20 ICASTICHE LOCUZIONI
1 PARE PASCALE PASSAGUAJE.
Letteralmente: sembrare Pasquale passaguai. Cosí sarcasticamente
viene appellato chi si va reiteratamente lamentando di innumerevoli guai che
gli occorrono, di sciagure che - a suo dire, ma non si sa quanto
veridicamente - si abbattono su di lui rendendogli la vita un calvario di cui
lamentarsi, compiangendosi, con tutti.Il Pasquale richiamato nella
locuzione fu un tal Pasquale Barilotto
lamentoso personaggio di farse pulcinelleche del teatro di A. Petito.
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2 PARÉ 'O PASTORE D''A MERAVIGLIA.
Letteralmente: sembrare un pastore della meraviglia
Id est: avere l'aria imbambolata, incerta, statica ed irresoluta quale quella
di certuni pastori del presepe napoletano settecentesco raffiguratiin pose
stupite ed incantate per il prodigio cui stavano assistendo; tali figurine in
terracotta il popolo napoletano suole chiamarle appunto pasture d''a
meraviglia, traducendo quasi alla lettera l'evangelista LUCA che scrisse:
pastores mirati sunt.
2bis PARÉ 'O VOCCAPIERTO
‘E SAN GIUVANNE
Letteralmente:
sembrare il bocca-spalancata di San
Giovanni. Id est: avere l'aria attonita stupita, allibita,
meravigliata,tal quale i mascheroni apotropaici (con occhi spiritati e bocca
spalancata) che ornavano una villa fatta edeficare nel 1535 da Bernardino
Martirano, segretario del regno ( Cosenza
1490,†
Portici (NA) 1548) in contrada Leucopreta adiacente il quartiere napoletano di San Giovanni a Teduccio;
l’espressione viene altresí, sebbene
impropriamente, riferita a tutti coloro
che siano pettegoli e linguacciuti al segno di tener sempre la bocca aperta
per riferire fatti ed avvenimenti che, per altro, non li riguardano e non
sarebbero perciò tenuti a propalare. Qualcuno erroneamente (come si evince da
ciò che ò già detto) pensa che la locuzione si riferisca agli abitanti di san
Giovanni a Teduccio, zona periferica di Napoli, abitanti ritenuti ( però
gratuitamente ), linguacciuti e pettegoli
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3 MEGLIO A SAN FRANCISCO CA 'NCOPP'Ô MUOLO.
Letteralmente: meglio (stare) in san Francesco che
sul molo. Id est: di due situazioni ugualmente sfavorevoli conviene scegliere
quella che comporti minor danno. Temporibus illis in piazza san Francesco, a
Napoli erano ubicate le carceri, mentre sul Molo grande era innalzato il
patibolo che poi fu spostato in piazza Mercato; per cui la locuzione
significa: meglio carcerato e vivo, che morto impiccato.
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4 FUTTATENNE!
Letteralmente:Infischiatene, non dar peso, lascia
correre, non porvi attenzione. E' il pressante invito a lasciar correre dato a
chi si sta adontando o si sta preoccupando eccessivamente per quanto
malevolmente si stia dicendo sul suo conto o si stia operando a suo danno.
Tale icastico invito fu scritto dai napoletani su parecchi muri cittadini nel
1969 allorché il santo patrono della città, san Gennaro, venne privato dalla
Chiesa di Roma della obbligatorietà della "memoria" il 19 settembre
con messa propria. I napoletani ritennero la cosa un declassamento del loro
santo e allora scrissero sui muri cittadini: SAN GENNA' FUTTATENNE! Volevano
lasciare intendere che essi, i napoletani, non si sarebbero dimenticati del
santo quali che fossero stati i dettami di Roma.
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5 FÀ ‘E UNO TABBACCO P''A PIPPA.
Letteralmente: farne di uno tabacco per pipa. Id
est ridurre a furia di percosse qualcuno talmente a mal partito al punto da
trasformarlo, sia pure metaforicamente, in minutissimi pezzi quasi come il
trinciato per pipa.
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6 FÀ TRENTA E UNA TRENTUNO.
Quando manchi poco per raggiungere lo scopo
prefisso, conviene fare quell'ultimo piccolo sforzo ed agguantare la meta: in
fondo da trenta a trentuno non v'è che un piccolissimo lasso. La locuzione
rammenta l'operato di papa Leone X che fatti 30 cardinali, in extremis ne
creò, per mera liberalità (non essendovene reale necessità) un trentunesimo
non previsto in origine.
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6 ESSERE CARTA CANUSCIUTA.
Letteralmente: essere carta nota. Id est: godere di
cattiva fama, mostrarsi inaffidabile e facilmente riconoscibile alla medesima
stregua di una carta da giuoco opportunamente "segnata" dal baro
che se ne serve.
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7 ESSERE CCHIÚ FETENTE 'E 'NA RECCHIA 'E CUNFESSORE.
Letteralmente: essere piú sporco di un orecchio di
confessore. L'icastica espressione viene riferita ad ogni persona
assolutamente priva di senso morale, capace di ogni nefandezza; tale individuo
è parificato ad un orecchio di confessore, non perché i preti vivano con le
orecchie sporche, ma perché i confessori devono, per il loro ufficio,
prestare l'orecchio ad ogni nefandezza e alla summa dei peccati che vengono
quasi depositati nell'orecchio del confessore, orecchio che ne rimane
metaforicamente insozzato.
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8 'O RIALO CA FACETTE BERTA Â NEPOTA: ARAPETTE 'A CASCIA E LE
DETTE 'NA NOCE.
Letteralmente : il regalo che fece Berta alla
nipote: aprí la cassa e le regalò una noce. La locuzione è usata per
sottolineare l'inconsistenza di un dono, specialmente quando il donatore
lascerebbe intendere di essere intenzionato a fare grosse elargizioni che,
all'atto pratico, risultano invece essere parva res.
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9 'E PPAZZIE D''E CANE FERNESCENO A CCAZZE 'NCULO.
Letteralmente: i giochi dei cani finiscono con
pratiche sodomitiche. Id est: i giuochi di cattivo gusto finiscono
inevitabilmente per degenerare, per cui sarebbe opportuno non porvi mano per
nulla. La icastica locuzione prende l'avvio dalla osservazione della realtà
allorché in una torma di cani randagi si comincia per gioco a rincorrersi e a
latrarsi contro l'un l'altro e si finisce per montarsi vicendevolmente; la
postura delle bestie fa pensare sia pure erroneamente a pratiche sodomitiche
10.TRE CCALLE E MMESCÀMMECE.
Letteralmente: tre calli(cioè mezzo tornese) e
mescoliamoci. Cosí, sarcasticamente, è definito a Napoli colui che, senza
verun sacrificio di mezzi o di azioni,
si intromette nelle faccende altrui,volendo sempre, da saccente e
supponente, dire la sua. Il tre
calle era una moneta di piccolissimo valore; su una delle due facce v'era
raffigurato un cavallo da cui per contrazione prese il nome di callo. La
locuzione significa: con poca spesa si interessa delle faccende altrui.
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11.CHI SE FA MASTO, CADE DINT'Ô MASTRILLO.
Letteralmente: chi si fa maestro, finisce per
essere intrappolato. L'ammonimento della locuzione a non ergersi maestri e
domini delle situazioni, viene rivolto soprattutto ai presuntuosi e
supponenti che son soliti dare ammaestramenti o consigli non richiesti, ma
poi finiscono per fare la fine dei sorci presi in trappola proprio da
coloro che pretendono di ammaestrare. Il mastrillo, dal lat.
mustricula, è la piccola trappola per topi.
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12.TUTTO A GGIESÚ E NIENTE A MARIA!
Letteralmente: Tutto a Gesú e niente a Maria! Ma
non è un incitamento a conferire tutta la propria devozione a Gesú ed a
negarla alla Vergine; è invece l'amara constatazione che fa il napoletano
davanti ad una iniqua distribuzione di beni, distribuzione di cui ci si dolga, nella speranza che
chi di dovere si ravveda e provveda ad una piú equa redistribuzione. Il piú
delle volte però non v'è ravvedimento e la faccenda non migliora per il
petente. Le parole in
epigrafe ripetono quelle pronunciate da
un anziano pievano che redarguí il proprio sacrestano che, delegato
ad addobbare gli altari laterali della pieve, aveva riservato gli addobbi
al solo altare del Cuore di Gesú, lesinando sugli addobbi all’altare della
Vergine.
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13.CHI GUVERNA 'A RROBBA 'E LL'ATE NUN SE COCCA SENZA CENA
Letteralmente: chi amministra i beni altrui, non
va a letto digiuno. Disincantata osservazione della realtà che piú che
legittimare comportamenti che viceversa integrano ipotesi di reato,
denuncia l'impossibilità di porvi riparo: gli amministratori di beni altrui
sono incorreggibili ladri! Perché meravigliarsi se gli
amministratori della cosa pubblica son usi a rimpiunguire i propri conti
correnti? È un fatto ineluttabile a cui bisogna abituarsi!
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14.PARÉ LL'OMMO 'NCOPP'Â SALERA
Letteralmente: sembrare l'uomo sulla saliera. Id
est: sembrare, meglio essere un uomo piccolo e goffo, un omuncolo simile a
quel Tom Pouce,pagliaccio inglese, venuto a Napoli sul finire del 1860,ad
esibirsi in un circo equestre; fu uomo molto piccolo e ridicolo e per questo fu preso a modello dagli
artigiani napoletani che lo raffigurarono a tutto tondo come maniglia del
coperchio delle stoviglie in terracotta di uso quotidiano. Per traslato,
l'espressione viene riferita con tono di scherno verso tutti quegli
omettini che si danno le arie di esseri prestanti fisicamente e moralmente,
laddove sono invece l'esatto opposto.
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15.FÀ COMME A SANTA CHIARA: DOPP' ARRUBBATO CE METTETERO 'E
PPORTE 'E FIERRO.
Letteralmente: far come per santa Chiara; dopo
che fu depredata le si apposero porte di ferro. Id est: correre ai ripari
quando sia troppo tardi, quando si sia già subíto il danno paventato, alla
stessa stregua di ciò che accadde per la basilica di santa Chiara che fu
provvista di solide porte di ferro in luogo del preesistente debole uscio
di legno, ma solo quando i ladri avevano già perpetrato i loro furti
sacrileghi a danno della antica chiesa partenopea.
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16.ESSERE 'A TINA 'E MIEZO.
Letteralmente: essere il tino di mezzo. Id est:
essere la massima somma di quanto piú sporco, piú laido, piú lercio possa
esistere. Offesa gravissima che si rivolge a persona ritenuta cosí
massimamente sporca, laida e lercia da essere paragonata al grosso tino di
legno posto al centro del carro per la raccolta dei liquami da usare come
fertilizzanti, nel quale tino venivano versati i liquami raccolti con due
tini piú piccoli posti ai lati del tino di mezzo dove veniva riposto il
letame raccolto.
Rammento che con il vocabolo tina (dal t. lat tina(m)←tinu(m)) si è creato il femminile di tino per
indicare un oggetto piú grande del corrispondente maschile In napoletano
infatti un oggetto che sia o sia inteso di volume o ampiezza piú grande e/o
grosso di un corrispettivo oggetto maschile, viene inteso femminile (cfr. cucchiaro piú piccolo e cucchiara piú grande, carretto piú piccolo e carretta piú grande, tammurro piú piccolo e tammorra piú grande,tino piú piccolo e tina piú grande etc.; uniche
eccezioni caccavella piú piccola,
ma femminile e caccavo piú grande, ma maschile e tiana
piú piccola, ma femminile e tiano piú grande, ma maschile).
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17.'A CAPA 'E LL'OMMO È 'NA SFOGLIA 'E CEPOLLA.
Letteralmente: la testa dell'uomo è una falda di
cipolla. È il filosofico, icastico commento di un napoletano davanti a
comportamenti che meriterebbero d'esser censurati e che si evita invece di
criticare, partendo dall'umana considerazione che quei comportamenti siano
stati generati non da cattiva volontà, ma da un fatto ineluttabile e cioé
che il cervello umano è labile e deperibile ed inconsistente alla stessa
stregua di una leggera, sottile falda di cipolla.
18.NUN TENÉ VOCE
'NCAPITULO.
Letteralmente: non aver voce nel capitolo. Il
capitolo della locuzione è il consesso capitolare dei canonaci della Cattedrale;
solo ad alcuni di essi era riservato il diritto di voto e di intervento
in una discussione. La locuzione sta a significare che colui a cui è
rivolta l'espressione non à né l'autorità, né la capacità di esprimere
pareri o farli valere, non contando nulla.
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19.TU NUN CUSE, NUN FILE E NUN TIESSE; TANTA GLIUOMMERE 'A
DO' 'E CCACCE?
Letteralmente: Tu non cuci, non fili e non
tessi, tanti gomitoli da dove li tiri fuori? Tale domanda sarcastica la
si rivolge a colui che fa mostra di una inesplicabile, improvvisa
ricchezza; ed in effetti posto che colui cui viene rivolta la domanda non
è impegnato in un lavoro che possa produrre ricchezza, si comprende che
la domanda è del tipo retorico sottintendendo che probabilmente la
ricchezza mostrata è frutto di mali affari. È da ricordare anche che il
termine gliuommero (dal lat. glomeru(m)(gomitolo))indicava,
temporibus illis, anche una grossa somma di danaro corrispondente a circa
100 ducati d'argento.
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20.MENARSE DINT' Ê VRACHE...
Letteralmente: buttarsi nelle imbracature. Id
est: rallentare il proprio ritmo lavorativo, lasciarsi prendere dalla
pigrizia, procedere a rilento. L'icastica espressione che suole riferirsi
al lento agire soprattutto dei giovani, prende l'avvio dall'osservazione
del modo di procedere di cavalli che quando sono stanchi, sogliono
appoggiarsi con le natiche sui finimenti posteriori detti vrache (b. lat.
*braca(m)(imbracature)) proprio perché imbracano la bestia.
Brak
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