NACCA/NNACCA
& dintorni
Sollecitato dalla richiesta d’una mia
nipote, tratto questa vòlta la voce in epigrafe sicuro di far cosa gradita non
solo alla mia congiunta, ma pure a qualche altro dei miei ventiquattro lettori.
Comincio con la prima espressione che
mi viene in mente che la contiene:
(‘a)zi’
nnacca (d’’o
Pennino),e talvolta per evidente inconscia erronea corruzione popolare (‘a)zi’ nnacchera (d’’o Pennino), ma piú
correttamente (‘a)sié nnacca (d’’o Pennino); letteralmente
sta per la signora anca (del pendino), ma per ampliamento semantico vale donna
sgraziata, goffa, dalla provocatoria andatura dondolante per mettere in mostra
le voluminose anche e/o natiche, mostra
favorita dalla ridondanza delle grosse gonne indossate, spesso ad arte gonfie sui fianchi e/o fondoschiena, per sottogonne e/ o guardinfanti; tale donna
sgraziata e goffa è classificata, stante la sua ineleganza e cattivo gusto come donna volgare, intesa addirittura becera, triviale, incline al pettegolezzo e
alla chiassata manifestando rumorosamente la sua presenza enfatica come ad un
dipresso accade per la cosiddetta péreta (cfr. alibi sub EPITETI).
Prima di passare all’esame linguistico dell’espressione ricorderò
che “’a sié nnacca d’ ‘o Pennino” fu l’epiteto affibbiato intorno agli anni di
fine 1800 ad un corpulento, sgraziato donnone che fu titolare d’una friggitoria
nel quartiere Pennino, donnone rammentato anche dal poeta Ferdinando Russo
[Napoli 25/11/1866 - † ivi 30/01/1927] nel finale del suo poemetto ‘Mparaviso
(1891).
Affrontiamo ora la questione etimologica dell’espressione e dico
súbito che (‘a) zi’ nnacca o
addirittura (‘a) zi’ nnacchera (che
varrebbe correttamente la zia anca) è espressione scorrettamente in uso
sulla bocca del popolino e/o delle persone meno coscienti o consce
dell’idioma partenopeo, laddove l’espressione da usarsi
correttamente è (‘a) sié nnacca (d’’o
Pennino) e ciò perché
spesso tra il popolino o i meno esperti si incorre nella confusione tra
zi’ e si’ (al maschile) o tra zi’
e sié (al femminile)
cioè si confonde tra zio/a e
signore/a. Ricordo infatti che non solo in questo caso, ma anche in altre
espressioni che ricorderò qui di fila, si incorre nella colpevole confusione
tra i menzionati zio/a e signore/a. con la trasformazione del
corretto si’ (che è di per sé l’apocope di si(gnore)
con uno scorretto zi’ (che è l’apocope di uno zio/a etimologicamente derivante
da un tardo latino thiu(m) e thia(m) da un greco tehîos ) per cui si
ottenengono gli scorretti zi’(zio o zia)
in luogo dei corretti si’ (signore)o sié dove il si’
- come ò detto- è l’apocope di si-(gnore)
(che etimologicamente è dal francese seigneur
forgiato sul latino seniore(m)
comparativo di senex=vecchio,anziano mentre il sié è l’apocope
ricostruita di signora dalla medesima
voce francese femminilizzata e metatetica di seigneur cioè da seigneuse→sie-(gneuse).
Ricordo altre espressioni improprie come:
1)dicette ‘o zi’ prevete â zi’ badessa:”Senza denare nun se
cantano messe”! usata invece della corretta
dicette ‘o si’ prevete â sié badessa:”Senza denare nun se cantano messe”!
dicette ‘o si’ prevete â sié badessa:”Senza denare nun se cantano messe”!
Ad litteram: Il signor prete disse alla signora abadessa: Senza
denari, non si celebrano messe cantate!;l’espressione impropria sarebbe
tradotta: Lo zio prete disse alla zia
abadessa: “Senza denari, non si celebrano messe!”, ma ognuno vede che è
una forzatura semantica ritenere zii e non signori i protagonisti
dell’espressione!
2)Essere ‘o zi’ nisciuno espressione impropria al
posto della corretta Essere ‘o si’ nisciuno id est:
essere una nullità, un autentico signor nessuno! Rammento che in tale
confusione tra zi’ nisciuno e si’ nisciuno incorse perfino un grandissimo scrittore
napoletano, don Peppino Marotta (Napoli 5 aprile 1902. -† ivi 12 ottobre 1963) che in un suo volume
tradusse appunto scorrettamente essere lo
zio nessuno piuttosto che correttamente essere
il signor nessuno ed anche in questo caso abbiamo una forzatura
semantica,che perdono a don Peppino essendo egli la corona della mia testa!
Andiamo oltre e trattiamo
il sostantivo nacca s.vo f.le = anca,
fianco (soprattutto femminile) Premesso che l’erronea nacchera talvolta scioccamente usata da qualcuno, è solo una
patente corruzione, per bisticcio ed
assonanza, di questa nacca dirò che in corretto napoletano la
voce nacca o il pl. nacche se vengono usate precedute da una e esigono il
raddoppiamento consonantico della enne e dunque si dovrà scrivere ‘a sié
nnacca e non ‘a sié nacca ed ovviamente ‘e nnacche e non ‘e nacche
(che altrimenti, oltre tutto, suonerebbero maschili!). Etimologicamente la
voce nacca è una lettura metatetica del tedesco (h)anka→naka→nacca con raddoppiamento espressivo dell’occlusiva
velare sorda k→cc.
Completiamo l’esame dell’espressione di partenza trattando dello
specificativo locativo d’’o Pennino= del
Pendino
Il Pendino è un
antico quartiere di Napoli, adiacente al
centro storico, che attualmente è compreso nella seconda municipalità del
capoluogo campano insieme ai quartieri Avvocata,
Montecalvario,
Mercato, San Giuseppe e Porto. Questo antico quartiere comprensivo di una zona in leggero
pendio (donde il nome) verso il mare à molte strade tra cui spiccano: Corso Umberto I
(noto con il nome di Rettifilo strada aperta, come la successiva, al tempo
(1888 – 1889) dello sventramento e risanamento della città operata consule il
sindaco Nicola Amore,(Roccamonfina 18 aprile
1828 –† Napoli, 10 ottobre
1894) ), Via Duomo (che prende
questo nome appunto per la presenza della Chiesa cattedrale (Duomo) della
metropoli partenopea), Via Soprammuro (in dialetto 'Ncopp ê Mmure
sopra le mura dove quotidianamente si tiene mercato al minuto di pesce ed
ortaggi/erbaggi.), Via Forcella (nota per essere uno delle
piú antiche strade napoletane, strada dal fiorente contrabbando di tabacchi ed
apparecchiature audio-visive e fotografiche oltre che di elettrodomestici , Corso Garibaldi(improvvidamente
dedicato al masnadiero,truffaldino ladro di cavalli, pluripregiudicato
Garibaldi Giuseppe ((Nizza, 4 luglio
1807 –† Isola di Caprera,
2 giugno
1882)) córso che
congiunge la zona portuale con la piazza Carlo III sede del monumentale Albergo dei Poveri (détto
anche Reclusorio) opera voluta dal re
Carlo di Borbone ed edificato su progetto di Ferdinando Fuga , Via Bartolomeo Capasso
(illustre scrittore, poeta ed archeologo napoletano (Napoli 22/02/1815 - † ivi
3/03/1900)) ecc.; rammento inoltre che
questo vasto importante quartiere
napoletano à origini antiche, già in ètà
romana era compreso nelle mura, come
testimoniato dal Complesso termale in Vico dei Mannesi( per ciò
che riguarda la voce mannesi, pl. di mannese dirò che nell’ idioma napoletano essa voce mannése
non à nulla a che dividere con
l’omografa ed omofona della lingua italiana; in italiano mannése è un aggettivo che viene riferito agli
abitanti dell’isola di Man e connota in
particolare una lingua che è appunto la lingua mannese o manx
(chiamata anche Gaelg) che è una lingua
gaelica o goidelica
parlata sull'Isola di Man,che è un’isola
conosciuta anche come Mann o Manx (Isle of Man in inglese,
Ellan Vannin o Mannin in mannese)
ed è situata nel Mar d'Irlanda;
sul piano politico, essa non fa parte del Regno Unito
né dell'Unione Europea, ma è una dipendenza della Corona britannica. La lingua che vi si parla è risalente al V secolo ed è derivante dall'antico irlandese;
infatti non di rado viene chiamata gaelico mannese. Tutt’altra cosa è il mannése della parlata napoletana dove è un sostantivo, non aggettivo masch. e vale carpentiere,falegname ma piú ancóra carradore,fabbricante di carri e carretti, artigiano che fabbrica o ripara carri e barocci; carraio con derivazione da un acc.vo lat. manuense(m) che diede il lat. volg. *manuese donde *mann(u)ese; per il raddoppiamento della nasale cfr. alibi crebui→ crebbi, venui→venni, stetui→stetti etc.)
Il quartiere conserva altresí resti di mura greche in Piazza Calenda a Forcella che testimoniano un'ulteriore antichissima epoca,appunto quella greca. Nel medioevo questo quartiere e precisamente la piazza del Mercato,fu teatro della decapitazione di Corradino di Svevia (Corrado V di Svevia, detto Corradino (Landshut, 25 marzo 1252 –† Napoli, 29 ottobre 1268) figlio di Corrado IV re dei Romani e di Elisabetta di Wittelsbach; fu Re di Sicilia (1254-1268) e di Gerusalemme (1254-1268). Fu l'ultimo degli Hohenstaufen regnanti), ed inoltre dal XIV secolo in poi nel quartiere vennero erette numerose chiese; nel seicento fu il luogo da dove partí la rivolta di Masaniello(Tommaso Aniello d'Amalfi,(rammento che d’Amalfi era il suo cognome e non indicava la provenienza o nascita, in quanto il personaggio era di nascita napoletana) meglio conosciuto come Masaniello (Napoli, 29 giugno 1620 –† Napoli, 16 luglio 1647, fu il principale protagonista della rivolta napoletana che vide, dal 7 al 16 luglio 1647, la popolazione civile della città insorgere contro la pressione fiscale imposta dal governo vicereale spagnolo); continuando nel ns excursus ricordo che nel XX secolo il quartiere fu gravemente danneggiato ma venne súbito ricostruito tranne alcuni edifici come la Chiesa del Carminiello ai Mannesi.Oltre le arterie ricordate il quartiere è composto da un fitto dedalo di numerosi vicoli che le intersecano; ricordo:
Vico Zuroli (che prende il nome da un’antichissima(1300) famiglia : gli Zurlo o Zuroli che vi fecero elevare il loro palazzo nei pressi della chiesa del Monte della Misericordia (Il Pio Monte della Misericordia è un'istituzione benefica, tra le più antiche (1602), della città di Napoli.
La sua sede attuale è nell'edificio (palazzo e chiesa) situato nel centro antico della città, lungo uno degli antichi decumani (decumano maggiore, oggi via dei Tribunali).
L'edificio ospita le Sette opere di Misericordia (1607), celebre dipinto del Caravaggio),
Via Arte della Lana (sede della potente corporazione dei Lanaioli, fiore all’occhiello della città dove l’artigianato tessile à avuto da sempre notevole importanza, tanto che gli Arabi dissero la città: Napoli del lino; la corporazione era cosí importante e potente da godere di legislazione propria, un proprio tribunale, di chiesa e carcere privati),
Vico del Lavinaio( che deve il suo nome agli scoli d’acqua piovana che – prima dell’ampliamento aragonese (1484)delle mura di cinta della città - rendevano fangose e malsane le strade di quella zona popolare; esistono altresí molte piazze monumentali:
1 -piazza del Mercato,(quella teatro della rivolta di Masaniello, sede delle esecuzioni capitali È una delle maggiori piazze della città, ma in origine non era altro che uno spiazzo irregolare esterno al perimetro urbano, chiamato Campo del moricino (o muricino) "perché «attaccato» a mura divisorie della cinta muraria cittadina". Gli Angioini, poi, ne fecero un grande centro commerciale cittadino, ribattezzandolo Mercato di Sant'Eligio (con riferimento ad un’imponente basilica di stile gotico adiacente alla piazza dedicata appunto a sant’ Eligio) e, quindi, Piazza Mercato, snodo fondamentale dei traffici provenienti da tutto il Mediterraneo. Ivi si svolgevano le esecuzioni capitali, a partire dalla decapitazione di Corradino di Svevia, fino a quelle dei giacobini dopo la soppressione della Repubblica Partenopea del 1799. La piazza, poi, è particolarmente celebre per essere stata il luogo dove ebbe inizio la rivoluzione di Masaniello)
2 -Piazza Nicola Amore (conosciuta come 'e Quatte Palazze = quattro palazzi che son quelli che limitano la piazza ai quattro punti cardinali ),
3 - Piazza del Carmine (non quella summenzionata della rivolta di Masaniello,ma quella adiacente che un tempo fu tutt’uno con la piazza del Mercato; questa piazza in esame su uno dei quattro lati vanta la presenza, prendendo da essa il nome di piazza del Carmine, della Basilica Santuario di Santa Maria del Carmine Maggiore (una delle piú grandi e belle basiliche di Napoli, dedicata al culto della Vergine (nera) del Carmelo. Risalente al XIII secolo,la basilica è oggi ormai l’ unico splendido esempio del Barocco napoletano; si erge in piazza Carmine a Napoli, piazza che un tempo formava un tutt'uno con la piazza del Mercato, teatro, come ò ricordato, dei piú importanti avvenimenti della storia napoletana.) con l’adiacente campanile che quantunque costruito contemporaneamente alla chiesa, di esso si parla la prima volta non prima del 1439, durante la guerra tra Angioini e Aragonesi. Piú volte danneggiato e ricostruito assume l'aspetto attuale nella prima metà del XVII secolo. I primi tre piani sono costruiti (partendo dal basso) nello stile ionico, dorico e corinzio, e si devono all'architetto Giovan Giacomo Di Conforto. Questa parte, iniziata nel 1615 con la offerta di 150 ducati, venne completata nel 1620. Nel 1622 fu innalzato il primo piano ottagonale sotto la cui cornice si legge un'iscrizione; nel 1627 fu portato a termine il secondo piano ottagonale e nel 1631, il domenicano Giuseppe Donzelli détto fra’ Nuvolo, costruí la cuspide ricoperta di maioliche dipinte, per cui il campanile è ricordato come quello di fra’ Nuvolo In cima vi troneggia la croce, su di un globo di rame del diametro di 110 centimetri. L'intera struttura è alta 75 metri e risulta essere il campanile piú alto di Napoli ed ogni anni per la ricorrenza della festività della Madonna del Carmine (16/07), il détto campanile viene incendiato cioè è teatro di un imponente spettacolo di fuochi artificiali esplosi lungo tutta la struttura del campanile;
4 - Piazza del Grande Archivio
(che prende il nome dall’ Archivio di Stato, ubicato nei locali
dell’antichissimo monastero dei Ss. Severino e Sossio; La chiesa e l'annesso
ampio monastero vennero fondati nel IX
secolo dai Benedettini, che nel 902 vi trasferirono le spoglie di San Severino,
e due anni dopo anche quelle di San
Sossio. Il complesso venne poi
ristrutturato intorno alla metà del 1400 dagli angioini e ne restano alcune tracce nella chiesa inferiore, nuovamente
rifatta nel XVI secolo. Nel 1494 venne affidata a Giovanni Donadio la
ricostruzione della chiesa superiore. I lavori, interrotti per un breve
periodo, furono ripresi nel 1537 da Giovan Francesco di Palma. I danni prodotti
dal terremoto del 1731 resero necessaria una nuova ristrutturazione, affidata a
Giovanni Del Gaizo. A Giovanni Battista Nauclerio si deve invece il rifacimento
della facciata. L'interno della chiesa , a croce latina, è a navata unica con sette
cappelle laterali. L' opera conserva un altare maggiore e una balaustra
realizzati su disegno di Cosimo Fanzago, nonché
un'ancona marmorea di Giovanni Domenico D'Auria ed una tavola di Marco Pino, (Calvario,
1577)poste nella cappella Gesualdo; nella cappella Sanseverino invece sono visibili i Monumenti funebri di Ascanio,
Iacopo e Sigismondo Sanseverino, eseguiti nel 1539-40 su disegno di Giovanni da
Nola.L’annesso monastero, oggi sede dell’Archivio, è famoso per i suoi tre
chiostri riccamente affrescati (chiostro dei platani,chiostro del noviziato e
chiostro di marmo o chiostro quadrato, destinato a giardino, con ingresso sulla
via.). Il quartiere confina con altri popolari e popolosi quartieri: Porto, Vicaria,
Mercato, San Lorenzo e San Giuseppe.
A margine di questa lunga, ma forse necessaria e m’auguro interessante descrizione del
quartiere Pendino richiamato dall’espressione in esame: ‘a
sié nnacca d’’o Pennino rammento qui di
sèguito un’ altra espressione in cui è presente il quartiere Pendino:
arricurdarse
‘o cippo a furcella, ‘a lava d’’e virgene, ‘o catafarco ô pennino, ‘o mare ô
cerriglio.
Ad litteram: Rammentarsi del
pioppo a Forcella, della lava dei Vergini, del catafalco al Pendino e del mare
al Cerriglio.
È un’ espressione pronunciata
a caustico commento delle parole di qualcuno che continui a rammentare/rsi cose o luoghi o avvenimenti ormai remotissimi quali, nella fattispecie, i
pioppi esistenti alla fine di via Forcella; per il vero la parola originaria
dell’espressione era chiuppo ( id est: pioppo; chiuppo etimologicamente
è da un lat. volg. *ploppu(m), per il class. populu(m); tipico il
passaggio in napoletano PL→CHI).
La parola chiuppo
fu poi corrotta in cippo e cosí
mantenuta nella tradizione orale della locuzione;in essa poi
sono ricordati vari altri accadimenti , quali 1)- ‘a lava d’’e
Virgene(la lava nella parlata
napoletana, etimologicamente dal
lat. labe(m)→laba(m)→lava(m) è'caduta, rovina', deriv. di labi
'scivolare' non indica solamente la massa fluida e incandescente costituita di
minerali fusi, che fuoriesce dai vulcani in eruzione: colata di lava.,
ma indica anche estensivamente una copiosa, quasi torrentizia caduta di acqua; ed è a quest’ultima che qui si fa riferimento; (con
l’espressione ‘a lava d’’e Virgene si intende infatti quel tumultuoso torrente di acqua
piovana che a Napoli fino agli inizi degli anni ’60 del 1900,
quando furono finalmente adeguatamente
sistemate le fogne cittadine, si precipitava dalla collina di
Capodimonte sulla sottostante via dei Vergini (cosí chiamata perché nella zona esisteva un monastero di Verginisti antica
congregazione religiosa di predicatori)
e percorrendo di gran carriera la via Foria si adagiava, placandosi, in piazza Carlo III,
trasportando seco masserizie,ceste di frutta e verdura e tutto ciò che capitasse lungo il suo
precipitoso percorso),2) - ‘o catafarco ô Pennino = il catafalco al Pennino (id
est: il grosso altare che veniva eretto nella centrale zona del Pendino,
altare eretto per le celebrazioni della festa, ormai desueta, del Corpus
Domini; in primis la parola catafarco (di etimo incerto, ma con
molta probabilità da un connubio greco ed arabo: greco katà =sopra+ l’arabo falah= rialzo) indica il
palco, l’alta castellana ( anche cosí
nel napoletano, con derivazione forse da un antico castellame (voce del
XIV sec. con cui si indicava la torretta lignea posta sulla groppa degli
elefanti e nella quale si acquattavano i soldati; la voce, derivata
probabilmente da castello, subí nel napoletano un adattamento corruttivo
del suffisso me che divenne na con sostituzione della vocale finale e della nasale bilabiale con la corrispondente
nasale dentale, per render chiaramente femminile la parola originariamente maschile,
nella convinzione, che già alibi illustrai, che gli oggetti femminili fossero
piú grandi o grossi o imponenti dei relativi maschili; l’adattamento corruttivo
di me in na si rese
necessario, atteso che per errore non si
muta la desinenza nel volgere al femminile un nome terminante in me ed
invece di farlo diventare
terminante nell’ovvio ma, si
continua a mantenere il suffisso me
; fu necessario perciò cambiar questo me in na (desinenza
che, quanto al genere non produce confusione)!) dicevo che la voce
catafalco che di per sé indica il
tronetto ligneo su cui veniva un tempo,
al centro della chiesa, sistemata la
bara durante i funerali solenni, qui è
usato per traslato ad indicare un altare
molto imponente), infine: 3) - ‘o mare ô Cerriglio = il mare
al Cerriglio (cioè al tempo di
quando il mare lambiva la zona del Cerriglio, zona prossima al porto,
nella quale era ubicato il Sedile di Porto, uno dei tanti comprensorî
amministrativi in cui, in periodo viceregnale, era divisa la città di Napoli;
nella medesima zona del Cerriglio esistette (1600 circa) una antica bettola o
osteria , peraltro frequentata da ogni tipo di avventori: dai nobili (che vi venivano a provare
l’ebrezza dell’ incontro con il
popolino), ai plebei (che per pochi soldi vi si sfamavano), agli artisti
(in cerca di ispirazione) alle prostitute (in cerca di clienti); abituale
frequentatore di questa bettola pare fosse, durante il suo soggiorno
partenopeo, il Caravaggio(Michelangelo Merisi, detto il Caravaggio Caravaggio
o Milano,
1571 † Porto Ercole
(Monte Argentario), 18 luglio
1610) . sulla porta di detta bettola erano riportati i seguenti popolareschi
versi epicurei se non edonistici:
Magnammo, amice mieje, e ppo vevimmo
nfino ca stace ll'uoglio a la lucerna:
Chi sa’ si all'auto munno nce vedimmo!
Chi sa’ si all'auto munno nc'è taverna!
stace = ci sta; il ce dal lat. volg. *hicce, per il class. hic 'qui'in posizione enclitica corrisponde, svolgendone le medesime funzioni, all’italiano ci che è pron. pers. di prima pers. pl. [atono; in presenza delle particelle pron. atone lo, la, li, le e della particella ne, viene sostituito da ce: ce lo disse, mandatecelo; che ce ne importa?; in gruppo con altri pron. pers., si prepone a si e se: ci si ragiona bene; non ci se ne accorge (pop. la posposizione: si ci mette); si pospone a mi, ti, gli, le, vi: ti ci affidiamo (piú com.: ci affidiamo a te)]; vale pure noi ( e si usa come compl. ogg., in posizione sia proclitica sia enclitica);
nfino ca stace ll'uoglio a la lucerna:
Chi sa’ si all'auto munno nce vedimmo!
Chi sa’ si all'auto munno nc'è taverna!
stace = ci sta; il ce dal lat. volg. *hicce, per il class. hic 'qui'in posizione enclitica corrisponde, svolgendone le medesime funzioni, all’italiano ci che è pron. pers. di prima pers. pl. [atono; in presenza delle particelle pron. atone lo, la, li, le e della particella ne, viene sostituito da ce: ce lo disse, mandatecelo; che ce ne importa?; in gruppo con altri pron. pers., si prepone a si e se: ci si ragiona bene; non ci se ne accorge (pop. la posposizione: si ci mette); si pospone a mi, ti, gli, le, vi: ti ci affidiamo (piú com.: ci affidiamo a te)]; vale pure noi ( e si usa come compl. ogg., in posizione sia proclitica sia enclitica);
lucerna = lampada portatile ad olio o petrolio e qui, per
traslato vita etimologicamente
derivata da un tardo latino lucerna(m), forse deriv. di lux lucis
'luce', o piú probabilmente deverbale di
luceo con il suffisso di appartenenza ernus/a;
taverna = bettola, osteria di infimo ordine;
etimologicamente dal latino taberna(m)
che significò bottega ed osteria
ed è in quest’ultimo significato che la voce fu accolta,con tipica alternanza partenopea
di B/V, nella parlata napoletana che per il significato di bottega
preferí ricorrere, come vedemmo alibi, al greco apoteca donde trasse puteca.
Sistemato cosí m’auguro esaurientemente il Pendino e le locuzioni
che lo richiamano, chiarisco che – come si puó facilmente arguire la
protagonista dell’espressione ‘a sié
nnacca d’’o Pennino non è,
né fu una ben identificata e/o codificata persona, ma semplicemente una tipica
popolana del tardo ‘800, che vestita alla consueta vistosa maniera delle popolane con ampie
gonne e sottogonne e/o guardinfanti, divenne famosa dapprima nel suo quartiere e poi in quelli limitrofi
ed infine in tutta la città fino a divenire proverbiale, per un suo tipico dondolante e provocatorio
incedere mettendo in vista anche e/o natiche gonfie o pingui. Esiste altresí,
oltre quella or ora rammentata, un’altra simpatica, icastica espressione che è
poi un intercalare di estemporaneo canto popolare su ritmo di tarantella, canto
in uso tra i contadini della provincia napoletana o dell’area sorrentina,
intercalare in cui è presente la voce nacca,
anzi il suo plurale nacche tale intercalare/espressione nella sua
interezza suona:’Nfra nacche, pacche e nievero ‘e vacca e tradotta vale:
Tra anche, natiche e nerbo di vacca con riferimento al comportamento
tenuto durante la danza da ballerine e ballerini: le prime che dimenano ed
agitano provocatoriamente anche e natiche ed i secondi che proditoriamente
strofinano o tentano di strofinare contro le medesime il loro nerbo (di vacca);
va da sé che il nerbo di vacca (nievero ‘e vacca) che sta ad indicare il
membro maschile è solo un gustoso
adattamento furbesco per questioni di rima per assonanza, atteso che
morfologicamente non è la mucca (vacca), ma il bue ( ‘o vojo) ad essere armato
di nerbo (nievero).Esaminiamo le singole voci dell’intercalare:
‘Nfra = tra, fra, in mezzo preposizione
1 indica posizione
intermedia entro due termini collocati a una certa distanza nello spazio (anche
in usi fig.) ‘na strata ‘nfra ddoje file d’ arbere(una strada tra due filari
d’alberi); ‘a casa nosta casa è
‘nfra ô parco e â chiazza (la nostra
casa è tra il parco e la piazza); stà
‘nfra dduje fuoche(essere tra due
fuochi), stà ‘nfra â ‘ncunia e
ô martiello (stare fra l'incudine e il
martello)
2 in dipendenza da verbi
di movimento introduce un moto per luogo: passaje
‘nfra ‘nu sacco ‘e gente (passò fra molte persone);
3 indica il tempo che deve trascorrere prima del verificarsi di un evento: nce vedimmo ‘nfra ddoje ore(ci vedremo fra due ore); turnarrà ‘nfra ‘na semmana(tornerà fra una settimana); | indica l'arco di tempo entro cui l'evento si è verificato o dovrà verificarsi: ‘a fatica s’ à dda fa ‘nfra fevraro e abbrile (il lavoro deve essere svolto fra febbraio ed aprile; starrà cca ‘nfra ê ccinche e ê ssaje ( sarà qui tra le cinque e le sei) | con il valore di durante, nel corso, nel mezzo di: parlà ‘nfra sé e ssé(parlare tra sé e sé)
4 introduce una distanza, una lunghezza:’nfra ciento metre truvammo ‘na chiazza( tra cento metri incontreremo una piazza) | con valore spazio-temporale: ‘o paese è ‘nfra mez'ora ‘e cammino (il paese è fra mezz'ora di cammino)
5 indica i soggetti, i termini entro i quali o rispetto ai quali si verifica una certa condizione (anche in usi fig.):’nfra nuje e vvuje nce sta n’abbisso (tra noi e voi c'è un abisso); ‘nfra loro s’’a ‘ntennono bbuono!( fra loro si intendono bene!);
3 indica il tempo che deve trascorrere prima del verificarsi di un evento: nce vedimmo ‘nfra ddoje ore(ci vedremo fra due ore); turnarrà ‘nfra ‘na semmana(tornerà fra una settimana); | indica l'arco di tempo entro cui l'evento si è verificato o dovrà verificarsi: ‘a fatica s’ à dda fa ‘nfra fevraro e abbrile (il lavoro deve essere svolto fra febbraio ed aprile; starrà cca ‘nfra ê ccinche e ê ssaje ( sarà qui tra le cinque e le sei) | con il valore di durante, nel corso, nel mezzo di: parlà ‘nfra sé e ssé(parlare tra sé e sé)
4 introduce una distanza, una lunghezza:’nfra ciento metre truvammo ‘na chiazza( tra cento metri incontreremo una piazza) | con valore spazio-temporale: ‘o paese è ‘nfra mez'ora ‘e cammino (il paese è fra mezz'ora di cammino)
5 indica i soggetti, i termini entro i quali o rispetto ai quali si verifica una certa condizione (anche in usi fig.):’nfra nuje e vvuje nce sta n’abbisso (tra noi e voi c'è un abisso); ‘nfra loro s’’a ‘ntennono bbuono!( fra loro si intendono bene!);
6 con valore
distributivo: l’eredità sarrà spartuta
‘nfra paricchie ‘e lloro(l'eredità
sarà spartita fra molti);
7 in funzione partitiva: chi ‘nfra nuje va cu isso?( chi tra noi andrà con lui?). Etimologicamente è dal lat. infra→’nfra
7 in funzione partitiva: chi ‘nfra nuje va cu isso?( chi tra noi andrà con lui?). Etimologicamente è dal lat. infra→’nfra
Nacche = s.vo f.le pl. di
nacca= anca, fianco; dell’etimo ò già détto;
pacche s.vo
f.le pl. di pacca= natica
e per traslato ognuna delle piú parti in cui si può dividere longitudinalmente
una mela o una pera; etimologicamente la voce è dal lat. med. pacca marcato sul long. pakka.
nievero s.vo m.le = nervo, nerbo e per estensione il membro maschile d’uomini o
animali; etimologicamente
la voce è dal lat.nervum con
dittongazione della e intesa breve(ĕ→ie),metatesi (rv→vr) ed anaptissi di una e eufonica
tra v ed erre secondo il percorso morfologico nervum→niervum→nievrum→nieverum→nievero.
vacca s.vo f.le = mucca, femmina adulta dei bovini che à già figliato, figuratamente
donna
molto grassa, sformata | prostituta, sgualdrina, ma qui usato, solo per
comodità di rima per assonanza, impropriamente in luogo di bue; l’etimo è dal
lat. vacca(m)
.
E qui penso proprio di poter far punto. Satis est.
Raffaele Bracale
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