VARIE N°137
1.CANTA CA TE FAJE CANONICO!
Letteralmente: Canta ché diventerai canonico Id est: Urla piú forte ché avrai ragione Il proverbio intende sottolineare l'abitudine di tanti che in una discussione, non avendo serie argomentazioni da apportare alle proprie tesi, alzano il tono della voce ritenendo cosí di prevalere o convincere l'antagonista.Il proverbio rammenta i canonici della Cattedrale che son soliti cantare l'Ufficio divino con tonalità spesso elevate, per farsi udire da tutti i fedeli. |
2.ARMAMMOCE E GGHIATE.
Letteralmente: armiamoci, ma andate! Id est: Tirarsi indietro davanti al pericolo; come son soliti fari troppi comandanti, solerti nel dare ordini, ma mai disposti a muovere i passi verso il luogo della lotta; cosí soleva comportarsi il generale francese Manhès che inviato dal re Gioacchino Murat in Abruzzo a combattere i briganti inviò colà la truppa e restò a Napoli a bivaccare e non è dato sapere se raggiunse mai i suoi soldati. |
3.A - CANE E CCANE NUN SE MOZZECANO
B- CUOVERE E CUOVERE NUN SE CECANO LL'UOCCHIE.
Letteralmente: A- Cani e cani non si azzannano B- Corvi e corvi non si accecano Ambedue i proverbi sottolineano lo spirito di corpo che esiste tra le bestie, per traslato i proverbi li si usa riferire anche agli uomini, ma intendo sottolineare che persone di cattivo stampo non son solite farsi guerra, ma - al contrario - usano far causa comune in danno dei terzi. |
4.CCA 'E PPEZZE E CCA 'O SAPONE.
Letteralmente: Qui gli stracci e qua il sapone. Espressione che compendia l'avviso che non si fa credito e che al contrario a prestazione segue o deve seguire immediata controprestazione. Era usata temporibus illis a Napoli dai rigattieri che davano in cambio di abiti smessi o altre cianfrusaglie, dell’artigianale sapone per bucato (sapone ‘e piazza); da tale consuetudine quei rigattieri furon détti appunto sapunare, anche quando smisero di conferire sapone e si adattarono a dare poco, vile danaro in cambio degli abiti smessi,cianfrusaglie e fondi di solai o cantine.; il sapone ‘e piazza aveva tale nome perché in origine non fu venduto in botteghe, ma esclusivamente nelle piazze dai rigattieri e/o venditori girovaghi che ne erano anche produttori artigianali. |
5.TENÉ 'A SÀRACA DINT' Â SACCA
Letteralmente: tenere la salacca in tasca. Id est: mostrarsi impaziente e frettoloso alla stregua di chi abbia in tasca una maleodorante salacca (aringa)e sia impaziente di raggiungere un luogo dove possa liberarsi della scomoda compagna. |
6.T'AGGI''A FÀ N'ASTECO ARETO Ê RINE...
Letteralmente Ti devo fare un solaio nella schiena.Id est: Devo percuoterti violentemente dietro le spalle. Per comprendere appieno la portata di questa grave minaccia contenuta nella locuzione in epigrafe, occorre sapere che per asteco a Napoli(con derivazione dal greco ostrako(n)→ ost(r)ako(n)→ostako→asteco) si intende il solaio di copertura delle case, solaio che anticamente era formato con cocci di anfore o piú spesso con abbondante lapillo vulcanico ammassati all'uopo e poi violentemente percossi con appositi martelli al fine di grandemente compattarli e renderli impermeabili alle infiltrazioni di acqua piovana, per cui minacciare di compattare a mo’ di lapillo la/le schiena/spalle di qualcuno equivale a promettergli una solenne bastonatura. |
7.OGNE ANNO DDIO 'O CUMANNA
Letteralmente: una volta all'anno lo comanda Iddio. La locuzione partenopea traduce quasi quella latina: semel in anno licet insanire, anche se i napoletani con il loro proverbio chiamano in causa Dio ritenuto corresponsabile delle pazzie umane come se Lui stesso le avesse permesse se non addirittura ordinante. |
8.PE GULÍO 'E LARDO, METTERE 'E DDETE 'NCULO Ô PUORCO.
Letteralmente: per desiderio di lardo, porre le mani nell'ano del porco. Id est: per appagare un desiderio esser pronti a qualsiasi cosa, anche ad azioni riprovevoli e/o inconferenti che comunque non assicurano il raggiungimento dello scopo prefisso. La parola gulío= voglia, desiderio pressante non deriva dall'italiano gola essendo il gulío non espressamente lo smodato desiderio di cibo o bevande; piú esattamente la parola gulío è da riallacciarsi al greco boulomai=volere intensamente con consueta trasformazione metaplasmatica della B greca nella napoletana G come avviene per es. anche con il latino dove habeo è divenuto in napoletano aggio o come rabies divenuta (ar)raggia. |
9.SCIORTA E MMOLE SPONTANO 'NA VOTA SOLA.
Letteralmente:la buona fortuna ed i molari compaiono una sola volta. Id est: bisogna saper cogliere l'attimo fuggente e non lasciarsi sfuggire l'occasione propizia che - come i molari - spunta una sola volta e non si ripropone. |
10.LL'ARTE 'E TATA È MMEZA 'MPARATA.
Letteralmente: l'arte/mestiere del padre è appresa per metà. Con questa locuzione a Napoli si suole rammentare che spesso i figli che seguano le piste del genitore son favoriti rispetto a coloro che ad un’arte, ad un mestiere dovessero accostarsi senza averne appreso i rudimenti dai genitori. Partendo da quanto affermato in epigrafe spesso però capita che taluni che abbiano spianata la strada dell’apprendimento, al redde rationem si mostrano pessimi allievi, appalesando con i loro comportamenti di non aver appreso un bel nulla dal loro genitore ed in tal caso ne deriva che la locuzione nei riguardi di tali pessimi allievi debba essere intesa in senso ironico e perciò antifrastico. |
11.OGNE GGHIUORNO È TALUORNO.
Letteralmente: ogni giorno è una fastidiosa ripetizione; id est: insistere reiteramente su di uno stesso argomento, non può che procurar fastidio; con la frase in epigrafe a Napoli si cerca di dissuadere dal continuare chi perseveri nel parlare sempre dello stesso argomento, finendo per tediare oltremodo l'interlocutore. Taluorno non deriva come improvvidamente e fantasiosamente pensò qualcuno (D’Ascoli) da un latino: tal-urnus: ripetizione; in realtà il termine taluorno è da collegarsi all’antica voce latorno voce che nella lingua ufficiale è ormai desueta tanto da essere addirittura inopinatamente (manca persino nel Pianegiani!) esclusa nei correnti ed accreditati vocabolarî della lingua italiana; tale latorno (etimologicamente deverbale di ritornare con dissimilazione r→l) indicò un lamento reiterato, una ripetizione noiosa, un canto o una persona fastidiosa e con una tipica dittongazione d’adattamento la voce latorno divenne latuorno in area calabro-lucana e poi anche pugliese, dove indicò il tipico lamento funebre delle prefiche (dal lat. praefica(m), f. dell'agg. praeficus 'messo a capo', deriv. di praeficere 'mettere a capo', perché questa donna era preposta al gruppo delle ancelle che piangevano; in effetti la prefica fu la donna che, presso gli antichi romani, veniva pagata per piangere e lamentarsi durante i funerali; l'usanza ancóra sopravvive in alcune aree mediterranee europee; scherzosamente la voce prefica è usata poi anche per indicare una persona che si lamenti per nulla; ,il lamento funebre, nelle aree soprindicate è detto anche riépeto/liépeto che semanticamente richiamano il latuorno/taluorno con il suo reiterarsi.Riépeto e liépeto sono un’unica voce con due grafie leggermente diverse cioè con la tipica alternanza/dissimilazione partenopea delle liquide r/l etimologicamente risultano essere deverbali di repetà, che da un lat. medioevale repetare indicò appunto il pianger lamentoso durante i funerali e/o le veglie funebri. Alla luce di tutto quanto detto mi pare che, relativamente all’etimo di taluorno si possa finalmente affermare che in napoletano la voce taluorno indicò dapprima il tipico lamento funebre delle prefiche e poi estensivamente persona noiosa e/o ogni fastidio reiterato, e – quanto all’etimo- messo da parte il *tal – urnus del D’Ascoli, si possa con ogni probabilità intendere come lettura metatetica di latuorno→taluorno |
12.ATTACCARSE Ê FELÍNIE.
Letteralmente: appigliarsi alle ragnatele. Icastica locuzione usata a Napoli per identificare l'azione di chi in una discussione - non avendo solidi argomenti su cui poggiare il proprio ragionamento e perciò e le proprie pretese - si attacchi a pretesti o ragionamenti poco solidi, se non inconsistenti, simili -appunto - a delle evanescenti ragnatele.
Felinie = s.vo f.le pl. del sg. felinia = fuliggine, ragnatela dal
lat. med. felinea per il class.fuligo. _ 13.“TENIMMO’E
MMANE A PPOSTO!” DICETTE ‘A COZZECA ‘NFACCI’ Ô PURPO. Letteralmente: Disse la cozza al polpo: Teniamo le mani al loro posto! Id est: Non prendiamoci liberalità
e non profittiamo della situazione. Piú in generale: Non si può
accedere alle “grazie” o ai “beni” degli altri, senza una precisa
autorizzazione.
L’espressione in esame ovviamente non va presa in senso letterale, ma
traslato; infatti la cozza ed il polpo
sono usati in modo figurato in quanto la prima è uno dei modi piú icastici di
indicare la vulva della donna, mentre il polpo dai molti tentacoli
(nell’espressione mani ) raffigura l’uomo che tenta di palpeggiarla;
Tenimmo = teniamo,
manteniamo letteralmente, di per sé anche abbiamo:
in napoletano il verbo tené/tènere di cui tenimmo è voce qui dell’imperativo ( 1ª pers. pl.)
altrove anche voce( 1ª pers. pl.) dell’ind. pres. , può avere varie accezioni: avere,tenere,
mantenere, possedere, ed anche condurre in fitto o anche altro significato
estensivo ; etimologicamente il verbo tené/tènere che è l’italiano tenére è
dal basso latino teníre =trarre a sé, corradicale di tendere = tendere;
cozzeca,= cozza, mitilo bivalve
che aperto, come altrove la vongola ricorda quasi la forma dell’organo
femminile; in piú la cozza, per essere di colore nero e
provvista di bisso, ben si presta a
rappresentare il fronzuto organo femminile di una donna giovane; l’etimo
di cozzeca è, quasi certamente, da una forma
ampliata di un lat. volg. *cocja→*cocjala→cozzala→cozzaca→cozzeca;
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14.ROMPERE 'O NCIARMO.
Letteralmente: spezzare l'incantesimo. A Napoli la frase è usata davanti a situazioni che per potersi mutare hanno bisogno di decisione e pronta azione in quanto dette situazioni si ritengono quasi permeate di magia che con i normali mezzi è impossibile vincere per cui bisogna agire quasi armata manu per venire a capo della faccenda. La voce nciarmo che come il verbo nciarmà di cui pare esser deverbale non è etimologicamente dal latino in (illativo)+ carmen, ma dal francese n (eufonica,che non esige segni diacritici) + charme = magía, incantesimo a sua volta come il verbo charmer derivati dal basso latino carminare (in latino carmen è la formula magica).
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martedì 16 giugno 2020
VARIE N°137
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