venerdì 1 agosto 2008

PROVERBI E LOCUZIONI VARII 22

1 Aspetta, aseno mio, ca vène 'a paglia nova.
Letteralmente: Attendi, asino mio, ché è in arrivo la paglia nuova. È una ironica locuzione usata quando si voglia indicare la inutilità di un'attesa o quando si voglia minacciare qualcuno di un'imminente vendetta. Nella fattispecie il consiglio dato all’ipotetico asino starebbe a significare: Non farti illusioni, asino mio, per quanto tu possa attendere con fiducia l’arrivo della paglia fresca (nuova) non vi riposerai sopra, ma dovrai continuare il lavoro...
2 'A gatta quanno sente 'addore d''o pesce, maccarune nun ne vo’ cchiú.
Letteralmente: la gatta quando avverte l'odore del pesce, maccheroni non ne vuole piú. Id est: Quando l'uomo à la possibilità di metter le mani su quanto c'è di meglio, non si contenta piú dell'eventuale succedaneo, ma ambisce al meglio, in senso sia teorico che pratico.
3 A -Chi chiagne fotte a chi ride.
B - 'O piccio renne
Letterealmente: A - Chi piange frega chi ride. B - Il pianto rende. Le due locuzioni appalesano gli ottimi risultati che si possono ottenere con la politica del pianto e del lamento che a lungo andare producono frutti per coloro che la perseguono e mettono in atto
4 Cu ll'evera molla ogneduno s'annetta 'o culo!
Letteralmente: con l'erba morbida, ognuno si pulisce il sedere. Id est: chi dimostra di non aver nerbo e/o carattere diventa succubo di chiunque ed è destinato, nella vita, ad essere soccombente in qualsiasi occasione fino ad essere usato a piacimento degli altri.
5 Santu Mangione è 'nu grandu santo.
Letteralmente: San Mangione è un gran santo. La locuzione fa riferimento ad un ipotetico, ma non per questo inesistente, San Mangione, ritenuto dal popolo napoletano il santo protettore dei corrotti e dei concussori, santo potentissimo capace di fare 14 grazie al giorno, addirittura una in piú di quel sant'Antonio da Padova, gran taumaturgo accreditato di 13 grazie al giorno.Con l'affermazione in epigrafe si appalesa la disincantata maniera di guardare alla realtà che è propria del napoletano, che - per averlo provato sulla propria pelle - è convinto che la corruzione e non altro, governi l'universo.
6 Pe gulio 'e lardo, vasa 'nculo ô puorco.
Letteralmente: per desiderio di lardo, bacia il sedere del maiale. Lo si dice di chi pur di ottenere qualcosa, fosse puranco un'inezia, è disposto alle piú disonorevoli azioni.
7 Chi fa bbene, more acciso.
Letteralmente: chi fa il bene, muore ucciso. Atteso che ad una disincantato osservare la realtà ci si deve render conto che al mondo non esiste riconoscenza veruna e che anzi il bene è ripagato con il male, occorre assuefarsi all’idea di non operare il bene se non si vuol correre il rischio, neppure tanto figurato di morire di morte violenta per mano di un beneficato.
8Dicette Nunzïata: Ce ponno cchiù ll'uocchie ca 'e scuppettate!
Letteralmente: Disse Annunziata: Ànno piú potenza gli occhi (il malocchio) che le schioppettate. Il napoletano, a giusta ragione, teme piú il danno che gli possa derivare dagli sguardi malevoli di taluno, che il danno che possono arrecargli colpi di fucile: dalle ferite da arma da fuoco si può guarire, piú difficile, se non impossibile sfuggire alla iettatura e da ciò che ne deriva.
9 Dicette 'ònna Vicenza: Addó c'è ggusto nun c'è perdenza.
Letteralmente: Disse donna Vincenza: Dove vi è gusto, non vi è perdita. Id est: ciò che si fa con piacere non genera pentimenti. La locuzione la si usa soprattutto a commento delle azioni di chi trovi gradevoli cose e/o persone ritenute dalla maggior parte, disdicevoli le une e repellenti le altre.
10 'A raggione s''a pigliano 'e fesse.
Letteralmente: La ragione (che in napoletano va scritta con due g..) se la pigliano gli stupidi. In una discussione spesso uno dei contendenti, senza addivenire ad un pratico corrispettivo, si limita a dare ragione all'altro contendente che però con la frase in epigrafe afferma il suo buon diritto a non esser tacitato dalle sole parole...

11 Pe tte ce vo’ 'o caccavo 'e santa Maria 'a Nova.
Ad litteram: Per te occorre il pentolone di santa Maria la Nuova. Con questa locuzione si apostrofa sarcasticamente chi è insaziabile, di robustissimo appetito, colui a cui insomma non basta cibo. Si tratta naturalmente di una iperbole in quanto 'o caccavo (il pentolone con derivazione dal b. lat. caccabu(m)) era infatti l'enorme pentola in cui i frati di santa Maria la Nova solevano preparare il pasto che quotidiamente offrivano non ad una singola persona, ma ai numerosi poveri accolti nel refettorio del convento annesso alla chiesa omonima.
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