NUN
VULÉ FÀ CARTE
Ancóra volta prendo
spunto da una richiesta fattami dalla
cara amico G.R.,della quale per
problemi di riservatezza posso solo indicare le iniziali di nome e cognome,
amica facente parte della Ass.ne Ex
Alunni del Liceo classico G.Garibaldi di
Napoli, che è una dei miei abituali ventiquattro lettori e che spesso si sofferma a leggere le mie
paginette sparse qua e là; dicevo che prendo spunto da una sua richiesta per illustrare la
portata dell’ antica, ma ancóra usata
espressione in epigrafe.Cominciamo con il dire che l’espressione è
mutuata ovviamente dal giuoco delle carte e che l’espressione è da tradursi con
Non voler distribuire le carte e non
con un inconferente Non voler
fabbricare le carte come – inorridendo – mi occorse di cogliere
sulle labbra di uno spocchioso, ma sprovveduto sedicente cultore esperto a
sentir lui di proverbi e/o locuzioni partenopee. In effetti
l’espressione fare le carte è usata anche fuor
dell’àmbito napoletano e vale distribuire
le carte o talora, se riferito ad
un/una cartomante, sta per leggere le carte, ma in nessun caso fabbricare le carte Tanto premesso partendo come
détto dall’esatta traduzione Non voler
distribuire le carte è facile cogliere che con l’espressione ci si
riferisce ad un soggetto che prepotente ed arrogante non intende mai assumersi
il còmpito di cartaro,sia cioè restio a farsi carico di svolgere il còmpito che invece in ògni giuoco di carte deve
essere svolto per avvicendamento da
tutti i giocatori,; il soggetto di cui dico invece pretenderebbe di esser
sempre servito di carte, piuttosto che farle, per poter aprire il giuoco a suo piacimento e
non esser costretto (da cartaro) a
chiuderlo accodandosi al giuoco altrui. In tal senso colui che non vuol far
carte è il soggetto che in ogni occasione non intende addivenire ad alcuna
proposta e si dimostra riottoso ad
accodarsi alle altrui idee o iniziative,recalcitrante persino a discuterne; è
il soggetto che presuntuoso e supponente si pone davanti la realtà contigente
con la boria di avere lui le soluzioni adatte ad ògni tipo di problema
mostrandosi indocile all’accoglimento di proposte che abbiano fatto altre
persone e senza distinguere se si tratti di cattive o di buone, di perseguibili
o campate in aria; vengono da altri? Ed allora per il saccente che non vuol far
carte, non sono accettabili e non mette conto neppure discuterne!
In
senso esteso infine l’espressione in
epigrafe si attaglia a qualsiasi persona sia restia ad addivenire ad alcunché;
per cui ad es. nun vo’ fà carte una
ragazza che rifiuti le avances di un corteggiatore, nun vo’ fà carte un genitore
che rifiuti di soddisfare le richieste pecuniare d’un figliolo, nun vo’ fà carte una mamma che opponga
un rifiuto al desiderio d’ una figliola che vorrebbe un abito nuovo, nun vo’ fà carte una moglie che respinga
l’istanza di preparare un’elaborata pasta al forno o che opponga alle richieste del coniuge, un
improvviso mal di capo e cosí via. E con questo penso
d’avere esaurito l’argomento e d’avere
contentato l’amica G.R. ed
interessato qualcuno dei miei ventiquattro lettori per cui faccio punto fermo
con il consueto satis est.
Raffaele Bracale
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