1)‘O CIUNCO E ‘O CECATO 2)’E SURDATE ‘E GIACCHINO:
PEZZIENTE E FANTASIUSE.
Ancóra una
volta tenterò di dare adeguata risposta ad un quesito dell’amico P.G. (al solito, motivi di
riservatezza mi impongono di riportar
solo le iniziali di nome e cognome di chi mi scrive per sollecitar ricerche)
che mi à chiesto di mettere a fuoco portata, significato e valenza delle
due antiche espressioni in epigrafe,
molto usate un tempo e che ancóra si possono cogliere sulle labbra dei
napoletani d’antan.Le due locuzioni non ànno punti di contatto per cui me ne
occuperò separatamente cominciando da quella sub 1) ‘O ciunco e ‘o cecato. Ad
litteram essa sta per il paralitico ed il cieco ed è espressione usata con
riferimento sarcastico ad una coppia di individui che male in arnese procedano
di conserva tendando inutilmente di prestarsi aiuto reciproco che non
potrebbero mai fornirsi attese le pesanti menomazioni di cui son portatori. In
senso piú ampio se non per motafora è locuzione da usarsi nei confronti di
qualunque coppia di soggetti male assortiti che non possono sortire né sortiscono dal proprio operato
risultati positivi poste le gravi carenze o
insufficienze fisiche, ma piú spesso morali, di cui son portatori.In
origine ( fine del XVI e l'inizio del
XVII sec.) l’espressione nacque con riferimento ad un’autentica coppia di individui, due
musicanti (male in arnese) che si esibivano di conserva
dandosi, ma non si sa quanto reale e proficuo, aiuto. I due individui furono lo
storpio Janne de la Carreòla (Giovanni della Carriola) cantastorie che armato di calascione si esibiva assiso su
di una carriola, ed il cieco Junno cecato.che l’accompagnava
suonando verosimilmente il violino.Di
questo Giovanni della Carriola se ne ignorano il cognome ("della
Carriola" è un evidente soprannome relativo al veicolo col quale o sul
quale, essendo storpio privo delle gambe,
si spostava, aiutandosi con le mani o
lasciandosi trainare), il luogo e la data di nascita precisi. Si sa che
fu poeta popolaresco e cantastorie attivo a Napoli, come ò détto, tra la fine del XVI e l'inizio del XVII sec.
Ad attestare la notevole consistenza della sua fama, il suo nome ricorre nelle
maggiori opere dialettali napoletane dei primi decenni del Seicento: nel Micco
Passaro di G. C.Cortese(Napoli, 1570 –† Napoli, 1640), accostato con intenti ironici a quello del Tasso(Sorrento, 11 marzo 1544 –† Roma, 25 aprile
1595) (e tale contiguità, anche se
volutamente paradossale, resta degna di nota), nel LoCunto de li cunti di G.B.
Basile(Giugliano
in Campania, 1575 –† Giugliano in Campania, 23 febbraio 1632), significativamente primo nella triade dei principali
"cantature" di Napoli che l'Orca del racconto Le tre corone (jornata
IV, trattenimiento VI) invoca nel suo giuramento, e nella Tiorba a taccone, il canzoniere
dell'enigmatico F. Sgruttendio,(di cui si ignora ogni dato anagrafico), inserito in elenchi di cantastorie ormai
scomparsi, rievocati con tono di affettuosa nostalgia.
Il della
Carriola risulta autore di tre brevi
componimenti in ottave: la Favola bellissima dimandata sdegno d'amanti, La
morte di Martia Basile napolitana, e il Dialogo tra un povero di campagna et un
ricco della città.Il secondo dei tre poemetti fornisce un'utile indicazione
cronologica trattando di un episodio realmente accaduto a Napoli nel 1603 (come
Benedetto Croce poté provare attraverso documenti, l'esecuzione di Martia/Marzia
avvenne il 7 aprile di quell'anno) ed essendo verosimilmente stato scritto
"a caldo", è anche il solo nel quale compaia il nome dell'autore a
mo' di firma nel testo stesso che termina con i versi: "Et io Giovanni
della Cariola / fermo la penna, inchiostro, e la parola". Ugualmente
mancano precise notizie biografiche dell’altro musicante noto come Junno cecato ( il Biondo cieco)
che con Janne de la Carreòla formarono
una coppia antesignana di posteggiatori.
Janne nome proprio m.le =
Giovanni (dal lat. Iohannes→I(oh)anne(s)→Janne)
che dalla voce ebraica d’origine vale dono
del Signore.
carreòla nome comune f.le
= carriola
1
piccolo carretto di forma svasata, con una ruota e due stanghe, che si spinge a
mano
2 quantità di materiale che può essere contenuta in questo carretto: una
carriola di sabbia.
3 come nel caso che ci occupa piccolo mezzo di trasporto di fortuna costituito da un
contenuto piano di legno munito di una corda e di quattro piccole rotelle montate su due assi di
cui quella anteriore orizzontabile a dritta o a mancina; tale mezzo era usato
(antesignano della sedia a rotelle) o dagli storpi privi di gambe oppure quale
mezzo ludico dai bambini con il nome di carruocciolo o carruocelo (a seconda
che fosse usato nella zona collinare della città dove era détto carruocciolo
per il maggior strepitio che produceva, oppure fosse usato nella zona
pianeggiante della città bassa dove era détto carruocelo con voce piú pacata stante il minor rumore
ch’esso produceva...); la voce carreola è un denominale del lat. carru(m) addizionato del suffisso diminutivo f.le ola dal
m.le olus; ugualmente dal
lat. carru(m) deriva carruocciolo/ carruocelo qui però
addizionato non solo del suff. diminutivo
olo/elo← olus , ma anche del
suffisso occio/oce suffisso alterativo dal lat. volg. -oceu(m); con valore diminutivo-vezzeggiativo;
Junno di per sé agg.vo m.le, ma qui usato come
soprannome = biondo; etimologicamente junno è(cfr. D.E.I.)un prestito dell’ant.
francese blond→biondo→(b)iondo→jonno/junno
ciunco agg.vo
m.le il f.le è per metafonesi cionca = storpio/a
paralitico/a sciancato/a, paraplegico/a, impedito/a nei movimenti degli
arti superiori e/o inferiori; quanto all’etimo il prof. D’Ascoli fantasiosamente
ipotizza un non attestato lat. reg. *concius
deverbale di un *conciare; non ci
siamo: la fantasia può aiutare a trovare gli etimi, non può inventarseli senza
darne conto né morfologico, nè semantico!
Secondo l’amico
prof.C. Iandolo e l’amico avv.to Renato
de Falco si tratta invece di un
deverbale di truncare (atteso che lo storpio è privato di uno o piú arti o quanto meno ne è
impedito nell’uso; semanticamente la faccenda potrebbe reggere, ma nè Iandolo,
nè il de Falco spiegano come
faccia (morfologicamente) il gruppo consonantico tr a diventare ci; mi
spiace per loro, ma non mi convincono, quantunque il de Falco in una sua lezioncina orale
rammentò che i siciliani usano leggere ci
il gruppo consonantico tr (cfr.
Trapani lètto Ciapani),ma a mio parere, non basta! Trovo invece che ci si possa
lasciar convincere dall’idea di chi (S. Giarrizzo ed altri) legge in
ciunco un lat. uncus(= contratto, rattrappito, piegato) con prostesi d’un
antico prefisso k donde
uncus→kuncus→ciunco.
cecato
agg.vo m.le = cieco, non vedente privo
della vista, dell’uso degli occhi; di
per sé voce verbale (participio passato dell’infinito cecà/cecare che in italiano è anche presente con
morfologia addizionata in posizione protetica
di un rafforzativo ad→ac
ottenendo accecare: i verbi cecà/cecare ed accecare son comunque denominali del
lat. caecu(m).
E veniamo alla
locuzione sub 2) ’E surdate ‘e Giacchino: pezziente e
fantasiuse. Ad litteram essa sta per I soldati di Gioacchino (Murat):
poveri, ma altezzosi ed è espressione
usata con riferimento sarcastico a tutte quelle persone che confidando sulle
sole apparenze si mostrino nei rapporti interpersonali altere, arroganti, boriose,
presuntuose, sprezzanti, spocchiose pur
in mancanza di ricchezze materiali e/o
ancór piú di risorse morali o
capacità operative; per venire a capo del perché di tale riferimento ironico
che pervade l’espressione occorre rammentare che Gioacchino Murat nato Joachim (Labastide-Fortunière, 25 marzo 1767 – †Pizzo
Calabro , 13
ottobre 1815),cognato
di Napoleone Bonaparte fu un generale francese,poi dal 1808 re di Napoli; in tale veste
nel riordinare l’esercito pur decurtando il soldo dei
militari,rendendoli perciò quasi poveri,
provvide a fornire la truppa (non soltanto gli ufficiali, ma anche i
militi semplici) di sfarzose, rutilanti divise di cui essi militari si
gloriavano pavoneggiandosi soprattutto con le donne ed ostentando con gli
uomini albagia, boria, superbia, vanità,
vanagloria, tracotanza fondate sul nulla.Cosí ad un dipresso si comportano
quegli individui cui vien riferita
l’espressione usi come sono, nei rapporti interpersonali a
pavoneggiarsi, ad andar tronfi
compiacendosi di se stessi,
relazionandosi con il prossimo da una posizione arrogante e/o boriosa,
boria che poggia però sul nulla, non avendo la persona che inalberi quel tal
comportamento arrogante veri motivi o
conclamate ragioni su cui poggiarlo.
surdate s.vo m.le pl. di surdato = 1 un
tempo, chi faceva il mestiere delle
armi per il soldo; mercenario:
2 oggi, chi milita in un
esercito; militare, soldato; voce denominale di sordo (soldo)
dal lat. solidu(m)→sol(i)du(m)→
soldu(m)→sordo (nummum) '(moneta)
massiccia', nome di una moneta d'oro romana dell'età imperiale:
pezziente/i agg.vo e s.vo m.le pl. di pezzente mendicante, straccione; persona che vive in
condizioni di estrema miseria: jí vestuto
comme a ‘nu pezzente(andare vestito
come un pezzente); paré ‘nu
pezzente(sembrare un pezzente)
| persona meschina, eccessivamente attaccata al denaro: fà ‘o pezzente (fare il
pezzente).è anche voce dell’italiano (dove al pl. è però pezzenti al contrario del napoletano dove nel
pl. la sillaba implicata[cioè seguíta da
due consonanti] ze di pezzente per
ragioni di metafonia dittonga), è anche voce dell’italiano ma di patente origine merid., propriamente part. pres. del napol. pezzire
'chiedere l'elemosina', che è dal lat. volg. *petire, per il class. petere
'chiedere'.
fantasiuse agg.vo m.le pl.
di fantasiuso
1pieno, ricco di
fantasia; estroso, bizzarro: una persona, una mente fantasiosa; un'architettura
fantasiosa
2 che non à corrispondenza con la realtà; inverosimile:
3 come nel caso che ci occupa altezzoso,
borioso spocchioso, arrogante, vanaglorioso, tronfio; è voce etimologicamente
denominale di fantasia addizionata del suffisso uso/oso suffisso di aggettivi derivati dal latino o tratti da nomi,
dal lat. -osu(m); indica presenza, caratteristica, qualità; la voce
fantasia in napoletano vale oltre che
estro ispirazione, vena, fantasia, creatività; inclinazione, propensione, anche boria, spocchia (cfr. se nn’è gghiuto ‘nfantasia= si è montato
la testa) ed è dal lat. phantasia(m), che è dal gr. phantasía
'apparizione, immaginazione', da phantázein 'far vedere').
E qui giunto mi fermo
convinto d’avere esaurito l’argomento, d’aver adeguatamente risposto al quesito
dell’amico P.G. e sperando d’avere
interessato i miei consueti ventiquattro
lettori.
Satis est.
R.Bracale Brak
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