EPITETI
Per
rispondere alla cortese richiesta
del mio carissimo amico P.G. ( del quale i consueti problemi di riservatezza
mi impongono l’indicazione delle sole iniziali di nome e cognome)che mi invoglia
a parlarne, qui di sèguito prendo in esame molte delle parole napoletane
usate quali epiteti rivolti soprattutto
verso le donne o in uso scambievole tra le donne del popolino della città bassa.La
prima voce di cui mi sovviene è lòcena e riporto quanto ebbi a dire alibi circa la voce lòcena e dintorni e che
qui, per rapidità di consultazione, ripeto ( la lòcena pur essendo un
taglio di carne gustosissimo, è un taglio che, ricavato dal quarto anteriore
della bestia, il meno pregiato e meno costoso, è da ritenersi di mediocre
qualità, quasi di scarto, e di tutti i vari nomi con cui è connotato in Italia,
quello che piú si attaglia a simili minime qualità, è proprio il napoletano
lòcena.
Etimologicamente infatti la parola lòcena nel suo precipuo significato
di vile, scadente è forgiato come il toscano ocio/a ed i successivi locio/locia
(dove è evidente l’agglutinazione dell’articolo) sul latino volgare avicus
mediante una forma aucius che in toscano sta per: scadente, di scarto; da locio
a locia e successiva locina con consueta epentesi di una consonante (qui
Chiarito il concetto di partenza, passiamo al significato traslato: fu quasi
normale in un’epoca: fine ‘500, principio ‘600 in cui la donna non era tenuta
in gran conto (a quell’epoca risalgono, a ben pensare, quasi tutti i proverbi
misogini della tradizionale cultura partenopea …), trasferire il termine lòcena
da un taglio di carne di scarto, ad una donna…
di scarto, quale poteva esser ritenuta una donna becera, villana,
sciatta,sguaiata, volgare, sfrontata ed, a maggior ragione,una donna di malaffare
o anche solo chi fosse una demi vierge o che volesse apparir tale..
Rammenterò che altrove, con linguaggio piú pungente se non piú crudo, tale tipo
di donna è détto péreta, soprattutto quando quelle sue pessime qualità la donna
le inalberi e le metta ostentatamente in mostra;in particolare con il détto
termine péreta si suole indicare una pessima donna becera, villana, sciatta,sguaiata, volgare,ma soprattutto sfrontata che si comporti da donna di
malaffare non per necessità o per mestiere(in tali casi sarebbe una zoccola, una puttana patentata), ma per
vizio o per indole da sgualdrina, baldracca, donnaccia, prostituta; le
ragioni di questo nome sono facilmente intuibili laddove si ponga mente che il
termine péreta è il femminile
metafonetico di píreto (dal b.
lat.:peditu(m)) cioè: peto, scorreggia che sono manifestazioni viscerali
rumorose rispetto alla corrispondente loffa
(probabilmente dal tedesco luft - loft=
aria) fetida manifestazione viscerale silenziosa, ma olfattivamente tremenda.
Va da sé che una donna che strombazzi le sue pessimi qualità, si comporta alla
medesima stregua di un peto, manifestando rumorosamente la sua presenza e ben
si può meritare, con icastico, seppur
crudo linguaggio, l’appellativo di péreta;
a margine rammento che talvolta
l’epiteto péreta è addizionato di un aggettivo stellïata= scintillante,
luminosa quasi a voler indicare che la donna che strombazzi le sue pessimi
qualità, si comporta alla medesima stregua di un peto, manifestando
rumorosamente la sua presenza e lo faccia (a maggior disdoro) in maniera cosí
chiara e palese come un astro brillante.
Per
completezza dirò poi che simile donna becera e volgare, altrove, ma con
medesima valenza è anche detta alternativamente lumèra o anche lume
a ggiorno atteso che una donna becera e volgare abbia nel suo
quotidiano costume l’accendersi iratamente per un nonnulla; tale prender fuoco
facilmente richiama quello simile del lume a gas (lumèra) o di quello a
petrolio ( lume a ggiorno) ambedue altresí maleolenti tali quale una péreta confusa con una loffa.
Ciò che vengo dicendo è tanto vero che addirittura questo tipo di donna è stato
codificato nella Smorfia napoletana che al num. 43 recita: donna Péreta for’ ô
balcone per indicare appunto una donna… di scarto che faccia di tutto per
mettersi in mostra; ed addirittura nella smorfia il termine péreta da nome comune è divenuto quasi
nome proprio.)
In
coda a tutto ciò che ò détto circa la voce péreta rammento un altro icastico epiteto forgiato
servendosi della medesima voce péreta; l’epiteto è zompapéreta
s.vo ed agg.vo f.le e solo f.le (non
è attestato infatto un m.le zompapíreto)
che ad litteram varrebbe saltapeto
che però non à ed avrebbe alcun senso, atteso che non è praticabile il salto d’
una scorreggia; nell’epito in esame infatti il termine péreta non deve essere inteso nel senso letterale ma in quello
traslato di pessima donna becera, villana, sciatta,sguaiata, volgare,e
soprattutto sfrontata che si comporti da donna di malaffare
offrendo in giro le proprie grazie non per bisogno, ma per vizio, costume,
mania o capriccio saltando da un amante
all’altro;di talché la voce andrebbe tradotta come sfacciata che salta e morfologicamente forse sarebbe stato piú
corretto che il verbo avesse seguito il sostantivo coniugato al participio
presente: péreta zompante ,ma la voce
non avrebbe consentito l’agglutinazione funzionale e non sarebbe risultata
gradevole all’udito né icastica come la popolaresca zompapéreta. Il verbo zumpare
= saltare la cui 3ª pers.sg. dell’ind. pres. zompa è servita a formare la voce in esame è un denominale di zumpo(= salto)che è da un agg.vo greco sostantivato sýmpous→*sýmpu con normale passaggio di s→z.
Proseguo ora tentando l’illustrazione degli epiteti che le popolane
sogliono rivolgersi l’un l’altra , per offendersi talvolta pesantemente;
preciso súbito che gli epiteti di cui dirò sono presenti oltre che sulle labbra
di infime donnaccole, anche passim negli scritti di BasileGiugliano in Campania, 1566 – †Giugliano in Campania, 1632), Sgruttendio (Pseudonimo dell'ignoto autore di una raccolta di poesie in
dialetto napoletano, De la
tiorba a taccone, pubblicata a Napoli nel 1646), Cortese(Napoli 1570 circa - ivi† 1646 circa);, Trinchera(Napoli, 2 giugno
1702 – ivi † 12 febbraio
1755) ed altri.
Ciò detto, principio, augurandomi di risultare il piú chiaro possibile ,anche
se non esauriente, atteso che gli epiteti – soprattutto di viva voce - possono
essere molti di piú, stante la vivacità d’inventiva del popolo napoletano e
soprattutto di quello plebeo; abbiamo:
-capèra
= ad litteram: pettinatrice a domicilio ed estensivamente: pettegola,
propalatrice di notizie raccolte in giro e riportate magari corredate di
falsità aggiunte ad arte alle originarie notizie conosciute durante
l’itinerante lavoro; etimologicamente è voce derivato da capo (testa) + il
suffisso femm. di pertinenza era (al masch.èra diventa iere (es.: ‘a salum+èra,
‘o salum+iere));
cajotela/cajotula
=
donnicciuola pettegola adusa a andarsene in giro a raccogliere e propalare
notizie,ma pure donna plebea, becera,
sporca che emani cattivo odore e per ampliamento: donna lercia di facili costumi; semanticamente la seconda
accezione si spiega con un supposto etimo da cajorda (che è ipotizzato
dall’ebraico hajordah) = puzzola; ma piú che caiorda pare che
la voce di partenza debba essere una sia pure non attestata *chiaiorda con riferimento a donna
abitante
cannaccara s.vo ed
agg.vo f.le che letteralmente sta per provvista di troppe, eccessive cannacche(= collane vistose; dall’arabo
hannaqa)= collane vistose che rendono inelegate e perciò spregevole la
donna che le indossi che oltre alla voce
a margine fu apostrofata talora con il termine sié maesta ‘ncannaccata dove
sié è l’apocope metatetica del francese sei(gneuse) = signora, femminile di seigneur= signore); maesta = maestra mentre ‘ncannaccata = ingioiellata;part. pass. f.le agg.vato dell’infinito ‘ncannaccà= provvedere di collane denominale da in→’n + cannacca (dall’arabo hannaqa= monile, collana);
cessa ‘e mmerda con questo
epiteto apparentemente tautologico
atteso che nella sua formulazione completa suona cessa ‘nquacchiata ‘e mmerda ( gran
cesso lordo di escrementi!)ci si rivolge ad una donna ritenuta non solo laida,
sordida, sudicia, repellente,ma estremamente brutta, ributtante,
ripugnante.La particolarità che d’acchito colpisce in questo epiteto
baroccheggiante è la femminilizzazione del sostantivo cesso che diventa cessa atteso che In napoletano un oggetto (o cosa quale che sia) è inteso se maschile
piú piccolo o contenuto del corrispondente femminile; abbiamo ad . es. ‘a
tavula (piú grande rispetto a ‘o tavulo piú piccolo ),‘a
tammorra (piú grande rispetto a ‘o tammurro piú piccolo ), ‘a
cucchiara(piú grande rispetto a ‘o cucchiaro piú piccolo), ‘a
carretta (piú grande rispetto a ‘o carretto piú piccolo ); ),‘a
canesta (piú grande rispetto a ‘o canisto piú piccolo ), fanno eccezione ‘o tiano che è piú
grande de ‘a tiana e ‘o caccavo piú grande de ‘a caccavella; nella
fattispecie volendosi, con l’offesa che si lancia, affermare che la donna cui è
rivolta è veramente un grande cesso lordo di escrementi, ecco che cesso che diventa cessa;
il s.vo cesso vale 1 (ant.)
luogo appartato
2 (pop.) gabinetto, ritirata, latrina
3 (volg.) luogo sporco, cosa o persona lurida, schifosa; è voce dal
lat. recessu(m)→(re)cessu(m)→cesso, deriv. di recedere
'ritirarsi'
l’agg.vof.le nquacchiata/nguacchiata
che
à in nquacchiato/nguacchiato
il m.le è esattamente il
part.pass. del verbo nquacchià/nguacchià che nella
parlata napoletana vengono usati per indicare: sporcare, insudiciare,
macchiare, imbrattare, ed anche il mettere in atto un pasticcio di difficile soluzione,una situazione intrigata,
deflorare una ragazza ed infine l’ungere o il condire esageratamente in
ispecie con sugo di pomodoro, tutti
fatti che sostanziano in ogni caso un
lordura, una cosa sporca o anche un
errore; faccio notare che etimologicamente trattasi di voci di origine onomatopeica e
che la n d’attacco anteposta alle originarie voci quacchià/guacchià/ ed alibi quacchiarïà nonché a guacchio/quacchio, è sempre e solo una consonante eufonica
migliorativa del suono delle parole che da quacchià/guacchià/quacchiarïà approdano
a nquacchià/nguacchià/nquacchiarïà
nonché da guacchio/quacchio,
a nguacchio/nquacchio; si
tratta precisamente di una consonante
eufonica e non di un residuo di un in→’n per cui non à senso
anteporre a nguacchio/nquacchio,nquacchià/nguacchià/nquacchiarïà
un inutile ed incoferente segno diacritico (’) che
presupporrebbe la caduta della vocale i
di in e pertanto
correttamente occorre scrivere nguacchio/nquacchio, nquacchià/nguacchià/nquacchiarïà
E NON ‘nguacchio/’nquacchio,o ‘nquacchià/’nguacchià/’nquacchiarïà
come purtroppo càpita di
leggere in talune raffazzonate pubblicazioni di sedicenti cultori e/o esperti
del napoletano!
mmerda/merda s.vo f.le dal lat. merda(m) = escremento, sterco e figuratamente:
cosa che disgusta, persona spregevole, situazione ripugnante | nella loc.ne
agg.le ‘e mmerda= pessimo/a,
spregevole: fà ‘na fijura ‘e mmerda: fare una figura di merda = fare una
pessima figura; dal s.vo a margine deriva il s.vo m.le mmerdajuolo = raccoglitore di sterco;
dal
s.vo a margine deriva altresí l’agg.vo m.le o f.le mmerduso/mmerdosa =
inetto/a, incapace, buono/a a nulla. o di ragazzo/a che si atteggino ad
adulti;in tale significato sono usati piú spesso i diminutivi mmerdusillo/mmerdusella.
banchèra= ad litteram: sguaiata,
ciarliera ma pure sboccata, maleducata, rozza, zotica, grossolana venditrice al
minuto che lavora servendosi di un banco/bancone tenuto all’aperto sulla
pubblica via, venditrice che essendo in contatto con molte persone può – come
la precedente capèra - diventar pettegola, propalatrice di notizie;
etimologicamente è voce derivata da banche plurale di banco (che è dal germ.
*bank 'sedile di legno' ) + il suffisso femm. di pertinenza èra
o altrove iéra per erronea imitazione
del suff. m.le iére (suffisso di
sostantivi derivati dal francese (-ier) o formati direttamente in napoletano,
la cui origine è il lat. -ariu(m); forma soprattutto nomi di
professioni, mestieri, attivit o di oggetti;come dicevo l’esatto suffisso di
pertinenza f.le è èra mentre il maschile è appunto iére (cfr. salum-iere ma salum-èra, canten-iére ma canten-èra
e nel caso che ci occupa banch-iéro ma
banch-èra etc.);
chiazzera
e
perraro al m.le chiazziére/o;
chiazzera è un s.vo f.le che vale sguaiata, ciarliera ma
pure sboccata, maleducata, rozza, zotica, grossolana pettegola, soggetto
che parla spesso con morbosa curiosità e
con malizia di fatti e comportamenti altrui e lo fa in maniera scomposta,
volgare, triviale, scurrile, maleducata, a voce alta e soprattutto palam in
piazza (affinché tutti intendano e le
notizie si propalino piú facilmente); la voce è ricavata addizionando il
suffisso di pertinenza èra o altrove iéra per erronea imitazione del suff. m.le iére (suffisso di sostantivi derivati dal francese (-ier) o
formati direttamente in italiano, la cui origine è il lat. -ariu(m);
forma soprattutto nomi di professioni, mestieri, attivit o di oggetti;come
dicevo l’esatto suffisso di pertinenza f.le è èra mentre il maschile è
appunto iére (cfr. salum-iere ma
salum-èra, canten-iére ma canten-èra e nel caso che ci occupa banch-iéro ma banch-èra etc.); addizionando il suffisso al s.vo chiazza = piazza(chiazza è dal lat.
platea(m) con normale passaggio del pl latino al chi napoletano (cfr. i normali sviluppi di pl→chj→chi ad es.: chino
←plenum, cchiú←plus, chiaja←plaga,platea→chiazza, chiummo←plumbeum etc.)).
votacàntere = vuota-pitali quella donna (probabilmente lercia, sporca,o
pensata tale), addetta agli infimi uffici quale quello di svuotare in mare( per
solito durante la c.d. malora ‘e chiaia(vedi altrove)) i vasi di comodo in cui
le famiglie depositavano i propri esiti fisiologici; etimologicamente la voce votacàntare risulta esser l’unione di
una voce verbale vòta = vuota (3° pers. sing. ind. pres. dell’infinito votà=
vuotare che è un denominale derivato dal lat. volg. *vocitu(m), variante di
*vacitu(m), part. pass. di *vacíre 'essere vuoto', corradicale del lat. vacuus
'vuoto') + il sostantivo càntare plurale di càntaro s.vo m.le = vaso di comodo, pitale etimologicamente dal lat.
càntharu(m) forgiato sul greco kantharos, da non confondersi con il termine cantàro
(che è dall’arabo quintâr) voce usata per indicare una unità di misura:
cantàio= quintale ed è a tale misura che si riferisce il detto napoletano: Meglio
‘nu cantàro ‘ncapo ca n’onza ‘nculo ( e cioè: meglio sopportare il peso d’un
quintale in testa che (il vilipendio) di un’oncia nel culo (e non occorre
spiegare cosa sia l’oncia richiamata…)); molti napoletani sprovveduti e poco
informati confondono la faccenda ed usano dire, erroneamente: Meglio ‘nu
càntaro ‘ncapo…etc.(e cioè: meglio portare un pitale in testa che un’oncia nel
culo!), ma ognuno vede che è incongruo porre in relazione un peso (oncia) con
un vaso di comodo (càntaro) piuttosto che con un altro peso (cantàro);
vajassa
= serva, fantesca ma intesa in senso dispregiativo ; dall’arabo: baassa attraverso il francese bajasse con la solita alternanza
partenopea b/v, da cui in italiano: bagascia= meretrice.
funnachèra
letteralmente abitante, frequentatrice di un fondaco, il fondaco(in napoletano
fúnneco) fu, dalla seconda metà dell’ ‘800, ai primi del ‘900, un locale a
pianterreno o seminterrato, usato come magazzino o come abitazione
poverissima;ma anche estensivamente un cortilaccio o vicolo cieco circondato di
abitazioni da povera gente, ed addirittura una zona poverissima ed insalubre
della città ( a Napoli ne esistettero fino ai primi del
vasciajola
letteralmente abitante di un basso locale a pianterreno o seminterrato, usato
come magazzino o come abitazione poverissima, simile al fondaco; ) e quindi
donna, di infima condizione civile , intesa becera, volgare, triviale, incline
al pettegolezzo e alla chiassata; etimologicamente la voce vasciajola è un chiaro denominale di vascio (lat.: bassu(m))+ il suffisso lat. volg.: ariolus/la con un’
inattesa dissimilazione totale della r;
janara
catarrosa letteralmente strega affetta da catarro e dunque sporca,
lercia; di per sé la janara è la strega, la megera,ma pure una donna plebea brutta e malefica; etimologicamente
pare essere un derivato come penso e reputo,
del nome della dea pagana Diana(m), non manca però chi pensa ad
una derivazione da (r)janara forma
metatetica di irana/iranara = granata
coperta di peli di capra; catarrosa =
agg.femm. sofferente di catarro: una vecchia catarrosa
o che rivela la presenza di catarro: tosse, voce catarrosa denominale di
catarro che è dal tardo lat. catarrhu(m), che è dal gr. katárrous, deriv. di
katarrêin 'scorrere giú;
janara
cecagnòla o scazzata letteralmente strega, megera,quasi cieca o
cisposa; cecagnòla = guercia; nell’immaginario
comune l’esser guercio o come il successivo, l’esser cisposo è di persona
(specie se donna) volgare, laida, sporca, falsa ed inaffidabile, tendente alla
cattiveria; l’etimo di cecagnola
risulta un deverbale di cecà/cecare
dal lat. caecare, mentre la voce scazzata = cisposa, da scaccolare è un aggettivo da un participio passato
dell’infinito scazzà = scaccolare,
liberar gli occhi dalle caccole che formano il cispo (in napoletano scazzimma
da un lat.volgare caccita; non si può
però escludere che il verbo scazzà derivi da un basso latino ex-cacare composto
di cacare)
spernocchia
=conocchia/canocchia o cicala di mare: piccolo crostaceo marino con duro
carapace, commestibile, con corpo allungato e zampe anteriori ripiegate, atte
alla presa; per traslato donna coriacea, repulsiva, scostante; letteralmente
vale l’italiano sparnocchia; la voce napoletana è un adattamento popolare
giocoso di spannocchia (dal lat. volg. *panucula(m), per il class. panicula(m),
dim. di panus ' con protesi di una s intensiva) forse per la forma che ricorda
quella di una pannocchia ben accartocciata nelle sue foglie;
trafechèra
letteralmente vale l’italiano traffichina e dunque donna dedita a traffici poco
onesti, imbrogliona, intrigante; etimologicamente è un deverbale del verbo
trafechïà attraverso il sostantivo trafeca (travaso) + il consueto suffisso
femm. èra; la voce trafechïà in primis vale (con derivazione dal catalano
trafegar)travasare il vino (da un tardo latino: trans + faex-faecis= feccia )e
quindi estensivamente: maneggiare, esercitar traffici illeciti;
muzzecútela
vale l’italiano maldicente,malevola sparlatrice, mordace detto soprattutto di
donna che in una discussione pretende d’aver sempre l’ultima parola;
etimologicamente è un deverbale del verbo muzzecà (morsicare, mordere anche in
senso figurato) che è forse da un basso latino *muccicare, se non dal tardo
lat. morsicare, deriv. di morsus, part. pass. di mordíre 'mordere' con tipico
passaggio rs→rz→zz.
trammèra
è la medesima voce riportata a
seguire con una piccola differenza morfologica rappresentata da una n eufonica
posta in posizione protetica, consonante che essendo prettamente eufonica e non
derivata da aferesi di un (i)n→’n illativo, non necessita di
segno diacritico(‘) ; è voce che indica colei che tesse inganni, congiure,
insidie, donna inaffidabile;va da sé che la voce a margine non à nulla a che
spartire con il termine tram essendo etimologicamente un derivato della voce
trama (dal lat. trama(m) ) = macchinazione, intrigo, con tipico raddoppiamento popolare
della labiale m e l’aggiunta del suff. femm. èra;
ndrammera/ntrammera,
,
agg.vo e talora s.vo f.le e solo femminile atteso che
il corrispondente maschile ntrammettiere= uomo ,volgare,
intrigante,pettegolo non è attestato e non è usato né nello scritto, né nel parlato comune;anche la voce a margine
(unica voce con due grafie leggermente diverse) è voce antica ed
abbondantemente desueta; letteralmente valse: donna pettegola ed intrigante, inframmettente, linguacciuta, che
tesse trame; etimologicamente delle due
grafie riportate la seconda (ntrammera) appare quella piú esatta
e con ogni probabilità originaria atteso che risulta formata da una n
eufonica protetica del s.vo trama (con
raddoppiamento espressivo della nasale bilabiale m) e con il suffisso di
pertinenza èra; l’altra grafia (ndrammera) è palesemente ricavata
dalla originaria ntrammera attraverso la sostituzione della consonante occlusiva
dentale sorda t con la piú dolce
consonante occlusiva dentale sonora d;
palazzola,
agg.vo
e talora s.vo f.le e ora solo femminile atteso che
il corrispondente maschile palazzuolo= è
desueto e non è usato né nello scritto,
né nel parlato comune;letteralmente la voce a
margine fu coniata, quale denominale della voce
palazzo, per identificare quelle popolane, ciarliere e
petulanti che vivevano ai margini del palazzo reale in cerca di benefattori tra
i nobili frequentatori della corte; il maschile palazzuolo un tempo (1750 – 1850 ) fu usato nella
medesima accezione del femminile; dopo l’unità (1860) cadde in disuso e venne
usato solo nel significato di furbo, abile (forse tenendo presenti gli
accorgimenti usati da quei popolani per strappare qualche vantaggio, utilità
dai nobili cui si rivolgevano circuendoli con chiacchiere e ciarle;
pirchipétola/perchipetolaagg.vo e talora s.vo
f.le e solo femminile atteso che
il corrispondente maschile pirchipetolo= uomo intrigante,pettegolo non
è attestato e non è usato né nello
scritto, né nel parlato
comune;anche la voce a margine (unica voce con due grafie leggermente diverse)
è voce antica ma non desueta;
letteralmente valse e vale l’italiano
donna ciana, becera, donnaccola pettegola e volgare, linguacciuta, quando non donna di facili costumi con
derivazione dell’addizione della voce perchia
= perca: pesce acquatico di scarsissimo valore con bocca grossa e ventre ampio
e floscio + petola/petula =
pettegola, ciarliera; delle medesime infime qualità: bocca grossa (come che
sottolineata dal pesante trucco), e ventre ampio e floscio, frutto del tipo di…
lavoro comportante spesso gravidanze indesiderate è accreditata
la donna di facili costumi detta perchia spesso ciarliera e dunque
pirchipétola/perchipétola.
cajòtela
vale l’italiano donna di facili costumi probabilmente voce derivata da un lat. (foemina)
*caveottula con riferimento al ristretto covo (cavea) in cui detta femmina
prestava la sua opera mercenaria;
pernacchia
da non confondere con l’omonima voce italiana con la quale si rende il
napoletano pernacchio, cioè il suono volgare emesso con un forte soffio a
labbra serrate, in segno di disprezzo o di scherno; (ricordo súbito che la voce
pernacchio, anticamente fu vernacchio e
con tale voce derivata dal tardo lat. vernaculu(m)
si significò inizialmente la vera e
propria scoreggia cioè il suono volgare emesso dai visceri per espellere gas
intestinali e solo successivamente con la parola vernacchio/pernacchio si
intese il suono che imitativamente a
quello prodotto dai visceri veniva emesso
dalle labbra serrate in segno di dileggio e/o disprezzo.) questa a
margine è offesa che si rivolge ad una donnaccola brutta, ripugnante e dai modi
volgari che tuttavia, nel tentativo di farsi notare ed accettare usa
agghindarsi in maniera ridondante ed appariscente attirandosi spesso il
dileggio di coloro che la guardino, e che spesso usano nomarla pernacchia
‘mpernacchiata (donnaccola agghindata) l’etimo di pernacchia è dal lat. vernacula
'cose servili, scurrili'neutro plur (poi inteso femm.). di vernaculum deriv. di verna 'schiavo nato in casa';
‘mpernacchiata
agg.vo f.le e solo f.le = agghindata
mpreziosita, ingioiellata in maniera eccessiva; voce part. pass. f.le
dell’infinito ‘mpernacchià denominale
del lat. scien. perna= perla, gioiello;
pirchipétola/perchipetola
vale l’italiano donna ciana, becera, donnaccola pettegola e volgare,
linguacciuta, quando non donna di facili
costumi con derivazione dell’addizione della voce perchia = perca: pesce acquatico di scarsissimo valore con bocca
grossa e ventre ampio e floscio + petola/petula
= pettegola, ciarliera; delle medesime infime qualità: bocca grossa (come che
sottolineata dal pesante trucco), e ventre ampio e floscio, frutto del tipo di…
lavoro comportante spesso gravidanze indesiderate è accreditata
la donna di facili costumi detta perchia spesso ciarliera e dunque
pirchipétola/perchipétola;
rosecacucchiara s.vo f.le furbesco usato
per indicare in primis la sguattera addetta alla cucina. Questa sguattera, afflitta
da fame poco lenita, rimestava continuamente
con la cucchiarella (cucchiaio di legno) nei cibi in cottura e saggiava in
continuazione sin quasi a rodere il
piccolo mestolo di legno.Voce formata dall’agglutinazione della voce verbale roseca+ il s.vo cucchiara;
roseca (3ª per. sg. ind. pr.
dell’inf.transitivo rusecà =
rosicchiare; alibi come intransitivo = sparlare, criticare; rusecà è dal lat. rosicare frequentativo di rodere;
cucchiara s.vo f.le qui mestolo di legno alibi cazzuola del muratore voce
etimologicamente adattamento al femminile del m.le latino cocleariu-m;
cucchiarella s.vo f.le diminutivo
del precedente.
la
voce rosecacucchiara per ampiamento
semantico tenendo dietro all’uso
intransitivo di rusecà vale anche malalingua,
maldicente, pettegola, calunniatrice.
chiazzèra
donna plebea, ciana, volgare adusa ad urlare, vociare sguaiatamente soprattutto
palam in piazza in maniera spesso scomposta, volgare, triviale, scurrile,
sboccata, maleducata rozza, zotica; etimologicamente derivata dall’addizione di
chiazza (=piazza dal lat. platea(m) 'via ampia', che è dal gr. platêia, f. sost.
di platy/s 'ampio, largo)+ il solito suff. femm. èra
fuchèra
donnaccola pettegola e volgare adusa ad accendere metaforici fuochi, seminando
zizzania, con derivazione dall’addizione di fuoche (plurale di fuoco che è dal
lat. focu(m)) + il consueto suff. femm. di pertinenza èra
‘mmicïata
donna di facili costumi, viziosa ; voce quasi del tutto desueta che però si può
ancora riscontrare – con intenzioni e valenza molto offensive - nel parlato
plebeo di talune cittadine dell’area vesuviana; etimologicamente derivata dal
basso latino *in vitiata da un in (illativo)+ vitium con stravolgimento
dell’originario significato di vitium inteso non piú come errore, ma come la
disposizione abituale al male; l'acquiescenza continua agli istinti piú bassi;
per il passaggio di inv a ‘mm vedi alibi invece=’mmece, invidia=’mmidia;
scigna
cacata letteralmente scimmia sporca d’escrementi e per traslato: donna
lercia, laida,sporca quantunque tenti di apparire avvenente (tené ‘e bbellizze
d’’a scigna = avere le grazie della scimmia cfr. alibi)scigna deriva dal lat.
simia→simja, con un consueto passaggio di s+ vocale a sci: (vedi altrove
semum→scemo) e mj→gn (come in ca(m)mjare→cagnà) cacata = part. passato femm.
aggettivato dell’infinito cacà/cacare
= defecare dal latino cacare;
aucellona
‘nzevosa uccellone unto id est: donnaccola appariscente, ma sporca,
lercia; aucellona è l’accrescitivo femm. (vedi il suff. ona) del sostantivo
maschile auciello derivato da un tardo lat. aucellus doppio diminutivo di
avis→avicula→avicellus→avuciello→auciello con tipica dittongazione cie della
sillaba ce, sillaba implicata ossia seguita da due consonanti; ‘nzevosa= unta,
untuosa e quindi sporca, lercia con etimo da un basso latino in(illativo) +
sebosus = ingrassato, aggettivo forgiato su sebum= grasso, in+s sfocia sempre
in ‘nz e tipica è l’alternanza partenopea b/v (vedi barca/varca, bocca/vocca
etc.;
zandraglia
perucchiosa zandraglia =
donna volgare, sporca incline alle chiassate, ai litigi ed al pettegolezzo; perucchiosa = pidocchiosa, coperta di
pidocchi,la voce zandraglia
(etimologicamente dal francese les entrailles,)indicò dapprima le donne povere
volgari e vocianti che si litigavano, alle porte delle cucine reali o del
macello situato a Napoli presso il ponte Licciardo, le interiora e le ossa
delle bestie macellate,(donde l’espressione partenopea: va’ fa ll’osse ô ponte=
vai a raccattar le ossa al ponte, invito perentorio e malevolo rivolto a chi ci
importunasse con richieste fastidiose, affinché ci liberi della sua sgradevole
presenza, spostandosi altrove!) interiora ed ossa distribuite gratuitamente;
poi, in altra epoca, con la medesima voce si indicarono le donne designate a
ripulire dai resti umani i campi di battaglia e/o i luoghi di esecuzioni
capitali (ed in tali occasioni queste donne malvissute si contendevano l’un
l’altra le vesti e qualche effetto personale dei soldati o dei condannati);
l’aggettivo perucchiosa femm.
metafonetico di perucchiuso vale pidocchiosa, affetta dai pidocchi, dalle
zecche, ma pure avara, taccagna forgiato sul sostantivo perocchio (con
derivazione da un originario lat.pedis= pidocchio attraverso un diminutivo pediculus
alterato in peduculus→ peduc’lus →perocchio con la tipica alternanza osco- mediterranea d/r) addizionato dei suffissi di
appartenenza uso/osa;
zellósa aggettivo sostantivato femm.
metafonetico di zelluso e vale tignosa, affetta da alopecia(in napoletano:
zella) la voce a margine etimologicamente è formata dall’addizione di zella (da
un lat. regionale (p)silla(m) dal greco psilòs =nudo, calvo; il raddoppiamento
della liquida è d’origine popolare, (come alibi mellone da melon – ‘ntallià da in-taliare
etc. ) con i soliti suffissi di appartenenza uso/osa;
fetósa
aggettivo sostantivato femm. metafonetico di fetuso e vale fetida, poco
raccomandabile, pericolosa, sporca, lercia, che puzza; la voce a marigine
etimologicamente è formata dall’addizione di fieto (che è uno dei pochi lemmi
derivati non da un accusativo latino, ma da un nom.: foetor= puzzo) con i
soliti suffissi di appartenenza uso/osa;
mmerdósa
di per sé pur’esso un aggettivo sostantivato femm., metafonetico di mmerduso e
varrebbe in primis: sporco di escrementi, ma sta pure per persona abietta,
spregevole, capace di qualsiasi slealtà; l’etimo risulta essere la consueta
addizione di un sostantivo con i soliti suffissi di appartenenza uso/osa;il
sostativo in questione è chiaramente mmerda (dritto per dritto dal lat.
merda(m)=escrementi umani ed animali;
culo
‘e tiella letteralmente fondo di padella (che per essere costantemente
a contatto con il fuoco, risulta bruciacchiato ed annerito, inteso dunque
perennemente sporco; culo di per sé culo, sedere,deretano, ma nell’accezione a
margine sta per fondo, etimologicamente dal basso latino culu(m) che è dal
greco kolon=intestino;
tiella è la padella, teglia e segnatamente quella di ferro con etimo dal lat.
volgare tegella(m) diminutivo di tegula (in origine i tegami furono di argilla
cotta come le tegole); da tegella →tejella/teiella→tiella;
cacatrònele
sostantivo che (intraducibile ad litteram in quanto sarebbe caca-tuoni), indica
la donnaccola becera, sfrontata, scostumata che non si fa scrupolo di fare
trombetta del proprio posteriore abbandonandosi palam al crepitío prolungato di
rumorosi peti.
la voce a margine è formata dall’unione di caca (voce verbale 3° pers. sing.
ind. pres. dell’infinito cacà/cacare =defecare, dal basso lat. cacare) + il
sostantivo femm. plurale trònele = tuoni, percosse,peti (dal basso lat.
tonitru(m)→*tronitu(m) con un suff. diminutivo atono femm. ole (lat.ulae);
cuopp’
‘allesse cartoccio (conico) di castagne lesse, inteso tale cartoccio
bagnato e macchiato (la buccia interna delle castagne lesse tinge di scuro la
carta con cui si confeziona il cartoccio!) e quindi lercio, sporco e tali sono
ritenute le donnaccole cui è riferito l’epiteto a margine; cuoppo = cartoccio
(conico) quanto all’etimo è una forma masch. e dittongata del tardo lat.
cuppa(m) per il class. cupa(m)= botte, per la comunanza funzionale, sebbene non
di forma, del concetto di capienza e ricezione; allesse plur. di allessa=
castagna privata della dura scorza esterna e bollita in acqua con aggiunta di
foglie d’alloro e semi di finocchio derivata dal part. pass. femm. del tardo
lat. elixare 'far cuocere nell'acqua, sebbene qualcuno proponga un tardo lat.
*ad-lessa(m) ma non ne vedo la necessità;
furnacella
sfunnata letteralmente piccolo forno sfondato; va da sé che quale
epiteto rivolto ad una donnaccola con la voce fornacella non si indica
certamente il fornetto in pietra o metallo, ma furbescamente la vulva di colei
cui è diretto l’epiteto, vulva che risultando sfunnata (sfondata) accredita la
donnaccola offesa d’esser donna di facili costumi, se non addirittura una
meretrice abbondantemente conosciuta in senso biblico; furnacella= fornetto
portatile alimentato a carbone; nell’espressione a margine vale però per
traslato : vulva atteso che sia il fornetto sia la vulva son sede(l’uno di
un reale fuoco, l’altra di uno figurato; rammenterò al proposito che nel
parlato napoletano tra le piú comuni voci usate per indicare la vulva c’è
quella che suona purchiacca/pucchiacca
che con etimo dal greco pýr +k(o)leacca←*cljacca sta per fodero di fuoco;
tornando a furnacella dirò che l’etimologia è dall’acc. lat. volgare
furnacella(m) che è un diminutivo con cambio di suffisso per cui in luogo
dell’atteso furnacula(m) dim. di furnum si è ottenuto la ns. furnacella(m); sfunnata=
sfondata, rotta , consunta part. pass. femm. aggettivato dell’infinito sfunnà =
sfondare; denominale del latino fundu(m) con protesi di una s
questa volta distrattiva;
tozzola
spugnata = cantuccio di pane raffermo ammollato in acqua, dunque
donnaccola lercia, ciana, sporca,bagnata; la tozzola essendo un cantuccio di
pane raffermo è cosa inutile, da buttar via, inservibile, tal quale la donnaccola
volgare e spregevole cosí chiamata; tozzola= cantuccio di pane raffermo, tozzo;
tozzola etimologicamente appare un
diminutivo femminilizzato del lat. tursum =gambo, da un *tursola→turzola e per
assimilazione regressiva tuzzola→tozzola;
spugnata part.
pass. femm. aggettivato dell’infinito spugnà= ammollare etimologicamente
denominale di spogna= spugna che è dal lat. spongia(m);
vrenzola
spurtusata letteralmente straccio bucato e dunque donna volgare, lercia
, rabberciata, stracciona, raffazzonata ; di per sé la voce vrenzola nel suo
significato primo di straccio e poi in quello estensivo di persona, donna mal
fatta o mal ridotta; etimologicamente è da ricollegarsi ad una brenniciola→bren(ni)ciola→brenciola
diminutivo di un’originaria brenna corrispondente (vedi il Du Cange) ad un
basso lat. breisna= rozza, vile,senza valore ma non manca (senza che mi trovi
d’accordo) chi fa derivare brenna dall'ant. fr. braine (giumenta) sterile e quindi priva di valore; spurtusata
part. pass. femm. aggettivato dell’infinito spertusà =bucare denominale della
voce pertuso =buco (dal lat. *pertusium derivato di pertundere=bucare) con
protesi di una s intensiva.
guallecchia
vale di per sé ernia molliccia e dunque per traslato donna dappoco, volgare,
fastidiosa tal quale un’ernia molliccia quella stessa che a Napoli è indicata
oltre che con la voce a margine anche con l’espressione guallera cu ‘e filosce
(ernia corredata di spugnose frittatine) ed infatti la voce a margine risulta
essere una gustosa forma eufemistica della voce guallera (dall’arabo wadara
=ernia) incrociata con la voce pellecchia=pelle aggrinzita, molle e cadente ma
pure buccia sottile (ad es. di pomidoro) ( che deriva da un lat. volg. pellicla(m)
per il class. pellicula(m) diminutivo di pellis-is = pelle, buccia); rammento
pure che la voce filoscio di cui filosce/i è il plurale = frittata sottile e
spugnosa (dal francese filoche da fil= filo sottile ;
squàcquara
vale di per sé neonata, bambina piccola e, come offesa rivolta ad una donna:
flaccida, deforme,senza forze, rachitica; in effetti al di là di imprevisti
malanni costituzionali, una neonata non può avere tutta la gagliardía fisica di
un’adulta e spesso si mostra flaccida e senza forze; quanto all’etimo la voce a
margine risulta un deverbale di squacquarà che riproduce in modo onomatopeico
il verso della quaglia giovane ed infatti a Napoli, nel gergo giovanile, una
ragazza giovane si disse quaglia (che è dall'ant. fr. quaille, voce derivata
dal lat. volg. *coacula(m), di origine onomatopeica) e la piccola bambina
quagliarella
chiarchiósa
pesante offesa che rivolta ad una donna l’accredita d’esser sudicia, sporca,
lordata quando non estensivamente laida meretrice; la voce a margine di suo è
un aggettivo poi sostantivato (vedi il suff. femm. di pertinenza osa/oso unito
al sostantivo di partenza che è chiarchio = lordura, sozzura, muco nasale (di
probabile etimo onomatopeico);
‘nfranzesata
letteralmente infranciosata, meretrice che à contratto il mal francese cioè la
lue o sifilide e dunque donnaccia da trivio; rammenterò che un tempo la
sifilide fu detta a Napoli mal francese in quanto ritenuta malattia infettiva
trasmessa attraverso le prostitute dai soldati francesi di Carlo VIII re di Francia
(1470-†1498),che era figlio di Luigi XI e di Carlotta di Savoia.(c’è sempre un
Savoia (mannaggia a loro!) sulla strada dei Napoletani!) , mentre in Francia fu
chiamato mal napolitaine, in quanto pensato propagato tra i medesimi soldati
dalle prostitute partenopee che già ne erano affette, e per dileggio si usò
dire di chi fosse stato colpito dall’infezione: È stato in… Francia! Etimologicamente la voce a margine è
un’adattamento dialettale di infranciosata che è il part. passato femm.
dell’infinito infranciosare per il piú comune infrancesare (da un in illativo +
francese).
Tràcena s.vo f.le 1
(in primis) tracina,trachino (pesce di mare
dalle carni gustose, usato soprattutto nelle zuppe, di media grandezza e
con corpo allungato, provvisto di una pinna dorsale a raggi spinosi e
veleniferi), pesce ragno (ord. Perciformi)). 2(per traslato come nel caso
che ci occupa) donnaccola infida,maldicente, pettegola, malalingua,
diffamatrice, dagli affrettati giudizi, pericolosa sino a diventare addirittura
velenosa tal quale il pesce da cui mutua il nome. Voce derivata dal lat. mediev. anthrace(m)→(an)t(h)race→trace→tracena
con allungamento sillabico eufonico (na).
In coda a
questa nutrita elencazione di epiteti ne aggiungo numerosi altri molto icastici
ed espressivi quantunque \ antichi e
desueti, tutti riportati nelle sue opere dal Basile (Giugliano in Campania, 1566 o 1575 –† Giugliano in Campania, 1632) notissimo letterato
napoletano di epoca barocca, primo a utilizzare la fiaba come forma di
espressione popolare.. Gli epiteti desueti sono
Cernapérete
agg.vo f.le e solo femminile letteralmente setacciatrice di scorregge ma va da sé
che non potendosi passare allo staccio le emissioni gassose intestinali,
si tratti di una divertitente, quantunque offensiva voce
traslata con cui si indica una donna dal voluminoso fondoschiena che
abbia un incedere ancheggiante e dondolante facendo oscillare il sedere per
modo che imiti il movimento d’un setaccio; la voce è formata
dall’agglutinazione di cerna + il s.vo pérete:
cerna voce verbale (3° pers. sg. ind. pres. dell’infinito cèrnere= stacciare, setacciare dal lat. cernere
'vagliare, separare',
pérete s.vo f.lepl. di péreta
femminilizzazione
espressiva di píreto s.vo m.le = peto,
emissione rumorosa di gas dagli intestini. (dal lat. pēditu(m), deriv. di pedere
'fare peti' con alternanza osco mediterranea di d→r onde pēditu(m)→piritu(m)→píreto);il s.vo f.le
péreta fu coniato nell’intento di
connotare un emissione di gas
intestinali che fosse piú rumorosa di quella normalmente indicata dal m.le píreto e ciò perché In napoletano un oggetto o cosa che sia è
inteso se maschile piú piccolo o contenuto del corrispondente femminile;
abbiamo ad . es. ‘a tavula (piú grande rispetto a ‘o tavulo
piú piccolo ),‘a tammorra (piú grande rispetto a ‘o tammurro piú
piccolo ), ‘a cucchiara(piú grande rispetto a ‘o cucchiaro piú
piccolo), ‘a carretta (piú grande rispetto a ‘o carretto piú
piccolo ); fanno eccezione ‘o
tiano che è piú grande de ‘a tiana e ‘o caccavo piú grande de
‘a caccavella;
forcelluta agg.vo f.le; al maschile, ma poco usato, è furcelluto
mordace,
maledico/a aggressivo/a, caustico/a, graffiante, tagliente, salace, sferzante,
ironico/a ma sempre addizionati di una dose di malevoli bugie; con linguaggio
moderno si direbbe lingua biforcuta ;
etimologicamente la voce infatti è un denominale di furcella/forcella =
forcina,forcella, nome generico di vari utensili costituiti da un'asta biforcata in due bracci: dal lat. furcilla(m),
dim. di furca 'forca';
perogliosa
agg.vo f.le; al maschile, ma poco usato,
è perogliuso
= cencioso/a
– lacero/a, sbrindellone/a, sciattone/a; epiteto rivolto soprattutto a giovane
donna o giovane uomo che siano molto poco attenti al loro decoro personale
mantenendo un atteggiamento di immagine
o comportamentale trasandato, trascurato, disordinato, scalcinato; la voce è un denominale di pèroglie
s.vo f.le pl. =cenci,
cianfrusaglie,pezze per i piedi dal lat.
pedulĭa : da notare la roticizzazione
osco-mediterranea della d→r;
picoscia agg.vo e s.vo f.le non è
attestato un m.le picoscio sebbene
sia ipotizzabile = donna bassa e dalle gambe storte e come tale adusa ad una
andatura scorretta, tentennante, di
sghimbescio tale, semanticamente,
da farla classificare come
persona infida ed inaffidabile, falsa, doppia, ambigua;interessante l’etimo
della voce che piú che una derivazione del s.vo paloscio (che è dal serbocr. paloš, che è dall’ungh. Pallos) derivazione di
cui non si riesce a cogliere il nesso semantico atteso che questo paloscio indica la daga a lama stretta,
ad un solo taglio, portata nel medioevo dai cacciatori, anche per aprirsi il
cammino nella boscaglia, e in seguito dai battistrada dei cortei, né è attestato
che questa corta daga avesse la lama storta e non diritta; piú che una derivazione del
s.vo paloscio, dicevo occorre pensare ad un incrocio tra coscia e bi-cocca (catapecchia, casa diroccata; misera
casupola dal fr. bicoque) l’incontro bi – cocca e coscia determinò bi→pi-coscia che da un significato di
partenza di gamba (coscia) misera e malmessa
per metonimia indicò la donna bassa che avesse quelle gambe storte e
malmesse;in coda rammento che il corrispondente al maschile della voce in esame
è lo scatobbio agg.vo m.le e solo m.le usato per
indicare in primis l’ometto deforme, gobbo, rachitico, sgraziato, brutto, goffo, racchio, ranocchiesco e per
estensione semantica figuratamente l’uomo da nulla,di nessuna rilevanza,
anzi emarginato, sgradevole in quanto
ripugnante il tutto in linea con l’etimo della voce che è dal greco skatòs
(sterco) addizionato con bios (vita) insomma quasi un titolare di una
vita di merda.
privasa/prevasa/provasa/pruvasa
quattro morfologie alternative d’un'unica voce
che in senso traslato, sostanzia un
epiteto altamente offensivo rivolto ad una donna e solo a donne; in realtà
delle quattro forme solo l’ultima pruvasa fu usata nel parlato della
città bassa quale epiteto offensivo; le
altre forme furono usate in letteratura e quasi del tutto in senso
proprio; si tratta di un s.vo f.le con cui si indica in senso
proprio il cesso, la latrina, il
gabinetto di uso privato;in senso traslato ed offensivo fu usato per indicare
una donna volgare, lercia, sordida, abietta, corrotta, ripugnante, ributtante,disgustosa,tal quale un cesso o
una latrina non nettati o ripuliti; è voce marcata sul fr. privaise a sua volta ricavata da un lat. volg. *privatĭa d’analogo significato;
pontonèra/puntunèra
doppia
morfologia alternativa [di cui la prima adottata da scrittori meno adusi alla
verace parlata popolare napoletana]
d’un'unica voce che sostanzia un
epiteto altamente offensivo rivolto ad una donna e solo a donne; ambedue le
forme, con la distinzione che ò fatto, furono
usate sia in letteratura (cfr. Ferdinando Russo che però adoperò la piú
esatta e veracemente popolare puntunèra
) che nel parlato della città bassa quale epiteto offensivo; il significato fu
univoco senza possibilità di confusione: prostituta, donna di malaffare, donna
da strada, donna da marciapiede, sgualdrina, baldracca; la voce
etimologicamente è un denominale di pontone/puntone
(angolo di strada, spigolo di
muro,cantonata di via,) addizionato del suff. di competenza f.le èra che al m.le è iere (cfr.salum-era ma salum-iere, panett-era ma panett-iere,cantenera,ma canteniere etc.); pontone/puntone s.vo m.le = angolo di strada, spigolo di
muro, cantonata; voce ricavata dal s.vo puncta(m) con riferimento allo spigolo
del muro, addizionato del suff. accr.
m.le one.Rammento altresí che nella
medesima valenza e significato della
voce in esame fu usato sebbene piú in
letteratura che nel parlato un analogo cantonèra/cantunèra (marcato sul s.vo - che non è della parlata
napoletana cantone) voce mutuata dal
siciliano;
púppeca prostituta, malafemmina, battona etc. ;
totalizzante offesa rivolta a donna e solo a donne; di per sé la voce a margine
varrebbe (donna)pubblica in quanto voce etimologicamente derivata per
adattamento locale dall’agg.vo lat. publĭca
(passato inalterato nello spagnolo cfr. mujer
publica=prostituta) secondo il seguente percorso morfologico publĭca→pubbica→pubbeca→púppeca;
quaquarchia/quarchiosa/quarchiamma
triplice morfologia d’un unico vocabolo di
partenza: quaquarchia che sostanziò una pesante offesa rivolta ad una
donna e solo a donne: donna brutta,sporca, sudicia, lorda, lercia, lurida
nonché sordida; volgare, scurrile, indecente
e quindi spregevole; la voce quaquarchia
come le successive,
etimologicamente derivano tutte da quarchia
(s.vo f.le d’origine onomatopeica per indicare una cosa sporca, un
oggetto unto); quaquarchia presenta
l’iterazione espressiva e rafforzativa
della prima sillaba posta in posizione protetica; sempre partendo da quarchia
si ottenne (addizionandole il suff. osa suffisso di pertinenza derivato dal lat. osa←osu(m)),si ottenne l’agg.vo sostantivato quarchiosa
= sporca, unta,impiastricciata e
dunque lorda, lercia, lurida nonché
sordida, volgare, scurrile, indecente;
infine sempre partendo da quarchia
si ottenne (addizionandole il suff.dispregiativo
amma (cfr. lut-amma/lot-amma) suffisso affine ad imma←imen (cfr. zuzz-imma
cazz-imma etc.), si ottenne quarchiamma s.vo f.le e solo f.le = cosa eccessivamente sporca o unta di grasso
fluido, donna sporca, sudicia, lorda, lercia, lurida, sconcia, abietta, turpe,
laida, immonda, ignobile
varvera s.vo f.le e solo f.le bruciante offesa che sta per prostituta
esosa, donnaccia pelatrice ed estensivamente anche piú semplicemente donna che sia
avida, ingorda, gretta, tirchia, spilorcia nonché
profittatrice,sfruttatrice, opportunista, adusa a pelare amici e conoscenti. Di
per sé infatti la voce a margine quale denominale del s.vo varva (dal lat. barba(m)
con normale passaggio di b a v (cfr. vocca←bucca(m),
varca←barca etc.) addizionato del suff. f.le èra che al m.le è iere (cfr.salum-era ma salum-iere, panett-era ma
panett-iere etc.) indicherebbe la barbiera f.le di barbiere: la donna o l’uomo che svolge il mestiere di radere la barba e tagliare o acconciare i
capelli ( rammento en passant che fino agli inizi del sec. XIX all'esercizio di
questo mestiere erano connesse anche pratiche mediche e chirurgiche);posto,
dicevo, che la voce indicherebbe in
primis la donna che svolgesse il mestiere di barbiere, è del tutto pacifico che
si possa indicare con il medesimo termine, a fini offensivi, una donna sfruttatrice, opportunista, adusa a
pelare (togliere figuratamente… i peli ad) amici e conoscenti.
vammana comincio con il dire che la voce vammana
fu un tempo accostato a mammana = levatrice domestica
levatrice, donna esperta che assiste le partorienti e ne raccoglie il parto (
sia vammana che mammana son voci
derivate dalla medesima voce del lat. volgare *mammàna(m)) ma per vammana
con forma dissimilata nella cons. d’avvio che da mammàna passa a vammana;
la
vocevammana
è usata, nel parlato comune
popolare, non per indicare una vera e propria levatrice che assiste la puerpera
e ne raccoglie il parto, ma per
significare, in senso dispregiativo, e quindi offensivo quelle praticone, prive di adeguata
preparazione, ma non di esperienza,
aduse ad esercitare pratiche abortive clandestine (spesso servendosi
di mezzi di fortuna, inidonei e pericolosi).Che si tratti di termine
dispregiativo è dimostrato dal fatto che già anticamente (cfr. Basile) la voce vammana
era usata quale epiteto.
Vommacavracciólle
ancóra un epiteto abbondantemente desueto
quantuque molto icastico ed espressivo; s.vo
o agg.vo f.le voce composta
addizionando una voce verbale (vommeca) ed un sostantivo pl. (vracciolle);
letteralmente vale: vomitabraccine ma
significò quale grave epiteto
offensivo strega antropofoga, fattucchiera,
ingorda
arpía, megera adusa iperbolicamente a cibarsi di bambini di cuiperò poi recedesse le braccia; un tempo la
voce a margine fu usata non solo come s.vo ma anche come agg.vo accostato al
s.vo janara ottenendosi un’offensiva janara vommecavracciole (megera
antropofoga) accostata alle pregresse janara
catarrosa ed janara
cecagnòla o scazzata (per ambedue
cfr. antea);
vommeca voce verbale (3 p.sg. ind. pres. dell’infinito
vummecà (= vomitare,recere,)
adattamento del lat. vomitare, intensivo di vomere 'vomitare': vomitare→vomicare→vommicare/vummecà;
vracciolle s.vo f.le diminutivo di vraccia pl. del m.le
vraccio = braccine del corpo umano; vraccio è dal lat. brachiu(m), che è dal gr. brachíon
con normale passaggio di b a v (cfr. vocca←bucca(m),
varca←barca etc.); rammento che negli anni ’50 del 1900 la voce in esame era
completamente sparita anche nel parlato nella zona bassa della città e se ne
adottò, quanto meno nel solo parlato, una sorta di adattamento che fu vommecavrasciole con il medesimo
significato di strega, megera, ingorda fattucchiera che vomitasse indigeste
braciole ripiene; la voce adottata metteva da parte le iperboliche e
raccapriccianti vracciolle (braccine)
per accontentarsi di piú probabili e meno inorridenti vrasciole (braciole/involtini ripieni); per ciò che riguarda la voce brasciola/vrasciola s.vo f.le dirò ch’esso s.vo deriva dal
tardo latino brasa/vrasa+ il
suff.diminutivo ola femm. di olus; semanticamente la faccenda si
spiega col fatto che originariamente la brasola
fu una fetta di carne da cuocere
alla brace, e successivamente con la medesima voce adattata nel napoletano con
normale passaggio della esse + vocale (so) al palatale scio che generò da brasola, brasciola si intese non piú una
fetta di carne da cucinare alla brace, ma la medesima fetta divenuto grosso
involto imbottito da cucinare in umido con olio, strutto, cipolla e molto
frequentemente, ma non necessariamente sugo di pomidoro, involto che è d’uso
consumare caldissimo.
A
margine di tutto ciò rammento che la
voce brasciola viene usata nel napoletano quale voce furbesca e di dileggio riferita
ad un uomo basso e grasso détto comunemente fra’
brasciola; ancóra la medesima voce è usata per traslato, ma piú spesso nei
dialetti della provincia, che nell’autentica parlata napoletana,per indicare un
tipo di pettinatura maschile, segnatamente quella del ciuffo prospiciente la fronte che semanticamente si ricollega alla brasciola
perché il ciuffo è quasi ripiegato come un grosso involto; a Napoli il medesimo
ciuffo cosí pettinato viene détto ‘o
cocco voce del linguaggio infantile che oltre ad indicare il ciuffo
suddetto è un s. m. [f. -a;
pl. m. -chi] voce familiare usata per indicare una persona prediletta, un oggetto di affettuosa e protettiva tenerezza
(spec. un bambino)che semanticamente si ricollega all’affettuosa tenerezza con
cui le mamme sogliono sistemare la pettinatura dei proprii bambini,
prediligendo il ciuffo ripiegato a mo’ di involto.
Infine
rammento ancóra che in taluni dialetti provinciali (Capri, Visciano etc.) ,
furbescamente con la voce brasciola viene indicata la vulva, con
riferimento semantico alla focosità e carnalità del sesso femminile.A Napoli
che pure (vedi alibi) sono in usi numerose voci per indicar la vulva, questa
provinciale brasciola non viene di norma usata.
Vottacàntere
altra desueta voce composta s.vo f.le
raramente anche m.le, ma come epiteto esclusivamente femminile; valse
letteralmente butta(svuota)cànteri cioè
serva o anche servo addetto ai lavori piú umili
e segnatamente a quello di vuotare in mare i cànteri cioè i grossi vasi
di comodo in cui la famiglia depositava le proprie deiezioni giornaliere; va da
sé che una siffatta misera serva o talore misero servo fosse ritenuto un essere
immondo, sudicio, sporco, sozzo, lurido; repellente, ripugnante, schifoso,
disgustoso, nauseabondo, sconcio, laido tale che con la voce a margine si
sostanziasse una corposa offesa.
Se
serva la donna addetta al còmpito rammentato fu détta anche
zambracca= serva di infimo conio, fantesca addetta alla pulizia dei
cessi e/o dei cànteri. La voce a margine origina dall’addizione del suffisso
dispregiativo acca (=accia) con
la parola zambra (che è dal
francese chambre) in francese la voce chambre
indicò dapprima una generica camera,
poi uno stanzino ed infine il gabinetto di decenza. Pure questa zambracca
fu usato quale epiteto offensivo nella medesima valenza precedente; tornando a
vottacàntere ripeto che si tratta di una voce s.vo f.le o talora m.le composta da una voce
verbale votta = butta, svuota
etc. (3° pers. sg. ind. pres. dell’infinito vuttà
= gettare,buttare, svuotare etc. dal fr. ant. bouter, provenz. botar,
di orig. germ con il consueto passaggio di b a v.; la voce
verbale votta non è da
confondere con l’omofono omografo s.vo votta = botte (dal lat. tardo *butta(m)→vutta(m)→votta
'piccolo vaso') che semanticamente nulla à a che vedere dall’incombenza
esercitata dal/dalla vottacàntere
1) càntare/càntere s.vo m.le pl. di càntaro/càntero alto e vasto vaso
cilindrico dall’ampia bocca su cui ci si
poteva comodamente sedere, vaso di
comodo atto a contenere le deiezioni solide; etimologicamente la voce càntero o
càntaro è dal basso latino càntharu(m)
a sua volta dal greco kàntharos;
rammenterò ora di non confondere la voce a margine con un’altra voce partenopea
e cioè con:cantàro (che è dall’arabo quintâr)
diversa per accento tonico e significato: questa seconda infatti è voce usata
per indicare una unità di misura: cantàio= circa un quintale ed è a tale misura che si riferisce
il detto napoletano: Meglio ‘nu cantàro
‘ncapo ca n’onza ‘nculo ( e cioè: meglio sopportare il peso d’un quintale
in testa che (il vilipendio) di un’oncia (ca
Vutà ‘o càntero
=
vuotare il vaso di comodo vale a
dire: rinfacciare torti subíti o
spiacevolezze patite; anche in questo caso è relativamente semplice
cogliere il collegamento semantico tra il vuotare
un vaso di comodo ed il rinfacciare torti subíti trattandosi in
ambedue i casi di due operazioni fastidiose e/o spiacevoli, ma necessarie ed in
fondo chi rinfaccia torti subíti o
spiacevolezze patite si affranca di
qualcosa di sgradevole che fino al momento di liberarsene era stata tenuta come un peso increscioso sul proprio
io, il tutto alla medesima stregua di chi in tempi andati, come ò già riferito
( e cfr. ad abundantiam alibi ‘a malora ‘e Chiaia ) era costretto
all’incresciosa, ma necessaria operazione di svuotare in mare i vasi di comodo
colmi degli esiti fisiologici della famiglia.
Vutà/are v. tr. = vuotare,
rendere vuoto, privare qualcosa del contenuto; svuotare; etimologicamente
denominale del lat. volg. *vocitu(m), variante di *vacitu(m),
part. pass. di *vacíre 'essere vuoto', corradicale del lat. vacuus
'vuoto'.
Faccio
notare che nel napoletano non va confuso il verbo a margine vutà =
vuotare con il verbo avutà/are = voltare, girare,
volgere, indirizzare in un altro senso; orientare altrove (derivato dal lat.
volg. * a(d)+volutare, intensivo di volvere 'volgere'; da * a(d)+volutare→av(ol)utare→avutare).
E
sempre per restare in tema di di càntaro/càntero
e di insulti/epiteti veniamo a dei
duri brucianti insulti che sono: a) Piezzo ‘e càntero scardato! e b) Pezza
‘e càntero!
Sgombero
súbito il campo da un facile equivoco: è vero che l’insulto sub a) per solito è
rivolto ad un uomo dandogli del coccio infranto di un vaso da notte sbreccato,
nell’intento di classificarlo e considerarlo moralmente sporco, lercio, immondo, individuo sordido,
abietto, corrotto, ripugnante come potrebbe essere un pezzaccio di un vaso da notte che per il lungo uso
risulti sporco e sbreccato; dicevo è pur
vero che l’insulto sub a) per solito è rivolto ad un uomo, mentre l’insulto sub
b) è rivolto ad una donna,bollando anche costei come persona moralmente sporca,
sozza, lorda e quindi da evitare, ma le
voci usate piezzo e pezza non sono il maschile ed il femminile di un
unico termine, come qualche sprovveduto potrebbe ipotizzare, ma sono due
sostantivi affatto diversi di significato affatto diversi:
piezzo s.vo m.le = pezzo, quantità,
parte non determinata, ma generalmente piccola, di un materiale solido, qui
usato nel significato di coccio, ciascuno dei pezzi in cui si rompe un oggetto
fragile; l’etimo della voce a margine è dal lat. med. pettia(m) con metaplasmo e cambio di genere; ben diverso il
sostantivo
pezza s.vo
f.le = straccio, cencio, pezzo, ritaglio di tessuto (con etimo dal dal lat. med. pettia(m)); nella fattispecie la pezza dell’insulto in
esame fu quello straccio, quel cencio usato in tempi andati per ricoprire, in
attesa di vuotarli, i cànteri usati
quando cioè risultassero colmi di escrementi; la medesima pezza era talora
usata per nettarsi dopo l’operazione scatologica ed in tal caso però prendeva furbescamente il nome di ‘o liupardo (il leopardo) risultando
détta pezza al termine delle operazioni maculata a macchie come il mantello
d’un leopardo.
Rammento
infine che in luogo dell’insulto piezzo ‘e càntero
un
tempo fu usato un corrispondente scarda ‘e ruagno che ad litteram
è: coccio di un piccolo vaso da notte.
Cosí con gran disprezzo si usò e talvolta ancóra s’usa definire chi sia sozzo,
spregevole ed abietto al punto da poter essere paragonato ad un lercio coccio
di un contenuto vaso da notte infranto, vaso che è piú piccolo e basso di
quello detto càntaro o càntero.
Per ciò che attiene alla etimologia della parola
scarda s.vo
f.le che è pari pari anche nel siciliano, nel pugliese ed in altri
linguaggi meridionali, considerata da sola e senza aggiunte specificative, vale: pezzo, scheggia frammento, scaglia (di
legno, di vetro o di altro); per ciò che attiene l’etimo,dicevo noto che il D.E.I. si trincera dietro un pilatesco
etimo incerto una scuola di pensiero (C. Iandolo) propone una culla tedesca sarda=
spaccatura, qualche altro (Marcato) opta per una non spiegabile, a mio avviso,
derivazione da cardo che dal lat. cardu(m) indica quale s. m.
1 pianta erbacea con foglie lunghe, carnose, di colore biancastro, commestibili
(fam. Composite) | cardo mariano, pianta erbacea con foglie grandi e
infiorescenze globose a capolino (fam. Composite) | cardo dei lanaioli, pianta
erbacea con foglie fortemente incise e infiorescenze a capolino, di colore
azzurro, con brattee uncinate, usate per cardare la lana e pettinare le stoffe
(fam. Dipsacacee)
2 il riccio della castagna
ed ognuno vede che non v’à alcun collegamento semantico possibile tra questa
pianta ed un pezzo, scheggia frammento, scaglia (di un qualcosa).
A mio modo di vedere è molto piú opportuno chiedere soccorso etimologico al francese
écharde: scheggia.
Sistemata cosí la questione etimologica, affrontiamo quella semantica
ricordando che in napoletano con l’accrescitivo femminile scardona la voce in
epigrafe assume un significato del tutto positivo valendo gran bel pezzo di
ragazza,di donna; con la voce scardona viene infatti indicata una donna
giovane, bella, alta, formosa fino ad esser procace; al contrario una valenza
affatto negativa la voce scarda (che
attraverso il verbo scardare=
sbreccare è anche alla base dell’agg.vo scardato/a) l’assume nell’espressione Sî‘na scarda ‘e ruagno! = Sei un coccio
d’un piccolo vaso da notte!
Ruagno s.vo m.le = pitale, piccolo vaso da notte.Per ciò che riguarda
etimo e semantica di questa voce dirò súbito che essendo solitamente questo
vaso di comodo ubicato nei pressi del letto per essere prontamente reperito in
caso di impellenti necessità, scartata l’ipotesi fantasiosa che ne fa derivare
il nome da un troppo generico greco organon (strumento), penso si possa aderire
all’ipotesi che fa derivare il ruagno
da altro termine greco, quel ruas che
indica lo scorrere, atteso che il ruagno era ed in alcune vecchie case
dell’entroterra campano ancóra è destinato ad accogliere improvvisi
contenuti scorrimenti o viscerali o derivanti da cattiva ritenzione
idrica.
schiattacàntere anche in questo caso ci troviamo di
fronte
ad
un antico, desueto epiteto in forma di voce composta, voce f.le, ma pure m.le
che letteralmente sta per crepacànteri e che pertanto non è un sinonimo (come
invece qualche disaccorto addétto ai
lavori à erroneamente opinato)in
quanto la voce in esame non è
riconducibile all’attività svolta da un/una servo/a di vuotare i vasi di comodo
liberandoli delle deiezioni ivi contenute
e come tale essere immondo, sudicio, sporco, sozzo, lurido; repellente,
ripugnante, schifoso, disgustoso, nauseabondo, sconcio, laido; niente di tutto
ciò! Con la voce a margine ci troviamo invece difronte a tutt’altra tipologia
di soggetto per quanto anch’esso nauseante, ripugnante, ributtante,
stomachevole, sgradevole in quanto soggetto aduso a stomachevoli pletoriche
ripetute deiezioni tali da produrre iperbolicamente la crepatura o rottura dei
vasi destinati a contenerle; in napoletano l’azione del crepare, rompere,
squarciare è resa con l’infinito schiattare/à (voce intesa d’origine onomatopeica, ma è lecito
ipotizzare un tema latino sclap-it da un originario sclap (il medesimo di schiaffo), da sclapit
si ricavò un lat. parlato *sclapitare→sclaptare→schiaptare→schiattare);
dicevo che in napoletano l’azione del
crepare, rompere, squarciare è resa con l’infinito schiattare/à per cui
addizionando la 3° pers. sg. dell’ind. pres. schiatta con il consueto s.vo
cànatare/càntere si ottenne la voce a margine usata quale epiteto rivolto ad
una ripugnante donna accreditata, per offesa
di stomachevoli pletoriche ripetute deiezioni tali da produrre
iperbolicamente la crepatura o rottura dei vasi destinati a contenerle;
vocca ‘e
cernia antico, desueto
offensivo epiteto di pertinenza femminile e talora anche m.le; epiteto formato
addizionando al s.vo f.le vocca (=bocca, dal lat. bucca(m)→vucca→vocca con consueto,
normale passaggio di b a v (cfr. varva←barba(m),
varca←barca etc.) ) con lo specificativo ‘e cernia (di cernia) per indicare
una donna brutta, deforme, sguaiata,
volgare, triviale, scurrile, sboccata, maleducata, rozza, zotica, grossolana,
linguacciuta e pettegola provvista iperbolicamente, alla bisogna d’una bocca
ampia tal quale quella della cernia; la cernia (dal lat. tardo (a)cernia(m)
infatti è un pesce marino, comune nel
mediterraneo, di dimensioni medio grandi con carni pregiate, ma d’aspetto poco
rassicurante, brutto e deforme,
provvista altresí di una grossa brutta ed irregolare bocca vorace;
zoria eccoci all’ultimo antico, desueto epiteto, registrato
dal Basile e di pertinenza f.le e solo f.le; si tratta d’un s.vo f.le usato
anche come agg.vo nel significato di furba,maliziosa, maligna, malevola, adescatrice,seduttrice, ammaliatrice; con
diversa valenza: prostituta, donna da marciapiede, sgualdrina, baldracca,
donnaccia; la voce a margine voce
marcata sullo spagnolo zorra (dove vale volpe e/o zoccola): come volpe semanticamente riporta
al significato di furba, adescatrice,seduttrice, ammaliatrice etc.; come
zoccola semanticamente richiama il significato di sgualdrina, baldracca,
donnaccia, prostituta etc.
In
coda ed a completamento dell’elencazione segnalo altre due icastiche voci: cantimbrora
e cutroscia;
rammento che la prima e cioè cantimbrora è usata per solito addizionata dell’agg.vo vecchia;
la voce cantimbrora è un s.vo f.le e solo f.le che in primis
di per sé indica [con etimo dall’iberico cantimplora]
un capace catino di stagno e/o vetro,a bocca larga e sponda alta usato a) per
mantenere in fresco il vino da pasto o dessert per il tramite di pezzi di
ghiaccio; b)per il rigoverno veloce,
coram populo di chicchere o bicchieri;per
traslato come nel caso che ci occupa è un’offesa rivolta a donna vecchia bassa e
grassa.
Altra
voce icastica è cutroscia
s.vo f.le e solo f.le che
però non è d’uso napoletano, ma di altre province campane: Salerno, Benevento
ed in genere segnatamente di quelle zone dove esisteva un signorotto locale con
propria corte e maniero; etimologicamente la voce nel significato generico di prostituta, meretrice, cortigiana è infatti una lettura metatetica ed abbreviata
di curtesciana→cutrescia(na)→cutroscia.
Altro
epiteto da rammentare benché desueto è quello che recita allessa ‘e miezejuorno, icastica espressione che ad litteram è:
castagna lessa di mezzodí nel intento di identificare una persona (uomo o donna
adulto/a) di nessun valore, di scarsa
qualità, di scarto, mediocre, scadente e ciò
in quanto le castagne lesse furono cibo consumato nelle ore del mattino e va da
sé che quelle che gli avventori mattutini avessero scartate in quanto non buone
o appetibili, restassero in fondo al paiolo fino a mezzodí quale merce
invenduta perché scadente.
allessa s.vo f.le = castagna
privata del riccio e della dura scorza esterna e bollita in acqua con aggiunta
di foglie d’alloro e semi di finocchio ; voce derivata dal part. pass. femm.
del tardo lat. elixare 'far cuocere nell'acqua, sebbene qualcuno proponga un tardo
lat. *ad-lessa(m) ma non ne vedo la necessità in quanto nulla osta al passaggio
che riporto elixare→alissare→allissare→allessare e da quest’ultimo il part.
pass allessato/a→allessa(to/a)→allessa.
E
qui penso di poter far punto convinto d’avere esaurito l’argomento, soddisfatto
l’amico P.G. ed interessato qualcun
altro dei miei ventiquattro lettori e piú genericamente chi dovesse imbattersi in queste paginette.
Satis est.
RaffaeleBracale
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