giovedì 22 ottobre 2015

VARIE 15/786

1.‘E RIPPE O ‘E RAPPE e DI RIFFE O DI RAFFE Comincianmo col dire súbito che non è possibile tradurre letteralmente (se non in parte) in italiano l’espressione in quanto formata con due termini di cui solo il secondo e cioè rappe trova corrispondenza nei lessici italiani nelle voci: grinze, rughe, crespe, sgualciture, piegature casuali ed imprecise di stoffe; il primo termine rippe non trova alcuna corrispondenza nei vocabolarî italiani in nessuna voce,né potrebbe trovarla, trattandosi di voce ricavata nel napoletano per bisticcio ed allitterazione con la successiva rappe (etimologicamente dal longobardo *krapfo→(k)rap(f)o→rappo/rappa= uncino). Ciò precisato do la spiegazione dell’espressione; essa è nata partendo proprio dal termine rappe legandovi, per stabilire una relazione , un fantasioso rippe ; l’espressione à però un suo compiuto significato che si può rendere con: in ogni modo, con qualsiasi espediente in una maniera precisa o anche scorretta e cioè: sia che con la nostra azione scorretta (‘e rappe) si producano grinze, rughe, crespe, sgualciture, piegature casuali ed imprecise, sia che invece si agisca in maniera corretta( ‘e rippe), occorrerà raggiungere lo scopo, puntando dritto al fine da raggiungere in ogni caso, magari alla carlona o – per dirlo in pretto napoletano – alla sanfrasòn/zanfrasòn o sanfasòn che sono , pari pari, corruzione del francese sans façon (senza misura) e sono tra le pochissime, se non quasi uniche voci del napoletano che essendo accentate sull’ultima sillaba si possono permettere il lusso di terminare per consonante in luogo di una consueta vocale evanescente paragogica finale (e/a/o) e raddoppiamento della consonante etimologica: normalmente in napoletano ci si sarebbe atteso sanfrasònne/zanfrasònne o sanfasònne come altrove barre per e da bar o tramme per e da tram etc. Di riffe o di raffe In coda ed a margine di tutto quanto ò scritto circa l’espressione napoletana: ‘e rippe o ‘e rappe (in ogni modo, con qualsiasi espediente) ricordo che in molti altri linguaggi regionali (Lazio, Marche, Toscana, Emilia etc.) ed piú in generale in tutto il territorio nazionale esiste l’espressione di riffe o di raffe che à all’incirca la medesima valenza dell’espressione partenopea e sta per in ogni modo, con qualsiasi espediente,ed anche con le buone o le cattive. Ciò che vien da chiedersi è se le espressioni siano le stesse con morfologia alquanto diversa ed in caso positivo chi àbbia la primogenitura dell’espressione. Orbene giacché non esistono scritti di riferimento che possano attestare con sicurezza priorità natali, connubi e/o derivazioni fono-morfologiche e semantiche tra le due espressioni, non mi resta che ipotizzare qualcosa affidandosi alla logica ed al D.E.I. il solo che registri la voce riffa (deducendola la prima volta nel 1729 da Fagiuoli: Giovan Battista Fagiuoli (Firenze, 24 giugno 1660 – † ivi 1742) scrittore, poeta e drammaturgo italiano.))come agg.vo f.le di riffo ( litigioso, rissoso, prepotente). A voler dunque stare a credere al D.E.I. la voce negativa nell’espressione di riffe o di raffe dovrebbe essere riffe da intendersi non piú come agg.vo pl. f.le, ma come s.vo pl. f.le = litigi, risse, prepotenze e come voce negativa dovrebbe essa indicare le cattive della spiegazione con le buone o le cattive e conseguentemente la voce raffe dovrebbe essere voce positiva e valere le buone costringendoci, per esser precise a spiegare di riffe o di raffe = con le cattive o con le buone e non con le buone o le cattive. Almeno la logica questo farebbe sospettare; epperò, epperò nel medesimo D.E.I. si trova registrata la voce raffa (anonimamente nel XIV sec.)= furto s.vo f.le deverbale di raffare verbo piú diffuso come arraffare= rubare (dal tedesco hraffo= strappo via) che costringerebbe a ritenere anche raffe pl. di raffa voce negativa e non positiva di talché di riffe o di raffe meriterebbe d’esser spiegata non con le buone o le cattive o con le cattive o le buone ma con le cattive o le cattive cosa che però non darebbe senso alla congiunzione disgiuntiva o . D’altro canto atteso che sia la voce riffe che la voce raffe nell’italiano non sono attestate altrove se non nell’espressione in esame mi permetto di dissentire dal D.E.I. e segnatamente dal prof. Carlo Battisti che curò le voci sotto la lettera R e ritenere che l’espressione in esame di riffe o di raffe non sia nata costruendola con voci esaminate (riffe = prepotenza e raffe = furto), ma che sia pervenuta dapprima nelle regioni limitrofe (Lazio) o vicine (Marche) e poi in tutto l’idioma nazionale quale calco adattato(p→f) della napoletana ‘e rippe o ‘e rappediventando nell’italiano di riffe o di raffe con la sostituzione dell’esplosiva labiale p con la consonante fricativa labiodentale sorda f forse ritenuta piú elegante ed adatta alla lingua nazionale, della popolaresca rumorosa p. 2.E PPOVERA VIGNA MIA, CHI COGLIE E MMAGNA! L’espressione esclamativa in esame, da intendersi quasi ad litteram: Povera vigna mia (preda di) chi raccoglie e mangia (senza averne diritto) è un’espressione di rammarico che olim veniva colta sulle labbra di chi dovesse dolersi di veder le proprie sostanze reali [beni, denaro] o figurate [tempo, dedizione,affetto e/o amore] sprecate, se non dilapidate da congiunti prossimi o remoti o preda di profittatori ed opportunisti quando non speculatori ed addirittura avvoltoi, sciacalli adusi a trarre vantaggio dalla bontà o insipienza altrui al segno di spoliarlo saccheggiando e razziando nei suoi beni veri o figurati. Va da sé che la locuzione nacque in àmbito georgico, rurale, rusticano, rustico con riferimento a tutti coloro che profittando di poter facilmente accedere in una vigna incustodita ne godessero dell’uva ivi ladronescamente raccolta. pòvera agg.vo f.le =malagiata, meschina, misera, ridotta a mal partito voce dal lat. pop. pauper -a -um, per il class. pauper -ĕris, composto di paucus "poco" e parĕre "procacciare, produrre"; propr. "che produce poco" (detto, in origine, della terra). vigna s.vo f.le =1 (in primis) terreno coltivato a viti, vigneto,pergola, pergolato. 2 (per metinomia anche) uva. voce dal lat. vīnea, der. di vinum "vino". còglie voce verbale 3ª p.sg. ind. pres. dell’inf. cògliere 1(in primis)tirare via dal terreno o da una pianta un frutto, spiccare, staccare, svellere dal terreno, sradicare,prendere, raccogliere. 2(figurato) trarre giovamento da una circostanza favorevole, da un'occasione, approfittare (di), avvantaggiarsi (di), giovarsi (di), sfruttare. voce dal lat. collĭgĕre. magna voce verbale 3ª p.sg. ind. pres. dell’inf. magnare/magnà alimentarsi (con), assumere, cibarsi (di), ingerire, nutrirsi (di), assumere cibo, pappare, rifocillarsi (con), sfamarsi (con), sostentarsi...Etimologicamente forma metatetica del francese manger originata dal latino manducare incrociata con una voce popolare (gnam, gnam) di tipo onomatopeico. 3. ‘E FIGLIE PRIMMA SE PORTANO ‘MBRACCIA, PO PE MMANO E PPO ‘NCOPP’Ê SPALLE! Icastico monito partenopeo che guarda disincantatamente alla realtà qutidiana nella quale i figli dapprima si portano in braccio (quando siano piccolissimi), poi per mano (perché imparino a camminare) ed infine sulle spalle (da adulti, quando non riuscendo a far fronte ai problemi materiali e/o morali dell’esistenza, facciano ricorso all’aiuto dei genitori che si devono sobbarcare questa fatica che è poi la piú gravosa. Rammento che a corollario dell’espressione in esame, fa eco quella che statuisce 3 bis FIGLIE PICCERILLE, GUAJE PICCERILLE, FIGLIE GRUOSSE, GUAJE GRUOSSE, FIGLIE SPUSATE GUAJE RADDUPPIATE id est: Figli piccoli (generano) piccole iatture, figli grandi (generano) iatture grandi e figli sposati (generano) iatture raddoppiate. 4.'E MACCARUNE SE MAGNANO TENIENTE TENIENTE alibi VIERDE VIERDE I maccheroni vanno mangiati molto al dente: è questa la traduzione letterale dell'adagio che, oltre a dare una indicazione di buon gusto, sta a significare che occorre avere sollecitudine nella conduzione e conclusione degli affari. teniente è il plur. di tenente = tenente(part. pres. del verbo tenere e non omofono ed omografo grado militare), e con l’iterativo teniente,teniente ci si riferisce al modo di cottura della pasta che occorre far lessare brevemente, senza che si disfaccia e nell’iterazione quasi superlativa teniente teniente vale molto pronti, quasi duretti come cosa che abbia tenuto la cottura evitando di ammollarsi eccessivamente; letteralmente tenente e teniente sono, come ò detto, il participio presente del verbo tené (tenere) che è dal latino teníre, corradicale di tendere 'tendere'; anche con l’iterativo quasi superlativo vierde vierde (verdi verdi) ci si riferisce al modo di cottura della pasta che occorre far lessare brevemente, senza che si disfaccia risultando cioé quasi acerba (verde) e non... matura; vierde ( dal Lat. viri°de(m), deriv. di virìre 'verdeggiare') agg.vo = verde, giovanile, immaturo e qui pronto, quasi duro. 5.'E MACCARUNE SE MAGNANO GUARDANNO 'NCIELO! ‎Sempre in tema di consigli teorici e pratici sul modo di assumere i maccheroni rammento l’antichissimo: 'E maccarune se magnano guardanno 'ncielo! Id est: i maccheroni si mangiamo tenendo il viso rivolto verso l’alto (con la bocca spalancata). E ciò ovviamente per favorire l’immissione nella medesima bocca di una piccola porzione di pasta che olim veniva prelevata dal piatto, tenuto in grembo,senza aggomitolarla con una forchetta ma con l’ausilio di pollice indice e medio, sollevata verso l’alto e di lí calata nella bocca. Ò parlato di espressione/consiglio antichissima perché essa nacque tra la fine del ‘700 ed i princípi dell’ ‘800 e tenne campo fino a tutto il 1870 quando con l’invasione piemontarda (coadiuvata dalle bande garibaldesche) e la fine del Reame delle Due Sicilie si dismise l’abitudine di mangiare per istrada la pasta venduta da maccaronari girovaghi che servivano di preferenza pasta a trafila lunga e sottile (vermicelli) lessata al dente, cosparsa di pecorino e pepe e consegnata a gli avventori in piccoli piatti di banda stagnata; tale pietanza dal costo di due grani fu détta ‘o doje allattante(in bianco) in quanto pasta semplicemente lessata; dopo l’avvento del masnadiero nizzardo accanto al doje allattante si prese a servire a richiesta una pasta non piú semplicemente lessata e guarnita di formaggio e pepe, ma condita altresí con una cucchiaiata di salsa di pomidoro e tale pietanza fu détta ‘o tre ccalibbarde in riferimento al rosso delle camície (in origine camisacci da lavoro usati dagli operai nei macelli d’Argentina)indossate, quale divisa, dalle bande garibaldesche ed il costo di détta pietanza fu appunto di tre grani. Il grano napoletano fu una moneta di modicissimo valore corrispondente a 4,365 lire italiane;nel medesimo periodo vi fu una moneta détta tornese che corrispondeva al valore di due grani cioè a 8,73 lire italiane per cui con solo un tornese ci si poteva sfamare con un piatto di pasta in bianco, mentre con appena dieci lire ed ottanta si poteva consumare un piatto di vermicelli con sugo di pomidoro. màgnano voce verbale 3ªpers. pl. ind. pres. dell’infinito magnare/magnà = mangiare etimologicamente magnare/magnà è forma metatetica del francese manger originata dal latino manducare incrociata con una voce popolare (gnam, gnam) di tipo onomatopeico. 6. CCA SOTTO NUN CE CHIOVE! Letteralmente: Qui sotto non ci piove. L'espressione, tassativamente accompagnata dal gesto dell' indice destro puntato contro il palmo rovesciato della mano sinistra, sta a significare che oramai la misura è colma e non si è piú disposti a sopportare certe prese di posizioni o certi comportamenti soprattutto quelli di certuni che sono adusi a voler comandare, impartire ordini et similia, non avendone né l'autorità, né il carisma; la locuzione è anche usata col significato di: son pronto a render pane per focaccia , nei confronti di chi à negato un favore, avendolo invece reiteratamente promesso. 7. 'A CERA SE STRUJE E 'A PRUCESSIONA NUN CAMMINA. Letteralmente: le candele si consumano, e la processione non cammina. La locuzione viene usata quando si voglia con sarcasmo e/o dispetto sottolineare una situazione nella quale, invece di affrontare concretamente i problemi, ci si impelaga in discussioni oziose, vani cavilli e dispersive chiacchiere pretestuose che non portano a nulla di concreto. 8.TUTTO PO’ ESSERE, FORA CA LL'OMMO PRIÉNO. Tutto può essere, fuorché l'uomo incinto. La cosa è ancora vera anche se l'alchimie della moderna scienza non ci permette di essere sicuri... La locuzione viene usata per sottolineare che non ci si deve meravigliare di nulla, essendo, nella visione popolare della vita, almeno fino a che la scienza con i suoi marchingegni sòliti non provi il contrario, una sola cosa impossibile: la gravidanza maschile. 9.ABBIARSE A CCURALLE. Letteralmente: avviarsi verso i coralli. Id est: Anticiparsi, muovere rapidamente e prima degli altri verso qualcosa. Segnatamente lo si dice delle donne violate ed incinte che devono affrettare le nozze. La locuzione nasce nell'ambito dei pescatori torresi (Torre del Greco -NA ), che al momento di mettersi in mare lasciavano che partissero per primi coloro che andavano alla pesca del corallo. 10.AGGIU VISTO 'A MORTE CU LL' UOCCHIE. Letteralmente: Ò veduto la morte con gli occhi. Con questa locuzione tautologica si esprime chi voglia evidenziare di aver corso un serio pericolo o rischio mortale tale da portarlo ad un passo dalla morte e di esserne fortunatamente restato indenne. 11. VULÉ PISCIÀ E GGHÍ 'NCARROZZA. Letteralmente: voler mingere e al tempo stesso andare in carrozza Id est: pretendere di voler conseguire due risultati utili, ma incompatibili fra di essi.Altrove con identico significato si dice: Vulé fottere e sbattere ‘e mmane. Td est: voler coire sbattendo le mani cosa impossibile soprattutto per l’uomo nella posizione détta del missionario. Piscià = míngere, orinare; quanto all’etimo dal t. lat. pi(ti)ssare→pisciare; gghí = andare; forma collaterale di jí che è dal lat. ire. fottere/ffottere = 1coire, congiungersi carnalmente possedere sessualmente; (assol.) avere rapporti sessuali | va' a farti fottere!, lo stesso che 'va' all'inferno, al diavolo' 2 (fig.) imbrogliare, raggirare, rubare:m’ànnu futtuto!( mi ànno fottuto) sono stato derubato ||| fotterse v. intr. pron. (volg.) infischiarsi di qualcuno o di qualcosa (usato per lo piú nella forma fottersene): se ne fotte ‘e chello ca fa (se ne infischia di ciò che fa.) il verbo napoletano è dritto per dritto dal lat. volg. *fottere, per il class. futuere 12. VE DICO 'NA BUSCÍA. Vi dico una bugia. È il modo sbrigativo e piuttosto ipocrita di liberarsi dall'incombenza di dare una risposta, quando non si voglia prender posizione in ordine al richiesto e si avverte allora l'interlocutore di non continuare a chiedere perché la risposta potrebbe essere una fandonia, una bugia... buscía (al pl. buscíe ) = bugia, menzogna ed altrove piattello ansato per ragger le candele; nel significato di bugia/menzogna è parola derivante dal provenzale bauzía che è dal francone bausi = menzogna, malignità; nel senso di piattello ansato per regger candele deriva dal nome della città algerina Bugiaya dove si producevano tali piattelli e da dove, pare, s’importasse la cera per produrre le candele; 13. FÀ 'O FRANCESE. Letteralmente: fare il francese, id est: mostrare, dare a vedere o - meglio - fingere di non comprendere, di non capire quanto vien detto, allo scoperto scopo di non dare risposte, specie trattandosi di impegnative richieste o ordini perentorii. È l'equivalente dell'italiano: fare l'indiano, espressione che, storicamente, a Napoli non si comprende, non avendo i napoletani avuto nulla a che spartire con gli indiani, sia d'India che d' America, mentre ànno subíto piú di una dominazione francese ed ànno avuto a che fare con gente d'oltralpe. 14.'O PESCE FÈTE DÂ CAPA. Letteralmente: Il pesce puzza dalla testa. Id est: il cattivo esempio viene dall'alto, gli errori maggiori vengon commessi dai capi. Per cui: ove necessario, se si vogliono raddrizzare le cose, bisogna cominciare a prender provvedimenti innanzi tutto contro i comandanti. 15.ATTACCA 'O CIUCCIO ADDÓ VO’ 'O PATRONE Letteralmente: Lega l'asino dove vuole il padrone Id est: Rassegnati ad adattarti alla volontà altrui, specie se è quella del capintesta(e non curarti delle conseguenze) È una sorta di trasposizione del militaresco: gli ordini non si discutono... Una curiosità: Un tempo vi fu chi usava dire e forse piú acconciamente, come chiarirò: Attacca ‘o ciuccio addó va ‘o varrone id est: Lega l’asino sul lato del carro dove la stanga principale tende ad inclinare (affinché faccia acconciamente da bilancino e secondi la fatica del cavallo o mulo che sopportano il peso principale); successivamente visto che l’espressione non era intesa pienamente se non da gli addetti ai lavori di trasporto, essa fu mutata in quella assonante in esame che comunque ne stravolse alquanto il significato originario che connotava un esatto consiglio pratico ed efficiente. 16.A ‘NU PASSO DÔ CULO MIO, FOTTE CHI VO’! Letteralmente: Ad un passo dal mio sedere, coisca chi vuole! Significativa locuzione esclamativa da intendersi: Faccia chiunque ciò che vuole, prendendosi il divertimento che piú gli aggrada purché agisca ad una distanza di sicurezza dal mio fondoschiena e non mi coinvolga (soprattutto come parte soccombente) in ciò che fa; id est: assicuro a chi voglia la sua libertà di azione,sino alla sodomia, alla truffa ed all’imbroglio purché mi tenga fuori dai suoi comportamenti e non mi danneggi! passo s.vo m.le passo: 1 ciascuno dei movimenti alterni che si compiono camminando; 2 la distanza che si può coprire con un passo, assunta anticamente come unità di misura di lunghezza; per estens.come nel caso che ci occupa, breve distanza: Voce dal lat. passu(m), part. pass. di pandere 'stendere, aprire'; dô = preposizione articolata corrispondente alla preposizione dal dell’italiano in tutte le sue funzioni ed accezioni; morfologicamente è formata dall’agglutinazione di da +l’articolo ‘o analogamente alla prep. art. ô formata dall’agglutinazione di a +l’articolo ‘o; vo’ corrisponde all’italiano vuole (3ª p. sg. ind. pres.) dell’infinito vulé con etimo dal lat. volg. *vōlere (accanto al lat. class. velle); normale il passaggio della vocale lunga o ad u; la grafia usata per la voce a margine è stata scelta in quanto vo’ è l’ apocope di vole) per cui la preferisco a vô (proposta da qualche pur valente linguista) dove però nella ô si riconosce la contrazione del dittongo uo di vuole; ma accettando tale tesi si corre il grosso rischio forse di far passare l’idea che il napoletano sia un derivato dell’italiano, cosa che non è! Il napoletano, ripeto e sottolineo non è mai, proprio mai tributario dell’italiano, ma filiazione diretta del latino volgare e parlato. fotte voce verbale (3ª p. sg. ind. pr., ma anche – come qui - congiuntivo pr. dell’ infinito fottere = coire, sodomizzare, possedere sessualmente; avere rapporti sessuali ma anche figuratamente: imbrogliare, raggirare deriva dal latino volg. *futtere, per il class. futuere. Brak

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