giovedì 4 febbraio 2010

IL VERBO PARÉ E LA SUA FRASEOLOGIA. Parte 4°

IL VERBO PARÉ E LA SUA FRASEOLOGIA. Parte 4°

12 - Paré ‘a mosca dint’ ô mmèle
Ad litteram: Sembrare la mosca nel miele. Détto icasticamente in riferimento a chi tenga un atteggiamento di contento piacere e grossa soddisfazione; costui viene rapportato ad una mosca che penetrata senza (per sua fortuna) restarne invischiata, in un barattolo di miele se ne satolli ad libitum traendone grande godimento.
mosca s.vo f.le mosca;
1 insetto dal corpo scuro, con proboscide protrattile e un paio di ali trasparenti (ord. Ditteri): uno sciame di mosche; scacciare una mosca | mosca carnaria, insetto dittero con livrea a riflessi metallici, le cui larve si sviluppano su sostanze in putrefazione (fam. Calliforidi) | mosca tse tse, insetto del genere glossina, diffuso nelle zone tropicali, che trasmette il tripanosoma, agente della malattia del sonno | essere ‘na mosca janca(essere una mosca bianca), (fig.) si dice di persona o cosa rarissima | nun facesse male a ‘na mosca(non farebbe male a una mosca), (fig.) si dice di persona molto mite | non si sentiva volare una mosca, (fig.) c'era un silenzio assoluto | mosca!, zitto e mosca!, (fam.) silenzio! | restà cu ‘e mmosche ‘mmano(restare con un pugno di mosche), (fig.) restare deluso, non aver ricavato il minimo profitto da qualcosa | fa zumpà ‘a mosca ô naso(far saltare la mosca al naso), (fig.) far perdere la pazienza, provocare uno scatto di collera | uccello mosca, specie di colibrí | pesi mosca, (sport) nel pugilato e nella lotta, categoria che comprende atleti del peso minimo; un (peso) mosca, atleta che appartiene a tale categoria.
2 (fig.) persona noiosa, petulante, insopportabile | ‘a mosca cucchiera( la mosca cocchiera), (lett.) chi si attribuisce, senza fondamento, i risultati di azioni altrui, credendo di svolgere compiti e avere responsabilità di direzione
3 nella pesca con l'amo, qualunque esca artificiale che imiti insetti, larve
4 neo finto che un tempo le donne si applicavano al viso o sulle spalle
5 pizzetto di barba, molto piccolo, portato sotto il labbro inferiore
6 chicco di caffè tostato che si aggiunge ad alcuni liquori: ànnese cu ‘a mosca – sammuca cu ‘a mosca(anice con la mosca -sambuca con la mosca).
dal lat. musca(m)
dint’ ô/ ‘int’ ô prep. art.m.le nel, dentro il preposizione formata da dinto (dal lat. de+intus) addizionato della preposizione articolata ô (= a + ‘o= allo, ); ricordo che si ànno altre preposizioni articolate formate dall’unione degli articoli ‘o (lo/il), ‘a (la) ‘e (i/gli/le) con la preposizione a, unione che produce una preposizione articolata di tipo agglutinata resa graficamente con particolari forme contratte: â = a+ ‘a (a+ la), ô = a + ‘o (a+ il/lo), ê = a + ‘e (a + i/gli oppure a+ le); nel caso che ci occupa ci troviamo cioè di fronte ad un tipico caso della la parlata napoletana e della costruzione di espressioni con dentro, sopra, sotto ed altri avverbi/ preposizioni improprie del toscano. In questo caso accade che un napoletano che scrivesse in napoletano non potrebbe pensare in toscano e fare poi una sorta di traduzione:commetterebbe un gravissimo errore.Per esemplificare: un napoletano che dovesse scrivere: sono entrato dentro la casa, non potrebbe mai scrivere: so’ trasuto dint’ ‘a casa; ma dovrebbe scrivere: so’ trasuto dint’â (dove la â è la scrittura contratta della preposizione articolata alla) casa; che sarebbe l’esatta riproduzione del suo pensiero napoletano: sono entrato dentro alla casa. Allo stesso modo dovrà comportarsi usando sopra (‘ncopp’ a...) o sotto (sott’a....) in mezzo (‘mmiez’ a...) e così via, perché un napoletano articola mentalmente sopra al/alla/alle/ a gli... e non sopra il/la/le/gli... e parimenti pensa sotto al... etc. e non sotto il ... etc. D’ altro canto anche per la lingua italiana i piú moderni ed usati vocabolarî (TRECCANI) almeno per dentro non disdegnano le costruzioni: dentro al, dentro alla accanto alle piú classiche dentro il, dentro la. Peccato che la stragrande parte di sedicenti scrittori e/o poeti napoletani(grandi, meno grandi e grandissimi…) si ostinino a rifiutare l’uso dell’accento circonflesso e delle crasi e e si rifugiano negli erronei dint’ ‘a, dint’ ‘o - ‘ncopp’ ‘a, sott’ ‘o - annante ‘a, arret’ ‘o etc. intestardendosi cioè impropriamente ad usare, per far degli esempi dint’ ‘a casa, dint’ ‘o cunvento; dint’ ‘e stanze; dint’ ‘e vicule ; oppure ‘ncopp’ ‘a casa,oppure annante’ ‘a chiesa etc.in luogo come ò détto dei corretti dint’ â casa, dint’ ô cunvento; dint’ ê stanze; dint’ ê vicule ; oppure ‘ncopp’ â casa,oppure annante’ â chiesa incorrendo nel colpevole errore di ritenere il napoletano tributario dell’ italiano, laddove è risaputo che la parlata napoletana, se si esclude il latino tardo e/o parlato, che l’à generata non è tributaria di nessun linguaggio e men che meno della lingua di Alighieri Dante!
mèle s.vo neutro miele,
1 sostanza zuccherina, quasi sciropposa, di color biondo, molto dolce, prodotta dalle api: mèle naturale, vergine,’e castagno(miele naturale, vergine; miele di (fiori di) castagno), quello prodotto da api che si nutrono del nettare di tali fiori | doc e comm’ ô mmèle(dolce come il miele), dolcissimo | mèle rusato(miele rosato), (farm.) collutorio a base di miele e infuso di petali di rosa
2 (fig.) dolcezza, soavità: ‘na femmena tutta mèle(una donna tutta miele; parole ‘e mèle(parole di miele) zuccherose, eccessivamente leziose.
come agg. invar. si dice di colore biondo ambrato.
dal nom.vo lat. mel
13 - Paré ‘a mosca dint’ ô Viscuvato variante
13 bis È gghiuta ‘a mosca dint’ ô Viscuvato

Ad litteram: Sembrare la mosca nella cattedrale; variante È finita la mosca nella cattedrale.
Détti icasticamente di qualsiasi cosa che in un raffronto risulti estremamente piú piccola o contenuta dell’altra cui si ponga in rapporto. Segnatamente però l’espressione, (nella forma della variante) viene usata come icastico commento profferito da chi si lamenti d' un risibile asciolvere somministratogli, che non gli abbia tolto la fame. In effetti un boccone nello stomaco (adombrato sotto il nome di cattedrale), vi si sperde quasi, come una mosca entrata in una Cattedrale... Per traslato la locuzione e la sua variante vengono usate ogni volta che ciò che si riceve è parva res, rispetto alle attese...
Viscuvato s.vo m.le vescovado, di per sé 1 dignità, ufficio di vescovo: innalzare al vescovado
2 territorio sottoposto alla giurisdizione di un vescovo | l'edificio in cui il vescovo risiede; per ampliamento semantico la cattedrale (il tempio sede della cattedra del vescovo); voce dal lat. tardo episcopatu(m), deriv. di episcopus 'vescovo'
è gghiuta voce verbale (3° pers. sg. ind. pass. pross.) dell’infinito jí/ghí/gghí dal lat. ire

14 – Paré Arturo ‘ncopp’ ô filo
Ad litteram: Sembrare Arturo sul filo (corda). Détto con sarcastica ironia con due valenze: a) riferimento a tutti coloro che per necessità, ma piú spesso, per colpevole insipienza o temerarietà si mettano in situazioni insicure e/o difficoltose alla medesima stregua di quel non meglio identificato mitico Arturo saltimbanco acrobatico che si lucrava la giornata esibendosi in piazza del Mercato camminando pericolosamente su di una malferma ed oscillante corda tesa tra due edifici ad una altezza di circa dieci metri dal suolo; b) la seconda valenza fa riferimento a chiunque abbia un incedere malsicuro,esitante, vacillante o traballante alla maniera del suddetto Arturo.
‘ncopp’ ô locuzione prepositiva articolata m.le (sul, sopra il, sopra al) derivata da ‘ncoppa(←lat. in+cuppa(m))+ a+’o cfr. antea sub dint’ ô/ ‘int’ ô del n.ro 12
filo s.vo m.le lett. filo, 1 il prodotto della filatura di una fibra tessile, naturale, artificiale o sintetica, che serve per tessere, cucire, ricamare ecc., 2 (estens.)ed è il caso che ci occupa: qualsiasi corpo assai lungo e sottile, di sezione circolare uniforme; cavo, corda, gomena, 3 (estens.) oggetto filiforme: filo d’erba, filo di paglia, 4 ognuno dei tiranti con cui vengono azionati dall'alto i burattini5 (fig.) quantità, cosa minima: un filo di vita, di speranza; 6 (fig.) andamento, ordine, direzione: il filo del discorso,
la voce è dal lat. filu(m).
15 – Paré ‘a zoccola cu ‘e llente
Ad litteram: Sembrare un topo con gli occhiali.
Divertente ed icastica espressione di dileggio riferita a tutti quegli anziani uomini spesso magri, secchi, scarni dal viso lungo ed affilato, provvisto di un congruo naso semita sotto il quale vegetano cespugliosi o affilati baffetti e sul quale poggiano spessi occhiali da miope o piú spesso da presbite; spesso costoro svolgono mansioni d’archivista presso studi notarili o uffici pubblici e segaligni, ossuti ed allampanati, si aggirano tra polverosi faldoni di documenti con il loro divertente aspetto di vecchio topo… provvisto d’occhiali.
Zoccola s.vo f.le grosso topo di fogna, ratto, surmolotto, roditore dannoso sia per la voracità sia per le malattie che puó trasmettere. La voce è dal lat. sorcula(m) con tipica assimilazione regressiva cr→cc e consueto passaggio della fricativa dentale sorda (s) all'affricata alveolare sorda (z);
llente/lente s.vo f.le pl. di lenta = lente, occhiale
1 sistema ottico elementare costituito da una sostanza rifrangente, gener. vetro o plastica trasparente, limitata da due superfici di cui almeno una è curva: lente convergente o d'ingrandimento, con almeno una superficie convessa, che ingrandisce l'immagine e corregge la presbiopia e l'ipermetropia; lente divergente, con almeno una superficie concava, che rimpiccolisce l'immagine e corregge la miopia; lente biconvessa, biconcava, con entrambe le superfici curve con raggio di curvatura uguale e opposto; lente a menisco, con entrambe le superfici curve, ma con raggio di curvatura diverso e orientato nello stesso senso; lente sferica, con le due superfici sferiche o una sferica e l'altra piana; lente cilindrica, torica, con almeno una superficie cilindrica, torica, per correggere l'astigmatismo; lente prismatica, con le superfici ad assi concorrenti, per correggere la tendenza allo strabismo | lente a contatto o corneale, piccola lente di plastica che si applica alla cornea, dove è trattenuta da un velo di liquido lacrimale | lente cristallina, (anat.) il cristallino dell'occhio
2 pl.come nel caso che ci occupa, gli occhiali o altrove le lenti a contatto: portare le lenti
3 elemento, oggetto a forma di lente: la lente del pendolo, la massa metallica all'estremità inferiore dell'asta oscillante
4 (ant. , region.) lenticchia.
Voce dal lat. le°nte(m) 'lenticchia'; il sign. di 'lente ottica' si è sviluppato modernamente (dal sec. XVII).
16 – Paré variante fà ‘a sporta d’’o tarallaro
Ad litteram: Sembrare variante fare la cesta del venditore di taralli. Sembrare la cesta del venditore dei taralli. La locuzione sia nella morfologia di Paré ‘a sporta d’’o tarallaro:
Sembrare la cesta del venditore dei taralli, che nella sua variante: fare la cesta del venditore di taralli è usata innanzi tutto per indicare chi, per motivi di lavoro o di naturale instabilità, si sposti continuamente, come appunto un venditore di taralli che con la sua cesta, per smaltire tutta la merce fa continui lunghi giri. C'è poi un'altra valenza della locuzione.
Poiché gli avventori dei venditori di taralli son soliti servirsi con le proprie mani affondandole nella cesta colma di tartalli, per scegliere a proprio piacimento , alla stessa maniera c'è chi consente agli altri di approfittare e servirsi delle sue cose, o di se stesso ma lo fa piú per indolenza che per magnanimità, anche se poi se ne lamenta dicendo: - “Ma che m’avite pigliato p’’a sporta d’’o tarallaro?” (Mi avete forse confuso con la cesta del tarallaio?)
sporta = cesta dal lat. sporta(m)
tarallaro = venditore di taralli; voce formata dall’unione del s.vo tarallo + il suff. di pertinenza aro/aio dal lat. arius;
tarallo= ciambellina dolce o rustica; voce per ora d’etimo incerto, anche se qualcuno pensa di accostare la voce tarallo al greco Toros(toroidale) (?) o al latino torus(cordone) di cui rispecchierebbe la forma: in ambedue i casi la semantica parrebbe accontentata, la morfologia risulterebbe forse poco convincente, ma allo stato delle cose occorre contentarsi.
Non dispero, per il futuro, in altre piú perseguibili strade.
A margine di questa espressione mi piace ricordare quello che fu uno degli ultimi, se non certamente l’ultimo venditore girovago di taralli, ch’io vidi tra gli anni ’50 e ’60 del 1900 percorrere in lungo e largo la città di Napoli armato della sua ballonzolante cesta colma di taralli,cesta mantenuta con l’epa e sorretta da una correggia di cuoio poggiata sul collo.All’epoca ch’io lo seppi, questo venditore girovago sempre allegro se non addirittura ridanciano, che rispondeva al nome di Fortunato era un vecchio ometto piccolo e grassoccio con delle gambette arcuate, nascoste da certe consunte braghe d’un colore indefinibile che, in origine, non dovevano essere state sue : erano infatti troppo larghe e sbuffanti; indossava nei mesi primaverili ed estivi una maglietta di cotone bianco a mezze maniche e portava sul capo un berretto a caciottella di panno bianco, del tipo di quelli indossati dai marinai sulle divise da fatica; d’inverno sostituiva la caciottella bianca con uno zucchetto di lana a piú colori ed infilava sulla solita maglietta di cotone bianco a mezze maniche, una sdrucita giacchetta del medesimo indefinito colore delle breghe, giacchetta che,anch’essa in origine, non doveva essere stata sua: troppo larga e sbuffante;completava l’abbigliamento invernale una unta e bisunta sciarpa di lana a piú colori ch’egli portava come un sacerdote porta la stola e che gli incorniciava il viso segnato dal tempo con una ragnatela di rughe profonde, ma sul quale tuttavia brillavano due occhi vivaci e talvolta addirittura lampeggianti. La piega amara (angoli all’ingiú) della bocca sdentata completava il disegno del volto di questo vecchio omettino che si annunziava di lontano con una sorta di squillante, musicale cantilena: “Furtunato tène ‘a rrobba bbella! ‘Nzogna, ‘nzo’!” E quale era mai la roba bella sottolineata da quello: ‘Nzogna, ‘nzo’ ?
Ma è chiaro che si trattava dei suoi gustosissimi, croccanti taralli ‘nzogna e ppepe ,impreziositi da tantissime mandorle ben tostate, taralli ancóra caldi ( e sfido io: li portava in giro protetti sotto una doppia coltre di tela di sacco...) Poi passarono gli anni ed un giorno, anzi un brutto giorno improvvisamente non intesi piú quella squillante, musicale cantilena: Furtunato tène ‘a rrobba bbella! ‘Nzogna, ‘nzo’! Con ogni probabilità Fortunato aveva esteso il suo giro ed era passato a proporre a san Pietro ed a tutta la corte celeste i suoi taralli ‘nzogna e pepe ed io mi dovetti rassegnare a cercare altrove per trovare i taralli che Fortunato non mi avrebbe piú venduti. Per buona sorte mia (una volta nella vita!) facendo appena quattro passi in piú scovai proprio difronte all’Orto Botanico la bottega che don Leopoldo Infante aveva aperto. E mi andò da Dio; Furtunato teneva ‘a rrobba bbella? Ma don Liopoldo nun s’’o vedeva proprio!

17 - Paré ‘a gatta appesa ô llardo
Ad litteram: Sembrare un gatto aggrappato al lardo
Divertentissima sarcastica locuzione dal duplice significato; nel primo, con la similitudine rammentata (che parla di un gatto appigliato ad un gran pezzo di lardo sospeso al soffitto d’una cantina o cucina d’ antan) ci si riferisce mordacemente a taluni inguaribili ghiottoni (appaiati al gatto de quo) che desiderosi di rimpinzarsi d’ un qualche alimento, avutolo sottomano, lo ghermiscono avidamente, abbrancandolo con ingordigia,dando l’impressione di temere quasi che qualcun altro glielo possa sottrarre; nel secondo significato con la medesima similitudine ci si riferisce in maniera solo divertita, ma non scortese a quelle vecchie, malconce,esili signore che nell’incedere, per tema di cadere, si aggrappino vistosamente a chi le sorregga. Anche costoro, come i pregressi ghiottoni, sono appaiate ad un gatto avvinghiato ad un pezzo di lardo.
appesa voce verbale part. pass.f.le agg.vato dell’infinito appennere = attaccare, agganciare, appiccare; sospendere; appennere è, con consueta assimilazione progressiva nd→nn, dal lat. appendere 'pesare', poi 'appendere', comp. di ad e pendere 'sospendere'
ô preposizione art. m.le al, allo; morfologicamente è lacrasi di a + ‘o = a+il/lo come altrove â = a+ ‘a (a+ la), ê = a + ‘e (a + i/gli oppure a+ le);
llardo/lardo s.vo neutro lardo
1 lo strato di grasso sottocutaneo del maiale, che si conserva salato o affumicato per uso di cucina: fare il battuto col lardo | nuotare nel lardo, (fig.) vivere nell'abbondanza
2 (estens.) grasso eccessivo | una palla di lardo, (scherz.) persona o animale molto grasso
3 (nell’italiano, impropriamente, anche) strutto.
La voce è dal lat. lār(ĭ)du(m)→lardu(m).

18 – Paré ca ‘o culo ll’arrobba ‘a péttola
Ad litteram: Sembrare che il culo gli sottragga la falda della camicia. Divertentissima icastica espressione riferita con sarcastico dileggio nei confronti di chiunque (uomo o donna) sia tanto inguaribilmente avaro/a, spilorcio/a, pidocchioso/a, tirchio/a ed al contempo preoccupato/a, dubbioso/a, allarmato/a da giungere a temere che il suo stesso fondo schiena gli porti via la falda della camicia che insiste sul medesimo fondo schiena.
culo s.vo m.le s.
1 deretano, sedere, fondo schiena | essere culo e cammisa,: stare sempre insieme, andare molto d'accordo.
2 fondo di un recipiente di vetro: il culo di un fiasco, di una bottiglia ' culi di bicchiere, (scherz.) brillanti falsi, di vetro.
Voce dal lat. culu(m) marcato sul greco koilos;
péttola/péttula s.vo f.le
Con tali termini si indica innanzi tutto l'ampia falda posteriore della camicia d’antan ,quella che dentro o fuori i pantaloni, insiste sul fondoschiena; estensivamente, con i medesimi termini, si indica quella che in toscano è detta sfoglia, che si ottiene con l’ausilio del mattèrello (e non mattarello che è un dialettismo romanesco) con il quale su di una apposita spianatoia si stende e si assottiglia, portandolo ad un consono spessore, l’impasto di farina, uova e/o altri ingredienti, per ottenerne, opportunamente tagliato e/o riempito, pasta alimentare o altre preparazioni culinarie; per traslato, con i termini in epigrafe, si indica una donnaccia o anche una donnetta ciarliera e petulante; ancóra: con il diminutivo:pettulélla che stranamente è inteso maschile ‘o pettulélla ci si suole riferire all’impenitente dongiovanni, al femminiere aduso a perennemente correr dietro le gonne femminili, mentre con 'o pettulélla ‘e mammà ci si riferisce ad un uomo, che a malgrado dell'età raggiunta, non si decide ad abbandonare le gonne materne anzi la falda della camicia della sua genitrice o l'ala protettiva di mammà!Ed oggi, a ben vedere, è la consueta situazione attuale quando la stragrande maggioranza dei giovani non intende metter su famiglia, abbandonando la casa dei genitori ed anche quando lo fa, resta legata a filo doppio con la propria genitrice dimostrando che ci si trova indefettibilmente davanti a dei pettulélle ‘e mamma!
Ciò detto, passiamo all'etimologia del termine péttola/péttula.
Cominciamo col dire che la radice pat che pure dà vita a parole latine come patulus= disteso o verbi greci come pètomai indicanti l’azione del distendere, allargare etc., non si può riferire alla péttola/péttula ;ciò è in tutti i testi da me compulsati al riguardo.
Molto piú prosaicamente le parole péttola e péttula si fanno derivare da un acc. latino: petula(m)con consueto raddoppiamento della dentale T in parole sdrucciole, con derivazione radicale dalla radice pet di peto lat.:peditum;e non se ne faccia meraviglia: si pensi a su cosa insiste la péttola!
Altra ipotesi, ma forse meno convincente, è che la péttola/péttula si riallacci al basso latino: pèttia(m)=pezza,nella forma diminutiva pettúla(m) e successivo cambio di accento che abbia dato péttula: questa etimologia può solleticare, ma è lontana dalla sostanza della péttola napoletana che non indica una piccola pezzuola quale appunto è la pettúla, ma, al contrario, un’ampia falda.
19 – Paré ca s’’o zúcano ‘e scarrafune
Ad litteram: Sembrare che lo suggono gli scarafaggi.
Va da sé che si tratta di un’enfatizzazione, non di un fatto reale; si tratta di una divertita presa in giro fatta nei confronti di soggetti tanto smunti, macilenti, sciupati, patiti, scavati, smagriti e rinsecchiti d’apparire quasi del tutto asciutti dei proprî umori vitali iperbolicamente succhiati da degli scarafaggi. Nella realtà ciò non è assolutamente possibile in quanto, pur essendo vero che le blatte sono avide di liquidi, non avrebbero mai possibilità o modo di prosciugare un corpo umano!
zúcano voce verbale (3°pers. pl.) ind. pres. dell’infinito zucare = suggere, succhiare,aspirare i succhi; voce dal lat. *sucare denominale del lat. sucus con il consueto passaggio della fricativa dentale sorda (s) all'affricata alveolare sorda (z);
scarrafune/i s.vo m.le pl.metafonetico del sg. scarrafone = blatta, scarafaggio; l’etimo di scarrafone è dal lat. scarabaeu(m) + il suff. accrescitivo one e con il passaggio di influsso osco della consonante occlusiva bilabiale sonora (b) alla consonante fricativa labiodentale sorda (f) cfr. enfrice← lat. imbrice(m), runfà← dal gr. rhómbos, scrofola← lat. scrobula(m).
(continua)
brak

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