OSTINATO & dintorni
Questa volta per contentar l’amico Umberto Z. ( peraltro dettosi molto soddisfatto di
quanto, su suo invito, ò spesso scritto) per contentar, dicevo, l’amico Umberto
che me ne à richiesto,autorizzandomi a fare il suo nome,ma non il cognome!, cercherò di illustrare la voce in epigrafe, i
suoi sinonimi e quelle corrispondenti
dell’ idioma napoletano; cominciamo
dunque con ostinato per proseguire con i suoi sinonimi prima di
considerare le voci corrispondenti del napoletano:
ostinato/a agg.vo m.le o f.le– 1.
a. Di persona, che persiste con caparbia tenacia in un atteggiamento, in
un proposito, nelle sue idee o opinioni, spesso nonostante l’evidenza
contraria, sia come caratteristica abituale sia come atteggiamento legato a
casi e situazioni particolari: un uomo o., una ragazza o.; chi
nell’acqua sta fin alla gola, Ben è o. se mercé non grida
(Ariosto); è o. come un mulo; essere o. nelle proprie
idee, nel non voler riconoscere le ragioni degli altri; è o. avversario
di ogni novità. Anche, tenace, costante, sia in senso positivo: un
ricercatore, un lavoratore, uno studioso o.; Te o. amator
de la tua Musa (Parini); sia in senso limitativo, con sign. analogo ad accanito,
impenitente e sim.: peccatore, bevitore, giocatore
ostinato. b. estens. di cosa in cui si persiste in modo
inflessibile, irremovibile: chiudersi in un o. silenzio, in un
mutismo o.; uno studio o.; un’o. difesa; opporre
un’o. resistenza. 2. fig. a. Di cosa molesta che dura
piú dell’ordinario, che sembra non voler cessare, o di male che resiste a ogni
rimedio: una pioggia, una nebbia o.; febbriciattole o.; tosse
o.; ò un o. dolore alla spalla destra. b. In musica
(anche come s. m.), di figura melodica che si ripete incessantemente, invariata
e alla stessa altezza, per tutta una composizione o una parte di essa; appare
di solito nel basso, che prende in tal caso il nome di basso o. (v.
basso2). Piú genericamente, per indicare la persistenza di un ritmo o di un
effetto strumentale (per es., il pizzicato o. nella Sinfonia n. 4 di Čajkovskij);
etimologicamente
dal lat. o(b)stinatu(m) part. pass. del verbo obstinare= ostinarsi.
Passiamo
ai sinonimi:
Accanito/a agg.vo m.le o
f.le1 furioso, violento: odio accanito
2 (fig.) ostinato, tenace: lavoratore, fumatore, giocatore accanito
etimo: p.p. di accanire = Far irritare come un cane: i consigli supplichevoli accaniscono i caparbi (Botta). 2. intr. pron. Imbestialirsi furiosamente, com’è proprio del cane verbo che è denominale di canis.
2 (fig.) ostinato, tenace: lavoratore, fumatore, giocatore accanito
etimo: p.p. di accanire = Far irritare come un cane: i consigli supplichevoli accaniscono i caparbi (Botta). 2. intr. pron. Imbestialirsi furiosamente, com’è proprio del cane verbo che è denominale di canis.
Caparbio/a agg.vo m.le o f.le che pensa e agisce seguendo le
proprie idee, senza tener conto dei consigli altrui, delle difficoltà ecc.;
ostinato, testardo; quanto all’etimo poco convince una proposta
derivazione(Treccani & altri) dal s.vo
capo che lascerebbe inevaso
mezzo lemma nella parte di arbio; né
appare credibile il D.E.I. che ipotizza fantasiosamente uno sconosciuto né
attestato *capardo forse accostato a testardo incrociato con superbio (per superbo?) per cui pare piú accettabile l’idea di chi
(Pianigiani) vi vide un incrocio tra capra
(animale cocciuto) e barbio (dal lat.
barbulus= barbuto) : nome
dato a piú specie di pesci d’acqua dolce del genere Barbus, famiglia ciprinidi, che presentano
generalmente un paio di barbigli simili ad una barbetta di capra, dalle abitudini tenaci se non aggressive che ne rendono complicata la pesca;
in Italia vivono due specie, il b.
comune (Barbus barbus, con la
sottospecie plebejus)
e il b. meridionale (Barbus meridionalis), che
costituiscono un cibo apprezzato. Il barbo/barbio è figura frequente negli
scudi araldici, posto in palo, curvato e di profilo.
Cocciuto/a agg.vo e s.vo m.le o f.le testardo, ostinato, pervicace, tignoso; quanto all’etimo è un
denominale di coccia= guscio di crostaceo, conchiglia e per estensione scorza, buccia e regionalmente
testa (dal lat. cochlea(m)
'lumaca, chiocciola', dal gr. kochlías)
pervicace agg.vo m.le ef.le ostinato, caparbio, accanito (per lo piú nel
male); protervo: carattere pervicace; opposizione pervicace
etimologicamente è dal lat. pervicace(m), deriv. di pervincere
'vincere completamente, spuntarla', comp. di per, con valore perfettivo
(si dice dell'aspetto del verbo che esprime la compiutezza o il compimento di
un'azione o di uno stato (p. e. fumò una sigaretta rispetto a fumava
una sigaretta, che considera l'azione nel suo svolgimento); , e vincere
'vincere';
protervo/a
agg.vo m.le o f.le 1 superbo e arrogante: un individuo,
un atteggiamento protervo
2 (ant.) ardito, altero: regalmente ne l'atto ancor proterva (DANTE Purg. XXX, 70, descrivendo Beatrice);
2 (ant.) ardito, altero: regalmente ne l'atto ancor proterva (DANTE Purg. XXX, 70, descrivendo Beatrice);
quanto all’etimo è dal lat. protervu(m) composto da pro (avanti) e tero (trito, batto,calpesto);
puntiglioso/agg.vo e s.vo m.le o f.le =che agisce per ostinazione
caparbia; che è incline a sostenere un'idea o a compiere un'azione piú per
orgoglio che per vera convinzione: una persona puntigliosa; avere un
carattere puntiglioso; un ragazzo puntiglioso nello studio; come s.
m. [f. -a] persona puntigliosa: fare il puntiglioso
quanto all’etimo è
aggettivo/sostantivo formato aggiungendo il suffisso di pertinenza osus/osa→oso/a
al sostantivo puntiglio che è dallo sp. puntillo, dim. di punto
(de honor) 'punto (d'onore)';
tenace agg.vo m.le e
f.le1 che tiene bene, che fa presa: là dove bolle la tenace pece
(DANTE Inf. XXXIII, 143)
2 detto di materiale metallico, che resiste alla deformazione | (estens.) detto di altro materiale, che non si rompe facilmente: filo tenace
3 (fig.) forte, resistente; saldo nei propositi; costante, puntiglioso,: memoria, volontà tenace; un ragazzo tenace; un affetto tenace, che dura molto a lungo
4 (lett.) parco, avaro (ma è poco usato in tale accezione)
L’etimo è dal lat. tenace(m), deriv. di teníre 'tenere'
2 detto di materiale metallico, che resiste alla deformazione | (estens.) detto di altro materiale, che non si rompe facilmente: filo tenace
3 (fig.) forte, resistente; saldo nei propositi; costante, puntiglioso,: memoria, volontà tenace; un ragazzo tenace; un affetto tenace, che dura molto a lungo
4 (lett.) parco, avaro (ma è poco usato in tale accezione)
L’etimo è dal lat. tenace(m), deriv. di teníre 'tenere'
tignoso/a agg.vo m.le o
f.le
1 affetto da tigna
2 (fig. region.) avaro
3 (fig. region.) testardo, ostinato.
1 affetto da tigna
2 (fig. region.) avaro
3 (fig. region.) testardo, ostinato.
L’etimo è dal lat. tine-osu(m), deriv. di tinea
'tigna'.
E veniamo finalmente al napoletano dove abbiamo numerosi
aggettivi che rendono quello dell’epigrafe ed i suoi sinonimi; li considero qui
di sèguito:
Capaglione/a agg.vo o s.vo m.le o f.le corrispondente all’incirca ai significati dell’italiano tignoso/a;
L’etimo è da un lat.regionale
*capalione(m) da capale (Du Cange pg.
861);
Capa tosta /capetuosto agg.vo o s.vo m.le o f.le corrispondente all’incirca ai significati dell’italiano testardo;
ambedue i termini sono etimologicamente formati o
dall’accostamento o addirittura dell’agglutinazione di capa/cape =testa, capo (dal lat. volg. capa(m) per il classico caput)
con l’aggettivo tosta/tuosto = duro, sodo (dal lat. tosta→tosta/tostu(m)→tuosto,
part. pass. di torríre 'disseccare, tostare, render duro';
Capoteco/a agg.vo m.le o
f.le che pensa e agisce seguendo le proprie idee, senza tener conto dei
consigli altrui, delle difficoltà ecc e
cioè corrisponde ad un dipresso all’italiano caparbio; quanto all’etimo è voce formata partendo da capa→capo =testa, capo (dal lat. volg. capa(m) per il classico caput) piú il suffisso durativo òteco/a←òticu(m)/òtica(m) (cfr.
(id)òticus;
cervecone/a agg.vo m.le
o f.le = vale tal quale il precedente capaglione di cui è una sorta di
accrescitivo (cfr. il suff. one/a); in origine però non fu aggettivo, ma un sostantivo indicante
la nuca,la cervice, la collottola del
capo e fu poi usato quale aggettivo indicante chi è ostinato o testardo; tale
passaggio è semanticamente spiegato con il fatto che nell’inteso
comune la cervice (da cui etimologicamente la voce trae) è spesso détta dura,
quantunque morfologicamente la collottola o nuca, posta alla base del cranio
sia piuttosto molle e non dura; la voce come détto è da un tardo lat. *cervicone(m) modellato su cervix= cervice e risolve
comodamente in un unico termine il giro
di parole (di dura cervice)
dell’italiano;
Criccuso/a agg.vo m.le o
f.le corrispondente all’incirca ai
significati dell’italiano puntiglioso e
cioè: che/chi è incline a sostenere un'idea o a compiere un'azione piú per
orgoglio che per vera convinzione con
l’aggiunta peggiorativa d’essere dispettoso e/o capriccioso; quanto all’etimo è aggettivo formato
aggiungendo il suffisso di pertinenza osus/osa→oso/a o al sostantivo cricchio (voce
onomatopeica che vale ticchio, ghiribizzo) o piú probabilmente al sostantivo cricco
(dal fr. cric martinetto, quello con cui si solleva un autoveicolo
quando si deve sostituire una ruota); semanticamente, oltre che
morfologicamente trovo piú vicino a criccuso la voce cricco piuttosto che la voce cricchio= ghiribizzo; infatti criccuso
mi pare che ripeta,
semanticamente, la forza
puntigliosa(quasi dispettosa) esercitata con il cricco per raggiungere lo scopo del sollevamento
d’un autoveicolo, laddove non mi par di poter
trovare attinenze semantiche tra un’idea improvvisa e stravagante quale
quella del ghiribizzo e l’applicazione
costante e finalizzata del criccuso/puntiglioso; ugualmente morfologicamente trovo molto piú vicino a criccuso la voce cricco piuttosto che la voce cricchio(= ghiribizzo) voce che probabilmente
avrebbe potuto evolversi in cricchiuso (mai però attestato) e non in
criccuso;
‘mbizzuso/a agg.vo m.le
o f.le di per sé in primis capriccioso/a, lunatico/a; scontroso/a e quindi per
estensione testardo, ostinato, forte, resistente, costante, puntiglioso, saldo nei proprî propositi stravaganti e/o
bizzarri; quanto all’etimo è aggettivo
formato premettendo un in→’m rafforzativo ed aggiungendo il suffisso di pertinenza osus/osa→uso/osa
al sostantivo bizza (
1.breve stizza, capriccio stizzoso, ma di breve durata, senza serio motivo, anche fig.: il bimbo fa le bizze; il motore fa le bizze.
2.(per ampliamento semantico)impuntatura, ira, collera; etimologicamente molti dizionari registrano la voce come d’etimo incerto, il D.E.I. e precisamente Carlo Battisti o Giovanni Alessio che si presero la responsabilità delle voci sotto la lettera B ipotizzarono (ma a mio avviso poco convincentemente) una derivazione dal lat. vitiosus per il tramite dell’aggettivo bizz(i)oso; semanticamente non trovo molta corrispondenza tra il vizio(che in latino vale errore, mancanza) ed il capriccio o l’impuntatura che son proprî della bizza; migliore m’appare la proposta di Ottorino Pianigiani che legge bizza come forma varia ed intensiva di izza battezzando ambedue come provenienti dall’antico sassone hittja→hizza = ardore): trovo l’ardore semanticamente molto piú vicino del vizio all’impuntatura,alla ira o anche solo ad una breve stizza!);
1.breve stizza, capriccio stizzoso, ma di breve durata, senza serio motivo, anche fig.: il bimbo fa le bizze; il motore fa le bizze.
2.(per ampliamento semantico)impuntatura, ira, collera; etimologicamente molti dizionari registrano la voce come d’etimo incerto, il D.E.I. e precisamente Carlo Battisti o Giovanni Alessio che si presero la responsabilità delle voci sotto la lettera B ipotizzarono (ma a mio avviso poco convincentemente) una derivazione dal lat. vitiosus per il tramite dell’aggettivo bizz(i)oso; semanticamente non trovo molta corrispondenza tra il vizio(che in latino vale errore, mancanza) ed il capriccio o l’impuntatura che son proprî della bizza; migliore m’appare la proposta di Ottorino Pianigiani che legge bizza come forma varia ed intensiva di izza battezzando ambedue come provenienti dall’antico sassone hittja→hizza = ardore): trovo l’ardore semanticamente molto piú vicino del vizio all’impuntatura,alla ira o anche solo ad una breve stizza!);
ncucciuso – ncucciosa agg.vo m.le o f.le ripete all’incirca le valenze del
precedente cervecone/a nei significati di persona dalla testa dura ,persistentemente caparbia,
testarda, puntigliosa, testona, cocciuta; quanto a l’etimo è termine formato da
una n eufonica (per la quale non necessita
alcun segno diacritico di aferesi che non c’è stata, (segno che necessiterebbe
nel caso che la n fosse aferesi di un (i)n→’n illativo), n eufonica premessa alle voci cucciuso cucciosa nate addizionando la voce cuccia per coccia ← coccia (guscio di
crostaceo, conchiglia e per estensione
scorza, buccia e regionalmente testa (dal lat. cochlea(m) 'lumaca,
chiocciola', dal gr. kochlías)
con il suffisso lat. di pertinenza osus/osa→uso/osa
(suffisso
di aggettivi derivati dal latino o tratti da nomi, che indica presenza,
caratteristica, qualità ecc. (, curaggiuso/curaggiosa,perecchiuso/perucchiosa= pidocchioso/a,
schifuso/schifosa).
;
ncucciuto/a agg.vo m.le
o f.le è il medesimo aggettivo precedente con una morfologia un po’ diversa; in
questo a margine il suffisso non è quello lat. di pertinenza osus/osa→uso/osa,
ma quello verbale uto/a del part.
passato, usato spesso per la formazione di aggettivi; la cosa da notare è
che se l’agg.vo a margine fosse
etimologicamente un reale p.p. dell’infinito ncuccià =ostinarsi,
colpire, prendere etc., avrebbe dovuto essere ncucciato e non ncucciuto
che potrebbe essere p.p. d’un inesistente ncuccí ;
ncanuso/osa
agg.vo m.le o f.le vale in primis:
stizzoso, sdegnoso e per ampiamento semantico
testardo, fermo nelle proprie idee, da non lasciar spazio alle altrui
idee o azioni, quasi come un cane da guardia. Etimologicamente è voce costruita
con una n eufonica ( che non
è residuo di un in→’n illativo e dunque non necessita(come ò già
détto antea) del segno diacritico d’aferesi la cui apposizione, (come pure m’è
occorso di trovare in taluni importanti (sic!) scrittori, sedicenti esperti dell’esatta
grafia dell’idioma partenopeo) sarebbe inutile e pleonastica, n eufonica
anteposta al sostantivo cane (lat. cane(m)) seguito dal suffisso di pertinenza
osus/osa→uso/osa;
‘ncanato/a
agg.vo m.le o f.le voce analoga alla
precedente nel significato di ostinato,
cocciuto, testardo, caparbio, pertinace,
puntiglioso, che agisce alla maniera d’un cane da guardia; etimologicamente la
voce a margine pure essendo costruita, come la precedente sul s.vo cane (lat. cane(m), à una morfologia affatto
diversa: in questa a margine infatti la ‘n d’avvio non è una consonante eufonica, ma è un residuo di un in→’n illativo e dunque necessita
del segno diacritico d’aferesi; il suffisso adottato poi è quello (ato/a)
delle desinenze verbali (part. passato) tanto da far sospettare una diretta
derivazione dall’infinito riflessivo ‘ncanarse (comportarsi come un
cane);
‘ncapunito/a
agg.vo m.le o f.le intestardito,
testardo, caparbio, come chi abbia una testa tanto grossa da farlo definire testone,testardo, pervicace, tignoso, persona ostinata ma poco intelligente; etimologicamente la voce a margine
pure essendo costruita, sul s.vo capone = grosso capo cui è anteposta un in→’n
illativo che dunque necessita del segno diacritico, adotta
come suffisso quello (ito/a) delle desinenze verbali di
terza coniugazione (part. passato) tanto da far sospettare una diretta
derivazione dall’infinito riflessivo ‘ncapunirse (intestardirsi,
incaparbirsi, fissarsi, impuntarsi);
ncrapicciuso/osa
agg.vo m.le o f.le vale in primis: estroso,
bizzarro, originale, stravagante, insolito, strambo; civettuolo, e per
ampiamento semantico testardo, fermo
nelle proprie pretese balzane, bizzose,eccentriche, strampalate, assurde; ; etimologicamente la voce a margine è
costruita sul s.vo crapiccio = voglia improvvisa e
stravagante, desiderio bizzarro, ghiribizzo, sostantivo per il cui etimo si
sospetta (D.E.I.- GARZANTI) una derivazione con lettura metatetica di cap(o)riccio = capo con i capelli rizzati
per la paura, quindi manifestazione stravagante; trovo però migliore
un’adattamento del fr. caprice sempre
con lettura metatetica; al s.vo crapiccio è
anteposta una n eufonica che dunquenon necessita del segno
diacritico, e gli fa seguito il suffisso
di pertinenza osus/osa→uso/osa;
‘ncurnato/a agg.vo m.le o f.le ad litteram varrebbe incornato/a
cioè colpito/a da una cornata, ma è inteso nei significati traslati di
testardo, sfrontato, insolente, cocciuto, che fa di testa propria incurante di
moniti o suggerimenti,accezioni tutte
semanticamente spiegate con il
fatto che esistono delle bestie (ovini – bovini) dal comportamento cocciuto ed il cui capo è spesso provvisto di corna s.vo su cui è modellato l’aggettivo a
margine secondo il seguente iter: al s.vo cu(o)rn(a)←corna è anteposta un in→’n illativo che in quanto tale necessita del segno diacritico, ed al s.vo fa seguito il suffisso ato/a)
delle desinenze verbali di 1° cng. (part. passato) tanto da far sospettare una
diretta derivazione dall’infinito riflessivo ‘ncurnarse (comportarsi
cocciutamente come una bestia provvista di corna);
di pertinenza osus/osa→uso/osa;
‘nzallannòmmene agg.vo e s.vo
m.le e solo m.le: non è attestato
come f.le= in primis zuccone, sciocco, stolto,
scimunito; (fam.) tonto; poi per estensione semantica protervo, spocchioso,
sprezzante, tracotante; arrogante, sfacciato, sfrontato, insolente e da ultimo
testardo, ostinato, disorientatore,chi frastorna, turba, confonde, frastorna, sconcerta, scombussola
con atti o discorsi ostinati, tenaci, perseveranti, caparbi, testardi,
puntigliosi; è voce deseutissima che
rappresenta quasi la voce attiva rispetto alla voce passiva ‘nzallanuto/a
che connota colui o colei che subiscono
l’azione del disorientamento,
frastornamento, turbamento, confusione,
, sconcertamento, scombussolamento con atti o parole ad opera di un ‘nzallannòmmene (ad litteram:
frastorna-uomini).
Etimologicamente sia ‘nzallannòmmene che ‘nzallanuto/a sono deverbali di ‘nzallaní di cui ‘nzallanuto/a è il participio passato, mentre ‘nzallannòmmene è formato
agglutinando la radice ‘nzallan di ‘nzallaní (con raddoppiamento espressivo della nasale
dentale n: ‘nzallaní →‘nzallanní) con il so.vo òmmene per uòmmene(dal
lat. (h)omine(s) con radd. espressivo
della nasale bilabiale m) pl. di ommo =
uomo (dal lat. (h)omo con radd. espressivo
della nasale bilabiale m); occorre solo chiarire ora significato ed etimo del verbo ‘nzallaní;
dirò perciò che accanto alla voce ‘nzallaní, nel napoletano è in uso
anche ‘nzallanirsi e questa seconda voce rappresenta la forma
riflessiva della prima, e son verbi
che entrarono ed ancóra entrano nel comune parlato partenopeo
soprattutto nella forma di participio passato aggettivato ‘nzallanuto/a e spessissimo in unione con i sostantivi viecchio e vecchia: viecchio ‘nzallanuto,
vecchia ‘nzallanuta nei significati di confondere/ confondersi, stordire/stordirsi, intontire/intontirsi e dunque confuso/a,
stordito/a, intontito/a, che spesso icasticamente riproducono l’atteggiamento ed il
comportamento di persone avanti negli anni, persone che si mostrano, in quasi
tutte le occasioni distratti ed
addirittura talora rimbambiti. I verbi in esame in senso
transitivo, come si evince, si riferiscono alle malevole azioni di coloro che
con il loro fastidioso agire intralciano l’altrui vivere inducendo gli altri in
confusione, in istordimento, in
intontimento e/o distrazione tali da indurre in errore (cfr. Statte zitto ca me staje ‘nzallanenno!= Taci
ché mi stai frastornando!), mentre usati in senso riflessivo raccontano la
confusione, lo stordimento l’intontimento
in cui incorrono spontaneamente soprattutto le persone anziane che usano mostrarsi anche coscientemente e
per cattiva volontà, distratti, disattenti, frastornati quasi gloriandosi di
questo loro status che ritengono ineludibile e di pertinenza
della loro età avanzata.
Ma spesso si tratta
di un atteggiamento di comodo!
Ciò detto veniamo a trattare della questione etimologica dei
verbi in esame.
La faccenda non è delle piú tranquille; una prima scuola di
pensiero (cui peraltro aderisce accanto ad Antonio Altamura, anche l’amico prof. Carlo Iandolo) mette in relazione i verbi ‘nzallaní
– ‘nzallanirse con il verbo latino insanire
(impazzire – perdere i lumi) che avrebbe generato (attraverso l’inserimento
di una non spiegata o chiarita sillaba lu)
*insalunire donde per metatesi sillabica, aferesi
iniziale, cambio ‘ns→’nz e
raddoppiamento espressivo della l→ll ‘nzallanire. Ipotesi interessante ma,
tutto sommato, morfologicamente molto articolata e tortuosa. Trovo forse piú perseguibile l’etimo
proposto dall’altro amico l’ avv.to
Renato de Falco che alla medesima stregua
del fu (parce sepulto!) prof. Francesco D’ Ascoli pensano di collegare i verbi
in epigrafe con il greco selenizomai=
esser lunatico e dunque stordito, confuso ed inebetito , oppure al
verbo zalaino di significato simile al precedente;l’amico de Falco fa
anche di piú e collega al greco zalaino anche l’aggettivo sostantivato partenopeo zallo
che è lo
sciocco,l’inesperto, il credulone in
ispecie se anche innamorato di una donna di piccola virtú.
Per ciò che riguarda i verbi esaminati mi pare di potere
accettare l’ipotesi di de Falco e di D’Ascoli; ma per quanto riguarda la voce zallo sono di diverso parere e cioè che
il vocabolo zallo, sia o possa essere un adattamento corruttivo di tallo (che è dal lat. thallus,
forgiato sul greco tallòs); di per sé
il tallo è il germoglio, la talea, la giovane foglia tenera , il virgulto che
semanticamente ben potrebbe, per traslato, indicare con la sua tenera
inconsistenza, la accondiscendenza credula dell’inesperto zallo; normale infatti il passaggio del gruppo th a z (cfr. thiu(m)→zio);
tuttavia per la voce zallo
mi sento di poter formulare
anche un’altra ipotesi, ipotesi che
espongo qui di sèguito.
Atteso che con il
termine zallo (aggettivo
sostantivato) nella parlata napoletana
si intese ed ancóra si intende il babbeo,
l’allocco, lo stupido credulone, occorre rammentare che le medesime
accezioni le à la voce zanno che
ripete in napoletano il termine italiano zanni
equivalente di Giovanni famoso personaggio della commedia
cinquecentesca bergamasca dove lo zanni/Giovanni
era il servo sciocco e credulone; di
talché non è azzardato ipotizzare una rilettura popolare di zanno diventato zallo con sostituzione
(magari a dispetto di qualche norma che presiede la linguistica!) delle nasali
dentali nn con le piú comode consonanti laterali alveolari ll.
Ultimissima ipotesi è poi che zallo
(=babbeo, allocco, stupido credulone) usato
spessissimo in riferimento (cfr. R.
Viviani) ad un graduato tutore della legge, ad uno sbirro intesi sempre sciocchi, stupidi e creduloni (ibidem: ‘o zallo s’ammocca=
lo sciocco sbirro prende per buona… una fandonia ), possa essere
corruzione di comodo di un originario zaffio
o zaffo che con derivazione
dall’iberico zafio vale uomo
violento, sbirro, ma non è da escludere un collegamento ad un lat. med. zaffo= servitore all’ordine d’un magistrato
(sbirro).
Da zaffo a zallo il
passo non è lungo, come ugualmente non lungo potrebbe esserlo
(con buona pace dei linguisti) quello da zanno a zallo!; epperò
penso che la prima ipotesi quella cioè
che ritiene zallo adattamento corruttivo di tallo
(che è dal lat. thallus, forgiato sul
greco tallòs) sia la migliore e
quella piú perseguibile;
proffediosa agg.vo e s.vo
f.le e solo f.le: non è attestato come
m.le= in primis zuccona, sciocca, stolta, scimunita; tonta; poi per
estensione semantica proterva, perfida,malvagia, spocchiosa, sprezzante, tracotante;
arrogante, sfacciata, sfrontata, insolente e da ultimo testarda,
ostinata,subdola, tenace, perseverante in atteggiamenti (tipici delle donne)
malvagi e spesso crudeli; è voce purtroppo
deseutissima etimologicamente
formata sul s.vo perfidia (dal lat. perfidia(m),
deriv. di perfidus) letto
metateticamente prefidia→preffidia→proffidia
con raddoppiamento espressivo della consonante fricativa labiodentale sorda e
cambio della e (intesa lunga) in o e aggiunta del suffisso di pertinenza osa←osus/osa
scurzone/a - scurzato/a –
scurzuso/osa tre agg.vi m.li o f.li morfologicamente poco diversi
(cambiano i suffissi)che valgono tutti in primis spilorcio/a, avaro/a e poi per ampiamento
semantico tutti ostinato/a, fermo/a nei proprî propositi come chi sia di dura
scorza (corteccia) e non si lasci intaccare da nulla; etimologicamente tutti
sono costruiti sul s.vo scorza (dal lat.
scortea(m) 'veste di pelle', f. sost. dell'agg. scorteus, deriv.
di scortum 'pelle') 1-rivestimento del fusto e delle radici degli
alberi; 2 – ( estens.) pelle di alcuni animali, spec. di pesci e
serpenti 3 ed è il caso che ci occupa: pelle dell'uomo (spec. in alcune loc.
dell'uso fam.): avere la scorza dura, (fig.) aspetto esteriore,
apparenza; dicevo che tutti I tre aggettivi sono costruiti sul s.vo scorza; al primo è aggiunto il suffisso
accrescitivo one/ona ,al terzo quello
lat. di pertinenza osus/osa→uso/osa, mentre al
secondoquello verbale ato/a del
part. Passato dei verbi di 1° cngz, usato spesso per la formazione di
aggettivi, tanto da poter far sospettare che scurzato/a sia il p.p. dell’infinito
scurzà
=privare della buccia o scorza da
intendersi però in senso antifrastico
come chi non si lascia intaccare la propria buccia;
e veniamo all’ultimo
termine che rende in napoletano quello italiano
dell’epigrafe:
vinciuto/a agg.vo m.le o
f.le in primis prepotente, viziato,petulante, fastidioso,, arrogante, ostinato
nelle pretese,diseducato,abituato ad averle tutte vinte: è ‘nu criaturo/’na criatura vinciuto/a (è un bambino/una bambina
viziato/a); etimologicamente ci troviamo in presenza di una forma verbale
(part. pass. aggettivato ) dell’infinito véncere (dal lat. vincere) vincere,sconfiggere, superare,
sbaragliare, schiacciare, annientare; conquistare, espugnare etc.,
ma ci troviamo ad aver che fare, a mio avviso, con un uso
improprio di un participio passato che solitamente viene usato per indicare
un’azione non solo passata, ma pure subíta: in italiano vinto (part. passato di vincere) indica il sopraffatto, lo
sconfitto, il perdente, colui che à perso, mentre è il part. presente vincente ad indicare colui che stia
vincendo, sopraffacendo, sconfiggendo qualcuno; alla medesima stregua in
napoletano vinciuto (part. passato di vencere) dovrebbe
indicare il sopraffatto, lo sconfitto, il perdente, colui che à perso, e
non (come invece avviene)colui che stia
vincendo, sopraffacendo, sconfiggendo qualcuno, anzi colui che le à sempre
vinte tutte!, ma è d’uso ormai sia nel parlato che nello scritto napoletano
considerare vinciuto sinonimo di vittorioso, vincente,
forse sottintendendo un che à→ c’à in
posizione protetica a vinciuto: ad
es.: è ‘nu criaturo vinciuto cioè è ‘nu criaturo(c’ à) vinciuto; ma non saranno le mie parole a
rimettere ordine in codesto groviglio semantico.
Satis est.
Raffaele Bracale
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