LA
SMORFIA NAPOLETANA COMPLETA
Illustro, qui di
sèguito, tutti i 90 numeri con i relativi significati corrispondenti ai singoli
numeri, cosí come tradizionalmente riportati nella smorfia (ma segnalando
passim anche significati alternativi attribuiti a taluni numeri in tradizioni
familiari) o cabala (che etimologicamente è dall'ebr. qabbalah, cioè propr.
'dottrina ricevuta, tradizione' ed è l’arte con cui, per mezzo di numeri,
lettere o segni, si presumeva e si presume di indovinare il futuro o di svelare
l'ignoto | (estens.) operazione magica; cosa misteriosa, indecifrabile | cabala
del lotto, serie di operazioni aritmetiche per indovinare i numeri del lotto
che potrebbero sortire) libro dei sogni in cui ad ogni avvenimento, persona o
cosa sognati si assegna un numero di riferimento, tradizionale napoletana.
Comincio con il contemplare i numm. da 1 a 30, non prima di aver détto che con la parola smorfia non
si intende la contrazione del viso che ne altera il normale atteggiamento ed è
provocata per lo piú da sensazioni dolorose o spiacevoli; ad es.: una smorfia
di dolore,...; in tale accezione la parola si fa derivare da un antico
sostantivo morfa o morfía = bocca addizionato di una s distrattiva per
significare il movimento contrattivo che altera i normali caratteri della
bocca; rammenterò al proposito di morfía = bocca che da esso termine si trasse
il verbo gergale della parlesia (gergo ossia linguaggio convenzionale usato
dagli appartenenti a determinate categorie o gruppi sociali al fine di non
farsi intendere da chi ne è estraneo: nella fattispecie linguaggio dei dei
suonatori ambulanti) smorfí/smurfí = mangiare; in effetti la parola smorfia
come nome dato al libro dei sogni da cui si ricavano i numeri per il lotto,
spec. quello con figure destinato agli analfabeti, etimologicamente si fa
risalire a Morfeo, nome del mitologico dio del sonno. Ciò detto, cominciamo
l’elencazione:
1 – L’ITALIA cioè a dire: la nazione che abitiamo;
etimologicamente il nome sta per o terra dei vitelli o, ma meno probabilmente,
terra dei fiumi; nell’un caso e nell’altro la porzione di territorio detta
Italia fu in origine quella meridionale e segnatamente quella calabra-lucana
bagnata dal Tirreno, per modo che si può dire che storicamente i Savoia del
risorgimento usurparono oltre che il territorio, persino il nome d’ Italia!
Fu solo nel tardo ottocento che, in omaggio alla raggiunta
unità col numero 1, nella smorfia si indicò l’Italia; precedentemente pare che
a Napoli con il numero 1 si indicasse il REAME o il SOLE.
2- ‘A PICCERELLA= la bambina etimologicamente voce derivata
da un lemma fonosimbolico pikk (donde anche l’italiano: piccino) con
ampliamento della base attraverso rillo/rella(piccerillo/piccerella) o altrove
reniello/renella (piccereniello/piccerenella).
3- ‘A GATTA = la gatta, il gatto etimologicamente voce
derivata da un accusativo femminalizzato di un basso latino
cattu(m)>catta(m).
4- ‘O PUORCO=il maiale, il porco etimologicamente voce
derivata da un accusativo
del basso latino porcu(m).
5- ‘A MANA = la mano etimologicamente voce derivata da un
accusativo latino manu(m) reso femminile mana(m); anche nel toscano anticamente
la mano fu mana.
6 – CHELLA CA GUARDA ‘NTERRA = la cosa che guarda a terra ,
eufemistico giro di parole usato furbescamente per indicare la vulva femminile
etimologicamente voce derivata da un accusativo basso latino vulva(m) variante
di volva(m)= matrice.
7 – ‘O VASETTO che letteralmente è il piccolo vaso,
quantunque qualcuno – seppure erroneamente - lo ritenga diminutivo non di vaso
(nome generico di recipienti di varia forma e materiale che per lo piú servono
a contenere e a conservare prodotti alimentari, e come tale etimologicamente da
un lat. volg. vasu(m), per il class. vas vasis), ma di vaso(= bacio che come
tale etimologicamente è dal latino basiu(m));in effetti nel pretto napoletano
il diminutivo usato di bacio non è vasetto, ma vasillo!
8 – ‘A MARONNA e segnatamente ‘A ‘MMACULATA = LA Madonna ed
in particolare la Madonna Immacolata, atteso che nella religione cattolica, la
festa liturgica della Vergine Immacolata cade agli 8 di dicembre; maronna o
anche madonna sono voci che etimologicamente vengono dal latino mea+domina= mia
signora; è titolo d’onore che un tempo si dava alle donne e che oggi è
riservato esclusivamente alla Madre di Cristo; in Abruzzo e in taluni paesini
del Piemonte è titolo di rispetto usato dal popolino ed in particolare dalle
nuore rivolto alle suocere; ‘mmaculata sta per immacolata ed etimologicamente è
voce derivata dall’unione di un in detrattivo + il sostantivo macula nonché il
suffisso aggettivale ato/a (come a dire senza macchia ); interessante notare
come l’in detrattivo, diventato proclitico della voce macula abbia perduto la i
d’avvio sostituita dal segno della procope (‘) producendo altresí
l’assimilazione progressiva nm> mm.
9 – ‘A FIGLIATA = la figliolanza o il frutto del parto e
cioè l’insieme di tutti i figli generati con lo stesso parto; etimologicamente
è voce deverbale (anticamente usata anche nel toscano, ma ora ammessa raramente
e solo in riferimento al parto degli animali) derivata del verbo figliare
(generare, partorire) che è da un non attestato latino filiare derivato di
filium.
10 – ‘E FASULE = i fagioli, etimologicamente è voce
derivata dal basso latino faseolu(m) dim. di phasílus, dal gr. phásílos e con
detto termine si indica in primis i legumi edibili, ma anche estensivamente i
soldi, atteso che - come altrove dissi - i legumi (fagioli, ceci etc.) un tempo
furono usati come merce da baratto.
11 – ‘E SURICE = i sorci, i topolini (etimologicamente è
voce derivata dall’accusativo sorice(m) del latino sorex/ricis) e nella
fattispecie sono segnatamente quelli che talvolta inopinatamente invadono le
abitazioni domestiche, da non confondere con i ratti o peggio ancora con i
grossi topi da fogna detti zoccole ( vedimi alibi sub TOPI).
12 – ‘E SURDATE = i soldati (intesi come militari di
truppa, inquadrati in plotoni, squadre, battaglioni, compagníe etc.)
etimologicamente surdate plurale di surdato è voce deverbale (participio
passato) di soldare che sta per prendere al soldo,reclutare milizie; a sua
volta soldo è dal latino solidu(m) (nummum) “moneta massiccia”, nome di una
moneta d'oro romana dell'età imperiale.
13 – SANT’ANTONIO esattamente è sant’Antonio da Padova il
santo predicatore portoghese, al secolo Fernando Bulhão (Lisbona, 15 agosto
1195 - Padova, 13 giugno 1231) è stato un frate francescano, ed è santo e
dottore della Chiesa cattolica, che gli tributa da secoli una fortissima
devozione.Prima agostiniano a Coimbra (1210), poi (1220) francescano, viaggiò
molto vivendo prima in Portogallo quindi in Italia; la sua ricorrenza liturgica
cade appunto il 13 giugno donde il numero 13 assegnatogli nella smorfia; esiste
però un altro sant’Antonio venerato nella tradizione della Chiesa cattolica ed
è Sant'Antonio Abate chiamato anche Sant'Antonio il Grande, Sant'Antonio
d'Egitto, Sant'Antonio del Fuoco, Sant'Antonio del Deserto o Sant'Antonio
l'Anacoreta (251?-356), eremita egiziano, che è considerato l'iniziatore del
Monachesimo cristiano e il primo degli Abati in quanto a lui si deve la
costituzione in forma permanente di famiglie di monaci che sotto la guida di un
padre spirituale abbà, si consacrano al servizio di Dio, ma dai napoletani che
gli sono devotissimi, tale santo (la cui ricorrenza liturgica è fissata ai 17
di gennaio è chiamato sant’Antuono, appunto per distinguerlo dal santo Antonio
predicatore portoghese.
14 – ‘O ‘MBRIACO = l’ubriaco, l’ebbro, ed estensivamente il
frastornato etimologicamente è voce derivata da un in illativo + un tardo
latino (e)briacu(m) per il classico ebrius (ebbro); come abbiamo già visto
altrove l’in proclitico comporta la procope della i segnata con (‘) e dopo la
caduta della sillaba d’avvio e di ebriacum il consueto mutamento della n in m
dinnanzi all’esplosiva b.
15 – ‘O GUAGLIONE = il ragazzo, l’adolescente, da non
confondere con il bambino, il piccino o addirittura il lattante che son detti
volta a volta con altri termini quali: ‘o criaturo (da un tardo latino
creatura(m)), ‘o piccerillo (da un lemma fonosimbolico pikk che diede anche
piccino con base ampliata in rillo), ‘o nennillo(diminutivo di ninno che è voce
onomatopeica fanciullesca) che se piccolissimo è addirittura n’anema ‘e dDio;
per quanto riguarda la controversa etimologia di guaglione rimando a ciò che
alibi sub guaglione trattai ad abundantiam.
16 – ‘O CULO = il culo, sedere, deretano che
etimologicamente è voce derivata dal greco koilos attraverso il basso latino
culu(m); rammenterò, per il gusto di ricordarlo che nelle tombole familiari (in
cui si usi accanto al numero estratto ricordarne anche il significato, allorché
venga estratto il detto numero chi sta compiendo l’operazione , in luogo di
dire:”Sidece, ‘o culo!” amenamente intima: “ 16! Copritelo!” volendo
significare : Ponete un segnalino sul numero che ò estratto, ma volendo anche
lasciare intendere per giuoco: Chi avesse il proprio sedere scoperto, lo
ricopra!
17 – ‘A DISGRAZZIA = la disgrazia, l’ accidente,l’
infortunio, la cattiva sorte, la sventura etimologicamente è voce derivata
dall’unione del prefisso negativo latino dis + il sostantivo gratia(m) che è da
gratus= gradito nel senso che grazia o grazzia sta per cosa gradita e di
conseguenza disgrazzia (correttamente scritto in napoletano con la doppia z )
sta per cosa sgradita in quanto sventurata.
18 – ‘O SANGO = il sangue e segnatamente quello umano
versato a seguito di ferimenti per aggressioni subíte; etimologicamente è voce derivata
con ogni probabilità da un acc. latino sangu(m) metaplasmo volgare di un basso
latino sangue(m)collaterale del classico sanguine(m) .
19 - ‘A RESATA = la risata, il ridere in modo sonoro e
prolungato e segnatamente quello a squarciagola, indice di allegria esuberante
e rumorosa; etimologicamente è voce costruita come derivazione femminile sul
sostantivo lat. risu(m), a sua volta deriv. di ridíre “ridere”.
20 – ‘A FESTA= la festa e segnatamente quella annessa ad
una ricorrenza religiosa, ma anche pagana-popolare; ad es.: ‘a festa ‘e san
Gennaro, ‘a festa ‘e piererotta; etimologicamente festa è voce costruita sul
neutro plurale (poi inteso femminile dell’aggettivo latino festum =solennità
gioiosa; il festum latino pare sia da agganciarsi al greco estiào per festiào =
festeggio banchettando e – per vero – non v’è a Napoli festa o festività che ,
giusta l’origine greca dei partenopei, non abbia per corollario un lauto
banchetto.
21 – ‘A FEMMENA ANNURA = la donna nuda, intesa come emblema
non della lascivia, ma della prorompente bellezza; nell’immaginario collettivo
partenopeo la donna nuda è in ogni caso uno spettacolo bello ed apprezzabile; è
da notare che nella smorfia il numero che connota questa donna nuda sia appunto
il 21 quello che segue il numero 20 che indica la festa essendo intesa la donna
nuda quasi un naturale ed adeguato completamento/corollario della predetta
festa ; etimologicamente femmena è dal latino femina(m), voce connessa con
fecundus “fecondo”; normale il raddoppiamento popolare della m in parola
sdrucciola; annura è il femminile di annuro che è da ad+nudus, parola nella
quale la prima d à subíto l’assimilazione progressiva nd>nn, mentre la
seconda d à subíto la tipica rotacizzazione mediterranea per cui d>r.
22 – ‘O PAZZO = il pazzo, il folle, il matto e segnatamente
non il conclamato malato affetto da pazzia o altre affezioni mentali, ma colui
che d’improvviso e senza un preciso movente dia in escandescenze diventando
pericoloso ed aggressivo; infatti il malato affetto da pazzia in napoletano è
detto malato ‘e capa, mentre del secondo s’usa dire: è asciuto pazzo o è
asciuto a ‘mpazzí id est: è impazzito; etimologicamente la voce pazzo si fa
risalire al latino patior = soffro, ma a mio avviso non gli è estraneo il greco
pàthos = infermità di corpo od anima, senza dimenticare che sempre il greco
patheía pronunziato pathîa conduce dritto per dritto a pazzia.
23 – ‘O SCEMO = lo scemo, lo sciocco, il tonto;
etimologicamente la voce scemo viene dal latino semum e cioè non completo,
dimezzato, mancante di una parte; da notare come la s + vocale produce la sc
palatale come altrove simia diede scigna, ne-ipsu-unum diede nisciuno
etc.Rammenterò che negli anni ’50 del ventesimo secolo, in Napoli il piú famoso
scemo fu quello d’’e melacotte; questo povero scimunito di cui dico,
riconoscibile anche di lontano per le sue sembianze quasi scimmiesche e per la
sua andatura barcollante e dinoccolata strappava la vita trasportando un
piccolo carretto a mano sul quale esponeva un congruo numero di mele cotte al
forno, mele che vendeva in giro nei mesi invernali; nei mesi estivi sostituiva
il carretto ligneo, con altro piú maneggevole col quale portava un giro, per
venderlo ad un contenutissimo prezzo un suo sorbetto che serviva in croccanti
cialde da gelato, sorbetto che usava reclamizzare al grido di: Garantito al
limone! volendo significare che il suo sorbetto era prodotto con autentico
succo di limone e non con polverine chimiche! Oggi ‘o scemo d’’e melacotte –
parce sepultis!, non si aggira piú per Napoli, ma nei mesi estivi ancora
qualche suo epigono proclama che il sorbetto che pure lui vende è garantito al
limone, temo però che si tratti di millantato credito!
24 – ‘E GGUARDIE ed alibi ‘A PIZZA - di per sé nel
significato primo si indicherebbero le guardie (e segnatamente quelle che
prestano il loro servizio di notte in istrada) che furono di pubblica sicurezza
ed oggi: polizia di stato, ma nell’immaginario colletivo dei sognatori, meglio
delle sognatrici partenopee rientrano sotto la voce guardie e dunque sotto il
num. 24 non solo gli agenti di P.S., ma ogni altro addetto alla sicurezza:
vigili urbani, carabinieri etc purché sognati in divisa ed armati; guardia di
cui guardie è il plurale, etimologicamente è giunta nel napoletano attraverso
il portoghese guardia, dal gotico vardia = custode,difensore, vigilante; sotto
il medesimo numero 24 alibi, specialmente in talune smorfie familiari si
considera ‘a pizza(dal latino pinsam placentam=focaccia schiacciata dal verbo
pinsere=pigiare, schiacciare con ns>nz>zz per assimilazione regressiva)la
pizza (sia pure in senso generico, atteso che il piú usuale cibo popolare
partenopeo, che come tale si conquistò un posto nella smorfia, è considerato
anche con moltissimi altri numeri, secondo come sia variamente condita, per cui
si à: p. napoletana – 2,p.dolce -36, p. rustica – 37, p. con sugna e formaggio
– 61, p. con alici fresche – 62, p. pomidoro e mozzarella – 53 etc.
25 – NATALE Si tratta ovviamente della festività del santo
Natale con cui si commemora la natività di N.S. Gesú Cristo e non occorre
dilungarsi una volta ricordato che tale festività è fissata tradizionalmente
nel calendario liturgico della Chiesa cattolica ai 25 di dicembre donde il
numero assegnatole nella smorfia. Rammenterò che storicamente nessun testo
riporta come data di nascita del Signore il 25 dicembre ed essa fu stabilita
perché gli antichi romani in tale data solevano festeggiare il dio Sole
sorgente, di talché la Chiesa ritenne opportuno far propria la data assegnandola
alla nascita di Cristo inteso quale autentico SOLE dell’umanità; quanto
all’etimologia la parola natale è un aggettivo sostantivato dal lat. natale(m)
concernente la nascita', deriv. di nasci “nascere”.
26 – NANNINELLA = Annina, cioè diminutivo vezzeggiativo del
nome proprio ANNA quello che la tradizione cattolica assegna alla presunta
anziana genitrice della Vergine Maria; poiché la memoria liturgica di tale
santa cade ai 26 di luglio, ecco che il medesimo num. 26 è collegato nella
smorfia a tale vecchia santa, sotto la cui figura tradizionalmente viene
adombrata ogni anziana genitrice che venga sognata.
Quanto all’etimologia il nome Anna ed il corrispondente
vezzeggiativo partenopeo Nanninella derivano da una voce ebraica: Hannah nel
significato di grazia, beneficio; quantunque di s. Anna ci siano poche notizie
e per giunta provenienti non da testi ufficiali o canonici, il suo culto è
estremamente diffuso sia in Oriente che in Occidente ed il suo nome è portato
da moltissime donne magari addizzionato a quello di Maria (amata da Dio)
ottenendo Anna Maria o anche Annamaria.
Tradizionalmente s. Anna è la protettrice di tutti i
mestieri legati alla funzione materna: lavandaie, ricamatrici etc.
27 – ‘O CÀNTERO = grosso vaso da notte, pitale da non
confondere con ‘o rinale che è appunto l’orinale, vaso molto piú piccolo del
càntero o càntaro alto e vasto cilindrico vaso dall’ampia bocca su cui ci si
poteva comodamente sedere, atto a contenere le deiezioni solide;
etimologicamente la voce càntero o càntaro è dal basso latino càntharu(m) a sua
volta dal greco kàntharos; rammenterò ora di non confondere la voce a margine
con un’altra voce partenopea cantàro (che è dall’arabo quintâr) diversa per
accento tonico e significato: questa seconda infatti è voce usata per indicare
una unità di misura: cantàio= quintale ed è a tale misura che si riferisce il
detto napoletano: Meglio ‘nu cantàro ‘ncapo ca n’onza ‘nculo ( e cioè: meglio
sopportare il peso d’un quintale in testa che (il vilipendio) di un’oncia nel
culo (e non occorre spiegare cosa sia l’oncia richiamata…)); molti napoletani
sprovveduti e poco informati confondono la faccenda ed usano dire,
erroneamente: Meglio ‘nu càntaro ‘ncapo…etc.(e cioè: meglio portare un pitale
in testa che un’oncia nel culo!), ma ognuno vede che è incongruo porre in
relazione un peso (oncia) con un vaso di comodo (càntaro) piuttosto che con un
altro peso (cantàro)!
28 – ‘E ZZIZZE = i seni, le mammelle di esseri umani e
bestie, ma segnatamente quelle della donna, intese piú che come organo della
lattazione, come elemento di attrazione sessuale; etimologicamente la voce
zizza, di cui zizze è il plurale viene per adattamento dall’ accusativo latino
titta(m)= capezzolo forse attraverso una forma aggettivale tittja(m) dove il
ttj intervocalico diede zz che influenzò anche la sillaba d’avvio ti>zi.
Rammenterò a proposito della voce a margine un antico detto partenopeo che
recita:
'A meglia vita è cchella d''e vaccare pecché, tutta 'a
jurnata, manejano zizze e denare. Ad litteram: la vita migliore è quella degli
allevatori di bovini perché trascorrono l'intera giornata palpando mammelle
(per la mungitura delle vacche) e contando il denaro (guadagnato con la vendita
dei prodotti caseari); per traslato se ne ricava il significato edonistico : la
vita migliore è quella che si trascorre tra donne e denaro.
29 – ‘O PATE D’’E CCRIATURE= il padre di bambini/e e cioè
l’organo maschile della riproduzione, senza del quale si pensava fosse
impossibile mettere al mondo dei nati, il péne; il giro di parole fu eufemisticamente
usato per evitare di pronunciare parole piú disdicevoli; per vero tale
circonlocuzione non è solo napoletana, ad un dipresso la si ritrova anche
altrove; nel dialetto romanesco il poeta G.G.Belli trattando del medesimo
organo riproduttivo intitolò un suo divertente sonetto addirittura Er padre de
li santi e in riferimento all’organo femminile La madre de li santi.
Prendiamo in esame la voce ‘e ccriature; scritta con la
geminata iniziale cc essa è il plurale di criatura/o (che etimologicamente vengono
dal latino creatura(m)) comprendente i due generi maschile e femminile: insomma
‘e ccriature sono onnicomprensivamente i nati maschi e femmine e talvolta anche
solo le nate femmine; mentre usando la c scempia: ‘e criature si indica il
plurale del maschile criaturo e dunque i soli nati maschi.
30 – ‘E PPALLE D’’O TENENTE e cioè le munizioni dell’obice
di competenza del tenente, ma per traslato furbesco i testicoli che intesi,
impropriamente, sferici vengono assomigliati alle sferiche palle da cannone; va
da sé che il tenente richiamato è ampiamente pretestuoso, suggerito come fu
dalla facile rima con trenta.
Rammenterò che nei tempi andati, durante le estrazioni dei
numeri nel corso di tombole familiari e perciò ridanciane quando chi estraeva i
numeri annunciava: Trenta! ‘E ppalle d’’o tenente! invariabilmente trovava un
capo ameno che commentava per dileggio: Tu ‘e sciacque e i’ tengo mente… (tu le
sciacqui ed io guardo!) e va da sé che non intendesse riferirsi alle munizioni…
Quanto all’etimo la parola tenente è part. presente del
verbo tenire corradicale di tendere ed identifica l’ufficiale di grado
superiore a sottotenente e inferiore a capitano, ma essendo un riferimento
ameno non mette conto soffermarsi oltre.
31 – ‘O PATRONE ‘E CASA= il padrone di casa, il
proprietario di casa, ma non colui che possegga la casa dove abiti, quanto
colui che possessore di uno o piú appartamenti li ceda da locatore a dei
locatarî contro pagamento di un canone di locazione mensile o annuale detto in
toscano fitto o pigione, ed in napoletano pesone che è dall’acc. latino
pensone(m)dal verbo pendere= pesare, pagare; rammenterò che (come già dissi
alibi) un tempo ‘o pesone era corrisposto annualmente in ragione di quattro
mensilità anticipate ( 4 gennaio,4 maggio, 4 settembre), dunque tre volte
all’anno di talché le quattro pigioni finirono per esser dette tierze alla
medesima stregua degli interessi derivanti dai titoli obbligazionarî, interessi
che venivano riscossi tre volte all’anno contro esibizione delle relative cedole
dette in napoletano cupune ed al singolare cupone (dal francese coupon =
tagliando). Detti tierzi intesi come interessi di un capitale impiegato (beni
immobili o titoli obbligazionarii) ritornano nel detto napoletano: perdere
tierze e capitale detto usato ad amaro commento di situazioni nelle quali si
verifichi un tracollo finanziario grave che ponga chi lo subisce nella pessima
condizione di veder sparire tutto: capitali ed interessi; va da sé che
l’espressione possa essere intesa in piú ampi e traslati significati con
riferimento ad ogni perdita cosí grave nella quale ci si possa rifondere ad es.
lavoro e salute o tempo e danaro e cosí di sèguito.
32 – ‘O CAPITONE = il capitone e cioè la grossa anguilla
femmina, regina delle napoletane tavole di magro della vigilia di Natale,
allorché viene ammannito arrostito alla brace, in carpione, in umido all’agro o
fritto; la voce capitone etimologicamente è dall’accusativo latino capitone(m)
da capito/onis collaterale di caput/tis in quanto oltre il corpo à una testa
molto pronunciata; rammenterò che nelle ricordate tombole familiari quando si
estraesse il num. 32 chi lo estraeva annunciava trionfante: trentaroje ‘o
capitone!,ma súbito chiosava: cu ‘e rrecchie volendo significare che si
intendeva riferire proprio alla grossa anguilla provvista ai lati del capo di
due piccole, trasparenti appendici ritenute orecchie, e non intendeva, col dire
capitone, riferirsi ad altro furbesco richiamo non ittico, di appendice
maschile spesso ricordata con la voce a margine: ‘o capitone senza recchie (il
capitone privo d’orecchie).
33 – LL’ANNE ‘E CRISTO = gli anni di Cristo, atteso che
nella tradizione cattolica, sebbene non fondata su alcuna certezza storica, si
presume che Cristo iniziasse la sua vita pubblica, a trent’anni e che fosse
messo a morte tre anni dopo, se ne dedusse che la vita terrena di Cristo durò
trentatré anni e con tale numero (da riferirsi non solo agli anni, ma alla
persona , nella sua interezza),il Cristo come personaggio storico è indicato
nella smorfia. Cristo, aggettivo, se non apposizione del nome proprio Gesú, è
voce che etimologicamente è dal lat. Christu(m), traslitterazione del gr.
Christós, che traduce l'ebr. mashiah e vale l’unto del Signore.
34– ‘A CAPA = letteralmente il capo, la testa, ma nella
tradizione popolare partenopea , furbescamente il numero a margine talvolta piú
che al capo, si riferisce alla capocchia ossia al glande soprattutto quando ci
si voglia riferire per dileggio alla testa di qualcuno sciocco, stupido o –
peggio ancóra - volutamente irrazionale;
Etimi:
capa: dal latino caput, ma reso femminile;
capocchia: dal medesimo etimo, ma con l’aggiunta del
suffisso diminutivo occhia per ocula e dunque da capocula→ capocchia.
35 – LL’AUCELLUZZO=l’uccellino, nome generico di qualsiasi
volatile non identificato apparso in sogno, va da sé che trattandosi di un
diminutivo, il volatile debba essere piccolo; infatti aucelluzzo è il
diminutivo, vezzeggiativo di auciello (uccello) da un tardo latino: aucellus
doppio diminutivo di avis per il tramite di avicula→avicellus poi con
dittongazione della sillaba implicata seguita da doppia consonante. Nelle
consuete tombole familiari cui spesso faccio riferimento l’annuncio:
trentacinche: l’aucelluzzo era seguito da un corale verso onomatopeico: zuízuí
che tentava di riproporre il cinguettio dell’uccellino, ma che appariva, piú
verosimilmente lo squittio di un topolino!
36 – ‘E CASTAGNELLE = : castagnette esse sono la versione
povera e popolaresca delle piú nobili nacchere spagnole e consistono in due
cave, piccole semisfere di legno intagliato ad òc, ma un tempo anche di osso
ugualmente lavorato; dette semisfere legate a coppia con una fettuccia che è
inforcata dal dito medio vengono azionate schiacciandole ritmicamente contro il
palmo della mano, per modo che urtandosi fra di loro, producano un suono secco
e schioppettante, atto ad accompagnare, quasi sempre, i passi delle danze
popolari quali tarantella, saltarello ed altre consimili.
La parola nacchera che connota uno strumento molto simile
alle castagnelle è di origine araba: nakâra propriamente scavato, incavato con
riferimento appunto alla morfologia dello strumento, mentre il termine
castagnelle o castagnette è dallo spagnolo castaňetas (che in terra iberica
indicano le nacchere) quasi castagna per la forma vagamente somigliante delle
castagnelle come delle nacchere al frutto del castagno.Chiarirò che il numero a
margine possa essere usato non solo per identificare le predette castagnelle,
ma ogni altro gioioso strumento atto alla danza popolare, quando ovviamente non
esista altro preciso numero per indicarlo come ad es il tamburello che è
identificato dal num. 51 etc.
37 – ‘O MONACO e piú precisamente ‘O MUNACIELLO; ‘o monaco
sta ovviamente per il monaco cioè a dire chi à abbracciato il monachesimo; nel
cattolicesimo, membro di un ordine monastico o religioso che à pronunciato i
voti solenni di povertà, castità e obbedienza; etimologicamente è voce dal lat.
tardo monachu(m), che è dal gr. monachós 'unico', poi 'solitario' (e quindi
'monaco'), deriv. di mónos 'solo, unico'; il medesimo etimo sia pure
addizionato di un suffisso diminutivo iello vale per la voce munaciello che
nella tradizione popolare partenopea è un particolare piccolo monaco; ‘o
munaciello a Napoli è un’entità dai vasti poteri magici; ò parlato di entità in
quanto non è dato sapere se si tratti di uno spirito o di un essere umano;
nell’un caso o nell’altro detta entità è rappresentata con le sembianze che
sono o di un nano mostruoso o di c.d. bambino vecchio, ed assume due
personalità: quando si appalesa in una casa, o vi prende stabile dimora, se à
in simpatia gli abitanti della casa,che lo abbiano accolto di buon grado,
onorandolo e ammannendogli dolciumi (‘o munaciello è molto goloso!) egli arreca
buona sorte e prosperità; se, al contrario prende in odio una famiglia, che non
lo abbia accolto con i dovuti onori, egli le suscita guai ad iosa.Molto vaste
son le testimonianze che riguardano l’apparizione di questa simpatica entità
che non vi à posto per alcun dubbio sulle sue manifestazioni, che spesso sono
oggetto di vivaci discussioni sul tipo di onori (lauti e dolci pasti, odorosi
incensi) da tributare a questo spiritello che si mostra sotto forma di
vecchio-bambino vestito col saio dei trovatelli accolti nei conventi, scarpe
basse con fibbia d’argento, chierica e cappuccio.Non si lascia vedere da
chiunque, ma compare d’improvviso, quando vuole ed a chi vuole(meglio però se
donne in ispecie giovani e procaci) , magari portando in mano le scarpe che à
tolto per non produrre rumore di calpestio Scalzo, scheletrico, spesso lascia
delle monete sul luogo della sua apparizione come se volesse ripagare le
persone, dello spavento procurato o di inconfessabili confidenze palpatorie che
ama a volte concedersi. Vi sono due ipotesi sulla sua origine:
La prima ipotesi vuole l'inizio di tutta la vicenda intorno
all'anno 1445 durante il regno Aragonese. La bella Caterinella Frezza, figlia
di un ricco mercante di stoffe, si innamora di un tal Stefano Mariconda, bello
quanto si vuole, ma semplice garzone di bottega.
Naturalmente l'amore tra i due è fortemente contrastato. Il
fato volle che tutta la storia finisse in tragedia. Stefano venne assassinato
nel luogo dei loro incontri segreti mentre Caterinella si rinchiude in un
convento. Ma era già da tempo incinta di Stefano ed infatti dopo pochi mesi
nacque da Caterinella un bambino alquanto deforme(il Cielo talvolta fa ricadere
sui figli le colpe dei genitori!...). Le suore del convento adottarono motu
proprio il bambino cucendogli loro stesse vestiti simili a quelli monacali con
un cappuccio per mascherare le deformità di cui il ragazzo soffriva. Fu cosí
che per le strade di Napoli veniva chiamato " lu munaciello". Gli si
attribuirono poteri magici fino ad arrivare alla leggenda che oggi tutti i
napoletani conoscono. Anche lu munaciello morí misteriosamente., lasciando
probabilmente in giro il suo bizzarro spirito.
La seconda ipotesi vuole che il Munaciello altro non sia
che il gestore degli antichi pozzi d'acqua che, in molti casi, erano posti al
centro dei cortili domestici, quando non addirittura nel primo vano delle case,
di tal che aveva facile accesso nelle case passando attraverso i cunicoli di
pertinenza del pozzo.
Personalmente sono maggiormente attratto dalla vicenda di
Stefano e Caterinella, che mi appare piú consona ad una favola, anche perché
niente osta a che ‘o munaciello anche senza esserne il gestore, si servisse dei
pozzi per penetrare in casa; del resto storicamente spesso Napoli, imprendibile
dalle mura, fu invasa attraverso le condutture idriche.
38 – ‘E MMAZZATE = le percosse che in napoletano, come già
alibi illustrai sono di varie specie ed ànno vario nome; va da sé che quelle a
margine sono da ritenere onnicomprensive di tal che chi sognasse di percosse
dovrebbe giocare al lotto il numero 38 quale che fosse il tipo o la specie
delle percosse sognate, a meno che non si tratti di particolari percosse ben
connotate da altro numero come ad es. il pugno che è 8 o il calcio 88.
39 – ‘A FUNA ‘NCANNA= la corda alla gola e cioè per
sineddoche: l’impiccagione; rammenterò infatti che spesso alibi l’impiccato, in
napoletano è detto appunto ‘o funancanna, con una simpatica fusione resa
maschile della situazione ricordata sotto il numero a margine; funancanna fu
tempo addietro uno dei nomignoli (accanto a chiappo, chiappillo e matarazzo)
assegnato dai napoletani alle quattro grandi statue che adornavono una grossa
fontana fatta erigire nel 1559 sul molo grande dal viceré Parafan de Rivera. Lo
scultore Giovanni Merliani, cui era stata commissionata l’opera, forse effigiò
nelle quattro statue i quattro grandi fiumi: Tigri, Eufrate, Gange e Nilo
oppure - secondo un’altra opinione - Ebro,Reno, Danubio e Tago: i grandi fiumi
dei dominii di Carlo V, ma il popolino rammentando che lí dove era stata eretta
la fontana, un tempo esistevano le forche per le esecuzioni capitali,quelle
stesse forche poi trasferite posteriormente, al tempo di Masaniello, in piazza
Mercato assegnò alle sculture i nomi ricordati con chiaro intento di dileggio;
( per quanto riguarda l’etimo di chiappo ed il suo diminutivo chiappillo,
occorre risalire al basso latino cap’lum sincope di capulum = corda,
fune;quanto a matarazzo evidente voce furbesca, giocosa usata per significare
persona grande e grossa tal quale il materasso, cioè il rigonfio involucro
pieno di lana su cui ci si distende per riposare, è etimologicamente da
collegarsi all’arabo matrah con il suffisso estensivo aceus,che in napoletano
diventa azzo; per funancanna si tratta, mi pare ovvio, di altra voce furbesca
per indicare l’impiccato come persona cui è stata stretta una fune alla gola;
la voce è ottenuta infatti legando assieme le parole funa= fune(dal latino
fune(m)) e ‘ncanna(che è: in+canna dal latino/greco kanna e questo dal semitico
qaneh) dove – come vedemmo alibi con canna si intende il canale della gola);
quando poi, dopo appena un secolo dalla sua costruzione il viceré Pedro Antonio
d’Aragona fece smontare la fontana per spedirla a Madrid si venne a sapere che
della fontana e delle sue imponenti statue s’erano perse le tracce non essendo
la fontana probabilmente mai giunta a Madrid, con i nomignoli riportati o con
l’onnicomprensiva espressione: i quattro del molo, si passò ad indicare una
combriccola di poco commendevoli individui che avesse fatto perdere le sue tracce
e non fosse piú riapparsa.
40 – ‘A PAPOSCIA = l’ernia inguinale, altrove nota con
molti altri icastici nomi e tra questi rammenterò: ‘ntoscia,
mellunciello,quaglia, zeppola e con altra valenza in quanto nomi non riferiti
all’ernia inguinale, ma a quella scrotale o allo scroto tout court: guallera,
burzone, pallera; quanto agli etimi avremo: paposcia: probabilmente da un basso
latino papus= rigonfiamento a papus è aggiunto un suffisso estensivo femminile
osia dal quale il si→scia come da simia derivò scigna, vesica che diede
vescica;
‘ntoscia: dal greco entóshia= intestini;
mellunciello riferimento giocoso al melone, la cucurbitacea
chiamata in causa per la sua sfericità la medesima che ad un dipresso presenta
una congrua ernia inguinale; mellunciello sta per piccolo melone e questi è
dall’accusativo tardo latino melone(m), di mílo/onis, forma abbr. di melopepo/
onis, che è dal gr. mílopépon/onos, comp. di mêlon 'melo, frutto' e pépo¯n
'popone;
altro riferimento giocoso è quello che chiama in causa la quaglia
con la sua quasi sfericità di corpo; quaglia è dall'ant. fr. quaille, che è
probabilmente da un poco attestato lat. volg. coacula(m), forse di orig.
onomatopeica;
ennesimo riferimento giocoso è quello che chiama in causa
la zeppola per taluni di etimo incerto, per altri (Roòlfs) da un tardo latino
zippula(m), e per altri da cymbula(m) che però avrebbe dovuto dare zommola;
l’ultima scuola di pensiero (Jandolo) propone serpula(m) per la tipica forma a
mo’ di serpe acciambellata che è della zeppola la frittella dolce guarnita di
crema e marmellate d’uso a Napoli nella ricorrenza di san Giuseppe; atteso che
la zeppola à proprio la forma di una ciambella, mi pare di potere aderire
all’ipotesi proposta dall’ amico Jandolo, quantunque debba qui ricordare che la
zeppola usata come sinonimo di ernia non sia esattamente il dolce qui
rammentato ed il cui nome risulta usurpato atteso che la zeppola-ernia è piú
esattamente quella che a Napoli si dice pastacrisciuta che è appunto una
frittella ricavata da un semplice impasto rustico di farina acqua e livito; una
volta che la pasta risulti liscia e livitata, ne vengono presi a strappo
piccoli pezzi messi a friggere in olio bollente e profondo; appena calati
nell’olio bollente i pezzi ànno la particolarità friggendo di gonfiarsi ad
libitum risultando tali pastecresciute dette popolarmente, ma inesattamente
zeppole o zeppulelle, piú consone giusta la sfericità determinatasi in esse con
la frittura, a rappresentare un’ inguinale ernia debordante e gonfia;
guallera= ernia scrotale o anche scroto tout court
dall’arabo wadara= ernia
burzone = ugualmente ernia scrotale o anche scroto tout
court il tutto ovviamente in senso ironico e giocoso, accrescitivo reso
maschile (si veda il suffisso one) della voce femminile borza da un tardo
latino bursa(m), dal gr. byrsa “pelle, otre di pelle”; normale il mutamento
rs→rz;
il medesimo senso ironico e giocoso si riscontra in pallera
che indica ugualmente l’ernia scrotale , ma piú esattamente lo scroto tout
court in quanto contenitore delle palle che sono – con voce triviale - i
testicoli pensati sferici a guisa di sfere; il suffisso ero/a cosí come in
pallera indica: che riguarda i/le:
41 – ‘O CURTIELLO = il coltello, ma ovviamente non quello
da tavola, l’innocua posata usata per mangiare, quanto l’acuminata arma bianca
proditoria di punta e di taglio, a serramanico che quando sia provvista di
apertura a scatto è detta mulletta che è arma di difesa, ma piú spessa
d’offesa, arma che facilmente si poté reperire in mano o nelle tasche di delinquenti
comuni, camorristi e/o guappi che l’usarono in alternativa con affilatissimi
rasule (rasoi) , prima che ci si cominciò ad armare con piú rumorose e
devastanti armi da fuoco; ‘o curtiello è voce che etimologicamente è dal lat.
cultellu(m), dim. di culter coltello normale l’alternanza l→r;
mulletta = coltello a serramanico, ma con apertura a scatto
azionato da una piccola molla è voce che etimologicamente è appunto il
diminutivo di molla deverbale di mollare in quanto atto a rilasciare.
rasulo = rasoio è voce che etimologicamente è dal latino
rasorium che diede rasoru donde per dissimilazione della seconda r→l il
napoletano rasulo;
42 – ‘O CCAFÈ = il caffè, ma in quanto bevanda pronta da
degustare, o chicchi o polvere per approntare la detta bevanda; si noti infatti
che in napoletano esistono delle voci che possono avere una doppia forma
grafica: o con la geminazione della consonante d’avvio o con la consonante
scempia; quando la grafia e quindi la lettura di tipo forte presenta la
geminazione iniziale, ci si trova difronte ad una voce neutra e solitamente son
voci che si riferiscono a generi alimentari o inanimati ovvero che non
contemplano l’intervento umano (ad. es.: ‘o ccafè, ‘o ppane, ‘o ssale, ‘o
ppepe, ‘o ffierro(inteso come metallo); spesso invece una medesima voce può
presentarsi con una grafia scempia ed in tal caso cambia di significato (ad
es.: ‘o cafè =mescita o negozio dove viene servita la relativa bevanda, ‘o
fierro (inteso come attrezzo da lavoro o utensile domestico) o ancora ‘o russo (uno
con i capelli fulvi) e ‘o rrusso (il colore rosso e per traslato: il sangue; in
base a tale argomentare risulta chiaro che la voce a margine ‘o ccafé debba
intendersi come bevanda e non come mescita o negozio; comunque ambedue ‘o ccafè
e ‘o cafè etimologicamente sono dal turco kahve, e questo dall'ar. qahwa, orig.
bevanda eccitante';
43 – ‘ONNA PÉRETA FORA Ô BARCONE = letteralmente donna
Pereta fuori (affacciata) al balcone; citroviamo dinnanzi ad una locuzione
usata con divertente immagine per mettere alla berlina una donna becera,
villana, sciatta,sguaiata, volgare, sfrontata ed, a maggior ragione,una donna
di malaffare o anche solo chi fosse una demi vierge o che volesse apparir tale,
soprattutto quando tale donna le sue pessime qualità faccia di tutto per
metterle in mostra appalesandole a guisa di biancheria esposta al balcone; tale
tipo di donna è detto péreta, soprattutto quando quelle sue pessime qualità la
donna le inalberi e le metta ostentatamente in mostra; le ragioni di questo
nome sono facilmente intuibili laddove si ponga mente che il termine
péreta(nella locuzione a margine usata per dileggio quasi come nome proprio di
persona) è il femminile ricostruito di pireto (dal b. lat.:peditu(m)) cioè:
peto, scorreggia che sono manifestazioni viscerali rumorose rispetto alla
corrispondente loffa (probabilmente dal tedesco loft= aria) fetida
manifestazione viscerale silenziosa, ma olfattivamente tremenda. Altrove quella
donna becera, sguaiata, volgare e sfrontata è detta, volta volta:locena che nel
suo precipuo significato di vile, scadente è forgiato come il toscano ocio ed
il successivo locio (dove è evidente l’agglutinazione dell’articolo) sul latino
volgare avicus mediante una forma aucius che in toscano sta per: scadente, di
scarto; da locio a locia e successiva locina con consueta epentesi di una
consonante (qui la N) per facilitare la lettura, si è pervenuto a locena;
lumera = esattamente lume a gas e lume a ggiorno =lume a petrolio atteso che
una donna becera e volgare abbia nel suo quotidiano costume l’accendersi
iratamente per un nonnulla; tale prender fuoco facilmente richiama quello
simile del lume a gas (lumera) o di quello a petrolio ( lume a giorno) ambedue
altresí maleolenti tali quale una pereta.
44 – ‘E CCANCELLE e cioè le carceri; la voce plurale a
margine, femminile va riferita come la maschile ‘e cancielle ambedue alla voce
singolare neutra canciello= cancello indicante la /le inferriate: protezioni
astate in ferro, canciello è etimologicamente un diminutivo attraverso il suff.
iello di un cancer latino = graticcio; nel parlato popolare l’originario neutro
singolare canciello produsse due plurali: uno maschile ‘e cancielle =
inferriate, cancellate ed uno femminile ‘e ccancelle, femminile che comporta al
solito la geminazione della consonante d’avvio, plurale femminile che venne
usato esclusivamente per indicare le carceri, le prigioni, partendo
dall’osservazione che le prigioni son appunto provviste, per solito di robusti
cancelli.
45 – ‘O VINO BBUONO = il vino buono; nell’immaginario popolare
partenopeo, frutto di antica tradizione contadinauna figura di preminenza
forte, tale da essere considerato pure nel libro dei sogni, è quella del vino,
gustosa e sacrale bevanda (non dimentichiamo che Cristo lo trasformò nel Suo
Sangue! ) bevanda che va da sé debba essere buona, non potendosi prendere in
seria considerazione una bevanda che sia una ciofeca (dall’arabo šafèq che in
arabo indica appunto un liquido, una bevanda corrotta o piú estensivamente
tutto il cattivo delle cose, di qualità inferiore, di scarto, di nessun
valore); etimologicamente vino è dal latino vinum e bbuono dal latino bonum;
46 – ‘E SORDE – ‘E DENARE = i soldi e segnatamente le
monete sonanti intesi nella loro genericità ; infatti in napoletano esistono –
come già ebbi modo di chiarire altrove - numerosissimi vocaboli ad òc per
indicare i varî tipi di monete o soldi, addirittura tali voci pare siano quasi
sessanta, per cui qui non mi dilungo segnalando solo l’etimo di sordo/e che è
da un acc. latino solidum =nome di una moneta d'oro romana dell'età imperiale →
soldum→soldo→ sordo, mentre denaro/e viene dal lat. denariu(m) (nummum), propr.
moneta da dieci, deriv. di díni a dieci a dieci;
47 – ‘O MUORTO = il morto (ma rammentato da vivo) e
segnatamente un familiare defunto, magari da poco tempo, familiare che per
essere probabilmente molto amato ed affettuosamente ricordato, viene facilmente
richiamato nella fantasia onirica di parenti o amici;muorto etimologicamente è
part. passato del latino volgare morire collaterale del classico mori, è voce
che spesso nel parlato napoletano viene addizionato, nelle tipiche iperboli del
napoletano, di uno specificativo, come ad es.: muorto ‘e famma ( morto di fame
che sta per molto affamato) muorto ‘e suonno, ‘e sete etc. (morto di sonno, di
sete nel senso di molto assonnato, molto assetato) cioè a dire: tanto
affamato,assonnato,assetanto da, addirittura, sia pure solo a parole, morirne;
48 – ‘O MUORTO CA PARLA = il morto che parla; questa volta
con il numero a margine si significa non un morto, sognato nelle sue
manifestazioni da vivo, quanto il defunto cui ò fatto cenno al numero
precedente, ricordato o sognato allorché da morto parli e si manifesti
esprimendo concetti e consigli a pro del sognatore; si tratta ovviamente di una
assurdità: nessun morto può da morto esprimersi e formulare pensieri; ma
nell’àmbito dell’onirico tutto è possibile: anche un morto che parli; parla
voce verbale (ind. pres. 3° pers. sing.) del verbo parlà/parlare dal lat. volg.
parabolare (con sincope delle sillaba implicata bo) deriv. di parabola
parabola, poi discorso, parola;rammenterò che un film del 1950 interpretato dal
famosissimo A. De Curtis (Totò) fu intitolato in modo – solo apparentemente
errato: 47, morto che parla; ò detto apparentemente perché il film trattava le
vicende non di un morto che da morto parlasse in sogno, ma di un vivo che –
fingendosi morto – parlava ed agiva nel sogno.
49 – ‘O PIEZZO ‘E CARNE = letteralmente è il pezzo di
carne, ma in realtà non ci troviamo a trattare di argomento da macelleria;
infatti il pezzo di carne a margine fa riferimento, senza remore o falsi
pudori, al prosperoso e procace corpo di una donna , offerto senza reticenze a
gli altrui sensi! Rammenterò che in napoletano la voce piezzo che
etimologicamente è un derivato di pezza da un lat. volg. pettia(m), di origine
celtica con metaplasmo (nella grammatica tradizionale, qualunque alterazione
formale che subiscano le parole nella loro struttura abituale) e cambio di
genere, oltre ad indicare un pezzo, una particella di qualcosa,è talvolta
usata, come nel caso a margine, quando sia seguita da uno specificativo, quasi
in senso antifrastico per significare una gran quantità di qualcosa o una gran
sovrabbondanza o prestanza fisica come ad es. ‘nu piezzo d’ommo che sta per un
uomo grande e grosso o ad es.: ‘nu piezzo ‘e scemo che sta per un grosso
stupido e cosí via. quanto al termine carne dal pacifico etimo latino carne(m)
non mette conto aggiunger altro, avendo già chiarito che quella
dell’espressione a margine rapprenta l’intero procace corpo di una donna ed
estensivamente la donna tout court.
50 – ‘O PPANE = il pane; sotto questo numero viene
ricordata una delle figure piú comuni e piú ricorrenti nei sogni del popolino
partenopeo e cioè quell’imprescindibile,sacro alimento (trasformato da Cristo
nel Suo Corpo!) dell’uomo; tale alimento ricorre nei sogni nelle piú varie
forme o pezzature, corrispondenti a quelle normalmente in uso a Napoli e si
avrà perciò ‘o paniello o ‘a panella (etimologicamente dal latino panis + i
suffissi di genere iello o ella ) ambedue: ampia pagnotta rotondeggiante di ca
1 kg. avremo altresí ‘o palatone (grosso filone di ca 2 kg., bastevole al
fabbisogno giornaliero di una famiglia numerosa, il suo nome gli deriva dal
fatto che al momento di infornarlo, detto filone occupava per intero la lunga
pala usata alla bisogna; la palata è invece il filone il cui peso non eccede 1
kg. ed occupava la metà della pala per infornare; un quarto o meno della pala
occupavano le c.d. palatelle (piccoli filoncini da 500 o 250 gr.) per ciò che
attiene all’àmbito linguistico rammenterò che ‘o ppane (etimologicamente dal
latino pane(m) ) è un alimento e come tale di genere neutro, ciò che comporta
una grafia con la geminazione della consonante d’avvio: ‘o ppane e non ‘o pane.
51 – ‘O CIARDINO o ‘O CIARDENIELLO; di per sé le voci
significherebbero il giardino o il piccolo giardino; etimologicamente ciardino
ed il suo diminutivo (vedi suff. iello) ciardeniello vengono dall’antico
francese jardain con passaggio dalla sonora gi alla sorda ci come altrove nel
napoletano dove si à ad es.: Calibbarde in luogo di Garibaldi etc. Ò usato il
condizionale significherebbero in quanto nell’immaginario dei sognanti
partenopei con la voce ciardino e piú ancora con il diminutivo ciardeniello si
suole indicare con traslato furbesco e forse impudico, piú che il fronzuto
appezzamento di terreno in cui si coltivano fiori e piante ornamentali, un
giovane irsuto pube femminile.
52 – ‘A MAMMA o MAMMÀ = la mamma, l’essere piú caro
specialmente ai soggetti maschili, essere che come tale non poteva
assolutamente mancare nell’elenco dei soggetti, oggetti o situazioni sognabili;
ed è tanto presente nell’immaginario partenopeo da assegnarle due
identificativi: ‘a mamma (etimologicamente dal lat. mamma(m) mammella, poppa e
nel linguaggio infantile mamma) voce che appare però piú asettica o meno
partecipativa della successiva mammà (etimologicamente dal franc. maman ) che
pur essendo voce essenzialmente regionale, usata sempre senza articolo, appare
piú coinvolgente emotivamente rispetto alla toscana mamma.
53 – ‘O VIECCHIO o anche ‘O VICCHIARIELLO = il vecchietto;
altra figura emblematica che non poteva mancare nella smorfia dei napoletani da
sempre adusi a tenere in alta considerazione chi si porti il carico di molti
anni, sia che si tratti di familiari (genitori, nonni, zii) sia che ci si
riferisca ad estranei con i quali si abbia un sia pure fugace contatto di vita,
piú o meno quotidiano al segno che nella smormia il soggetto è indicato con una
doppia voce: ‘o viecchio (la persona anziana che si trovi negli ultimi anni di
vita) voce che deriva da un basso latinoveclu(m),collaterale del class.
vetulu(m), dim. di ve°tus 'vecchio'voce che è però molto fredda e quasi
anodina, rispetto alla successiva vicchiariello ( diminutivo, vezzeggiativo
della pregressa viecchio) usata piúaffettuosamente per indicare l’anziano di
famiglia, voce che per sottolinearne l’uso piú partecipativo viene quasi sempre
accompagnata dal possessivo mio: del proprio genitore s’usa dire infatti: ‘o
vicchiariello mio!
54 – ‘O CAPPIELLO = letteralmente il cappello, ma in senso
generico, indifferentemente da uomo o da donna, un qualsivoglia copricapo
composto da una cupola o cupolino e da una tesa o falda piú o meno pronunciata,
quell’oggetto il cui nome viene da un tardo latino cappellu(m) doppio
diminutivo maschile di cappa= copricapo e dunque un qualunque copricapo alto o
basso di feltro o di felpa, quella felpa (tessuto pesante per confezionare
cappelli rigidi) il cui accrescitivo maschile : felpone diede la voce ferbone
che indicò qualsiasi proditorio proiettile lanciato dagli scugnizzi sul finire
del 1800 contro gli uomini che indossassero alti e rigidi copricapi, allo scopo
di dileggiarli, facendo loro cascare il cappello, quel medesimo generico
copricapo cui si fa riferimento nella nota frase partenopea: Àccepe cappiello!
(riproducente il latino: Accipe cappellum id est: Prendi il cappello (e tira
via!) usata a mo’ di canzonatura rivolta dal vincitore al perdente al termine
di una gara o tenzone, quasi per dirgli: Ài perduto… Non à piú senso che tu
stia qui: prendiil tuo cappello e vattene! Aggiungerò che l’oggetto a margine è
uno di quegli oggetti elencati nella smorfia con numerosi numeri, secondo il
tipo o la specie; ne rammento alcuni: cappello bianco – 57,cappello del papa,
camauro -70, capp. vescovile -61, capp. cardinalizio – 62, capp. da prete – 3,
cappello alto e bordato – 63, da donna con penne 27(si noti l’irrisione: come
specificai con il medesimo num. 27 è elencato il pitale, appaiato qui ad un
cappello da donna probabilmente di foggia cilindrica, la stesso d’’o cantero,
pitale…), capp. da ragazzo – 58, da cafone -64, da militare generico – 82,
capp. di paglia, paglietta – 36, capp. incerato, da pioggia – 39,di seta – 67,
con fiori – 10,stracciato – 37, da contadino calabrese -19, da bandito – 36,
gibus (che è il cappello a cilindro provvisto di molle che permettono di
ripiegarlo e appiattirlo, usato un tempo nell'abbigliamento maschile da sera, e
che deriva il suo nome dal fr. gibus, dal cognome del cappellaio Gibus che lo
inventò nel 1834) – 53.
55 – ‘A MUSECA cioè la musica, con particolare riferimento
non a quella eseguita da musicisti professionisti al chiuso di teatri, ma a
quella gioiosa delle feste popolari eseguita da musicanti improvvisati,
all’aperto, con rumorosi strumenti a fiato e/o percussione, quelli stessi che
elencai alibi sub STRUMENTI POPOLARI NAPOLETANI ed a cui rimando, per evitare
di dilungarmi ripetendomi qui; la voce museca etimologicamente è dal lat.
musica(m) (arte(m), che è dal gr. mousiké (téchní); (propr. 'arte delle Muse).
56 – ‘A CARUTA e cioè la caduta, quell’inopinato
accadimento, che quando avviene, se non procura in chi lo subisce gravi danni,
muove spessissimo al riso, in ispecie quando detta caduta è goffa e repentina,
soprattutto quando chi cada sia persona grossa e/o grassa e se donna metta in
mostra nascoste grazie; alla stessa categoria che muove al riso attiene la c.d.
sciuliata (che è l’atto dello scivolare ricordato però sotto il numero 68) tanto
piú divertente quando alla sciuliata faccia seguito una plateale caruta; quanto
agli etimi, caruta è un part. pass. femminile sostantivato, con tipica
mutazione d’area osco-mediterranea della d→r, ed occorre risalire al lat. volg.
cadíre, per il class. cadere; mentre sciuliata risulta essere anch’essa un
part. pass. femminile sostantivato dal lat. volg. exevolare attraverso una
forma frequentativa exevoliare.
57 – ‘O SCARTELLATO cioè il gobbo figura emblematica
dell’immaginario partenopeo ritenuto portabuono; ricorderò che si sta parlando
dello scartellato e cioè di un uomo affetto da una gobba posteriore quella che
è detta scartiello (etimologicamente da un basso latino cartellu(m)=cesta,
gerla con tipica prostesi della s intensiva partenopea; al contrario, se si
sognasse di una donna provvista di scartiello ci troveremmo davanti ad una
scartellata, figura decisamente negativa: se lo scartellato porta buono, la
scartellata porta male, anzi malissimo; rammenterò in chiusura che qualora si
sogni di un uomo che porti la sua gobba non sulle spalle, fra le scapole, ma
sul davanti sullo sterno, non potremmo piú parlare di scartiello, ma dovremo
parlare di bauglio ( che è dallo spagnolo bahúl da un basso latino
bajulare=portare) e chi sognasse di un portatore di gobba pettorale (bauglio)
non potrebbe piú giocare il numero 57, che fa riferimento allo scartiello
posteriore e dovrebbe indirizzare le proprie preferenze per il giuoco al num.
75 che è il num. 57 lètto in maniera voltata, come voltatoa è la gobba non piú posizionata
sulle spalle, ma sul davanti del gobbo.
58 – ‘O PACCOTTO che è esattamente il grosso pacco,l’
involto di qualsiasi merce confezionata e sistemata ben stretta e legata per un
agevole asporto; con il medesimo termine però in senso traslato furbesco e
scherzoso si intende anche un vasto, prosperoso deretano muliebre(altrove detto
pure culo a buttiglione o a purtera) inviluppato in ampi ed eccessivi vestiti
tali da fare apparire il detto culo merce confezionata in grosso pacco pronta
per l’asporto; la voce paccotto è etimologicamente da collegarsi al greco
paktòs deverbale di pegnýô=comporre, compattare.
59 – ‘E PILE - i peli e segnatamente i capelli o quelli che
ricoprono irsuti ed abbondanti un prestante torace d’un giovane uomo, peli
intesi come simbolo di rigogliosa forza e giovinezza e come tali accolti nel
libro dei sogni napoletani nel quale le manifestazioni della giovinezza son
sempre tenute in gran considerazione;(non dimentichiamo la storiella biblica di
Sansone che aveva nelle chiome l’origine della sua forza; i partenopei, gran
parte della loro cultura di fondo la devono a greci, arabi, ebrei dai quali
mutuarono parecchie idee e concezioni filosofiche, ma pure credenze e norme
comportamentali); etimologicamente ‘e pile plurale di ‘o pilo è dal latino
pilu(m) parallelo al greco pïlos.
60 – ‘O LAMIENTO o SE LAGNA – letteralmente il lamento, la
lagnanza o si lagna ed ovviamente si tratta di lamenti o lagnanze ben motivati,
conseguenze di un dolore provato, o di una vicissitudine subíta; sono escluse
dalle voci a margine quelle fastidiose, pretestuose impuntature o capricci,
richieste immotivate dei bambini che producono antipatiche lamentele che vanno
sotto il nome di ‘nzirie per la cui etimologia, scartato l’ inconferente
latino: in-ira, e scarta l’idea che si possa risalire al greco sun-eris che ad
litteram è con dissidio giusta i contrasti astiosi delle ‘nzirie dei bambini
penso che sia molto piú probabile una discendenza dal latino insidia che a sua
volta è da un in + sideo = sto sopra, mi fermo su, che ben mi pare possa
rappresentare semanticamente l’impuntatura fanciullesca che è tipica della
‘nziria.
; per l’etimo di ‘o lamiento occorre riferirsi al latino
lamentu(m) mentre per quello della voce verbale se lagna del verbo lagnarse occorre
pensare ad un tardo latino: laniare se = dilaniarsi per il dolore.
61 –
‘O CACCIATORE = il cacciatore e segnatamente chi si dedichi allo sport
venatorio, armato di fucile o doppietta , accompagnato da uno o piú cani da
caccia ed agghindato con carniere, tascapane, cartucciera etc., personaggio
cosí noto e presente nell’àmbito campagnolo e provinciale del vivere quotidiano
da meritarsi un ben identificato ricordo nella smorfia dei sogni oltre ad
essere presente, quantunque con evidente forzatura storico-temporale, nei
tradizionali presepî partenopei della fine settecento, princípi ottocento; sono
esclusi dalla voce a margine (che etimologicamente è un deverbale del basso
latino captiare frequentativo del classico capere= prendere) ogni altro tipo di
predatore che vada a caccia con altro tipo di arma che non sia il fucile ( che
è da un lat. volg. (petram) focile(m) '(pietra) da fuoco, acciarino', deriv. di
focus 'fuoco') o la doppietta che è un tipico fucile da caccia con doppia (da
cui il nome) canna affiancata o sovrapposta.
62 – ‘O MUORTO ACCISO vale a dire il morto ammazzato; qui
la smorfia prende in considerazione non il morto semplice, quello cioè defunto
per cause naturali, del quale nel parlato comune s’usa dire che è morto nel
proprio letto (anche quando tecnicamente ciò non sia vero) e cioè sia morto per
malattia, vecchiaia , morto che come tale è già ricordato con il num. 47, ma
colui che sia defunto di morte violenta e segnatamente con spargimento di
sangue per mano di inveterati o occasionali nemici ed estensivamente anche il
morto vittima del proprio dovere, sul lavoro, in guerra etc.; come già vedemmo
al num. 47 etimologicamente muorto è il part. pass. del verbo murí dal latino
morire collaterale del classico mori, memtre acciso risulta essere il part.
passato del verbo latino accidere da un lat. volgare ad –
caèdere→accedere→accidere collaterale di ob-
caèdere→occedere→occidere→uccidere.
63 – ‘A SPOSA la sposa, colei che convola a nozze, ma non a
quelle… riparatrici; rammenterò che nelle tombole familiari d’antan usava
divertirsi ponendo a colui che estraeva i numeri, al momento dell’estrazione
del num. 63 addizionato del sacramentale ‘a sposa!, la repentina domanda:
Quant’anne teneva? E ‘o sposo? tenendo per buoni e soddisfacenti i due numeri
che venivano estratti súbito dopo quello a margine e l’ilarità era tanto
maggiore quanto piú fosse alta la differenza tra il numero che nel giochino
indicava la presunta età della sposa e quello che indicava la presunta età
dello sposo; spesso per un curioso gioco del destino capitava che l’età
ipotetica della sposa fosse compresa tra i numm. 70 e 90 e quella dello sposo
tra i numm. 20 e 30, per cui immancabilmente s’udiva il salace commento: Se
ll’era saputo piglià, eh?! Etimologicamente ‘a sposa risultando essere il part.
pass. femminile del basso lat. sponsare 'fidanzarsi', deriv. di sponsus, part.
pass. di spondíre 'promettere', dovrebbe significare fidanzata, promessa, ma
poi finí per essere attrubuito a colei che giungeva alle nozze, dopo un periodo
piú o meno lungo di fidanzamento (deverbale di un fr. ant. fiancer 'impegnarsi,
garantire', poi 'promettere in matrimonio'.
64 – ‘A SCIAMMERIA letteralmente si tratta di un’ampia
giacca da cerimonia che a Napoli è appunto detta con voce intraducibile sciammeria:
giacca elegante con falde lunghe, tipica delle cerimonie o ricorrenze
importanti, con esclusione dei matrimoni eleganti nei quali sia previsto il
tight (detto giocosamente a Napoli: cafè a ddoje porte) la sciammeria
probabilmente non è un denominale forgiato sul francese càmbre, ma molto piú
probabilmente è derivato direttamente dallo spagnolo càmberga sempre che non
derivi direttamente dal nome del duca di Schönberg (17° sec.) che volle che le
sue truppe fossero equipaggiate con una lunga palandrana che, dal nome del
duca, è resa in italiano col termine giamberga ; personalmente trovo piú
convincente l’ipotesi ispanica che piú si presta ad approdare a sciammeria
attraverso la napoletanissima, solita prostesi di una s intensiva
all’originario cia (ch) spagnolo, assimilazione regressiva della b, sincope del
gruppo rg sostituito da un ri con una i atona;
come ò accennato si tratta di una giacca molto ampia che
inviluppa quasi chi l’indossa al segno che per traslato giocoso e furbesco con
il termine sciammeria si intende anche il coito, in particolare quello in cui
l’uomo assume una posizione tale che copra del tutto la donna col proprio corpo
e con molta probabilità quando i napoletani accennano ad una sciammeria
onirica, è al coito e non alla giacca che intendono riferirsi, avendo
probabilmento acceso nella loro fantasia notturna la scena d’una unione
sessuale, piuttosto che d’una giacca da cerimonia.
65 – ‘O CHIANTO cioè il pianto come manifestazione
consistente nella reiterata e copiosa emissione di lacrime che arrossano gli
occhi e rigano il volto a sèguito o a causa di un dolore, di un lutto, di un
grave dispiacere; in napoletano tuttavia con la parola a margine si indica
pure, con linguaggio familiare e scherzoso, una cosa mal fatta, mal riuscita ed
ancora una persona noiosa, fastidiosa: ‘stu vestito è ‘nu chianto; questo
vestito è un pianto! o frateto è ‘nu chianto: tuo fratello è un pianto! È
chiaro che l’accezione della voce a margine è quella che si riferisce ad un
dolore, un lutto, un dispiacere che inducono le lacrime, non quella che
riguarda l’estensione scherzosa. Detto che etimologicamente ‘o chianto è da un
lat. planctu(m) 'colpo di chi si batte il petto', deriv. di plangere 'battere',
poi 'piangere'normale ed usuale il passaggio di pl→chj rammenterò che a Napoli
L'elemento di fondazione, che segna l'inizio della infrastrutturazione
cimiteriale della zona di Poggioreale, è il Cimitero di Santa Maria del popolo,
detto "delle 366 fosse", dovuto a Ferdinando Fuga, ed edificato nel
1762. Il cimitero rappresenta un monumento di straordinaria importanza
rappresentando l'unico esempio conosciuto di "macchina illuminista"
cimiteriale. Si tratta di una attrezzatura civica che anticipa, di almeno
cinquant'anni, gli editti napoleonici riguardanti l'igiene delle sepolture e il
conseguente obbligo di edificare i cimiteri lontano dall'abitato: si pensi che,
all'epoca, a Napoli l'inumazione degli indigenti avveniva in una cavità
dell'ospedale degli Incurabili, in piena città. L'impianto è basato su di una
corte quadrata, di 80 metri di lato, recintata da un muro che si duplica,
all'ingresso, a formare un basso edificio con il pronao d'ingresso, una
semplice cappella e l'alloggio del custode. Altro elemento fondativo del
complesso cimiteriale è il Cimitero di Santa Maria del Pianto (detto
comunemente dal popolo ‘O CHIANTO) con l'omonima chiesa a pianta centrale, di
impianto seicentesco, intorno alla quale sin dalla peste del 1656 avveniva
l'inumazione dei cadaveri. L'attuale cimitero che consta di una amplissima superficie
di oltre 20.000mq ed è dovuto ad una sistemazione ottocentesca e ad espansioni
successive, si presenta su di un ripido versante, terrazzato sia nella parte
della recente espansione che in quella ottocentesca, e con articolati percorsi
a tornante e scale. Il cimitero oggi appare densamente edificato, in prevalenza
con cappelle private ed edifici per congreghe di media dimensione. Della ricca
vegetazione originale restano alcuni imponenti esemplari di cygas ed un cedro
secolare posto all'ingresso, mentre nella espansione recente sono
stato impiantati numerosi cipressi. Da rammentare che nel
rigoglioso giardino all’inglese del Chianto è ricavato il c.d. recinto degli
uomini illustri, dove ànno trovato sepoltura, meta della visita commossa del
popolo napoletano, gli uomini illustri partenopei per nascita o morte, o per
adozione : letterati, poeti, musicisti, drammaturghi, ma anche cantanti lirici
ed attori famosi; tra questi uomini illustri son da rammentare E. Caruso, G.
Donizetti, S. Di Giacomo, Libero Bovio, E. Murolo, il principe A. de Curtis in
arte Totò e tanti altri.
66 – ‘E DDOJE ZETELLE o anche ‘e ddoje sarcenelle
letteralmente: le due nubili o anche le due piccole fascine; ci troviamo di
fronte, come ognuno può intendere, ad una indicazione di sapore furbesco; in
effetti la voce originaria ricordata con il numero a margine, fu dapprima ‘e
ddoje sarcenelle che qualcuno storpiava in ‘e ddoje sarchielle di carattere
marcatamente furbesco atteso che con il termine sarcenella, ma anche con
sarchiella(quantunque quest’ultima voce non trovava riscontro alcuno e fosse
solo una patente corruzione della precedente sarcenella), si intendeva
riferirsi all’organo sessuale femminile, e segnatamente a quello di una donna
che per essere ancora nubile, sebbene abbastanza anziana l’avesse ispido e ben
serrato a guisa di una piccola fascina (buona solo per essere arsa…) e che si
tratti di due vulve lo si può agevolmente ricavare dal fatto che il numero a
margine è formato dall’accostamento di due 6 (quel 6 che come vedemmo nella 1°
parte indica chella ca guarda ‘nterra id est la vulva;) in prosieguo di tempo
poiché non tutti all’annuncio: 66 ‘e ddoje sarcenelle, si rendevano conto di
cosa si stesse parlando, si abbandonò l’annuncio figurato per dire molto piú
praticamente: 66 ‘e ddoje zetelle. Etimologicamente sarcenella di cui
sarcenelle è il plurale, è il diminutivo di sàrcena da un acc. latino
sarcina(m)=fascina da ardere mentre la voce zetella, il cui plurale è zetelle è
il diminutivo di zita che è voce di orig. dial., variante di citta = fanciulla.
67 – ‘O TOTARO DINT’ Â CHITARRA letteralmente: il totano
nella chitarra,ma anche in questo caso ci troviamo davanti ad una figurazione
dal sapore marcatamente gioioso e furbesco, intendendosi con questa figura
riferirsi all’immagine del coito ( che è dal lat. coitu(m), deriv. di coire
'andare insieme') in effetti è molto semplice rendersi conto di cosa sia
adombrato sotto la figura del totaro e cosa adombri la chitarra con il foro
della rosa; quanto all’etimologia abbiamo: totaro deriv. del gr. teuthís o
têutòs con lo stesso significato di mollusco simile al calamaro; la voce pur
partendo dal greco è giunta nel napoletano attraverso un basso latino tutanu(m)
con metaplasmo e cambio di suffisso nu→ro. chitarra dall'ar. qîtâra, che è dal
gr. kithára.
68 – ‘A ZUPPA ‘E CARNACOTTA letteralmente la zuppa di carne
cotta o zuppa di frattaglie (interiora del vitello affettate sottilmente e
cotte in un brodo privo di grassi aggiunti, ma ricco di verdure e spezie;
questa zuppa viene servita caldissima, a mestolate, su pochefreselle (dal
latino frendere= spezzettare)fette di pane biscottato in un’ampia ciotola,
accompagnata da un buon bicchiere di vino rosso e rappresentò, per anni, specie
nei mesi invernali il gustoso asciolvere della povera gente o dei salariati.
rammenterò che tale zuppa è nota a Napoli anche con il termine ‘a mariscialla;
a Napoli una volta esistevano ed in qualche vicolo della vecchia città se ne
può incontrare ancora qualcuno, i ventraiuoli cioè i venditori ambulanti che su
attrezzati carrettini trainati a mano servivano le trippe cioè il quinto quarto
della bestia macellata e tali trippe erano servite ben affettate e ridotte in
piccoli pezzi, disposti su fogli di carta oleata ed erano da portare alla bocca
con le dita senza l’ausilio di alcuna posata o attrezzo cosparsi di parecchio
sale ed irrorati con il succo di limone; spesso affettavano la trippa lessata
(specialmente la parte detta cientopelle) in strisce larghe e lunghe come i
galloni dei marescialli dell’epoca murattiana quando si indossavano divise
fantasmagoriche , per cui i ventraiuoli battezzarono mariscialla la zuppa
ricavata da frattaglie di vitello bollite con aggiunta come ò detto solo di
poche erbe aromatiche; etimologicamente zuppa dal got. suppa 'fetta di pane
inzuppata' mentre carnacotta è l’adattamento dialettale per fusione del toscano
carne cotta, e mariscialla è un giocoso femminile ricostruito di maresciallo
che è dal fr. marécàl, a sua volta dal lat. mediev. mariscalcus; cfr.
maniscalco.
69 – SOTTO E ‘NCOPPA letteralmente sotto e sopra , ma piú
esattamente posti di fronte in posizione inversa; anche in questo caso, pur
partendo dall’ovvia osservazione che il numero 69 è formato con due cifre di
cui l’una, il 6 posto in posizione classicamente verticale, mentre il 9 pare
quasi un 6 posto in posizione inversa tale da determinare un numero formato da
cifre poste di fronte in posizione inversa, ci troviamo a parlare di una
situazione furbesca riproducente il c.d. coito orale; quanto all’etimologia,
sotto è da un basso latino subtus derivato di sub, mentre ‘ncoppa = sopra è
forgiato da un in illativo e coppa dal latino cuppa(m) la parte posteriore
superiore del capo che è dunque quella posta sopra.
70 – ‘O PALAZZO o piú esattamente ‘O PALAZZO ‘E CASA e cioè
il palazzo o con tipica tautologia partenopea il palazzo di casa che – a prima
vista – potrebbe sembrare un’inutile precisazione ed invece non lo è, poi che
con la parola palazzo che etimologicamente è dal latino palatiu(m) 'colle
Palatino', poi 'palazzo imperiale', che nella Roma imperiale sorgeva su quel
colle si intende genericamente qualsiasi edificio di grandi proporzioni e di
pregio architettonico, adibito soprattutto un tempo ad abitazione di re,
principi o famiglie nobili, e oggi per lo piú a sede di organi di governo, di
uffici pubblici, di istituzioni culturali e sim., mentre con l’espressione
palazzo ‘e casa ci si riferisce ad un piú contenuto edificio anche non di
grandi proporzioni e pregio architettonico dove però si abbia la propria stabile
dimora in appartamenti di un numero variabile di stanze dette - con tipica
iperbole napoletana – case ( dal latino casa propriamente casa rustica opposta
alla domus abitazione del dominus formata di molti piú vasti ambienti ed
annesse pertinenze: giardini etc.
Tra le specificazioni del palazzo ‘e casa rammenterò il
c.d. palazzo ‘e casa a spuntatora e cioè il palazzo con due entrate situate o
su strade adiacenti o parallele, palazzo che come la c.d. casa cu ddoje porte
risultò molto inviso ai mariti gelosi che temettero la possibilità da parte
d’un probabile amante della fedifraga consorte, di attingere le grazie di detta
infedele moglie entrando in casa o nel palazzo attraverso l’uscio non usato
abitualmente dal marito tradito.
Mi piace rammentare ora un’amenità che si poteva udire,
nelle tombole familiari d’antan, all’annuncio dell’estrazione del numero 70;
quanto con voce stentorea chi estraeva i numeri, annunciava in sostanzioso
napoletano: sittanta! invariabilmente tutti i giocatori in coro, giocando
sull’omofonia tra sittanta ( settanta) e ssî ttanto ( sei grosso o alto cosí e
non di piú…) gli rispondevano: E nun crisce cchiú ( e non crescerai di piú).
71 – LL’OMMO ‘E MMERDA letteralmente l’uomo di merda ossia
l’uomo dappoco, persona infida, riprovevole,disonesta, o solo d’animo ignobile,
cosí definito in quanto si appaleserebbe tal quale fosse per iperbole formato
di escrementi; l’espressione a margine sostanzia una corposa offesa rivolta
appunto nei confronti di chi venga considerato mancante di ogni decoro e/o
dignità ed al contrario mostri cattiveria e protervia d’animo; costui a volte
viene apostrofato con la voce mmerdajuolo, usata come sinonimo di quella a
margine, quantunque di per sé ( con derivazione dal latino merda(m) con i suff.
arius ed olo) indicherebbe colui che – per lavoro – raccattava gli escrementi
animali per igiene pubblica e li rivendeva per concimare i campi; a tal
proposito rammenterò l’espressione Essere ‘a tina ‘e miezo.
Ad litteram: essere il tino di mezzo. Offensiva locuzione
che si usa rivolgere a chi sia materialmente o moralmente cosí sozzo, sporco,
lercio da poter essere assimilato al grosso tino trasportato nel bel mezzo di
un carro atto allo scopo, tino nel quale, originariamente in quel di Torre del
Greco, e poi in ogni altro paese rurale, veniva posto tutto il letame che,
raccolto in giro e convogliato nel tino centrale mediante due altri tini piú
piccoli collocati ai lati del tino centrale, veniva poi rivenduto quale concime
naturale.In chiusura ricorderò le etimologie:
ommo = uomo da un nomin. latino (h)òmo con tipico
raddoppiamento espressivo della labiale m, mentre la consonante diacritica
d’avvio (h) non viene presa in considerazione, né lascia traccia; ‘e mmerda =
di merda (id est: composto di escrementi) mmerda = merda, come già visto da un
acc. latino merda(m) con raddoppiamento sintattico della consonante d’avvio.
72 – ‘A MARAVIGLIA – la meraviglia con particolare riguardo
a tutti quegli accadimenti che dèstino stupore,sbalordimento, stordimento,
sbigottimento, emozione, soprattutto quando queste cose provengano dal
verificarsi di fatti dai risvolti negativi che mai si sospettava potessero
accadere; ad es. desta meraviglia oltre che orrore una madre che uccida un
figlio o un figlio che diventi matricida e cosí via; quanto all’etimo ‘a
maraviglia è da un latinomirabilia, propr. 'cose meravigliose', neutro pl.
sost.e inteso femminile dell'agg. mirabilis meraviglioso.
73 – ‘O SPITALE – l’ospedale e cioè l’ istituto pubblico
nel quale si ricoverano e si curano gli ammalati inteso come luogo di
sofferenze e miseria, atteso che è luogo dove vengono accolti per esser curati
i cittadini meno abbienti; i piú facoltosi infatti fanno ricorso alle c.d.
cliniche private ed un tempo si congetturò che anche il personale medico e/o
paramedico che prestava la propria opera nell’ospedale fosse meno capace, in
quanto peggio retribuito, del personale delle c.d. cliniche private; quanto
all’etimo la voce ‘o spitale è da un lat. volg. òspitale, neutro sost. e inteso
maschile dell'agg. òspitalis 'ospitale, che accoglie, con sincope della h
iniziale e deglutinazione della o intesa come articolo.
74 – ‘A ‘ROTTA e cioè la grotta con riferimento ovviamente
non ad un qualsiasi anfratto naturale, ma, sulla scorta della gran tradizione
cristiana partenopea, ovviamente la grotta per antonomasia : quella che ospitò
il Bambino Gesú riscaldato dal fiato del bue e dell’asinello; prima di
rammentare che in napoletano, con il diminutivo della voce a margine, e cioè
con ‘a ‘rutticella estensivamente e con raffronto semiblasfemo si intese la
vulva muliebre, ricorderò il detto che richiamando il bue e l’asinello detti,
parla di ‘o scarfalietto 'e Giesú Cristo Ad litteram: Lo scaldino di Gesú
Cristo. Non si direbbe, ma la locuzione ricordata è una dura, sia pure
sorridente offesa che si rivolge agli uomini ritenuti ignoranti o anche becchi.
Non v'è chi non sappia infatti che Gesú Cristo fu riscaldato nella greppia di
Betlemme da un bue e da un asinello; di talché affibbiare ad uno il titolo di
scaldino di Gesú Cristo significa dargli dell' asino e del bue id est:
ignorante e cornuto e perciò significa accusare sua moglie di infedeltà
continuata.
75 – PULICENELLA e cioè Pulcinella la maschera per
antonomasia della tradizione popolare partenopea che come tale non poteva non
esser presente nella smorfia rappresentandovi l’uomo piú semplice, quello piú
debole, quello che nella scala sociale occupa l’ultimo posto; è però dotato per
compensazione di una furbizia eccezionale, capace perciò di risolvere i piú disparati
problemi. Chiamato a rappresentare l’anima del popolo, i suoi istinti
primitivi, appare quasi sempre in contraddizione, tanto da non avere dei tratti
fissi: è ricco o povero, è prepotente o codardo, e talvolta presenta l’uno e
l’altro tratto contemporaneamente. La verità sta nel fatto che a questa
maschera il popolo à riservato la funzione di riassumere e di esprimere tutta
la sua realtà quale che sia: brutta o bella, meschina o eroica.
La maschera di Pulcinella à una storia che viene di
lontano; già non c’è uniformità di vedute sull’origine del nome Pulcinella;
secondo alcuni esso si vuole che debba discendere da Pulcinello cioè piccolo
pulcino per via del suo naso adunco e per la voce chioccia che in origine
usarono gli attori , c’è chi invece propende per Puccio d'Aniello un villano di
Acerra del '600 che dopo aver preso in giro una compagnia di commedianti
girovaghi si uní a loro come buffone e pare s’inventasse quel mascheramento del
volto, mezzo bianco e mezzo nero, palandrana bianca e candido cappello a pan di
zucchero; una scuola di pensiero propende per un tal Silvio Fiorillo attore
girovago nato all'incirca nel 1560 (Viviani V.), che pare fosse il primo a
portare ufficialmente in scena la figura di Pulcinella, anche se l'alternava
con la casacca e la spada del capitano Matamoro spagnolo. Fiorillo viene anche
ricordato come il primo commediografo pulcinellesco, essendoci giunta una sua
commedia intitolata: " La Lucilla costante, con le ridicole disfide e
prodezze di Pulcinella " In realtà dove e da chi sia nato Pulcinella non é
dato di sapere e molti eminenti studiosi e letterati come Benedetto Croce,
Salvatore Di Giacomo e Anton Giulio Bragaglia si siano impegnati in queste
ricerche, senza mai poterlo stabilire con certezza; a mio avviso, pur accogliendo
in parte qualcosa d’ogni singola ipotesi, penso che non sia tuttavia lontano
dalla verità chi, (almeno per ciò che riguarda i caratteri generali), collega
Pulcinella al Maccus della commedia atellana latina; la maschera di Pulcinella
à una sua variante francese in Polichinelle' ( un fanfarone gradasso con doppia
gobba e un vestito giallo-rossiccio detto crocòta) ed una inglese con Punch
maschera dall' umore malinconico e brutale, molto diverso dal Pulcinella
napoletano brioso e faceto; i medesimi caratteri della maschera napoletana si
riscontrano invece nel russo Petruska, nel don Cristobal spagnolo e nel tedesco
Kaspar, segno che la maschera napoletana fu esportata in lungo e largo.Esiste
un momento centrale ed illuminante, nella storia dei rapporti fra Pulcinella e
Napoli, fra Pulcinella ed il teatro ed, in particolare, fra Pulcinella e
l'attore : esso coincide con la fine del '600 e l'inizio del '700, allorché la
storia dello spettacolo a Napoli si fa suggestiva misura della storia stessa
della città e della sua vita culturale. Vi fiorisce un teatro di prosa
dialettale, espressione di una straordinaria attenzione alla lingua ed al
costume; vi nasce una ricca e fertile generazione di teatranti: teorici,
drammaturghi e commediografi, librettisti, musicisti, attori e cantanti,
impresari; vi si rinnovano le strutture cittadine di spettacolo: si apre il San
Carlo e, all'estremo opposto del consumo sociale del teatro, il non meno nobile
San Carlino; si afferma la commedia in musica, detta opera buffa, capace di
espandersi ed affermarsi per l'intera Europa con caratteri che ànno fatto
pensare addirittura ad una scuola musicale napoletana '; sopratutto, il teatro
rinasce, dopo esaltanti esperienze della commedia dell'arte praticata
trionfalmente in Europa per tutto il '600 ed in questa prima metà del '700. La
maschera à rappresentato e rappresenta tuttora la plebe napoletana' da sempre
oppressa dai vari potenti che si sono succeduti, affamata e volgare,
smargiassa, codarda e dissacrante. Molti attori ànno impersonato sulla scena il
personaggio di Pulcinella ma il piú famoso di tutti è stato Antonio Petito
(1822 -†1876) trionfatore sul palcoscenico del San Carlino; questo Petito
nonostante fosse quasi analfabeta, à lasciato numerose commedie di grande
successo che avevano come protagonista lo stesso Pulcinella. Dopo di lui, per
tanti aspetti, storici, culturali e tecnici nonostante sulle scene fossero
attivi altri grandi interpreti (come Salvatore De Muto(1876 † 1970) ad esempio
e Gianni Crosio (di cui, purtroppo non sono stato in grado di reperire notizie
biografiche) inizia la decadenza. Pulcinella in teatro diventa un personaggio,
e deve attenersi ormai ad una parte scritta, ad un copione. Privata del
vivificante contatto diretto con il pubblico, la maschera assume sempre piú
caratteristiche stereotipate, di genere. Solo nella strada, con le guarattelle
(forma metatica di guattarelle= acquattate, nascoste), il teatro napoletano dei
burattini, Pulcinella mantiene la sua forza, conservando intatta nel tempo, incredibilmente,
la struttura di spettacolo originaria della Commedia all’Improvviso, e in tal
forma giungendo fino ai nostri giorni.
Ribadito che per quel che riguarda l’etimologia del nome
Pulicenella o anche Pullicenella con tipico raddoppiamento popolare della l
implicata, occorre risalire ad un accusativo latino pullicinu(m)= pulcino
variante del tardo latino pullicénu(m), con riferimento – come già detto – al
naso adunco ed alla primitiva voce chioccia e pigolante usata dagli attori per
dar vita alla maschera, ricorderò che il personaggio eternato sotto il num. 75
della smorfia napoletana non è esattamente la maschera fin qui menzionata, ma
il generico buffone, il pagliaccio o l’ uomo di nessuna personalità, quel
medesimo che per traslato è detto appunto Pulicenella.
76 –‘A FUNTANA e cioè la fontana figurazione della vita,
rappresentata dal fluire tipico dell’acqua, emblema quasi sacrale che come tale
non poteva mancare nel libro dei sogni dei napoletani, da sempre attenti a
tutto ciò che abbia un risvolto sacro; etimologicamente è da un accusativo
latino fontana(m) aqua(m)= acqua di fonte.
77 – ‘E RIÀVULE e cioè i diavoli; e non faccia meraviglia
se i napoletani abbiano accolto nel loro libro dei sogni, una figura (il
demonio) cosí tanto all’opposto della visione sacrale che dell’esistenza ànno i
partenopei; se lo ànno fatto, la cosa è avvenuto a puro scopo apotropaico nella
convinzione che il considerarlo ed anzi considerarli nella loro numerosità
(abbiamo infatti il plurale ‘e riavule e non il singolare ‘o riavulo) li
tenesse superstiziosamente a bada e ne allontanasse i malefici influssi; a
Napoli purtroppo spesso la superstizione e la religione vanno a braccetto
dandosi di gomito; etimologicamente ‘e riavule che è plurale di ‘o riavulo =
diavulo con tipica rotacizzazione osco-mediterranea della d→r viene da un tardo
latino diabolu(m), dal gr. diábolos, propr. 'calunniatore', deriv. di
diabállein 'disunire, mettere male, calunniare', che nel gr. cristiano traduce
l'ebr. satan 'contraddittore'.
78 – ‘A BBELLA FIGLIOLA che ad litteram starebbe per la
bella ragazza, ma per eufemistico traslato vale la prostituta e piú chiaramente
‘a zoccola; trattandosi di chi esercita il mestiere piú antico e noto, fu quasi
ovvio che entrasse a far parte del libro dei sogni partenopeo, quantunque si
eufemizzassero i piú usati termini come prostituta o il piú corposo zoccola; ò
già abbondantemente trattato alibi sub Meretricio e voci collegate, le voci
prostituta e zoccola e a quell’articolo rimando, limitandomi qui a dire della
voce figlióla che etimologicamente è da un accusativo latino volgare filiòla(m)
per il classico filíola(m) e ricordando che il naspoletano à però la vocale
tonica del dittongo chiusa.
79 –‘ ‘O MARIUOLO e cioè il mariolo, il ladro ed
estensivamente la persona disonesta in genere anche quando non sia dedita al
furto continuato; nel libro napoletano dei sogni che fotografa tutta la vita
nelle sue manifestazioni ed accezioni non poteva mancare la figura del mariolo
che segnatamente (prima di comprendere il disonesto in genere, il furbo e
truffatore) fu quel ladro di basso profilo che a far tempo dalla fine del ‘700
ed i princípî dell’’800 operava piccoli furti di destrezza in istrada
sottraendo a disattenti pedoni orologi da tasca , fazzoletti di seta e
portamonete; esistettero negli anni che ò detto addirittura delle scuole dove i
mariuoli alle prime armi prendevano scuola e si allenavano sottraendo a dei
fantocci preparati all’uopo le mercanzie ricordate, facendo attenzione durante gli…
allenamenti a non far titinnare i numerosi campanelli di cui erano forniti i
pupazzi, campanelli che se avessero titinnato avrebbero dimostrato che il
mariuolo non stesse agendo con la dovuta rapidità e destrezza e pertanto
avrebbe dovuto continuare ad imparare, magari sferzato dolorosamente dalla
verga o dallo staffile del maestro mariuolo. Per ciò che attiene all’etimologia
del termine mariuolo non c’è uniformità di vedute; taluno si trincera dietro un
etimo incerto, qualche altro prpende per un antico aggettivo francese mariol =
furbacchione, qualche altro ancora lo legherebbe allo spagnolo marraio e
marrullero = imbroglione, monello; trovo invece molto interessante la scuola di
pensiero che fa risalire la voce mariuolo ad un acc. latino malevolu(m)→marevolu(m)→
marevuolo con sincope definitiva della v donde mareuólo e mariuólo.
80 – ‘A VOCCA si tratta ovviamente della bocca, la cavità
nella parte anteriore del viso dell'uomo, delimitata dalle labbra, che è organo
della respirazione, della nutrizione e della fonazione; ed è con particolare
riferimento a quest’ultima funzione che la bocca è presa in considerazione
nella smorfia partenopea in quanto emblema di coloro che erano adusi a parlare
d’ogni cosa anche se spesso a sproposito,in quanto non avevano argomenti da
esporre o pensieri da sostenere, al segno che, per dileggio ,di costoro s’usava
dire che aprissero la bocca pe ffà piglià aria â lengua: per arieggiare la
lingua; a tal proposito nelle tombole familiari d’antan all’annuncio: Uttanta,
‘a vocca!, tutti i giocatori commentavano in coro: È ‘nu bbellu strumiento,
volendo appunto ricordare che spesso la bocca era usata a mo’ di strumento (dal
lat. instrumentu(m), deriv. di instruere disporre, costruire) per emetter suoni
senza significati. L’etimo di vocca è pacificamente dal latinobucca(m)
'guancia', poi 'bocca' con la tipica alternanza partenopea b/v.
81 – ‘E SCIURE e cioè i fiori figurazione, per la loro
bellezza, fragranza e rigogliosità, come la pregressa fontana, della vita, ed
in quanto tale non potevano non esser presenti nella smorfia dei partenopei,
gente dallo spirito pratico, non disgiunto (a malgrado delle apparenze) da una
gentilezza di fondo che fa apprezzar loro i fiori, gioiosa e gentile
manifestazione di madre natura. Quanto all’etimologia di sciore (di cui sciure
è il plurale) essa è dall’accusativo latino flore(m) con la tipica mutazione
del gruppo latino fl che in napoletano diventa sci , come ad es. alibi sciummo
che è da flumen, sciamma da flamma(m) etc.
82 – ‘A TAVULA APPARICCHIATA= il desco imbandito, la tavola
colma di vettovaglie; quasi ovvio che l’atavica fame del popolo napoletano lo
spingesse a considerare nel proprio libro dei sogni un gran tavolo imbandito al
quale accostarsi per satollarsi ed ( almeno in sogno!) sconfiggere l’antica
fame, figlia della miseria quotidiana; rammenterò che – purtroppo! – qualche
napoletano piú giovane in luogo d’usare classicamente: ‘a tavula apparicchiata,
si è lasciato frastornare dal toscano ed à preso a dire scioccamente ‘a tavula
‘mbandita o addirittura a tavula ‘mbannita ( dove ‘mbandita/’mbannita è
l’evidente corruzione di imbandita vocabolo assolutamente estraneo alla lingua
napoletana); ‘a tavula non è un generico tavolo, ma il grande (si noti che la
parola è stata resa femminile: tavula e non tavulo; e come vedemmo altrove un
oggetto femminile è inteso piú vasto del corrispondente maschile) desco su cui
si prendono i pasti e deriva dal latino tabula(m); apparicchiata= allestita,
approntata, ed anche imbandita è etimologicamente p.p. femm. del verbo basso
latino ad-pariculare iterativo di parare= preparare mentre ‘mbannita è part.
passato femminile del verbo ‘mbandí inutile sistemazione dialettale
dell’imbandire toscano ( che è da un in + bandire= convitare).
83 – ‘O MALETIEMPO – il cattivo tempo, quello che oscura il
cielo e mal dispone gli animi degli uomini e non solo dei metereopatici (specie
in una città come Napoli che nell’immaginario collettivo è città di luce ed
aria, ‘o paese d’’o sole!,) uomini che mal si adattano alle cupi nubi, alle
piogge noiose ed ai venti turbinosi. nubi, pioggia e vento che connotano il
maltempo al margine entrato nella smorfia partenopea come paventato pericolo e
come tale quasi sopportato quale simbolo di cattivo presagio; a Napoli chi
aprendo la finestra al mattino, vedesse il cielo offuscato da cupe nubi,
prodromiche di procellose piogge,il tutto prefigurando cattive nuove,
opererebbe súbito manovre apotropaiche con annessi inconfessabili scongiuri e –
potendolo – rientrerebbe tra le coltri, temendo di affrontare una giornata
sotto l’egida d’’o maletiempo che risulta etimologicamente derivato da malu (
dal latino malum=cattivo) + tiempo (lat. tempus con dittongazione popolare).
84 – ‘A CHIESIA – la chiesa intesa però non come comunità
di fedeli che professano una delle confessioni cristiane: chiesa cattolica,
ortodossa, anglicana, luterana, calvinista ma piú semplicemente come l’edificio
sacro in cui si svolgono pubblicamente gli atti di culto delle religioni
cristiane, quell’edificio detto casa del Signore accostato di solito da un
campanile dal quale squillanti campane chiamano a raccolta i fedeli; un popolo
profondamente religioso come è il napoletano non poteva non considerare nel suo
libro dei sogni la c.d. casa del Signore, quella chiesa che è centro e fulcro
della vita d’ogni quartiere partenopeo. Etimologicamente la parola
chiesia/chiesa è dal lat. ecclesia(m),che è dal gr. ekklísía 'assemblea',
deriv. di ekkalêin 'chiamare'.
85 – LL’ ANEME D’’O PRIATORIO – e cioè le anime del
purgatorio; ritorna il vasto sostrato religioso-fideistico del popolo
napoletano, in forza del quale non si poteva non dare un posto nella smorfia,
alle anime dei defunti che - giusta l’insegnamento della religione cattolica,
non abbiano ancora ricevuto il premio o il castigo definitivo e siano ancóra
confinate in un luogo di purificazione dove si emendano dei residui delle colpe
trascorse per essere poi chiamate, mondate e purificate, al premio finale; tali
anime, benché non si possa evocarle o chiamarle, talvolta, per permesso e
volere di Dio si manifestano sia pure in sogno, spesso per chiedere preghiere e
suffraggi per sé o loro simili, e talvolta per soccorrere, moralmente, ma pure
praticamente, chi le invochi con speranzoso rispetto e trasporto; il popolo
napoletano à un vero e proprio culto sacro delle anime purganti al segno che –
specialmente dal popolino minuto -è d’uso avere in casa delle piú o meno
contenute statuine di terracotta dipinta raffiguranti i nudi corpi di appunto
queste anime del purgatorio avvolti in raccapriccianti lingue di rosso fuoco,
quel fuoco simbolo e mezzo della purificazione; dinnanzi a dette statuine
vengono accesi lumini votivi o posti piccoli fasci di fiori; in taluni antichi
quartieri popolari della città vecchia, è ancóra possibile passim imbattersi in
edicole sacre dedicate alle anime purganti la cui iconografia è fornita da
statuette cosí come descritte, con l’aggiunta altresí di macabri teschi ed
incroci di ossa tibiali. Quanto all’etimologia, pacifica per anema quella
latina anima(m), connesso col gr. ánemos, mentre per priatorio pur risalendo al
lat. tardo purgatoriu(m), neutro sost. dell'agg. purgatorius, deriv. di purgare
'purgare, purificare' oltre l’evidente esito metatico non bisogna scordare un
incrocio d’avio con il verbo prià = pregare da un lat. volg. precare, per il
class. precari, deriv. di prex/ precis 'prece'.
86 – ‘A PUTECA o ‘A PUTECHELLA – la bottega o la
botteguccia, simboli della (contrariamente al vieto luogo comune che vuole il
napoletano sfaticato, fannullone,ozioso e scioperato) solerte anima partenopea,
quei partenopei che spesso, non avendo piú certa e remunerativa attività da
svolgere, per poter vivere, si dedicavano e dedicano ad improvvisati commerci
piccoli o grandi che svolgevano e svolgono in negozi talvolta di fortuna: ‘a
puteca e se molto piccola putechella; e tale simbolo di solerzia non poteva non
esser presente nella smorfia; ricorderò anzi che spessissimo i napoletani per
tener dietro solertemente e senza soluzione di continuità a tali loro commercio
usarono ed usano prender dimora in, sia pure, pochi vani di pertinenza del
medesimo negozio dove svolgono l’attività per modo che non sprecano tempo per
portarsi di casa al luogo del lavoro e viceversa; da ciò nacque il detto:
metterse ‘e casa e puteca che significò: occupare proficuamente tutto il tempo
dedicandosi ad un’attività lavorativa e/o di studio.Quanto all’etimologia la
voce puteca deriva dal lat. apothéca(m), dal gr. apothékí ; in latino indicò il
locale che nella domus faceva da dispensa ; mentre in greco fu in primis la
farmacia e poi estensivamente il magazzino, il ripostiglio, il negozio cosí
come nel napoletano.
87 – ‘E PERUCCHIE – letteralmente i pidocchi e cioè i
piccoli insetti dal corpo piatto, con zampe corte e robuste, che succhiano il
sangue dell'uomo vivendo da parassiti sulla testa, sul corpo o nei vestiti, ma
va da sé che in quanto tali, non è pensabile che potessero esser presi in
considerazione e ricordati nella smorfia sebbene fossero segno di miseria e
sporcizia; rammentato allora che, in quanto insetto, la voce perocchio di cui
perucchie è il plurale deriva da un tardo latinopeduc’lu(m), dim. di pídis
'pidocchio, dirò che il termine plurale ‘e perucchie è stato accolto nel libro
dei sogni come uno dei circa sessanta sinonimi del danaro in uso nella lingua
napoletana, ed in tale accezione ‘e perucchie (segnatamente il danaro quando
sia poco e pertanto con limitatissima capacità di acquisizione di beni) sono
una corruzione di purchie ambedue coniati su di un antico porchia
nel significato di gemma, pollone, richiamante quel
rigoglio della vita facilmente assimilabile alla rigogliosità che può dare il
danaro.
88 – ‘E CASECAVALLE o ‘AMMUSCIATORE – i cacicavalli o
l’annoiatore; il caciocavallo è un famosissimo formaggio tipico dell'Italia merid.,
a pasta dura, dolce o piccante, in forme simili a grosse pere allungate, fatto
con latte intero di vacca o di bufala, prodotto in altura dai casari e poi
trasportato a valle legato in coppia a dorso di cavallo, donde il nome,
famosissimo ed usatissimo formaggio tale da rappresentare l’emblema del buon
nutrirsi (il latte è alimento principe) e perciò del ben vivere(siamo ciò che
mangiamo!) ed in quanto emblema di qualcosa d’importante, entrato nella
smorfia; la tipica forma a pera ed il fatto che i cacicavalli siano legati a
coppia offrirono poi il destro furbesco di farli ritenere simili ai testicoli e
poiché nell’immaginario partenopeo chi infastidisca o annoi qualcuno gli
abboffa o ll’ammoscia ‘e ppalle e cioè gli gonfia metaforicamente o alternativamente
gli rende molli i testicoli, ecco che i cacicavalli/testicoli finirono per
richiamare la figura dell’ ammusciatore id est: annoiatore figura ricordata con
il medesimo numero ed accanto ai casecavalli di sua pertinenza. ;ricordiamo
alcune etimologie delle voci meno note contenute in questa illustrazione;
avendo già detto di caciocavallo, abbiamo: abboffa voce verbale di abbuffà=
gonfiare voce che quantunque recepita nel toscano è di di orig. merid.; deriv.
di buffa nel sign. dial. di 'rospo; ammoscia voce verbale di ammuscià=
infastidire, annoiare, render molle che è un denominale di muscio (lat.
musteus→mustum=mosto, vino giovane e dolce e di poca forza o consistenza;
ammusciatore (vedi ammuscià) = chi infastidisce, annoia o rende molle.
89 – ‘A VICCHIARELLA – la vecchina; per ciò che concerne
questa penultima voce a margine, non posso che ripetere – vòlto al femminile -
ciò che, al mascile, dissi per ‘o viecchio sotto il num. 53; il vecchietto; la
vecchia o vecchina è un’ altra figura emblematica che non poteva mancare nella
smorfia dei napoletani da sempre adusi a tenere in alta considerazione chi si
porti il carico di molti anni, sia che si tratti di familiari (genitori, nonni,
zii) sia che ci si riferisca ad estranei con i quali si abbia un sia pure fugace
contatto di vita, piú o meno quotidiano; il soggetto femminile ‘a vicchiarella
(num. 89) nella smorfia non è indicato con una doppia voce: ‘a vecchia (la
persona anziana che si trovi negli ultimi anni di vita) voce che volta al
femminile deriva da un basso latinovec’lu(m),collaterale del class. vetulu(m),
dim. di vetus 'vecchio' voce che è però molto fredda e quasi anodina,ma solo
con il piú affettuoso diminutivo ‘a vicchiarella ( diminutivo, vezzeggiativo
della rammentata e non usata nella smorfia vecchia) usata piú affettuosamente
per indicare l’anziano di famiglia, voce che per sottolinearne l’uso piú
partecipativo viene quasi sempre accompagnata dal possessivo mio: della propria
anziana genitrice s’usa dire infatti: ‘a vicchiariella mia!
90 – ‘A PAURA e anche ‘A PUPULAZZIONA la paura e anche la
popolazione, il popolo; siamo giunti al termine dei novanti numeri con i
principali significati usati nel libro napoletano dei sogni: il novanta con il
quale si indica la angosciosa sensazione che si prova in presenza o al pensiero
di un pericolo vero o immaginato; sensazione che va sotto il nome di paura e
che, essendo uno delle piú ricorrenti percezioni del vivere umano occupò un
preciso posto nella smorfia e le fu assegnato il numero piú grande possibile,
per modo che potesse quasi indicare la grande scossa che quella senzazione
fastidiosa provoca nell’animo umano; accanto alla paura, sotto il medesimo
numero altissimo trova posto la figurazione della pupulazzione cioè a dire la
popolazione intesa però non come il complesso degli abitanti di un luogo,
quanto piú circoscrittamente ‘o popolo e cioè il complesso degli abitanti di un
quartiere o di un rione soprattutto quando partecipanti insieme alla vita
sociale in manifestazioni ludiche, religiose ed affini; trattandosi di una
moltitudine apparve corretto assegnare ad essa un numero grandissimo: il
novanta appunto sebbene esso fosse già di pertinenza della paura. Concludiamo
con illustrare l’origine delle parole in esame: paura= paura, timore; lemma
rifatto sull’acc. latino pavóre(m) attraverso un tardo pavura(m) voce che in
talune zone della città vecchia è ancora usata senza sincope della v: pavura e
non paura ritenuta troppo toscana; pupulazzione = popolazione, popolo che è da
un accusativo tardo latino populatione(m) derivato di populu(m).
Raffaele Bracale
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