sabato 14 agosto 2021

AMMUINA (o AMMOINA) & dintorni

 

AMMUINA (o  AMMOINA) & dintorni

Questa volta su suggerimento/richiesta dell’amico E. C. amico di cui al solito (per questione di riservatezza) mi limito ad indicare le iniziali di nome e cognome, (amico che è rimasto colpito da una notizia che circola sul web e di cui parlerò diffusamente infra) prendo in esame la voce napoletana  in epigrafe e comincio súbito con il dire che come tanti altri termini (camorra, guaglione, scugnizzo e derivati), quello in epigrafe è parola che, partita dalla parlata  napoletana è pervenuta nell’italiano  sia come sostantivo ammoina o ammuina o addirittura ammoino/ammuino, che come voce verbale ammuinare/ammoinare.

Preciso  che in napoletano la voce in epigrafe  e le corrispondenti voci verbali furono – nel lessico popolare – di quasi esclusiva competenza degli adolescenti ed indicarano  essenzialmente il chiasso, la confusione, la rumorosa agitazione prodotta da costoro  specialmente durante il giuoco, chiasso, confusione ed agitazione rumorosa  che determinano negli adulti costretti a subirli, noia e fastidio; solo per estensione successivamente le parole riguardarono chiasso, confusione e baccano degli adulti  ed addirittura con l’espressione fare ammoina, nel gergo marinaresco, si indicò il darsi da fare disordinatamente e senza frutto, o per ostentare la propria laboriosità e vi fu un capo ameno, ma scarico che, prendendo le mosse da tale gergo marinaresco, peraltro mercantile,e con il palese scopo, seppur non dichiarato di vilipendere i Borbone Due Sicilie si inventò un inesistente articolo: Facite ammuina  attribuito alla marineria borbonica di Francesco II Due Sicilie.

Per amor di completezza ricorderò che il predetto fantasioso articolo recitava: All'ordine Facite Ammuina: tutti chilli che stanno a prora vann' a poppa e chilli che stann' a poppa vann' a prora: chilli che stann' a destra vann' a sinistra e chilli che stanno a sinistra vann' a destra: tutti chilli che stanno abbascio vann' ncoppa e chilli che stanno ncoppa vann' bascio passann' tutti p'o stesso pertuso: chi nun tiene nient' a ffà, s' aremeni a 'cca e a llà.

Ò trascritto l’articolo così come l’ò travato in rete, stampato su di un evidentemente falso proclama reale recante lo stemma borbonico.

 Non voglio soffermarmi piú di tanto sull’evidente falsità dell’articolo; mi limiterò ad osservare che essa si ricava già dal modo raffazzonato in cui è scritto; è evidente  che il capo scarico che lo à vergato, mancava delle piú elementari cognizioni della parlata  napoletana: basti osservare in che modo errato sono scritti tutti i verbi, terminanti tutti con un assurdo  segno d’apocope (‘) o di una ancóra piú assurda elisione,  in luogo della corretta vocale semimuta.A ciò si deve aggiungere l’incongruo, fantasioso congiuntivo esortativo che conclude l’articolo: s’aremeni, congiuntivo che è chiaramente preso a modello dal tascono, ma non appartiene all’idioma napoletano che usa ed avrebbe usato anche per il congiuntivo la voce s’aremena  cosí come l’indicativo; infine  non è ipotizzabile un monarca che, volendo codificare un regolamento in autentico napoletano, affinché fosse facilmente comprensibile alle proprie truppe incolte, si rivolgesse o fosse rivolto per farlo vergare   a persona incapace o ignorante della parlata napoletana; ciò per dire che tutto l’evidentemente falso articolo fu pensato e vergato  dal suo fantasioso autore, con ogni probabilità filosavoiardo in lingua italiana e poi, per cosí dire, tradotto seppure in modo sciatto ed approssimativo in napoletano, cosa che si evince oltre che da tutto ciò che fin qui ò annotato dal fatto che nell’articolo (presunto napoletano) si parla di destra  e sinistra, laddove è risaputo che i napoletani, anche i colti, usavano dire dritta e mancina. 

Rammento in chiusura di questa parte che lo storico Gigi Di Fiore à recentemente precisato[dando un nome al capo scarico di cui sopra] sulla scorta di quanto ugualmente ebbe a dire il compianto barone Roberto Maria Selvaggi,  che il facite ammuina non nacque  affatto da un regolamento della marina borbonica, bensí trasse origine da un fatto storico realmente accaduto (anche se dopo la nascita della Regia Marina italiana): un ufficiale napoletano, tale Federico Cafiero (1807 - 1888),  già passato dalla parte dei piemontesi  durante l'invasione del Reame  delle Due Sicilie, venne sorpreso a dormire a bordo della sua nave insieme al suo equipaggio e messo agli arresti da un ammiraglio piemontese, in quanto responsabile dell'indisciplina a bordo. Una volta scontata la pena, l'indisciplinato ufficiale venne rimesso al comando della sua nave dove pensò bene di istruire il proprio equipaggio a "fare ammuina" (ovvero il maggior rumore e confusione possibile) nel caso in cui si fosse ripresentato un ufficiale superiore, con lo scopo di essere avvertito e contemporaneamente di dimostrare l'operosità dell'equipaggio.

 

Sistemata cosí la faccenda del Facite ammuina , torniamo alla parola in epigrafe e soffermiamoci sulla sua etimologia;

a prima vista si potrebbe ipotizzare, ma erroneamente che la parola ammoina sia stata forgiata  sul toscano moina con tipico raddoppiamento consonantico iniziale ed agglutinazione dell’articolo la (‘a); ma a ciò osta il fatto che mentre il termine ammoina/ammuina  sta, come detto, per chiasso, confusione, vociante baccano, la parola moina (dal basso latino movina(m)) sta ad indicare gesto, atto affettuoso, vezzo infantile; comportamento lezioso, sdolcinato, tutte cose evidentemente lontane dal chiasso e/o confusione che son propri dell’ ammoina/ammuina e lontane dal fastidio che da quel chiasso ne deriva all’adulto che, al contrario, è appagato  e gratificato dalle moine infantili o talvolta da quelle femminili; sgombrato cosí il campo dirò che per approdare ad una accettabile etimologia di  ammoina/ammuina  occorre risalire, percorrendo un’esatta strada semantica,  proprio al fastidio, all’annoiare che il chiasso, la confusione, il vociante baccano procurano;  tutte cose  puntualmente rappresentate dal verbo spagnalo amohinar(infastidire, annoiare, addirittura rattristare) e convincersi che l’ ammoina/ammuina  altro non sono che deverbali del verbo spagnolo.

E con questo penso d’avere esaurito l’argomento e d’avere  contentato l’amico E. C.   ed almeno   interessato qualcuno dei miei ventiquattro lettori per cui faccio punto fermo con il consueto satis est.

Raffaele Bracale

 

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