domenica 3 agosto 2008

PROVERBI E LOCUZIONI VARII 27

1 Tené 'e gghiorde.
Letteralmente: essere affetto da giarda, malattia che colpisce giunture ed estremità di taluni animali; le parti colpite si gonfiano impedendo una corretta andatura. La locuzione è usata nei confronti di chi appaia pigro, indolente e scansafatiche quasi abbia difficoltà motorie causate da enfiagione delle gambe che appaiono come contratte ed attanagliate da nodi. In turco, con il termine jord si indica il tipico doppio nodo dei tappeti - da jord a gghiorde il passo è breve.
2 Farse chiovere 'ncuollo.
Letteralmente: farsi piovere addosso, ossia lasciarsi cogliere impreparato a qualsivoglia bisogna, non prendere le opportune precauzioni e sopportarne, quasi rassegnatamente, le amare conseguenze.
3 Fà ‘o calavrese
Ad litteram: fare il calabrese id est: mentire, mancare di parola, non tenere fede al pattuito, comportamento tipico dei calabresi, che - per esser naturalmente timorosi e malfidenti , usano non tener fede al pattuito, nel timore che nel patto si celi un danno non adeguatamente paventato o preso in considerazione al momento della pattuizione.
4 Ferní a tarallucce e vvino
Ad litteram: finire con biscottini e vino Id est: portare a compimento una faccenda, una contrattazione in modo estremamente positivo, con soddisfazione di tutti i contraenti, assumendo a mo’ di suggello biscottini e vino; la locuzione si usa anche a commentare quei brevi, fugaci dissapori che vengono risolti con una rapida rappacificazione segnata con il consumo, anche solo figurato, di biscotti e vino.
5 Farse 'a passiata d''o rraú.
Letteralmente: fare la passeggiata del ragú. Id est: andare a zonzo senza fretta. Un tempo, quando ancora la TV non rompeva l'anima cercando di imporci attraverso i suoi nutrizionisti (che se fossero veramente bravi e/o preparati sarebbero impegnati con i clienti e non terrebbero tanto tempo da trascorrere davanti alle telecamere, pontificando...) diete e diete, i napoletani, erano soliti consumare nel dí di festa un canonico piatto di maccheroni al ragú. Il ragú è una salsa che ha bisogno di una lunghissima cottura, tanto che la sua preparazione cominciava il sabato sera e giungeva a compimento la domenica mattina e durante il tempo necessario alla bisogna, gli uomini ed i bambini di casa si dedicavano a lente e salutari passeggiate, mentre le donne di casa accudivano la salsa in cottura e preparavano la tavolata domenicale.
6 Stà sempe 'ntridice.
Letteralmente: stare sempe in tredici.Id est: esser sempre presente, mostrarsi continuatamente, partecipare ad ogni manifestazione, insomma far sempre mostra di sé alla stregua di un candeliere perennemente in mostra in mezzo ad un tavolo, e poiché nella smorfia napoletana il candeliere , come le candele, fa 13 ecco che viene fuori l'espressione con la quale a Napoli si è soliti apostrofare gli impenitenti presenzialisti...
7 Aspettà cu ll'ove 'mpietto.
Letteralmente: attendere con le uova in petto. Id est: attendere spasmodicamente, con impazienza, preoccupazione... che giunga a buon fine un qualsivoglia accadimento. L'espressione viene usata quando si voglia sottolineare la spasmodicità dell'attesa di un qualsivoglia avvenimento. E prende le mosse dall'uso invalso in certe campagne del napoletano, allorché le contadine, accortesi che la chioccia, per sopraggiunti problemi fisici, non portava a termine la cova, si sostituivano ad essa e si ponevano tra le mammelle le uova per completare con il loro calore l'operazione cominciata dalla chioccia. Per vero non si à notizie certe che una contadina, sia pure una!, abbia condotto felicemente a termine la cova intramammellare, ma l’espressione è ancóra in uso...
8 'A sciorta 'e Cazzette:jette a piscià e se ne cadette.
La cattiva fortuna di Cazzetta: si dispose a mingere e perse...il pene. Iperbolica notazione per significare l'estrema malasorte di un ipotetico personaggio cui persino lo svolgimento delle piú ovvie necessità fisiologiche comportano gravissimo nocumento.
9 Attacca 'o ciuccio addò vò 'o patrone
Letteralmente: Lega l'asino dove vuole il padrone Id est: Rasségnati ad adattarti alla volontà altrui, specie se è quella del capintesta(e non curarti delle conseguenze) È una sorta di trasposizione del militaresco: gli ordini non si discutono...
10 'E maccarune se magnano teniente teniente
I maccheroni vanno mangiati molto al dente: è questa la traduzione letterale dell'adagio che, oltre a dare una indicazione di buon gusto, sta a significare che occorre avere sollecitudine nella conduzione e conclusione degli affari. teniente- teniente è la iterazione del part. presente. masch.le del verrbo tené = tenére che è dal t.lat. teníre, corradicale di tende°re 'tendere' nel significato di che mantengono, che stanno tenendo (la cottura): per significare ciò sarebbe bastato un solo participio un solo teniente; nell’espressione è usata l’iterazione teniente – teniente proprio per indicare la gran prontezza che devono avere i maccheroni lessati.
11 'Nu maccarone, vale ciento vermicielle.
Letteralmente: Un maccherone, vale cento vermicelli. Ma la locuzione non si riferisce alla pietanza in sè. Il maccherone della locuzione adombra la prestanza fisica ed economica che la vincono sempre sulle corrispondenti gracilità.
12 Acrus est!
Letteralmente: È acre! Cosí esclama un napoletano davanti ad una situazione ineludibile pur essendo difficile da sopportare. Un vecchio sacrestano, per far dispetto al suo parroco, aveva messo dell'aceto nell'ampollina del vino. Giunto al momento di comunicarsi il prete si adontò dicendo, appunto, acrus est - è acre - ed il sacrista replicò: “Te ll'hê 'a vevere (lo devi bere)” controreplica del prete: “Dopp' âMessa t'aspetto dint’â sacrestia (dopo la messa ti attendo in sacrestia...)” - Il sacrista: “Hê 'a vedé si me truove... (Probabilmente non mi troverai...)”.
13 Alesio, Alè, 'stu lucigno quanno se stuta?
Letteralmente: Alessio, Alessio, questo lucignolo quando si spenge? La locuzione viene usata nei confronti di chi fa discorsi lunghi, noiosi, oziosi e ripetitivi; e la si usa nella speranza, il piú delle volte vana, che costui punto dal richiamo, zittisca e la pianti. È da rammentare che in napoletano la parola cantilena si traduce, appunto, cantalesia.
14 Agge pacienza e fatte 'nculo so' 'a stessa cosa...
Porta pazienza e fregati son la medesima cosa!L'invito proposto dalla prima parte della locuzione a sopportare, ad aver pazienza, viene dalla saggezza popolare equiparato a quello ben piú doloroso di lasciarsi sodomizzare! Cosí soleva rispondere il famosissimo attore, commediografo e capocomico Eduardo Scarpetta (Napoli, 13 marzo 1853 † Napoli, 29 novembre 1925) a chi gli consigliava di portar pazienza atteso che nell’inteso comune partenopeop l’esercitare la pazienza corrisponde ad un dipresso al subire un vilipendio doloroso.
15 Nun sputà 'ncielo ca 'nfaccia te torna...
Letteralmente: Non sputare verso il cielo, perché ti ritorna in viso (ti ricade sul volto). Id est: chi si pone contro la Divinità, ne subisce le pronte,certe conseguenze.La cosa vale anche per chi si dovesse porre contro chi meriti invece rispetto (genitori, anziani etc.)
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