto il tempo futuro ' fin (o sin)
d'ora, a partire da súbito e cosí nel futuro | prima d'ora, nel
passato, prima di questo momento ' fin ora, finora
2 nell'immediato passato; poco fa: se ne è andato ora (o or
ora)
3 nell'immediato futuro; tra poco, súbito: arriverà ora; ora
lo chiamo
etimologicamente è voce dal lat.
hora, abl. di hora.
Per ciò che
riguarda il napoletano sia l’avverbio ora
che l’avverbio adesso che di ora è sinonimo vengon resi con
l’avverbio MO interessantissima voce sulla quale occorre ch’io mi
dilunghi.
Nel napoletano
vuoi nei testi scritti, che nel comune
parlare si trova o si sente spessissimo il vocabolo in esame usato per
significare: ora, adesso e, talvolta
esso vocabolo trasmigra addirittura nell’italiano con il medesimo
significato.Ciò che voglio trattare è innanzitutto il suono da assegnare alla
vocale (o) che nel parlato cittadino è pronunciata e va pronunciata con timbro aperto (mò) mentre nella provincia
scivola verso una pronuncia chiusa (mó), dando modo a chi ascolta di
poter tranquillamente definire cittadino
o provinciale colui che pronunci l’avverbio mo che se è pronunciato con la o
aperta connota il cittadino e se è pronunciato con la o chiusa connota il provinciale.
Quanto
alla morfologia rammento che il mo in esame è possibile trovarlo, ma erroneamente anche come
mo' o ancóra
mò) avv. - Ora, adesso;
poco fa Concorrente di ora e adesso, mo à una lunga tradizione
storica, ma non si è quasi mai affermato
nell'uso scritto dell’italiano ; resta quindi limitato all'uso parlato di gran
parte d'Italia, in partic. di quella centro-merid.
nel napoletano esiste anche nella forma iterata MMO
MMO con tipico raddoppiamento
espressivo della consonante d’avvio nel significato di súbito,immantinente, immediatamente, senza por tempo in mezzo
Detto ciò passiamo ad un altro problema; qual è l’esatta
morfologia della parola mo e
conseguentemente come scriverla?
Il problema non è di facilissima soluzione posto che non v’è identità di vedute circa l’etimologia
della parola, unica strada da
percorrere per poter addivenire – con buona approssimazione – ad una corretta
soluzione;
vi sono infatti parecchi
scrittori e/o studiosi partenopei e non che fanno discendere il termine
dall’ avv. latino modo che accanto a molti altri significati à pure quello di ora, adesso; ebbene, qualora si
scegliesse questa strada sarebbe opportuno scrivere mo’ tenendo presente il fatto che allorché una parola viene
apocopata di un’intera sillaba, tale fatto deve essere opportunamente
indicato dall’apposizione di un segno
diacritico (’).
Se invece si fa derivare la parola mo dall’avverbio latino mox = ora, súbito, come io reputo che
sia, ecco che la faccenda diviene piú semplice e basterà scrivere mo senza alcun segno
diacritico.
È, infatti, quasi generalmente accettato il fatto che quando
un termine, per motivi etimologici,
perde una sola o piú consonanti in fin
di parola e non per elisione (allorché – come noto – a cadere è una
vocale), non è previsto che ciò si debba
indicare graficamente come avverrebbe invece se a cadere fosse una intera
sillaba;
ecco dunque che ciò
che accade per il mo derivante da mox ugualmente accade, in napoletano,
per la parola cu (con) derivante dal latino cum per pe (per), per po (poi) che è dal lat. po(st)
dove cadendo una sola o una doppia
consonante ( m – r - st ) e
non una sillaba non è necessario usare il segno dell’apocope (’) ed il farlo è inutile, pleonastico,
in una parola errato! La stessa cosa accade per l’avverbio napoletano di luogo lla
(in quel luogo, ivi) avverbio che in italiano è
là; sia l’avv. napoletano che quello italiano sono ambedue derivati dal lat. (i)lla(c): in napoletano mancando un
omofono ed omografo lla non è necessario
accentare distintivamente l’avverbio, come è invece necesario nell’italiano
là dove è presente l’omofono ed omografo
la art. determ. f.le. C’è invece un
napoletano po’ che necessita
dell’apostrofo finale: è il po’= può (3ª pr. sg. ind. pres. di
potere) che derivando dal lat. po(te)-(st)
comporta non solo la caduta delle consonati finali [st],
ma anche della sillaba [te], caduta da indicarsi con
l’apostrofo cosí da fare distinzione tra gli omofoni po = poi e po’ =
può. Rammento infine che nel napoletano non esiste un po’ apocope di poco (
apocope che invece esiste nell’italiano) poi che nel napoletano poco è sempre usato in forma intera poco (cfr. ‘nu poco ‘e…(un po’ di…) - a
ppoco â vota (un po’ alla volta);
nel napoletano scritto c’è una sola parola nella quale
cadendo una consonante finale è necessario fornire la parola residua di un
segno d’apocope (’): sto parlando
della negazione NUN= non che talvolta viene apocopata in nu da rendersi però NU’ per evitarne la confusione con
l’omofono ‘nu (un, uno) che conviene sempre fornire del segno (‘) d’aferesi e ciò in barba a troppi moderni addetti e non
addetti ai lavori partenopei per i quali è improvvidamente invalso l’uso di
rendere l’articolo indeterminativo maschile nu senza alcun segno diacritico
alla medesima stregua dell’articolo indeterminativo femminile ‘na che
è reso scorrettamente con un na privo di segno diacritico, quasi che il segnare in
avvio di parola un piccolo segno (‘)
comportasse gran dispendio di energie o appesantisse la pagina scritta e non
fosse invece, quale a mio avviso è, segno di sciatteria, pressappochismo dello
scrittore (si chiamassero pure Di Giacomo,F.Russo,
E. Nicolardi etc.e
giú giú fino ad E.De Filippo.) e però non so se la sciatteria è da addebitarsi
a gli scrittori o ai loro editori.
Qualcuno mi fece notare che, a suo dire, il termine mo non potrebbe derivare da mox in quanto, pare, che una doppia
consonante come cs cioè x non possa
cadere senza lasciar tracce, laddove ciò è invece possibile che accada specie
per una dentale intervocalica come la d di modo.
Ora,a parte il fatto che anche le piú ferree regole
linguistiche posson comportare qualche eccezione (come avviene ad es. per la
voce della lingua nazionale re
= monarca che pur derivata dritto per dritto dal latino re(x),si
scrive senza alcun segno diacritico traccia della caduta x , anche ammettendo che il napoletano mo discenda da modo e non da mox non si capisce
perché esso mo andrebbe apocopato (mo’) o addirittura accentato (mò)
atteso che vige comunque la regola che i
monosillabi vanno accentati solo quando,nell’àmbito di un medesimo idioma, esistano omologhi
omofoni che potrebbero creare confusione.
Penso perciò che forse sarebbe opportuno nel toscano/italiano
accentare, se lo si usasse il mò (ora, adesso) per distinguerlo
dall’apocope di modo (mo’) dell’espressione a
mo’ d’esempio, ma nel napoletano non esistendo il termine modo né la sua apocope è inutile e
pleonastico aggiungere qualsiasi segno diacritico (accento o apostrofo) al termine
mo (ora/adesso). Prosegiamo con
altri avverbi di tempo.
già avv. di
tempo
1a. Riferito a un verbo o ad una
locuz. in funzione di predicato, indica che nel momento in cui si parla, o di
cui si parla, un fatto è ormai compiuto o sta compiendosi o è accaduto da poco:
è già tutto
fatto: quando arrivai alla stazione, il treno era già partito;
Già
era accaduto tutto, quando giunsi sul posto; io a
quell’ora sarò già lontano. Altre volte sottolinea una situazione
in atto o rafforza l’idea del tempo trascorso: andiamo, è già tardi;
sono
già stufo di stare qui; sono già due ore che aspetto; erano passati
già tanti anni. Spesso, in frasi esclamative o interrogative,
esprime la meraviglia, la contentezza o il rammarico che un fatto avvenga, sia
avvenuto o stia per avvenire prima di quanto ci si aspettasse: è già l’ora?;
sei
già qui?; vuoi già lasciarci?; pensare che
siamo già a Natale!; non mi pareva vero di avere già un impiego;
peccato
che lo spettacolo sia già terminato. E con piú forza, di già: sei di già tornato?;
spec. in risposte: «È l’ora d’andar via» «Di già?»; anche in grafia unita: un uomo
ancora giovane, ma digià tutto calvo.
b. Prima
d’ora (volendo dire che non è la prima volta che si fa, si vede o si dice
qualche cosa): t’ò già avvertito piú volte; eppure quella faccia l’ò già
vista in qualche luogo.
c. Per
l’addietro, in tempi passati: in Firenze fu già un giovane chiamato Federigo
(Boccaccio). Davanti a un sostantivo, e sottintendendo i verbi essere o chiamarsi,
indica che la persona o la cosa nominata non esercita piú quell’ufficio, non à
piú quella funzione o quel nome: il ministro della Difesa, già
sottosegretario agli Interni; il castello, già residenza
della famiglia reale; l’albergo delle Chiavi d’oro, già
«Locanda
della Posta».
d. Sin da
ora: prevedo
già come andrà a finire; già me lo sento, già me
l’immagino; comincio già ad averne abbastanza.
2.
Isolato, esprime assenso o conferma: «Ci sarai anche tu?» «Già»;
anche ripetuto: già, già, è proprio vero. Con la stessa funzione
s’intercala spesso a quanto altri sta dicendo, anche per semplice cerimonia o
per invitare a continuare il discorso. Talora l’assenso è solo formale e,
secondo il tono con cui la parola si pronuncia, può esprimere concessione
forzata («Come vedi, ti ò vinto» «Già»),
dubbio (già, potrebbe anche darsi), ironia («Mi porti a
cinema?» «Già, ci andiamo di corsa»), equivalendo in
quest’ultimo caso anche a negazione («Devi fare ciò che voglio io» «Già!»).
3. Con
valore puramente rafforzativo: Io non ci devo pensare piú a quel poverino.
Già
si vede che non era destinato (Manzoni); eh,
già,
dovevo
immaginarmelo!; spec. se preceduto da non: ò detto cosí
per dire, non già per offenderti; e in
correlazione con ma: ti consiglio non già come tuo direttore,
ma
come amico.
Voce derivata dal lat. iam. Con medesimo etimo la voce è
presente ugualmente nel napoletano, tuttavia preciso che spesso nel napoletano
già è attestato con la geminazione dell'affricata palatale sonora (G)
e si à GGIÀ in ogni caso con i medesimi significati ed usi dell’italiano
già.
dopo
avv. di
tempo
1 poi, in seguito, piú tardi: prima o dopo è lo stesso; te lo
dirò dopo; me ne accorsi súbito dopo; se ne andò poco (tempo)
dopo; talvolta con valore pleonastico: poi dopo si vedrà | a dopo,
a piú tardi, ci rivedremo poi
2 oltre, appresso, piú avanti (riferito a luogo): la casa che viene
dopo; prendi la strada súbito dopo
3 (ant.) dietro: Taciti, soli, senza compagnia / n'andavam
l'un dinanzi e l'altro dopo (DANTE Inf. XXIII, 1-2)
Etimologicamente è voce dal lat. de post→depo(st)→dopo.
nel napoletano l’avverbio
è attestato nella morfologia di DOPPO con medesimo etimo dal lat. de post→depo(st)→dopo→doppo con raddoppiamento espressivo della consonante
occlusiva bilabiale sorda (P); accanto a doppo nel napoletano soprattutto parlato della città
bassa è presente,come ò già détto, altresí la voce rafforzata aroppo con etimo dal lat. ad +de post→adepo(st)→adopo→aropo→aroppo
con rotacizzazione osco-mediterranea dell’occlusiva dentale sonora (D)
e raddoppiamento espressivo della consonante occlusiva bilabiale sorda (P);
tardi
avv. di
tempo
1 oltre il tempo debito, stabilito o conveniente: arrivare tardi;
se non mi sbrigo faccio tardi; me ne accorsi troppo tardi; è
tardi per iscriversi; potevi pensarci prima, ora è troppo tardi | proverbio
: chi tardi arriva male alloggia
2 ad ora avanzata: mi alzo tardi; stasera andrò a letto piú
tardi | al superl.: ieri sera sono rientrato tardissimo | sul
tardi, nelle ore avanzate del pomeriggio o della mattina: vediamoci sul
tardi | a piú tardi!, come formula di saluto, in vista di un nuovo incontro
molto prossimo | al piú tardi, al massimo, non dopo un certo limite di
tempo: al piú tardi, sarò di ritorno per le otto | presto o tardi, prima
o poi: presto o tardi se ne pentirà.
Etimologicamente è
voce dal lat. tarde, avv. di tardus 'lento'.
La voce è presente anche nel napoletano nei medesimi significati
e con il medesimo etimo, ma nella morfologia di TARDE in modo piú
aderente al lat.tarde.
súbito avv. di tempo
1 immediatamente, senza indugio: lo avverto súbito; se ne andò
súbito; vieni qui súbito, fallo súbito, (con maggior forza: vieni
qui, e súbito!, fallo, e súbito!) | usato assol. come risposta a una
chiamata o a un ordine: "Vieni qui un momento" "Súbito"
' raddoppiato con valore enfatico: fallo súbito súbito | súbito prima,
immediatamente prima: è arrivato súbito prima che tu uscissi | súbito dopo,
immediatamente dopo: à telefonato súbito dopo che eri uscito | súbito che,
súbito come, súbito sí come, (ant. o pop.) appena
che, tosto che: mandatelo da me súbito come torna; Súbito sí com'io
di loro m'accorsi, /... /... li occhi torsi (DANTE Par. III, 19-21)
2 in brevissimo tempo: asciugare, cuocere súbito
3 (lett.) all'improvviso (spesso preceduto da di): Di
súbito drizzato gridò: / "Come? dicesti "elli ebbe"...?"
(DANTE Inf. X, 67-68
Etimologicamente è voce dal lat. sŭbĭtō, avv. dall'agg.
subitus 'subíto'. Nel napoletano nei medesimi significati e con medesimo etimo la voce è attestata come SÚBBETO
con tipico raddoppiamento espressivo dell’occlusiva bilabiale sonora (b);
immantinente avv.di tempo e di modo (lett.)
súbito, senza indugio, nel momento stesso: obbedire immantinente.
Etimologicamente questa voce che come ò accennato è quasi esclusivamente d’uso letterario è marcata sul francese ant. maintenant
'súbito', deriv. di maintenir.
Nel napoletano
nei medesimi significati la voce in esame è resa con MMO MMO iterativo di mo
(cfr. antea) oppure con la locuzione SOTT’Ô COLPO ( sotto il colpo id
est: di colpo, prontamente, tempestivamente).
mai avv. di tempo
1 nessuna volta, in nessun tempo, in nessun caso; normalmente rafforza
una negazione, posponendosi al verbo: non l'ò mai letto; non à mai
telefonato né à mai scritto; nessuno l'à mai visto; non verrà mai
| rafforzato da piú: non accadrà mai piú, nessun'altra volta in
futuro | senza un'altra negazione, in frasi ellittiche: tu l'ài fatto
qualche volta, io mai; tutto, ma questo mai; mai un po' di pace
| proverbio : meglio tardi che mai
2 usato assolutamente nelle risposte, à valore di negazione molto forte:
«Ti scrive qualche volta?» «Mai»; «Lo faresti?» «Mai» |
rafforzato: mai piú!, mai e poi mai! | premesso al verbo, e
perciò non accompagnato da altra negazione, à valore enfatico: mai gli ò
parlato; mai mi è stato possibile; anche in proposizioni esclamative
dell'uso fam.: mai dicesse la verità!; mai che arrivi puntuale!
3 in espressioni comparative, in nessun altro tempo, nessun'altra volta:
oggi, piúú che mai, mi accorgo di aver sbagliato; nonostante le cure,
deperiva piú che mai; è stato piú gentile che mai; meno che mai
si è pentito di ciò che à fatto; ci fu caro quanto altro (o quanto
altri, quant'altri) mai; si è dimostrato quanto mai
ostinato | nell'uso fam. assume spesso valore intensivo: quante mai
volte te l'ò detto!; le vuole un bene che mai; ò una fame che mai
4 in proposizioni interrogative dirette e indirette, condizionali e
dubitative, una volta, qualche volta, in qualsiasi tempo: l'ài mai
incontrato?; non so se sia mai stato a Roma; chi mai l'à visto?;
quando mai ò detto questo?; come mai non era in casa?; che
cosa mai ti sei messo in mente?; se avessi mai pensato una cosa simile,
non sarei partito; se mai lo vedi, diglielo; se mai un giorno,
se mai una volta... ' caso mai, nel caso, eventualmente
5 (ant. , lett.) rafforzativo di sempre: per far
sempre mai verdi i miei desiri (PETRARCA Canz. CLVIII, 4) |
rafforzativo di sí o no: mai sí che lo conosco (BOCCACCIO Dec.
III, 3)
Etimologicamente è voce dal lat. magis→ma(g)i(s)→mai.
La voce è
presente anche nel napoletano nei
medesimi significati e con medesimo
etimo ancorché con morfologia diversa che nel napoletano è MAJE con paragoge della
semimuta finale (E) e sostituzione della(i)
con il suono di transizione (J) atteso che il napoletano non
tollera la presenza di tre vocali consecutive (che nel caso in esame sarebbero
state a i e; cfr. ad es. l’italiano aiuto/aiutare resi in napoletano con
ajuto/ajutà, daje – saje – vaje per
dai – vai – sai etc.).
sempre avv. di tempo
1 senza interruzione, senza fine (indica una continuità ininterrotta nel
tempo): è sempre stato cosí e sarà sempre cosí; l'amerò ora e sempre;
non pensarci sempre; ne avrò sempre un buon ricordo | per
sempre, senza limiti di tempo, per l'eternità | da sempre, fin dalle
lontane origini, dall'inizio: è cosí da sempre | di sempre, di ogni
tempo, di ogni occasione: non è cambiato, è quello di sempre | sempre tuo,
vostro ecc. , come formula di chiusa nelle lettere
2 seguito da comparativo, lo rafforza, dando all'espressione un valore
di continuità: spero che le cose andranno sempre meglio; ci capisco
sempre meno; devi applicarti con sempre maggiore impegno | talvolta
anche con il piú sottinteso, quando il verbo esprima già diminuzione o
aumento: La bestia ad ogne passo va piú ratto, / crescendo sempre, fin
ch'ella il percuote (DANTE Purg. XXIV, 85-86)
3 può indicare semplicemente il perdurare o il ripetersi di un fatto o
di una situazione: le sue condizioni sono sempre gravi | in frasi
enfatiche: sei sempre il solito sfacciato!; sempre complicazioni!
4 con valore simile ad ancóra: sei sempre in collera con me?;
abita sempre in via Roma
5 con funzione restrittiva: questo si può fare, sempre però con
l'aiuto di qualcuno; può cominciare a uscire un po', ma sempre nelle ore
piú calde
6 con valore di tuttavia, nondimeno (in unione con una
cong. avversativa): è vecchio, sempre però in ottime condizioni; è un
po' bizzarro, ma è pur sempre una persona di valore || Nella loc. cong. sempre
che (rar. sempreché), purché, ammesso che (con valore condizionale e
con il verbo al congiuntivo): è possibile, sempre che tu lo voglia; la
situazione è rimediabile, sempre che tu non insista nello stesso comportamento
| (ant. , lett.) anche col valore di ogni qual volta che
(con il verbo all'indic.): sempre che presso gli veniva, quanto potea con
mano,... la lontanava (BOCCACCIO Dec. II, 4)
Etimologicamente è una voce lettura metatetica del lat. semper→sempre.
La voce è
presente anche nel napoletano nei
medesimi significati e con medesimo
etimo ancorché con morfologia diversa che nel napoletano è sempe con semplificazione del lemma attraverso la
caduta della fastidiosa consonante liquida
vibrante (R).
spesso avv. di tempo
di frequente, molte volte: incontrarsi
spesso; fare qualcosa molto spesso, piú
spesso, meno spesso di prima; Ripetutamente,
molte volte: Quanto in femmina foco d’amor
dura, Se l’occhio o ’l tatto spesso non l’accende (Dante); E spesso tremo e spesso impallidisco
(Petrarca); lo incontro spesso; ci vediamo molto spesso; sono cose che accadono s., molto s., troppo s.; è un
controllo che va ripetuto s.; al cinema, a causa della mia vista, ci vado ormai sempre meno spesso.
Rafforzato con l’iterazione: si trova
spesso spesso nei guai; o con l’aggiunta di volentieri, per lo piú
ironicamente: fissa gli appuntamenti, ma spesso e volentieri dimentica di andarci.
talvolta raddoppiato: spesso spesso se ne dimentica | spesso e volentieri,
assai frequentemente.
Etimologicamente si tratta d’ un uso avverbiale dell’agg. spesso(lat. spissus), uso sviluppatosi
già alle origini dell’italiano.
La voce è
presente anche nel napoletano nei
medesimi significati e con medesimo
etimo ancorché con morfologia diversa che nel napoletano è SPISSO con maggior
fedeltà al modello latino.
E qui penso di poter far punto convinto d’avere esaurito
l’argomento.
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