1 Darse 'e pizzeche 'ncopp' â panza.
Letteralmente: darsi pizzichi sulla pancia. Id est: sopportare, rassegnarsi, far buon viso a cattivo gioco. È il consiglio che si dà a chi ad una contrarietà sarebbe pronto a render la pariglia ed invece gli si consiglia di sopportare, assestandosi dei pizzichi sulla pancia quasi che il dolore fisico che ne deriva servisse a lenire quello morale, in nome del quale ci si sentirebbe pronti a scatenare una guerra!
2 'Ncopp' ô muorto se canta 'o miserere.
Letteralmente: sul morto si piange il miserere Id est: non bisogna precorrere i tempi, in ispece quelli delle lamentazioni che allora son lecite quando ci si trovi davanti al fatto compiuto di un danno patito, mai prima.
3 Bbuono pe scerià 'a ramma.
Letteralmente: buono per pulire le stoviglie di rame. Cosí in modo quasi rabbioso viene definito un frutto tanto aspro di sapore da non essere edibile, ma che può solo servire alla pulizia delle pentole di rame. Un tempo, quando non esistevano acciai inossidabili o allumini leggeri, le pentole erano in rame opportunamente ricoperte, sulle zone che avrebbero accolto i cibi, di stagno; per la loro pulizia e lucidatura ci si serviva di pietra pomice, arena 'e vitrera (sabbia da vetraio ricca di silice), e limoni piccoli ed aspri al segno di non poterli mangiare o premere, con i quali si soffregavano le pentole fino a detergerle e addirittura farle luccicare. Per traslato, la locuzione in epigrafe si attaglia anche a chi è di carattere cosí aspro e spigoloso da non consentire ad alcuno di avervi rapporti.
scerià= soffregare, strofinare derivato forse da una forma greco-lat. *syriare→*siriare→sciriare o forse da un lat. *scericare derivato da fricare→flicare→felericare→flericare→scericare→sceri(c)are. Trattandosi sia per *syriare che per *scericare di due lemmi non attestati, la scelta è libera.
4 'on Simone, stampa e cumpone.
Letteralmente: don Simone stampa e compone. Cosí, furbescamente son definiti , a Napoli, coloro che per mera saccenteria, per gratuita supponenza, affermano di esser capaci di bastare da soli a far tutto, rifiutando - per questo - aiuti o consigli da chicchessia; il don Simone della locuzione per ironia è considerato capace di assommare in sè l'abilità del tipografo stampatore e la capacità del tipografo compositore.
5 S' è 'mbriacata 'a usciola!
Letteralmente: s'è ubriacata la bussola! È questo l'amaro commento che si usa profferire davanti a situazioni inopinatamente ingarbugliatesi al punto da non permettere a nessuno di venirne a capo, come sarebbe quasi impossibile ad un marinaio, ritrovare il nord allorché la sua bussola, incappata in una tempesta magnetica non riuscisse piú ad indicare la sicura via, comportandosi quasi da ubriaca.
6 Astipate 'o milo pe quanno te vene 'a sete.
Letteralmente: conserva la mela per quando avrai sete. Id est: non bisogna aver fretta per ritorcere contro qualcuno i torti subíti.La vendetta è un piatto da servire freddo.
7 Piscià acqua santa p''o velliculo.
Letteralmente: orinare acqua santa dall'ombelico. La locuzione, usata sarcasticamente nei confronti di coloro che godano immeritata fama di santità significa, appunto, che coloro cui è diretta sono da ritenersi tutt'altro che santi o miracolosi, come invece lo sarebbero quelli che riuscissero a mingere da un orifizio inesistente, addirittura dell'acqua santa.
8 Ê tiempe 'e PAPPAGONE
Letteralmente: Ai tempi di PAPPAGONE Id est: in un tempo lontanissimo. Cosí vengono datate cose di cui si parli che risultano risalenti a tempi lontanissimi, quasi mitici. Il PAPPAGONE della locuzione non è infatti la famosa maschera creata dal compianto attore napoletano Peppino De Filippo ((Napoli, 26 agosto 1903 – †Roma, 26 gennaio 1980); ma è la corruzione del cognome PAPPACODA antichissima e nobile famiglia partenopea che ha lasciato meravigliosi retaggi architettonici risalenti al 1400, in varie strade napoletane.
9 Arretírate, píreto!
Letteralmente: Ritirati, peto! Imperiosa ed ingiuriosa invettiva rivolta verso chi, per essere andato fuori dei limiti consentiti, si cerchi di ridimensionare esortandolo, anzi imponendogli di rientrare nei ranghi, anche se non si capisce come un peto, partito dalla sua sede vi possa rientrare a comando...
10 A 'nu parmo d''o culo mio, fotta chi vo’.
Letteralmente: ad un palmo dal mio sedere,coisca chi vuole. Id est: fate pure i vostri comodi, purché li facciate lontano dal mio spazio vitale, non mi coinvolgiate e soprattutto non mi arrechiate danno!
11 Dicette 'o miedeco 'e Nola: Chesta è 'a ricetta e ca Ddio t''a manna bbona...
Letteralmente: Disse il medico di Nola: Questa è la ricetta e che Dio te la mandi buona. La locuzione viene usata quando si voglia sottolineare che, dinnanzi ad un problema, si sia fatto tutto quanto sia nelle proprie possibilità personali e che occorra ormai confidare solo in Dio dal quale si attendono gli sperati risultati positivi.
12 Fà 'nu quatto 'e maggio.
Letteralmente: fare un quattro di maggio. Id est: sloggiare, cambiar casa, trasferirsi altrove. Da intendersi anche in senso figurato di allontanarsi, o recedere dalle proprie posizioni. Nel lontanissimo 1611 il vicerè Pedro de Castro, conte di Lemos, nell'intento di porre un po' di ordine nel caos dei quasi quotidiani traslochi che si operavano nella città di Napoli, fissò appunto ai 4 di maggio la data fissa soltanto nella quale si potevano operare i cambiamenti di casa. Il giorno 4, da allora divenne la data nella quale gli inquilini erano soliti conferire mensilmente gli affitti ai proprietarii di immobili concessi in fitto.
13S'à dda ógnere l'asso.
Letteralmente: occorre ungere l'asse. Id est: se si vuole che la faccenda si metta in moto e prosegua bisogna, anche obtorto collo, sottostare alla ineludibile necessità di ungere l'ingranaggio: inveterata necessità che viene di lontano quando i birocciai solevano spalmare con cotenne di porco o altro grasso animale gli assi che sostenevano gli elementi rotanti dei loro calessi, affinché piú facilmente si potesse procedere con meno sforzo delle bestie deputate allo scopo. Il traslato in termini di "mazzette" da distribuire è ovvio e non necessita d'altri chiarimenti.
14 Paré 'nu pireto annasprato.
Letteralmente: sembrare un peto inzuccherato. Lo si dice salacemente di chi si dia troppe arie, atteggiandosi a superuomo, pur non essendo in possesso di nessuna dote fisica o morale atta all'uopo. Simili individui vengono ipso facto paragonati ad un peto che, non si sa come, sia inzuccherato, ma che per quanto coperto di glassa dolce resta sempre un maleodorante, vacuoflatus ventris.
15 L'Acciomo ê Bbanche nuove.
Letteralmente: l' Ecce homo ai Banchi nuovi. Cosí oggi i napoletani sogliono indicare quei giovani, che - per essere alla moda - non si radono, mantenendo ispidi ed incolti quei pochi peli che dovrebbero costituire l'onor del mento, e per apparire in linea con i dettami della moda si mostrano smagriti e pallidi. La locuzione rammenta una scultura lignea sita in un'edicola posta ai Banchi Nuovi - quartiere napoletano sviluppatosi a ridosso della Posta Vecchia e Santa Chiara - scultura rappresentante il CRISTO reduce dai tribunali di Anna e Caifa, ed appare il Cristo, dopo le percosse e gli sputi subíti dai saldati romani, sofferente, smagrito, con la barba ispida, lo sguardo allucinato, proprio come i giovani cui la locuzione si attaglia.
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