1 Nun c'è prereca senza sant' Austino.
Letteralmente: Non v'è predica senza sant'Agostino. Come si sa, sant'Agostino (Tagaste, 13 novembre 354 – Ippona, 28 agosto 430), vescovo d' Ippona, è uno dei piú famosi padri della Chiesa cattolica e non v'è predicatore che nei sermoni non usi citare gli scritti del santo vescovo. L'espressione in epigrafe viene usata a mo' di risentimento da chi si senta ad ogni pie’ sospinto, chiamato in causa - soprattutto ingiustamente - e fatto segno di attenzioni non richieste e perciò non desiderate.
2 'A malanova ll'accumpagna 'o viento.
Letteralmente: la cattiva notizia viaggia sulle ali del vento. Id est: le cattive notizie ti raggiungono rapidamente, spinte come sono dal vento; per cui il popolo è solito affermare: nessuna nuova, buona nuova, poichè sono le cattive notizie a giungere sospinte dal vento; se non ne giungono, significa che si tratta di buone notizie che - per solito - non viaggiano col vento. Da notare che sotto parola vento è adombrato il passaggio di bocca in bocca: si preferisce cioè trasmettere oralmente e rapidamente le cattive notizie, piuttosto che quelle buone!
3 E bravo ô fesso!
Letteralmente: E bravo allo sciocco! La frase in epigrafe la si usa sempre quando si voglia sarcasticamente plaudire all'operato di chi pretende da saccente e borioso supponente, con la propria azione di dimostrare la propria valentía nei confronti di qualcuno a cui non riesca di agire alla medesima stregua. Piú chiaramente, la locuzione è usata a mo' di presa in giro di coloro che fanno le viste di ritenersi superiori agli altri e in realtà se lo sono non è per maggiori capacità fisiche e/o morali, ma solo per fortunose o ovvie, transeunte ragioni. Per meglio chiarire spieghiamo con un esempio. Poniamo vi sia un uomo infortunato alle gambe che abbia difficoltà ad ascendere una scala a pioli. Si presenta uno sciocco saccente (il fesso dell’espressione) che, essendo pienamente integro nella sua salute, con irrisoria facilità ascende la scala e commenta con aria arrogante e boriosa : "Visto come è facile?". La risposta che si merita codesto sciocco è quella in epigrafe, che nel caso dell'esempio starebbe a significare: Sei cosí stupido, oltreché cattivo da non renderti conto che se anche io fossi nella mia integrità fisica, non avrei difficoltà a fare ciò che ài fatto tu!
4 Quanno 'o mellone jesce russo, ogneduno ne vo’ 'na fella.
Letteralmente: Quando il cocomero al taglio si presenta ben colorito di rosso, ognuno ne pretende una fetta. Id est: Quando l'occasione è buona, ognuno cerca di ottenerne il massimo vantaggio. Per traslato ed ampiamento semantico , l'espressione si usa quando si voglia bollare il comportamento di chi è sempre pronto a saltare sul carro del vincitore...
5 Si 'o Signore me pruvvede, m'aggi' 'a fà 'nu quacchero luongo 'nfino ê piede.
Letteralmente: Se il Cielo mi dà provvidenza, debbo farmi un soprabito lungo fino ai piedi. Id est: se avrò fortuna e l’aiuto dal Cielo mi voglio ricoprire fino ai piedi per modo che non possa temere offese dall'esterno. La parola quacchero ( che di per sé indica- con derivazionedall'ingl. quaker, propr. 'tremolante', deriv. di to quake 'tremare'; nome attribuito per scherno, nel 1650, ai seguaci del movimento, perché il fondatore aveva ammonito i presenti a tremare davanti alla parola di Dio – un seguace di un movimento religioso protestante (Società degli amici) sorto in Inghilterra nel sec. XVII e diffusosi negli Stati Uniti, che pone l'accento sull'ispirazione e sull'illuminazione divina, esprimendosi in un culto di tipo pentecostale; i quaccheri si caratterizzano per lo zelo caritativo e missionario, per il rifiuto di ogni violenza, per l'egualitarismo e la semplicità di vita) nel senso di cappotto è modellata sul termine quaccheri, rammentando i lunghi costumi indossati da costoro.
6 Ll'abbate Taccarella.
Letteralmente: l'abate Taccarella. Con questo soprannome viene bollato, a Napoli, la malalingua, lo sparlatore, colui che, metaforicamente, tagliuzzi gli abiti addosso ad una persona; il nome Taccarella è chiaramente un deverbale desunto appunto dal verbo taccarià (verbo onomatopeico, ma pure denominale del got. taikn) che significa tagliuzzare, ridurre in minuti pezzetti.
7 T' hê pigliato 'e ccient' ove?
Letteralmente: ài preso le cento uova? ; ài bevuto cento uova? Id est: Sei diventato pazzo? La locuzione rammenta un antichissimo metodo di cura della pazzia in uso a Napoli nei sec. XV e XVI, e pare ideato da un famosissimo medico dei pazzi, tale Giorgio Cattaneo - dal cui nome derivò poi il termine mastuggiorgio che indica appunto il castigamatti - il quale medico pare inventasse la cura coercitiva per il folle di dover assumere ben cento uova di seguito e poi, sotto la minaccia di una frusta, di girare la ruota di un pozzo.
8 Frijenno, magnanno.
Letteralmente: friggendo e mangiando. L'uso, tutto napoletano, di mettere in fila due gerundi, senza un apparente modo finito reggente, sta ad indicare che le due azioni debbono essere eseguite quasi contemporaneamente, senza soluzione di continuità, e - nella fattispecie - il cibo una volta fritto deve essere súbito consumato, senza indugio, con immediatezza e rapidità. Il cibo, sottinteso nella locuzione, è rappresentato dalle famosissime paste cresciute, dai tittoli, dai fiori di zucca in pastella e da tutte quelle numerose verdure,leggermente sbollentate e poi fritte assieme a fette di ricotta, uova sode, animelle, panzarottini, arancini, etc. che concorrono a formare quello che erroneamente si dice fritto all'italiana e che sarebbe piú consono dire fritto alla napoletana, giacchè fu in Napoli (fine XVI e pricipio XVII sec. che venne ideato questo tipo di preparazione culinaria da consumarsi velocemente all'impiedi davanti ai banchi delle friggitorie (antenate delle moderne pizzerie) esercizi dove detto fritto veniva preparato ed offerto seduta stante all'avventore anche frettoloso.
9 Fatte 'na bbona annummenata e va'scassanno chiesie.
Letteralmente: procura di farti una buona nomea e poi saccheggia pure le chiese. Id est: ciò che conta nella vita è di godere di una buona opinione presso i terzi, poi si possono operare i peggiori misfatti, addirittura furti sacrileghi, nessuno mai sospetterà di uno che gode di buona nomea. La locuzione insomma affronta l'antico dilemma: essere o apparire e propende, stranamente per la cultura popolare, da sempre incline dalla parte della sostanza piuttosto che da quella della forma, per il secondo corno del dilemma.
scassanno= rompendo, rovinando, fracassando voce verbale (gerundio) dell’infinito sassare/scassà=rompere, rovinare,fracassare dal b. lat. s+ quassare frequentativo di quatere
10 Ammacca e sala, aulive 'e Gaeta.
Letteralmente: schiaccia e sala, olive di Gaeta! Di per sé è la voce - ossia la frase di richiamo - usata dai venditori di olive e con essa si rammenta la tecnica della conservazione in salamoia delle olive che vengono stipate in botticelle e conservate in un bagno di acqua salata. Con la stessa locuzione si suole commentare a mo' di riprovazione, il comportamento di coloro che operano in maniera rapida e superficiale, senza porre attenzione ed applicazione a ciò che sono stati chiamati a fare.
11M''o ssento 'e scennere pe dereto ê rine.
Letteralmente: me lo sento colare lungo il filo della schiena. L'espressione viene usata con senso di rammarico se non di timore, quando si voglia comunicare a terzi di avvertire su se stessi la sensazione di un prossimo imminente disastro e/o pericolo e di non potervi porre riparo.
12 Se so' 'ncuntrate 'o sango e 'a capa.
Letteralmente: si sono uniti il sangue e la testa. Id est: si è verificato l'incontro di due elementi ugualmente necessarii al conseguimento di un quid. Locuzione usata però ironicamente anche in senso marcatamente dispregiativo per sottolineare l'incontro di due cattivi sogetti dalla cui unione deriverà certamente danno per molti. La locuzione, in senso positivo, fa riferimento all'incontro liturgico della teca contenente i reperti ematici del sangue di san Gennaro con il busto contenente il cranio del santo; solo dopo detto incontro infatti per solito si verifica il miracolo della liquefazione del sangue. Oggi l’incontro avviene al chiuso della cappella del Tesoro nella Cattedrale di Napoli, cappella nella quale sono custoditi sia il busto con il cranio del santo, sia la teca con le ampolline con il sangue; un tempo invece l’incontro avveniva nella zona di Antignano (collina del Vomero) dove sisteva una chiesetta dedicata al santo e dove convergevano due distinte processioni una con il busto, l’altra con la teca: al loro incontro si verificava il miracolo della liquefazione del sangue di san Gennaro.
13 Essere d''o bettone.
Letteralmente: essere del bottone Id est: appartenere ad un medesima consorteria, ad una stessa associazione e perciò essere nella condizione di poter chiedere e ricevere aiuto ed assistenza dai propri sodali. Il bottone della locuzione è, senza dubbio, il distintivo, cioè il segno esteriore della appartenenza ad un determinato consesso, ma è inesatto ritenere il distintivo della locuzione quello fascista, perché l'espressione, a Napoli, era nota e si usava fin dall'epoca dei Borbone.
14 Tirarse 'a cauzetta.
Letteralmente: tirarsi la calza. Id est: starsene sulle proprie, darsi delle arie, farsi eccessivamente pregare prima di condiscendere sia pure ad un colloquio, guardare dall'alto in basso i richiedenti, dimostrarsi arroganti e reticenti. La locuzione che fotografa quasi il sopracciò, il rancoroso che mantiene le distanze, deriva dall'usanza spagnola di ritenere elegante e perciò importante chi portasse le calze molto aderenti alle gambe e tirate su il piú possibile.
15 I' faccio pertose e tu gaveglie.
Letteralmente: Io faccio buchi e tu cavicchi. Id est: mi remi contro. La locuzione la si usa quando si voglia redarguire qualcuno che proditoriamente e senza apparenti giustificati motivi, anzi quasi per dispetto, si adopera per vanificare l'opera di chi si sta affannando in un'azione di senso contrario come nella locuzione càpita a chi si sta adoperando a fare buchi e trova chi invece si dà da fare per confezionare cavicchi atti a turare detti buchi.
pertose = buchi plur. irr. femm. del maschile pertuso derivato dal b. lat. pertusju(m) dal verbo pertundere normale il passaggio di sj ad esse + voc. (so).
gaveglie = cavicchi, stecchi sost. femm. plurale di gaveglia= stecco, cavicchio, piolo dal tardo lat. cavicla.
16Quanno scioscia viento 'e terra, 'o pesce nun zompa dint' â tiella.
Letteralmente: quando spira il maestrale il pesce non salta in padella. Id est: i giorni spazzati dal vento di maestrale sono i meno adatti per la pesca. Piú in generale il proverbio sta a significare che per ottenere buoni risultati occorre attendere il momento propizio e non bisogna avventurarsi in alcuna opera quando spiri vento avverso.
17 Tre songo 'e putiente: 'o papa, 'o rre e chi nun tène niente.
Letteralmente: Tre sono i potenti: il papa, il re e chi non possiede nulla. Ed è facile capire il perché della locuzione. Il Papa non à concorrenti, per cui nel suo àmbito è da ritenersi veramente un potente; idem valga per il re inteso come despota. E non meravigli che sia considerato un potente il nullatenente, che basa proprio sulla sua penuria di mezzi la propria forza, potendosi infischiare di tutti, non temendo assalti da parte di nessuno, giacchè a nessuno verrebbe in mente di attaccare qualcuno a cui in caso di vittoria non si avrebbe alcunché da sottrarre.
18 Signore 'e unu cannelotto.
Letteralmente: signore da un solo candelotto. Cosí a Napoli viene appellato chi pretende di avere nobili ascendenti, ed invece risulta essere di nessuna nobiltà. La locuzione risale al tempo in cui l'illuminazione dei palchi del teatro san Carlo, massimo teatro lirico della città partenopea, era assicurata da alcuni candelabri che venivano noleggiati dalla direzione del teatro agli spettatori che ne facessero richiesta. Il prezzo del noleggio variava con il numero dei candelabri richiesti e questo dalle possibilità economiche dello spettatore. Va da sè che minore era il numero di candele, minore era la possibilità economica dimostrata e conseguenzialmente minore il grado di nobiltà; per cui un signore da un candelotto era da ritenersi proprio all'infimo gradino della scala sociale.
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