sabato 17 maggio 2008

VARIE 17

1 Dicette Pulicenella: Nce so' cchiú gghiuorne ca sacicce.
Disse Pulcinella: ci sono piú giorni che salcicce. E' l'amara considerazione fatta dal popolo, ma messa sulla bocca di Pulcinella, della cronica mancanza di sostentamento e per contro della necessità quotidiana della difficile ricerca dei mezzi di sussistenza. Per estensione generica l'espressione significa : ci sono piú incombenze e/o compiti da portare a termine che forza o volontà di applicarvisi.

2 Dicette Pulicenella: I' nun so' ffesso, ma aggi' 'a fà 'o fesso, pecché facenno 'o fesso, ve pozzo fà fesse!
Letteralmente: Disse Pulcinella: Io non sono stupido, ma devo fare lo stupido, perché facendo lo stupido, vi posso gabbare (e posso ottenere ciò che voglio, cosa che, se non mi comportassi da stupido, non potrei ottenere). La locuzione in epigrafe è uno dei cardini comportamentali della filosofia popolare napoletana che parte da un principio assiomatico che afferma: Cca nisciuno è ffesso! Id est: Qui (fra i napoletani) non v'è alcuno stupido! E chi lo sembra, probabilmente,à solo indossato una maschera da stupido e lo à fatto solamente per ottenere il proprio tornaconto.Tale mascheratura è detta vestirse 'a fesso.

3 'O peggio trave d''a casa è cchillo ca fa lesiona.
Letteralmente: la peggior travatura di casa è quella che si lesiona. La locuzione viene usata, con senso di disappunto e rincrescimento, per commentare le cattive opere fatte da chi non si sarebbe mai ipotizzato potesse agire male, nel senso che come per la casa un cedimento lo si attende da una travatura malmessa, cosí nella vita una cattiva azione la si attende da cattivi soggetti, non certo da intemerate persone, per cui quando invece succede che i buoni agiscono da cattivi, si fa ricorso all'espressione in epigrafe, volendo sottintendere: ti reputavo un trave integro,su cui poter contare, ma sbagliavo: le tue azioni mi dimostrano esattamente il contrario; non sei migliore degli altri, anzi sei il peggiore... peccato!

4 'O Conte Mmerda 'a Puceriale.
Letteralmente: Il conte Merda da Poggioreale. Cosí, per dileggio vien definito dal popolo colui che vanti falsamente illustri progenitori, o colui che si dia arie da nobiluomo incedendo con sussiego ed alterigia. Ma il personaggio in epigrafe esistette veramente in Napoli e tale nomignolo fu affibbiato dal popolo al patriarca di una famiglia napoletana che aveva il possesso di una villa nella zona di Poggioreale. Tale signore ebbe, sul finire del 1800, in appalto la gestione delle latrine comunali e si meritò ipso facto il soprannome.
5 Moneca 'e casa: diavulo esce e trase, moneca 'e cunvento: diavulo ogni mumento.
Letteralmente: monaca di casa: diavolo entra ed esce, monaca di convento: diavolo ogni momento. La locuzione, con una salace punta di irriverenza, viene usata, quando si voglia eccepire qualcosa sul comportamento di chi, invece, istituzionalmente dovrebbe avere un comportamento irreprensibile. La monaca di casa era a Napoli una di quelle attempate signorine che, per non essere tacciate di zitellaggio, facevano le viste di dedicarsi alla cura di qualche parente anziano o prete. Va da sé che il diavolo della locuzione è usato eufemisticamente per indicare il medesimo diavolo di talune novelle del Boccaccio; per ciò che attiene il convento è facile pensare che la locuzione faccia riferimento a quel covento di sant'Arcangelo a Baiano in Napoli, finito nelle cronache dell'epoca e successive per i comportamenti decisamente libertini tenuti da talune suore ivi ospitate.

6 Frijere 'o pesce cu ll' acqua.
Letteralmente: friggere il pesce con l'acqua. La locuzione stigmatizza il comportamento insulso o quanto meno eccessivamente parsimonioso di chi tenti di raggiungere un risultato apprezzabile senza averne i mezzi occorrenti e necessari in mancanza dei quali si va certamente incontro a risultati errati o di risibile efficacia; non si potrà mai friggere del pesce con l'acqua; la frittura esige un grasso bollente!

7 Meglio 'na mala jurnata, ca 'na mala vicina.
Meglio una cattiva giornata che una cattiva vicina. Ed il perché è facile da comprendersi: una giornata cattiva, prima o poi passa e con essa i suoi effetti negativi, ma una cattiva vicina, perdurante la sua stabile vicinanza, di giornate cattive ne può procurare parecchie...


8 S' è fatta notte ô pagliaro.
Letteralmente: È calata la notte sul fienile.(cioè: si è appressata l’ora di andare a riposare e tu ancóra non ài portato a termine il tuo lavoro: impégnati, affréttati, lavora!) La locuzione(di chiara origine contadina) viene usata a mo' di incitamento all'operosità verso colui che procrastini sine die il compimento di un lavoro per il quale - magari - abbia già ricevuto la propria mercede; tanto è vero che si suole commentare: chi pava primma è male servuto (chi paga in anticipo è malamente servito...)
9 Quanto è bbello e 'o patrone s''o venne!
Letteralmente: Quanto è bello, eppure il padrone lo vende. Era la frase che a mo' di imbonimento pronunciava un robivecchi portando in giro, per venderla al migliore offerente, la statua di un santo presentata sotto una campana di vetro. Con tale espressione ci si prende gioco di chi si pavoneggia, millantando una bellezza fisica o talvoltaa morale che non corrisponde assolutamente alla realtà.
10 Si 'o gallo cacava, Cocò nun mureva.
Letteralmente: Se il gallo avesse defecato, Cocò non sarebbe morto. La locuzione la si oppone sarcasticamente, a chi si ostini a mettere in relazione di causa ed effetto due situazioni chiaramente incongruenti, a chi insomma continui a fare ragionamenti privi di conseguenzialità logica.

11 À perzo 'e vuoje e va cercanno 'e ccorna.
Letteralmente: À perduto i buoi, ma va in cerca delle loro corna. Lo si dice ironicamente di chi, avendo perduto - per propria insipienza - cose di valore,o avendo fallito – sempre per propria insipienza – la conclusione positiva di un negozio, ne cerchi piccole vestigia, adducendo sciocche rimostranze e pretestuose argomentazioni per far ricadere su altri le responsabilità degli avvenimenti che invece sono chiaramente da attribuire a lui che abbia perduto i metaforici buoi e ne vada cercando le corna.

12 Pure ll'onore so' castighe 'e Ddio.
Letteralmente: Anche gli onori son castighi di Dio. Id est: anche agli onori si accompagnano gli òneri; nessun posto di preminenza è scevro di fastidiose incombenze. La locuzione ricorda l'antico brocardo latino: Ubi commoda, ibi et incommoda.

13 Madonna mia fa' stà bbuono a Nirone
Letteralmente: Madonna mia, mantieni in salute Nerone. E' l'invocazione scherzosa rivolta dal popolo alla Madre di Dio affinché protegga la salute dell'uomo forte, di colui che all'occorrenza possa intervenire per aggiustare le faccende quotidiane. Nella locuzione c'è la chiara indicazione che il popolo preferisce l'uomo forte e deciso, piuttosto che l'imbelle democratico.

14 Pe ttreccalle 'e sale, se perde 'a menesta.
Letteralmente: per pochi soldi di sale si perde la minestra. La locuzione la si usa quando si voglia commentare la sventatezza di qualcuno che per non aver voluto usare una piccola diligenza nel condurre a termine un'operazione, à prodotto danni incalcolabili, tali da nuocere alla stessa conclusione dell'operazione. 'O treccalle era la piú piccola moneta divisionale napoletana pari a stento al mezzo tornese ed aveva un limitatissimo potere d'acquisto, per cui era da stupidi rischiare di rovinare un'intera minestra per lesinare sull'impiego di trecalli per acquistare il necessario sale.La cosa vale ovviamente anche nel caso inverso cioè quando alla ipotetica minestra si sia conferito un trecalle di sale in eccedenza rispetto alla bisogna: una minestra eccessivamente salata è da ritenersi perduta(cattiva) tal quale una che sia troppo sciapíta!

15 S'è aunito 'o strummolo a tiriteppe e 'a funicella corta.
Letteralmente: si è unita la trottolina scentrata e lo spago corto. Id est: hanno concorso due fattori altamente negativi per il raggiungimento di uno scopo prefisso, come nel caso in epigrafe la trottolina di legno non esattamente bilanciata e lo spago troppo corto e perciò inadatto a poterle imprimere il classico movimento rotatorio.
strummolo = trottolina di legno, antichissimo giuoco prima dei greci poi dei romani ed infine dei ragazzi napoletani; la voce strummolo è dal greco strombos passato al lat. *strombolu(s) donde il napoletano strommolo e poi strummolo. La voce al sing. è maschile, ma al plur. diventa femm. strommole ed assume il significato oltre che di trottoline, anche di sciocchezze, fandonie.
tiriteppe è una voce onamatopeica che riproduce il rumore prodotto da uno strummolo scentrato che nel suo prillare irregolare ballonzola sul selciato dando un suono del tipo tiritíppe- tiritàppe donde il tiritippe della locuzione.

16 Ll'aucielle s'apparono 'ncielo e 'e chiaveche 'nterra.
Letteralmente: gli uccelli si accoppiano in cielo e gli uomini spregevoli in terra. È la trasposizione in chiave icasticamente rappresentativa del latino: similis cum similibus, con l'aggravante della spregevolezza degli individui che fanno comunione sulla terra. Il termine: chiaveche è un aggettivo sostantivato, formato volgendo al plurale e maschilizzando (per comodità espressiva) il termine originario: chiaveca che è la cloaca, la fogna; tenendo ciò presente si può capire quale valenza morale abbiano per i napoletani, gli uomini (intesi non come maschi, ma come essere umani prescindendo dal sesso) detti chiaveche.

17 'E ciucce s'appiccecano e 'e varrile se scassano.
Letteralmente: Gli asini litigano e i barili si rompono. Id est: i comandanti litigano e le conseguenze le sopportano i soldati. Cosí va il mondo: la peggio l'ànno sempre i piú deboli, anche quando non sono direttamente responsabili d'alcunché. La cultura popolare napoletana à reso icasticamente il verso oraziano: quidquid delirant reges, plectuntur Achivi (Qualsiasi delirio dei re, lo pagano gli Achei...).

18 Â vessentería, nun s' à dda stregnere 'o culo.
Letteralmente: Alla diarrea non si deve (opporre) il restringimento dell'ano. Id est: Non ci si deve opporre al naturale fluire delle cose, anzi occorre sapersi adattare alle circostanze, anche le piú spiacevoli.
vessenteria = diarrea è voce dal t. lat. *vysenteria(m), che è dal gr. dysentería, 'disturbo di ventre', comp. di vys per dis ed éntera 'intestini'.
culo= sedere,posteriore è voce dal t. lat. culum sagomata sul greco kòlon.

19 'A trummetta d’ 'a Vicaria o pure 'A trummetta â Vicaria
Letteralmente: la trombetta della Vicaria/alla Vicaria .Cosí è chiamato il malevolo propalatore di notizie, il divulgatore non desiderato di faccende altrui, chi non sappia mantenere un segreto. L’ironica locuzione prende l'avvio da un personaggio veramente esistito in Napoli durante il periodo viceregnale, allorché - in mancanza di altri mezzi mediatici - per diffondere i pubblici bandi ci si serviva appunto di un banditore che girava la città e, fermandosi ad ogni cantonata, dava lettura dell'atto da comunicare dopo lo squillo di una tromba che serviva per richiamare l'attenzione degli astanti. La trombetta è detta della Vicaria perché era dalla Vicaria (sede dei tribunali della città) che cominciava il suo lavoro il banditore.
20 A carocchie, a carocchie Pulecenella accedette 'a mugliera.
Letteralmente: con ripetuti colpi in testa, Pulcinella uccise la moglie. Id est: i risultati si ottengono perseguendoli giorno dopo giorno anche con reiterate piccole azioni. La carocchia(voce che è dal t. lat.*caròculu(m)) è un colpo assestato sul capo con la mano chiusa a pugno mossa dall'alto verso il basso e con la nocca del medio protesa in avanti a formare un cuneo. Un singolo colpo non produce gran danno, ma ripetuti colpi possono anche ferire una persona e/o lasciare il segno.

21 Guagliú, levate 'o bbrito!
Letteralmente: ragazzi, togliete il vetro... Id est: Ragazzi togliete di mezzo i bicchieri. È il comando che proprietari delle bettole o cantine dove si mesceva vino a pagamento, rivolgevano ai garzoni, allorché si avvicinava l'ora di chiusura dell'esercizio, affinché ritirassero i bicchieri e le bottiglie usati dagli avventori. Per traslato, la frase viene usata quando si voglia far capire che si è giunti alla fine di qualsivoglia operazione e non si è intenzionati a cominciarne altra.

22 'A cora è 'a cchiú brutta 'a scurtecà.
Letteralmente: la coda è la cosa peggiore da scarnificare. Id est: il finale di un'azione è il piú duro da conseguire, perché un po' per stanchezza, un po' per sopraggiunte difficoltà non preventivate, i maggiori ostacoli si incontrano alla fine delle operazioni intraprese. In fondo, anche i latini asserivano la medesima cosa quando dicevano: in cauda venenum (il veleno è nella coda).

23 'O gallo ncopp' â mmunnezza.
Letteralmente: il gallo sull'immondizia. Cosí, a buona ragione, viene definito dalla cultura popolare partenopea, il presuntuoso, il millantatore, colui che - senza particolari meriti, ma per mera fortuna o per naturale fluire del tempo - abbia raggiunto una piccola posizione di preminenza, e di lassú intenda fare il buono e cattivo tempo, magari pretendendo di far valere il proprio punto di vista, proprio come un galletto che, asceso un cumulo di rifiuti, ci si sia posto come su di un trono e, pettoruto, faccia udire i suoi chicchirichí.

24 Aspetta, aseno mio, ca vène 'a paglia nova.
Letteralmente: Attendi, asino mio, ché è in arrivo la paglia nuova. È una locuzione usata quando si voglia indicare la inutilità di un'attesa o quando si voglia minacciare qualcuno di un'imminente vendetta.

25 'A gatta quanno sente 'addore d''o pesce, maccarune nun ne vo’ cchiú.
Letteralmente: la gatta quando avverte l'odore del pesce, maccheroni non ne vuole piú. Id est: Quando l'uomo à la possibilità di metter le mani su quanto c'è di meglio, non si contenta piú dell'eventuale succedaneo, ma ambisce al meglio, in senso sia teorico che pratico.

26 A -Chi chiagne fotte a chi ride. B - 'O piccio renne
Letterealmente: A - Chi piange frega chi ride. B - Il pianto rende. Le due locuzioni appalesano gli ottimi risultati che si possono ottenere con la politica del pianto e del lamento che a lungo andare producono frutti per coloro che la perseguono e mettono in atto.

27 Cu ll'evera molla ogneduno s'annetta 'o culo!
Letteralmente: con l'erba morbida, ognuno si pulisce il sedere. Id est: chi dimostra di non aver nerbo e/o carattere diventa succubo di chiunque ed è destinato, nella vita, ad essere soccombente in qualsiasi occasione e ad essere usato a piacimento degli altri.

28 Santu Mangione è 'nu grandu santo.
Letteralmente: San Mangione è un gran santo. La locuzione fa riferimento ad un ipotetico, ma non per questo inesistente, San Mangione, ritenuto dal popolo napoletano il santo protettore dei corrotti e dei concussori, santo potentissimo capace di fare 14 grazie al giorno, addirittura una in piú di quel sant'Antonio da Padova, gran taumaturgo accreditato di 13 grazie al giorno.
Con l'affermazione in epigrafe si appalesa la disincantata maniera di guardare alla realtà che è propria del napoletano, che - per averlo provato sulla propria pelle - è convinto che è la corruzione e non altro, a governare l'universo. E come dargli torto?
29 Pe gulio 'e lardo, vasa 'nculo ô puorco.
Letteralmente: per desiderio di lardo, bacia il sedere del maiale. Lo si dice di chi pur di ottenere qualcosa fosse anche un'inezia, è disposto alle piú disonorevoli azioni.
30 Nce ponno cchiú ll'uocchie ca 'e scuppettate...
Letteralmente: Ànno piú potere gli occhi che le schioppettate.Id est:la potenzialità del malocchio è cosí elevata da produrre piú danno delle fucilate ed il popolo napoletano correttamente ritiene che sia difficilissimo se non impossibile difendersi dagli influssi negativi della iettatura.
31 Dicette 'onna Vicenza: Addó c'è ggusto nun c'è perdenza.
Letteralmente: Disse donna Vincenza: Dove vi è gusto, non vi è perdita. Id est: ciò che vien fatto con piacere e per il piacere non genera pentimenti. La locuzione la si usa soprattutto a commento delle azioni di chi trovi gradevoli cose e/o persone ritenute da tutti gli altri repellenti.
32 'A raggione s''a pigliano 'e fesse.
Letteralmente: La ragione (che in napoletano va scritta con due g..) se la pigliano gli stupidi. In una discussione spesso uno dei contendenti, senza addivenire ad un pratico corrispettivo, si limita a dare ragione all'altro contendente che però con la frase in epigrafe afferma di non volersi contentare di chiacchiere e che il suo buon diritto a non può esser tacitato dalle sole parole...
33 Pe tte ce vò 'o caccavo 'e santa Maria 'a Nova.
Per te occorre il pentolone di santa Maria la Nuova.Id est: Sei insaziabile! Con questa enfatica locuzione si apostrofa chi è avido, smodato etc. , di robustissimo appetito, colui a cui insomma non basta cibo. Si tratta naturalmente di una iperbole in quanto 'o caccavo (=il pentolone dal tardo lat. caccabu(m)) era infatti un’ enorme pentola in cui i frati di santa Maria la Nova solevano preparare il pasto che quotidiamente offrivano non ad una singola persona, ma ai numerosi poveri accolti nel refettorio del convento annesso alla chiesa omonima.

34 'E meglie pariente stanno â Zecca.
Letteralmente: i migliori parenti stanno alla zecca, intesa non come zona della città, ma con derivazione dall'ar. sikka 'conio' come luogo dove si batte moneta, in quanto la locuzione proclama che è il danaro,il miglior congiunto.

35 A 'stu munno sulo 'o càntaro è nicessario.
Letteralmente: su questo mondo solo il vaso di comodo è necessario. Id est: nella vita nulla e - soprattutto - nessuno è veramente necessario o importante; si può tranquillamente fare a meno di tutto, tranne del pitale o meglio della funzione digestiva che esso rappresenta che - a sua volta -presuppone l'aver mangiato e l' averne avuto la possibilità. Si faccia attenzione a pronunciare esattamente la parola càntaro (che è accentata sulla prima a ed in napoletano significa (con derivazione dal lat. cantharu(m), che è dal gr. kántharos) vaso di comodo, pitale, orinale etc.; non la si confonda con cantàro altra parola della lingua napoletana dove indica il quintale con derivazione dall'ar. quintar, che, attrav. il gr. bizant., è dal lat. tardo centenarium (pondus) '(peso di) cento libbre'.

36 Aizammo 'a gallina e avasciammo 'a cecoria...
Letteralmente: aumentiamo la gallina e diminuiamo la cicoria... Id est: diamo maggior consistenza alla minestra aumentando la carne e diminuendo i vegetali. La locuzione viene icasticamente usata quando si voglia convincere qualcuno a curar maggiormente la sostanza delle faccende in cui si è impegnato e a non esagerare con il conferimento di aggiunte attinenti piú alla forma che alla sostanza.

37 Dicette Nunziatina: "A bbuonu fine, m''a faccio 'na rattata 'e suttanino!".
Letteralmente: Disse Nunziatina: "Affinché me ne venga del bene, me la faccio una grattata di sottoveste!" La cultura popolare napoletana, sempre attenta ai mezzi utili a procurar il bene e/o evitare il male(lèggi iettatura) non fa mai considerare superflui gli scongiuri ed i gesti apotropaici ritenuti apportatori di benessere. Quello della locuzione, attribuito ad una ipotetica Nunziatina (diminutivo di Annunziata), fa riferimento ad una benefica grattata di sottoveste, termine usato eufemisticamente per indicare parti del corpo che, per solito, sono nascoste dalle vesti.

38 Meglio curnute ca male sentute.
Letteralmente: meglio(esser) cornuti che male intesti (compresi). Id est: meglio subire l'onta del tradimento uxorale che esser mal compresi e pertanto esser ritenuti titolari di giudizi o idee che - per non essere stati ben compresi -stravolgono gli autentici giudizi o pensieri di un individuo.È minore il danno di un tradimento subíto che quello conseguente ad un fraintendimento.

39 Pizzeche e vase nun fanno pertose e maniate 'e zizze nun fanno criature.
Letteralmente: pizzicotti e baci non perforano e carezze di seni non generano creature. Id est: in amore ed in ogni altra occasione, se non si vogliono avere risultati indesiderati, non bisogna superare i limiti di un contatto superficiale, accontendandosi di una toccata e fuga.

40 'Na mugliera 'ncignata alla Chiazzetta
Una moglie che à fatto le prime esperienze sessuali alla Chiazzetta. A Napoli,la Chiazzetta era una contrada del quartiere Porto, densamente abitata da gente di bassa condizione sociale e dedita a loschi affari. Tra queste persone abbondavano le donne di malaffare che svolgevano la piú antica professione del mondo in parecchie case che abbondavano in loco. Per cui quando un giovane impalmava una donna dai precedenti non proprio chiari si diceva che aveva preso 'na mugliera 'ncignata (sverginata) alla Chiazzetta.
41 Ô puorco, miettece 'a sciassa, sempe 'a coda nce pare.
Letteralmente: al porco puoi anche mettere una marsina, mostrerà sempre la coda(appalesandosi per quel che è). Id est: è inutile affannarsi a ricoprire di begli abiti un essere sporco e lercio, qualcosa renderà visibile comunque la sua vera natura.

42 Te se pozza purtà, 'a lava d''e Virgene!
Letteralmente: Che possa essere trascinato via dalla lava dei Vergini. È il malevole augurio che si rivolge ai fastidiosi, ai tediosi cui si augura che un'improvviso fenomeno alluvionale li trascini con sé e li porti via. Quando non esistevano approntati percorsi fognarî, lo scolo delle acqua piovane era affidato alla naturale pendenza dei luoghi, pendenza che trasportava le acque verso il mare. La zona della Sanità era ed è posta, a Napoli, a ridosso dei contrafforti della collina di Capodimonte ed era sommersa dal copioso torrente d'cqua piovana che, precipitandosi da Capodimonte imboccava il declivio sottostante - via dei Vergini - e ingrossandosi a mano a mano prendeva forza, trascinando con sé tutto che incontrava sul suo cammino. Il popolo chiamò quel terribile torrente con il nome di lava (dal lat. labe(m) 'caduta, rovina', deriv. di labi 'scivolare') come se si fosse trattato della lava scaturente da un vulcano.
43 Fa' comme t'è ffatto, ca nun è peccato...
Letteralmente: fa' ciò che ti è stato fatto, perché la cosa non costituisce peccato. È una delle rare volte che la filosofia popolare partenopea si pone agli antipodi della morale cristiana, che consiglia invece di perdonare le offese ricevute e porgere l'altra guancia; la filosofia popolare qui invece si pone in linea con l'antico brocardo latino: vim, vi repellere licet (è lecito respingere la violenza con la violenza) , ovvero con il piúrecente toscano: render pan per focaccia.

44 San Cristoforo cu 'o munno 'ncuollo.
Letteralmente: san Cristoforo con il mondo addosso. Nella locuzione c'è la commistione di due figure: quella di san Cristoforo, che nell'iconografia ufficiale è rappresentato nell' atto di portare sulle spalle il Redentore bambino, e quella di ATLANTE personaggio della mitologia raffigurato con sulle spalle il globo terrestre. Il popolo nella sua locuzione à unito le due figure ed ha riferito a CRISTOFORO l'incombenza di sorreggere il mondo. La locuzione viene riferita per mettere in berlina l’ inettitudine fisica e/o morale di tutti coloro che, chiamati ad un risibile lavoro comportante un piccolissimo impegno fisico e/o morale, fanno invece le viste di sopportare grandi e gravi fatiche, lamentandosi a sproposito di ciò che stiano facendo, magari bofonchiando, sbuffando, quasi stessero veramente sorreggendo il mondo sulle spalle.

45 Azzupparse 'o ppane.
Letteralmente: inzuppare il pane. Id est: provare gusto e compiacimento alle disavventure altrui di qualsiasi natura siano, commentandole con irritanti sottolineature, per modo che chi è in situazioni di disagio, avverta maggiormente quel disagio e se ne dolga invece di esser sollevato. A Napoli se ad azzupparse 'o ppane è una donna, costei viene definita femmena 'e niente, se lo fa un uomo, è definito senza mezzi termini: ommo 'e mmerda.
46 Essere 'o si' nisciuno.
Letteralmente: essere il signor nessuno. Id est: essere una persona insignificante senza alcun valore fisico e/o morale quasi del tutto sconosciuta , non valere niente, non contare un accidenti nella scala sociale, insomma una vera e propria nullità, un autentico signor nessuno. Si noti che in napoletano si' non è l'apocope di zio, come spesso i male informati intendono pronunciando male l’espressione in epigrafe e dicendo zi’ nisciuno e non l’esatto si’ nisciuno dove si’ è l'apocope di si(gnore).
47 Prumettere 'e certo, e vení meno 'e sicuro.
Letteralmente: promettere con certezza e con medesima certezza disattendere quanto promesso. Lo si dice di chi fa le viste di promettere mari e monti e poi in pratica non tiene fede a nulla di quanto promesso. Tipico comportamento dei politici in campagna elettorale e dei ragazzi in prossimità delle festività, allorché in vista di possibili regali, promettono di comportarsi con correttezza, ubbidienza, disponibilità etc., promesse cui vengon meno appena ottenuto i doni attesi.
48 Pigliarse 'nu passaggio.
Letteralmente: prendersi un passaggio. Id est: protendere furtivamente le mani fino a sfiorare con le dita procaci e prominenti rotondità femminili, magari soffermandosi vogliosamente a palpeggiare le suddette rotondità.La parola passaggio (dal fr. ant. passage, deriv. di passer 'passare) indica appunto il reiterato sfregamento operato dalle mani che per palpeggiare, passamno e ripassano sulle suaccennate rotondità.

49 Avàsciame 'o "ddonne" e aízame 'a mesata.
Letteralmente: Diminuiscimi il "don" ed elèvami la mercede. Id est: badiamo piú alla sostanza che alla forma. Cosí si esprime chi si veda malamente retribuito per le sue opere e in luogo di sonante danaro venga invece riempito di vuoti salamelecchi.

50 Chi te sape, t'arape.
(È) Chi ti conosce,(che) ti scassina (la porta). Se subisci un furto i primi di cui sospettare son quelli che ti frequentano, giacché son loro che conoscono le tue abitudini e ciò che possiedi.

51 Trova cchiú ampressa 'a femmena 'na scusa, ca 'o sorice 'o purtuso.
Letteralmente: Trova piú presto una donna una scusa, che un topo un buco (in cui infilarsi). Id est: la donna è grandemente menzognera per cui facilmente trova il modo di scusarsi delle sue malefatte e lo fa in maniera tanto rapida da battere in velocità persino un topo che - si sa -è rapidissimo.


52 Doppo magnato e vìppeto" Â salute vosta!".
Letteralmente: Dopo d'aver mangiato e bevuto:"alla vostra salute!". L'espressione in epigrafe si usa a Napoli, per commentare sarcasticamente il comportamento di chi approfitta di una situazione proficua e posticipa gli atteggiamenti augurali, dopo di aver goduto di quei benefici per i quali la buona norma vorrebbe che irelativi auguri venissero fatti antecedentemente prima cioè di godere dei frutti di azioni comuni; a mo' d'es.: un brindisi va fatto prima, non dopo una bevuta corale.
53 Metterse 'e casa e puteca.
Letteralmente: porsi di casa e bottega. Id est:accingersi ad un lavoro con massima attenzione ed attaccamento puntiglioso come chi dura la propria vita in quella che sia contemporaneamente casa e sede del proprio operare cui potersi dedicare senza soluzione di continuità e senza perdite di tempo che invece ci sarebbero qualora ci si dovesse spostare dalla bottega alla casaviceversa.

54 E pígliala ‘sta decisione storica!
Prendila questa decisione (degna di memoria)!
Sarcastica esclamazione esortativa rivolta verso chi, per sua natura, neghittoso, ignavo prima di decidersi ad operare alcunché che il piú delle volte è semplice e di nessuna difficoltà, tentenna, nicchia, rimanda e quando finalmente si decide all’azione lo fa in maniera svogliata, abulica, accidiosa per modo che i risultati del suo stanco operare sono scadenti, mediocri e raffazzonati, mentre egli il neghittoso cui è rivolta l’esortazione fa le viste di star facendo un lavoro faticosissimo e/o difficoltoso e sbuffa, se ne lamenta,implora la commiserazione degli astanti, proprio come se da solo stesse tirando su un palazzo a forza di mattoni e calcina.

55 Purtà p''e viche.

Letteralmente: menare per i vicoli. Id est: comportarsi truffaldinamente nei confronti di qualcuno, imbrogliandolo, confondendolo, rimandando sine die il compimento di promesse formulategli, conducendolo per tortuosi e dispersivi vicoli in luogo della retta e piú breve via maestra. L'espressione è normalmente intesa in senso figurato, ma potrebbe esserlo anche in senso concreto come ad es. nel deprecato caso del furbo tassista che,invece di andare diritto alla meta, porti il povero passeggero in giro per la città prima di depositarlo a destinazione.

56 Truòvate chiuso e piérdete chisto accunto.
Letteralmente: Trovati chiuso e perditi questo cliente.La divertita locuzione viene usata in senso ironico a commento della situazione antipatica in cui qualcuno abbia a che fare con persona pronta ad infastidire o a richiedere i maggior vantaggi da un quid senza voler conferire il giusto corrispettivo, come nel caso ad es. di un cliente che pretenda di accaparrarsi la miglior merce, ma sia restio a pagare il giusto prezzo dovuto.L'accunto deriva dal latino: accognitus= ben noto / cliente poi che chi frequenta quotidianamente una bottega divenendone assiduo cliente risulta essere conosciuto, anzi ben noto.

57 Fà tre fiche nove ròtele.
Letteralmente: fare con tre fichi nove rotoli. Con l'espressione in epigrafe, a Napoli si è soliti bollare i comportamenti o - meglio - il vaniloquio di chi esagera con le parole e si ammanta di meriti che non possiede, né può possedere. Per intendere appieno la valenza della locuzione occorre sapere che il ruotolo, di cui ròtele è il plurale, era una unità di peso del Regno delle Due Sicilie e corrispondeva in Sicilia a gr.790 mentre a Napoli e suo circondario,ad 890 grammi per cui nove rotole corrispondevano a Napoli a circa 8 kg. ed è impossibile che tre fichi (frutto, non albero) possano arrivare a pesare 8 kg. Per curiosità storica rammentiamo che il rotolo, come unità di peso, è in uso ancora oggi a Malta che, prima di divenire colonia inglese, apparteneva al Regno delle Due Sicilie. Ancora ricordiamo che il ruotolo deriva la sua origine dalla misura araba RATE,trasformazione a sua volta della parola greca LITRA, che originariamente indicava sia una misura monetaria che di peso; la LITRA divenne poi in epoca romana LIBRA (libbra)che vive ancóra in Inghilterra col nome di pound che indica sia la moneta che un peso e come tale corrisponde a circa 453,6 grammi, pressappoco la metà dell'antico ruotolo napoletano.

58' A disgrazzia d''o 'mbrello è quanno chiove fino fino.
Letteralmente: la malasorte dell'ombrello è quando pioviggina lentamente. Va da sé che l'ombrello corre i maggiori rischi di rompersi allorché debba essere aperto e chiuso continuamente, per offrir riparo per continuate successive pioggerelle, non quando debba sopportare un unico, sia pure violento, scroscio temporalesco; cosí l'uomo(che nel proverbio è adombrato sotto il termine di 'mbrello) soffre di piú nel sopportare continuate piccole prove che non un solo , anche se pesante, danno.
59 'A pecora s'à dda tusà, nun s'à dda scurtecà
Letteralmente: la pecora va tosata, ma non scorticata. Id est: est modus in rebus: non bisogna mai esagerare; nel caso : è giusto che una pecora venga tosata, non è corretto però scarnificarla; come è giusto pagare i tributi, ma questi non devono essere esosi.
60 - Si' pre' 'o cappiello va stuorto...
- Accussí à dda jí!
- Signor prete, il cappello va storto - Cosí deve andare. Simpatico duettare tra un gruppetto di monelli che - pensando di porre in ridicolo un prete - gli significavano che egli aveva indossato il suo cappello di sgimbescio, e si sentirono rispondere che quella era l'esatta maniera di portare il suddetto copricapo. La locuzione viene usata quando si voglia fare intendere che non si accettano consigli non richiesti soprattutto quando chi dovrebbe riceverli à - per sua autorità - sufficiente autonomia di giudizio.
61 Dicette Nunziata: Ce ponno cchiú ll'uocchie ca 'e scuppettate!
Letteralmente: Disse Nunziata: Ànno maggior potenza gli occhi (il malocchio) che le schioppettate.Il napoletano giustamente teme piú il danno che gli possa derivare dagli sguardi malevoli di taluno (iettatori, menagramo), che il danno che possono arrecargli colpi di fucile: dalle ferite da arma da fuoco si può guarire, piú difficile, anzi impossibile sfuggire alla iettatura.

62 Â nnotte se 'nzuraje Catiello.
Letteralmente: Catello (inguaribile scapolo) prese moglie di notte. La locuzione fotografa una situazione che in italiano è resa con: MEGLIO TARDI CHE MAI, il Catello, infatti procrastinò tanto il suo matrimonio che quando finalmente fu celebrato era oramai notte. Nella locuzione partenopea si tenga presente la geminazione iniziale della lettera N nella parola notte che lascia capire che la A iniziale non è l'articolo femminile ('A) ma la preposizione alla resa con forma agglutinata â= a +’a che introduce un concetto temporale reso con la doppia N di notte; se la A fosse stato un articolo la successiva parola notte sarebbe stata scritta in maniera scempia con una sola N.
63 'E maccarune se magnano teniénte, teniénte.
Letteralmente: i maccheroni vanno mangiati molto al dente. La locuzione a Napoli oltre a compendiare un consiglio gastronomico ineludibile, viene usata anche per significare che gli affari devono esser conclusi sollecitamente, senza por troppe remore in mezzo.
teniénte vale molto pronti, quasi duretti ed è il plurale aggettivato del part. presente tenente (che sta tenendo, che sta mantenendo ... la cottura) del verbo tenére/tené dal lat. teníre, corradicale di tendere 'tendere' .
64 Quanno siente 'o llatino da 'e fesse, è signo 'e mal' annata.
Letteralmente: quando senti che gli sciocchi parlano latino, è segno di un cattivo periodo.Id est: l'ostentazione di una qualsivoglia cultura da parte degli stupidi ed ignoranti, prelude a tempi brutti, per cui son da temere gli sciocchi che si paludano da sapienti...

65 Pare 'o sorice 'nfuso 'a ll'uoglio.
Letteralmente: sembra un topolino bagnato da l'olio. La locuzione viene usata a Napoli nei confronti di taluni bellimbusti che vanno in giro tirati a lucido ed impomatati che in napoletantano suona: alliffati (dal greco aleiphar=olio); tali soggetti vengon paragonati ad un topolino che per ventura sia cascato nell'orcio dell'olio e ne sia riemerso completamente unto e luccicante.
66 'A carne se jetta e 'e cane s'arraggiano.
Letteralmente: la carne si butta ed i cani s'arrabbiano. Id est: c'è abbondanza di carne, ma mancanza di danaro per acquistarla e ciò determina profonda rabbia in chi, non avendo pecunia, non può approfittare dell'abbondanza delle merci. Per traslato, il proverbio è usato in tutte le situazioni in cui una qualsiasi forma di indigenza è ostativa al raggiungimento di un fine che parrebbe invece a portata di mano; ciò vale anche nei rapporti tra i due sessi: per es. allorchè una donna si offra apertamente ed un uomo manchi di prontezza a cogliere l’occasione propizia o gli manchi (per incomprensibili remore morali) il coraggio di coglierla, un terzo - spettatore, magari concupiscente, potrebbe commentare la situazione con le parole in epigrafe.

67 Pare ca mo te veco vestuto 'a urzo.
Letteralmente: Sembra che ora ti vedrò vestito da orso. Sapida locuzione da intendersi in senso ironico e perciò antifrastico. Id est: Mai ti potrò vedere vestito della pelle dell'orso, giacché tu non ài nè la forza, nè la capacità fisica e/o morale di ammazzare un orso e vestirti della sua pelle. La frase viene usata a commento delle azioni iniziate da chi sia ritenuto tanto inetto da non poter mai portare al termine ciò che intraprende.
68 'O cucchiere 'e piazza: te piglia cu 'o 'ccellenza e te lassa cu 'o chi t'è mmuorto.
Letteralmente: il vetturino da nolo: ti accoglie con l'eccellenza e ti congeda bestemmiandoti i morti.Il motto compendia una situazione nella quale chi vuole ottenere qualcosa, in principio si profonde in ossequi e salamelecchi esagerati ed alla fine sfoga il proprio livore represso, come spesso avviene con i vetturini di nolo adusi a mille querimonie per attirare i clienti, ma poi - a fine corsa - pronti a riversare sul medesimo cliente immani contumelie, in ispecie allorché il cliente nello smontare dalla carrozza questioni sul prezzo della corsa, o - peggio ancora - non lasci al vetturino una congrua mancia.
69 Tu muscio-muscio siente e frusta llà, no!
Letteralmente: Tu senti il richiamo(l'invito)e l'allontanamento no. Il proverbio si riferisce a quelle persone che dalla vita si attendono solo fatti o gesti favorevoli e fanno le viste di rifiutare quelli sfavorevoli comportandosi come gatti che accorrono al richiamo per ricevere il cibo, ma scacciati, non vogliono allontanarsi; comportamento tipicamente fanciullesco che rifiuta di accettare il fatto che la vita è una continua alternanza di dolce ed amaro e tutto deve essere accettato, il termine frusta llà discende dal greco froutha-froutha col medesimo significato di :allontanati, sparisci.

70 Hê 'a murí rusecato da 'e zzoccole e 'o primmo muorzo te ll'à da dà mammèta
Che possa morire rosicchiato dai grossi topi di fogna ed il primo morso lo devi avere da tua madre. Icastica maledizione partenopea giocata sulla doppia valenza del termine zoccola (che è dal lat. sorcula diminutivo di sorex) che, a Napoli, identifica sia il topo di fogna che la donna di malaffare appaiata al topo di chiavica perché come il topo è adusa a girovagar di notte.

71 Ma te fosse jiuto 'o lliccese 'ncapo?
Letteralmente: ma ti è forse andato il leccese in testa? Id est: fossi impazzito? Avessi perso l'uso della ragione? Icastica espressione che, a Napoli, viene usata nei confronti di chi, senza motivo, si comporti irrazionalmente. Il leccese dell'espressione non è - chiaramente - un abitante di Lecce, ma un tipo di famoso tabacco da fiuto, prodotto, temporibus illis, nei pressi del capoluogo pugliese; l'espressione paventa il fatto che il tabacco fiutato possa- non si sa bene come - aver raggiunto, attraverso le coani nasali il cervello e leso in tal modo, d’improvviso le facoltà raziocinanti del... fiutatore.
72 Fà 'e scarpe a quacched'uno oppure coserle ‘nu vestito
Letteralmente: Fare le scarpe a qualcuno oppure cucirgli un vestito Id est: conciar male, ridurre a cattivo partito qualcuno fino al punto di approntargli la morte. L'espressione deriva dall'usanza che si teneva a Napoli, di far calzare ai morti inizialmente di un certo rango, poi ad un po’ tutti - per l'ultimo viaggio - delle scarpe ed un vestito nuovi, conservati all'uopo dai familiari.
73 Cu 'nu NO te spicce e cu 'nu SÍ te 'mpicce!
Letteralmente: con un NO ti liberi e con un SÍ resti impicciato. Id est: il rifiuto o il diniego comportano vantaggi, mentre l'accondiscendere reca seco grossi problemi; il rispondere di no ad una richiesta comporta in effetti disagio solo al momento del diniego, ma il risponder di sí comporta innumerovoli e continuati disagi per tutto il tempo necessario a dar corso a quanto promesso.
74 Addò nun ce stanno campane, nun ce stanno puttane.
Letteralmente: dove non ci sono campane, non ci sono prostitute. Va da sé che il proverbio non deve essere inteso in senso strettamente letterale, giacché - per fare un esempio - nelle terre islamiche non vi sono campane, ma ciò non significa che non vi siano prostitute. Le campane della locuzione devono essere intese come segno di un'avvenuta conurbazione di un luogo, volendo affermar che le prostitute è piú facile trovarle là dove vi siano possibili clienti piuttosto che in luoghi disabitati dove piú rari possono essere i fruitori dell'opere delle prostitute.
75 Dicette vavone: Levammo 'accasiona...
Letteralmente: disse il trisavolo: Lasciamo stare... Id est: Occorre lasciar correre e non accapigliarsi ad ogni pie' sospinto, togliendo - anzi - l'occasione, ossia lasciando cadere i motivi prossimi che ci spingerebbero al contrasto; è l'invito a perseguire la pace anche se per farlo occorra rimetterci.
76 'O rancio 'e dint' ê scoglie: ddoje vocche e 'a cascia 'e mmerda.
A Napoli di una persona insignificante, buona solo a sparlare si dice che è simile al granchio degli scogli che è tutto chele(erroneamente, ma icasticamente definite dette bocche) e carapace.

77 Chi 'a fa cchiú sporca, è priore.
Letteralmente: chi si comporta peggio , diventa priore. Amaro principio che però parte dalla disincantata osservazione della realtà nella quale per assurgere ai posti di preminenza occorre comportarsi male, anzi peggio degli altri .

78Pìgliate 'a bbona, quanno te vène, pecché 'a trista nun manca maje.
Letteralmente: Cogli la buona (occasione/giornata ) quando ti si presenta, perché i momenti cattivi non mancheranno mai... È il medesimo concetto del carpe diem oraziano con l'aggiunta di una esatta anche se pessimistica motivazione.
79 Ma addò t'abbíe senza 'mbrello?
Letteralmente: Ma dove ti dirigi senza ombrello (se già piove?)? La domanda traduce sarcasticamente l'avvertimento di non affrontare qualsivoglia situazione se non si è preparati e pronti, armati cioè oltre che della buona volontà, degli strumenti atti alla bisogna e a far da scudo ove ne occorra il caso.
80 Se pigliano cchiú mosche cu 'na goccia 'e mèle, ca cu 'na votta 'acito.
Letteralmente: si catturano piú mosche con una goccia di miele che con una botte di aceto. Id est: i migliori risultati, i piú sostanziosi si ottengono con le manieri dolci, anziché con quelle aspre.
raffaele bracale

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