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20
ESPRESSIONI ICASTICHE 29.3.21
1-'O
GALANTOMO APPEZZENTÚTO, ADDEVENTA 'NU CHIAVECO.
Ad litteram: il galantumo che va in miseria, diventa un essere spregevole. In
effetti la disincantata osservazione della realtà dimostra che chi perde
onori e gloria, diventa il peggior degli uomini giacché si lascia vincere
dall'astio e dal livore verso coloro che il suo precedente status gli
consentiva di tenere sottomessi e che nella nuova situazione possono
permettersi di alzare la testa e contrattare alla pari con lui.
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2. - 'E
FRAVECATURE, CACANO 'NU POCO PE PARTE E NUN PULEZZANO MAJE A NNISCIUNU PIZZO.
Ad litteram: i muratori defecano un po' per parte, ma non nettano nessun
luogo che ànno imbrattato. Il proverbio, oltre che nel suo significato
letterale è usato a Napoli per condannare l'operato di chi inizia ad
occuparsi di cento faccende, ma non ne porta a compimento nessuna, lasciando
ovunque le tracce del proprio passaggio.
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3. -'E
VRUOCCOLE SO' BBUONE DINT’Ô LIETTO.
Letteralmente: i broccoli sono buoni nel letto. Per intendere il significato
del proverbio bisogna rammentare che a Napoli con la parola vruoccole si
intendono sia la tipica verdura che per secoli i napoletani mangiarono,tanto
da esser ricordati come "mangiafoglie", sia le moine, le carezze
che gli innamorati son soliti scambiarsi specie nell'intimità; il proverbio
sembra ripudiare ormai la verdura per apprezzare solo i vezzi degli
innamorati.
Analoga
alla locuzione in esame è quella che recita: ‘E MMULIGNANE SO’ BBONE SOTT’A
LL’UOCCHIE che letteralmente è: Le melanzane sono buone sotto a gli occhi ed
in questo caso bisogna
rammentare che a Napoli con la parola mulignane si intende sia il tipico gustosissimo ortaggio che la
fa da padrone nella cucina partenopea, sia le occhiaie bluastre tendenti al
viola, tipiche di occhi stanchi di colui/colei che non à riposato durante la
notte impegnato/a com’era in tenzoni amorose; anche questa locuzione sembra ripudiare ormai
l’ortaggio per apprezzare solo le
occhiaie conseguenti degli incontri amorosi. Rammento che mulignana= melanzana dall’arabo
badingian incrociato con il prefisso
mela→ melingian donde per metatesi meligniana→mulignana; altrove
l’arabo badingian fu incrociato con i prefissi petro(primo elemento di parole
composte della terminologia scientifica, formate modernamente, dal gr. pétra
'pietra') o con il prefisso peto adattamento locale del precedente e
s’ebbe petronciano o petonciano.
la voce
melanzana fu anche ritenuta, ma
impropriamente, derivata da mela+
insana in quanto ritenuto ortaggio il cui consumo potesse portare alla
pazzia.
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4 -STATTE
BBUONO Ê SANTE: È ZZUMPATA 'A VACCA 'NCUOLL’Ô VOJO!
Letteralmente: buonanotte!la vacca à montato il bue. Id est: Accidenti: il
mondo sta andando alla rovescia e non v'è rimedio: ci troviamo davanti a
situazioni cosí contrarie alla norma che è impossibile raddrizzare.
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5. -QUANNO
'O VINO È DDOCE, SE FA CCHIÚ FORTE ACÌTO.
Letteralmente: quando il vino è dolce si muta in un aceto piú forte, piú aspro.Id est: quando una persona è d'indole
buona e remissiva e paziente, nel momento che dovesse inalberarsi,
diventerebbe così cattiva, dura ed impaziente da produrre su i terzi effetti
devastanti.
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6. 'O
DULORE È DDE CHI 'O SENTE, NO 'E CHI PASSA E TTÈNE MENTE.
Letteralmente: il dolore è di chi lo avverte, non di coloro che assistono
alle manifestazioni del dolente.Id est:per aver esatta contezza di un quid
qualsiasi - in ispecie di un dolore - occorre riferirsi a chi prova sulla
propria pelle quel dolore, non riferirsi al parere, spesso gratuito e non
supportato da alcuna pratica esperienza, degli astanti che - per solito - o
si limitano ad una fugace commiserazione del dolente , o - peggio! -
affermano che chi si duole lo fa esagerando le ragioni del proprio dolere.
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7. 'O FATTO D''E QUATTO SURDE.
Letteralmente: il racconto dei quattro sordi. Il raccontino che qui di
seguito si narra, adombra il dramma della incomunicabilità e la locuzione in
epigrafe viene pronunciata a Napoli a sapido commento in una situazione nella
quale non ci si riesca a capire alla stregua di quei quattro sordi che
viaggiatori del medesimo treno, giunti ad una stazione, così dialogarono: Il
primo: Scusate simmo arrivate a Napule? (Scusate, siamo giunti a Napoli?) Il
secondo: Nonzignore, cca è Napule!(Nossignore, qua è Napoli!) Il terzo: I' me
penzavo ca stevamo a Napule (Io credevo che stessimo a Napoli). Il quarto
concluse: Maje pe cumanno, quanno stammo a Napule, m'avvisate? (Per cortesia,
quando saremo a Napoli, mi terrete informato?).
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8. A
'NU CETRANGOLO SPREMMUTO, CHIÀVECE 'NU CAUCIO 'A COPPA.
Schiaccia con una pedata una melarancia premuta.Id est: il danno e la beffa;
la locuzione cattivissima nel suo enunciato, consiglia di calpestare un
frutto già spremuto; ossia bisogna vilipendere e ridurre a mal partito chi
sia già vilipeso e sfruttato, per modo che costui non abbia né la forza, nè
il tempo di risollevarsi e riprendersi.Il tristo consiglio è dato nel
convincimento che se si lascia ad uno sfruttato la maniera o l'occasione di
riprendersi, costui si vendicherà in maniera violenta e allora sarà
impossibile contrastarlo; per cui conviene infeierire e non dar quartiere,
addirittura ponendoselo sotto i tacchi come un frutto spremuto ed inutile
ormai.
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9.CHI
VA PE CCHISTI MARE, CHISTI PISCE PIGLIA.
Letteralmente: chi corre questi mari può pescare solo questo tipo di pesce.
Id est: chi si sofferma a compiere un tipo di operazione difficile e/o
pericolosa, non può che sopportarne le conseguenze, né può attendersi
risultati diversi o migliori.
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10. AMMORE,
TOSSE E ROGNA NUN SE PONNO ANNASCONNERE.
Amore, tosse e scabbia non si posson celare; le manifestazioni di queste tre
situazioni sono così eclatanti che nessuno può nasconderle; per quanto ci si
ingegni in senso opposto amore, tosse e scabbia saranno sempre palesi; la
locuzione è usata sempre che si voglia alludere a situazioni non celabili.
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11. 'MPÀRATE
A PPARLÀ, NO A FFATICÀ.
Letteralmente: impara a parlare, non a lavorare. Amaro, ammiccante proverbio
napoletano dal quale è facile comprendere che la disincantata osservazione
della realtà ci costringe a stabilire che è piú opportuno fondare la propria esistenza sul fumo
dell'eloquio, ritenuto però estremamente utile al conseguimento di mezzi di
sussistenza, molto piú dell'onesto e
duro lavoro (FATICA); in fondo la vita è dei furbi di quelli capaci di
riempirti la testa di vuote chiacchiere e di non lavorare mai vivendo
ugualmente benissimo.
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12. CHI
TROPPO S''O SPARAGNA, VENE 'A 'ATTA E SE LU MAGNA.
Letteralmente: chi troppo risparmia,viene la gatta e lo mangia. Il proverbio-
che nella traduzione toscana assume l'aspetto di un anacoluto sta a
significare che non conviene eccedere nel risparmiare, perché spesso ciò che
è stato risparmiato viene dilapidato da un terzo profittatore che disperde o
consuma tutto il messo da parte.
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13 'A
sotto p''e chiancarelle.
Letteralmente: attenti ai panconcelli! Esclamazione usata a sapido commento
di una narrazione di fatti paurosi o misteriosi un po' piú colorita del toscano: accidenti!Essa
esclamazione richiama l'avviso rivolto dagli operai che demoliscono un
fabbricato affinché i passanti stiano attenti alle accidentali cadute di
panconcelli(chiancarelle)le sottili assi trasversali di legno di castagno,
assi che poste di traverso sulle travi portanti facevano olim da supporto ai
solai e alle pavimentazione delle stanze.Al proposito a Napoli è noto
l'aneddoto relativo al nobile cavaliere settecentesco Ferdinando Sanfelice architetto e pittore (Napoli 1675 - ivi †1748), allievo
di F. Solimena,che costruito nel 1738
su commissione del marchese di Poppano Nicola Moscati un
palazzo [noto poi con il nome di ‘o
palazzo d’’o spagnuolo, soprannome del successivo acquirente Tommaso Atienza, détto appunto lo spagnolo
, per i suoi modi altezzosi e gradassi, quasi da gande di Spagna] nella zona
detta della Sanità, vi appose un'epigrafe dittante: eques Ferdinandus
Sanfelicius fecit(il cav. Ferdinando Sanfelice edificò) ed un bello spirito
partenopeo per irridere il Sanfelice paventando il crollo dello stabile,
aggiunse a lettere cubitali Levàteve 'a sotto (toglietevi di sotto! ). Il
termine chiancarella è un diminutivo derivato del lat. planca (asse di
legno)lo stesso termine che diede dritto per dritto il napoletano Chianca (macelleria/rivendita
di carne) perché un tempo la carne era esposta e sezionata su di un asse di
legno.
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14 -'O
TURCO FATTO CRESTIANO, VO' 'MPALÀ TUTTE CHILLE CA GHIASTEMMANO.
Ad litteram: il turco diventato cristiano vuole impalare tutti i
bestemmiatori. Id est: I neofiti sono spesso troppo zelanti e perciò
pericolosissimi.
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15 -'O
PATATERNO ADDÓ VEDE 'A CULATA, LLÀ SPANNE 'O SOLE
Ad litteram: il Padreterno dove vede un bucato sciorinato, lí invia il
sole. Id est: la bontà e la provvidenza del Cielo sono sempre presenti là
dove occorre.
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16.SPARTERSE
'A CAMMISA 'E CRISTO.
Letteralmente: dividersi la tunica di Cristo. Così a Napoli si dice di chi,
esoso al massimo, si accanisca a fare proprie porzioni o parti di cose già di
per sé esigue, come i quattro soldati che spogliato Cristo sul Golgota ,
divisero in quattro parti l'unica tunica di cui era ricoperto il Signore.
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17.
ESSERE AÚRIO 'E CHIAZZA E TRÍBBULO 'E CASA.
Letteralmente: aver modi cordiali in piazza e lamentarsi in casa. Cosí a
Napoli si suole dire di coloro -
specialmente uomini - che in piazza si
mostrano divertenti e disposti al colloquio aperto simpatico, mentre in casa
sono musoni e lamentosi dediti al piagnisteo continuo, anche immotivato.
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18. AVENNO,
PUTENNO, PAVANNO.
Letteralmente: avendo, potendo, pagando. Strana locuzione napoletana che si compendia
in una sequela di tre gerundi e che a tutta prima pare ellittica di verbo
reggente, ma che sta a significare che un debito contratto, ben difficilmente
verrà soddisfatto essendone la soddisfazione sottoposta a troppe condizioni
ostative quali l'avere ed il potere ed un sottinteso volere, per cui piú correttamente
il terzo gerundio della locuzione dovrebbe assumere la veste di verbo
reggente di modo finito; ossia: pagherò quando (e se) avrò i mezzi occorrenti
e quando (e se) potrò.
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19.AMMESÚRATE
'A PALLA!
Letteralmente: Misúrati la palla; id est: misura preventivamente ciò che stai
per fare cosí eviterai di incorrere in grossolani errori; non fare il
gradasso!: Rènditi conto di e con chi stai contrattando o con chi ti stai
misurando per non trovarti davanti ad esiti poco convenienti per te,
derivanti dalle tue errate azioni. La locuzione originariamente -
pronunciata, però, con diverso accento ossia: Ammesuràte (misurate!)era il
perentorio ordine rivolto dagli artiglieri ai serventi ai pezzi affinché
portassero proiettili di esatto calibro adatti alle bocche da fuoco in
azione.
20. VULÉ ‘O COCCO AMMUNNATO E BBUONO…
Si tratta di una divertente espressione che fu
antica nel suo significato originario casto ed ironico, ma che fu poi letta
successivamente (anni postbellici) attribuendole un senso sarcastico,
furbesco se non volgare. Illustro dapprima il significato originario casto ed
ironico,per poi soffermarmi sul significato furbesco.
In primis
ed ad litteram l’espressione si traduce : volere
l'uovo sgusciato e buono ( id est: pronto per esser mangiato).
Detto
ironicamente di chi sia cosí tanto scansafatiche, poltrone, lavativo da non
volersi impegnare neppure nei piú piccoli lavori e preferisca
esser servito di tutto punto; nella fattispecie il cialtrone di turno non
intende sottostare neppure alla risibile fatica di sgusciare un uovo
bollito...
Il cocco
della locuzione in effetti non è il
frutto della pianta tropicale, ma semplicemente l'uovo che, con voce gergale fanciullesca, è chiamato cocco richiamandosi al
noto verso della gallina: cocco(dè);
l'aggettivo
buono
unito al precedente aggettivo ammunnato
(mondato,sgusciato)è usato in questa e simili costruzioni( es.:cuotto e bbuono, pronto e bbuono) del
parlar napoletano non per significare la bontà del sostantivo cui è riferito,
quanto per designare l'immediata fruibilità del medesimo sostantivo di
riferimento; qui nel caso dell'uovo, una volta che sia mondato del guscio,
viene buono per esser súbito mangiato.
E passo
ad illustrare il significato furbesco che fu attribuito all’espressione negli
anni postbellici (1944 e ss.), allorché, a seguito dell’intervento
liberatorio degli alleati anglo-americani, la città di Napoli fu invasa da militi cui,
in cambio di poche am-lire, generi di prima necessità (pane, pasta,
cioccolato, grasso alimentare etc.) e/o generi di voluttà (liquori, tabacchi etc.), le giovani e meno giovani
donne popolane si concedevano;orbene, atteso che (nel linguaggio gergale dei
militi anglo-americani) il membro maschile è détto cock (lètto alla napoletana cocco
atteso che l’idioma napoletano rifugge da termini terminanti per consonante e
– nel caso lo siano – è d’uso adattarli con la paragoge d’ una vocale finale
(a/e/o) di timbro evanescente) ecco
che con l’espressione vulé ‘o cocco
ammunnato e bbuono… non ci si riferí piú a chi fosse cosí infingardo da
non voler neppure accollarsi la fatica di sgusciare un uovo,ma ci si riferí piuttosto a quelle tali
sfacciate popolane che, pur di ottenere qualche lira e generi di
vettovagliamento per sé e la propria famiglia, non disdegnavano di concedersi
anche in assenza di qualsiasi protezione: condom, profilattico, guanto che fósse
e l’espressione vulé ‘o cocco ammunnato
e bbuono… venne intesa appunto volere
il fallo, l’asta (anche) nudo di protezione...incurandosi del pericolo di
infezioni e/o gravidanze indesiderate; in tale nuova accezione poi
l’espressione venne riferita a chiunque, pur di ottenere qualcosa, non
mettesse in conto pericoli o insidie, azzardi,incognite; va da sé che in tale
seconda lettura il termine cocco
non fu piú voce onomatopeica usata per indicare l'uovo, voce richiamante il
verso della gallina, ma fu l’aperta palese corruzione/adattamento – come ò détto
- dell’anglo-americano cock =
membro maschile.
Raffaele
Bracale
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