BOTTEGAIO – VENDITORI &
DINTORNI
Questa volta per contentar l’amico Edoardo C. ( peraltro dettosi
molto soddisfatto di quanto, su suo
invito, scrissi circa i Contenitori
& altro) per contentar, dicevo,
l’amico Edoardo C. che me ne à
richiesto,autorizzandomi a fare il nome, ma non il cognome..., cercherò di
illustrare le voci in epigrafe e quelle
corrispondenti del napoletano, considerando però solo le
voci generiche senza
addentrarmi in quelle specifiche quali
ad es potrebbero essere :orefice, gioielliere ( che nel napoletano ànno il corrispondente in arefice dal lat. aurifice(m)→a(u)rifice(m)→arefice), salumiere (che nel
napoletano à il corrispondente in casadduoglio da caseum-et-oleu(m)→casetuoglio→casettuoglio→casadduoglio), o
merciaio(che à nel napoletano i corrispondenti in zarellaro/zagrellaro/zagarellaro
(voci derivate da zagarella/ zarella/ziarella che etimologicamente nella triplice morfologia (la seconda e terza
voce son solo delle semplificazioni d’uso popolare della prima voce)sono adattamenti
collaterali di zaganella diminutivo
di zàgana
s.vo f.le che è voce region., di area
umbro-laziale, dove indica una sottile treccia di lana o di seta per rifinitura
di abiti femminili;quanto all’etimo di questa zàgana da cui àn preso derivazione zaganella nonché le voci in esame che – ripeto – ne son
collaterali, atteso che zàgana è voce
affine a sagola di cui pare
addirittura un metaplasmo regionale, si può sospettare un adattamento della
voce portoghese soga (fune, corda)
secondo il percorso soga→sogana →sagana→zagana sempre che la voce zàgana non sia un adattamento dell’arabo zahara ( chiaro,splendente) poi che in origine la zàgana (nastro, fettuccia) fu esclusivamente bianco usato per agghindare
il capo delle fanciulle in abito bianco da prima comunione).Ciò detto,
cominciamo col dire che, partendo dalla voce piú comune, in italiano abbiamo:
- commerciante s. m. e f. chi per professione esercita un commercio: commerciante
in legnami, di tessuti etc.;
la voce commercio che è alla base del verbo commerciare (= svolgere un’ attività di intermediazione nello
scambio delle merci, scambiare merci con denaro o altra merce, barattare,
mettere in vendita) donde deriva quale
part. pres. la voce a margine, viene dal lat. commerciu(m), comp. di cum
'con' e merx-mercis 'mercanzia, merce';
- negoziante s. m. e f. chi per professione gestisce un negozio di vendita al
pubblico: negoziante di vini; negoziante al minuto, all'ingrosso:
chi esercita un commercio di merci vendute al dettaglio o in grandi quantità;
quanto all’etimo la voce a margine è il part. pres. del verbo negoziare che deriva dal lat. negotiari,
deriv. di negotium 'affare, negozio' e che nell’ordine vale:
1)trattare per la compravendita,
2)condurre le
trattative per raggiungere un accordo, spec. in ambito politico,
3)acquisire i
diritti di un titolo di credito anticipandone l'importo, salvo rimborso in caso
di mancato pagamento da parte del debitore,
ma in senso esteso
e nell’accezione che ci occupa, sta per
4) esercitare il
commercio, commerciare: negoziare in olio, in granaglie etc.;
- venditore s. m. [f. -trice, pop. -tora] chi vende o à venduto qualcosa;
piú specificamente, proprietario o gestore di un negozio di vendita, oppure
chi, in una organizzazione di vendita, è a diretto contatto con il cliente '
venditore ambulante, chi esercita un commercio al minuto spostandosi da
luogo a luogo con tutta la sua mercanzia ' venditore di fumo, (fig.)
millantatore, ciarlatano; la voce etimologicamente è dal lat. venditore(m);
- bottegaio s. m. [f. -a]
1) proprietario, gestore di una
bottega, spec. di generi alimentari,
2)(in
senso spreg.) persona venale e gretta; trafficante, speculatore;
la voce a margine, quanto all’etimo (cfr.
infra bottega) è un derivato del lat. apothēca, addizionato del suff. di
appartenenza arius→aio;
- trafficante s. m.o f.
1) mercante,
2) [anche f.] chi
esercita traffici, soprattutto se illeciti: un/una trafficante di droga
|
3)(fig.)
persona che briga per conseguire i propri interessi; quanto all’etimo la voce
a margine è il part. pres. del verbo trafficare
che vale: a)commerciare in qualcosa: trafficare in
vini b) esercitare traffici
illeciti: trafficare con merce rubata
c) darsi da fare, affaccendarsi:
à trafficato tutto il giorno per casa;
usato in senso spregiativo vale
a1) commerciare, vendere: trafficare
cariche
b1) maneggiare;
quanto all’etimo la voce a margine
deriva dal catal. trafegar
"travasare", e piú genericam. "spostare da un luogo a un
altro", ricondotto a un lat. *transfaecare "liberare dalla
feccia".
Le voci di
pertinenza o riferimento di quelle
appena esaminate sono:
bottega s. f.
1) locale al piano terreno, per
lo piú aperto sulla strada, dove si espongono e si vendono merci di vario
genere; negozio: la bottega del panettiere | aprire, mettere
su bottega, mettersi a fare il negoziante; cominciare un commercio,
un'attività | chiudere bottega, cessare la propria attività commerciale
o (fig.) interrompere ciò che si
sta facendo, abbandonare un'impresa | stare di bottega, avere il negozio
in un dato luogo | fondi, scarto di bottega, merce residua di una
vendita; (fig.) roba di nessun valore | far bottega di tutto, (fig.)
far commercio di qualsiasi cosa, anche di ciò che non andrebbe trattato come
merce | essere uscio e bottega, (fig.) abitare vicino alla
bottega o, per estens., al posto di lavoro | avere la bottega aperta, (scherz.)
i pantaloni sbottonati. DIM. botteghina, botteghino (m.) accr.: bottegone
(m.) vezz.: botteguccia
2) laboratorio, officina dove
lavora un artigiano: la bottega del calzolaio | andare, stare,
mettersi a bottega da qualcuno, imparare presso di lui il mestiere, fare
l'apprendista
3) nel medioevo e nel
rinascimento, il laboratorio di un artista famoso, frequentato da aiutanti e
allievi; anche, la sua scuola artistica: la bottega di Giotto | opera
di bottega, opera non attribuibile a un artista, ma eseguita dalla sua
scuola;
quanto all’etimo l’italiano
bottega - come ò già accennato - è un derivato
del lat. apothēca;
magazzino s.m.
1 locale
per il deposito o la conservazione di merci o materiali; l'insieme dei locali
adibiti da un'azienda a tale scopo: un negozio con retro e magazzino; il
magazzino delle materie prime | magazzini generali, stabilimenti
commerciali pubblici che provvedono alla conservazione della merce depositata,
rilasciando a richiesta del depositante una fede di deposito e una nota di
pegno, che sono titoli di credito all'ordine trasferibili mediante girata | magazzini
doganali, in cui si può depositare la merce in attesa di sdoganamento | magazzino
ferroviario, portuale, luogo di deposito di merci e attrezzi | magazzino
frigorifero, fornito di impianto di refrigerazione, dove si depositano
merci deteriorabili
2 l'insieme delle merci depositate;
anche, il valore di tali merci: giacenze di magazzino; produrre per
il magazzino, indipendentemente dalle immediate possibilità di vendita
3 l'ufficio preposto al deposito
delle merci e la sua attività: contabilità di magazzino
4 spec. pl. locale molto
ampio o complesso di locali per la vendita al dettaglio di una grande varietà
di merci; emporio, supermercato: fare la spesa ai grandi magazzini
5 (fig.) grande quantità
di cose | essere un magazzino di erudizione, si dice di persona molto
colta o di libro ricco di citazioni, di riferimenti dotti
6 (foto.) involucro
impenetrabile dalla luce, in cui si conserva la pellicola fotografica o
cinematografica da impressionare
7 (tip.) la parte
superiore della linotype, contenente le matrici.
Etimologicamente la voce a margine è dall'ar. mahzin,
pl. di mahzan 'deposito, ufficio'; nel sign. 4, sul modello del fr. magasin
negozio, s. m.
1) affare, operazione
commerciale: trattare, concludere un negozio; fare un cattivo
negozio | negozio giuridico, (dir.) la dichiarazione di volontà del
privato volta al raggiungimento di fini pratici protetti dall'ordinamento
giuridico; può essere unilaterale (p. e. un testamento) o bilaterale (p.
e. un contratto di compravendita)
2) nel senso che ci occupa,, locale direttamente accessibile dalla strada,
generalmente al pian terreno, dove si vendono merci al minuto; anche, l'impresa
commerciale che gestisce tale locale; bottega: un negozio ben fornito, di
lusso; un negozio di articoli sportivi, di parrucchiere; aprire,
rilevare un negozio | giovane di negozio, (antiq.)
garzone. dim. negozietto accr. negozione spreg. negoziuccio
pegg. negoziaccio
3) (lett.) attività, occupazione
4) (ant.)
incarico, mansione;
quanto all’etimo negozio è un derivato del lat. negotiu(m) 'affare, occupazione, interesse', comp. di nec
'non' e otium 'riposo dagli affari, tempo libero, ozio';
- esercizio, s. m.
1) l'esercitare,
l'esercitarsi: esercizio della memoria, di una professione; libero
esercizio dei propri diritti; esercizio delle proprie funzioni,
l'adempimento di esse | tenere, tenersi in esercizio, esercitare,
esercitarsi | fare esercizio, esercitarsi; in partic., fare del moto | essere
in esercizio, fuori esercizio, allenato, non allenato; riferito a
impianto, essere, non essere in funzione
2) prova o insieme di prove che
servono ad acquistare pratica in una materia o in un'attività: libro, quaderno
degli esercizi; fare un esercizio di traduzione, di matematica;
esercizi atletici, ginnici; esercizi di pianoforte | (lett.)
prova severa: esercizio di pazienza ' esercizi spirituali,
pratica religiosa che consiste nel ritirarsi temporaneamente dalle normali occupa,zioni
per trascorrere alcuni giorni in preghiera e in meditazione
3) nel senso che ci occupa, gestione, conduzione di un'azienda, di un
negozio; anche, l'azienda, il negozio stesso: licenza d'esercizio; aprire
un esercizio di generi alimentari | pubblico esercizio, albergo,
ristorante, bar, sala di spettacolo e sim.
4) periodo di gestione, per lo
piú annuale, di un ente, di un'impresa: esercizio finanziario; l'esercizio
2007 si è chiuso in deficit; costi d'esercizio, riguardanti la
normale gestione, non già l'acquisizione di beni capitali | esercizio
provvisorio, autorizzazione che il parlamento dà al governo ad erogare le spese
e a riscuotere le entrate corrispondenti all'ordinaria amministrazione, in
attesa di una ritardata approvazione del bilancio preventivo;
quanto all’etimo la voce esercizio
è un derivato del lat. exercitiu(m) deriv. di exercíre 'tenere in esercizio,
esercitare'
- rivendita, s. f.
1) il rivendere,
2) nel senso che ci occupa,
spaccio in cui si vendono merci al minuto: rivendita di generi alimentari,
di tabacchi;
quanto all’etimo rivendita è un deverbale di rivendere che è dal lat. tardo
revendere, comp. di re-, con valore iterativo, e vendere
'vendere';
- emporio s. m. 1) grande centro commerciale,
luogo di raccolta e di smistamento di merci: il Pireo fu il maggiore emporio
della Grecia antica | (fig. lett.) centro di diffusione di cultura:
2) nel senso che ci occupa,, grande magazzino dove si vendono
merci di ogni genere; negozio che vende prodotti varî
3) (estens.) grande
quantità di cose diverse, spec. se ammucchiate disordinatamente;
quanto all’etimo la voce in
esame è un derivato del lat. emporiu(m), dal gr. empórion, deriv. di émporos
'viaggiatore per commercio, mercante', comp. di en 'in' e póros
'passaggio, cammino';
- laboratorio,
s. m.
1) locale o
complesso di locali attrezzati per ricerche scientifiche: laboratorio chimico,
farmaceutico; laboratorio di analisi; esperienze di
laboratorio | laboratorio linguistico, dotato di apparecchiature che
rendono piú agevole l'apprendimento di una lingua straniera | laboratorio
spaziale, situato in un satellite artificiale o veicolo spaziale; per
estens., il satellite o il veicolo stesso
2) nel senso che ci occupa,officina annessa ad un negozio; locale dove si svolgono attività
artigianali: il laboratorio di una gioielleria; laboratorio di
sartoria;
quanto all’etimo
laboratorio è un derivato del lat. mediev. laboratoriu(m) 'lavorabile', deriv. del class. laborare
'lavorare',
- officina s. f. 1) complesso di impianti adibiti a
lavorazioni di carattere artigianale o industriale; il locale o i locali in cui
sono installati tali impianti | nell'uso corrente, laboratorio meccanico per la
riparazione di veicoli a motore: portare l'automobile in officina; officina
mobile, montata su autofurgoni o altri mezzi di trasporto | nave
officina, attrezzata per riparazioni in mare; 2) bottega, laboratorio di un artista | (fig.)
ambiente in cui si producono opere artistiche, letterarie, scientifiche; centro
di propulsione di attività intellettuali, spirituali; molto interessante
l’etimologia di officina che è dal lat. officina(m), derivato da un
piú ant. opificina, deriv. di opifex -ficis 'operaio', comp. di opus
-eris 'opera' e un corradicale di facere 'fare'.
Ed ora veniamo al napoletano dove per indicare il bottegaio, abbiamo le seguenti
voci generiche:
accattevvénne
s.m.e f. mercante soprattutto
al minuto, bottegaio, o commerciante girovago di merci varie,o anche di merci
usate(soprattutto abiti) commercio effettuato però (per evitare giacenze di
magazzino o deposito) senza far correr
eccessivo lasso di tempo tra l’acquisizione delle merci e la loro rivendita;
manca nell’italiano una precisa voce che
ripeta questa napoletana a margine; l’unica che potrebbe, ma relativamente accostarvisi, sia pure soltanto
per ciò che riguarda il commercio delle merci
usate(soprattutto abiti), è cenciaiuolo/cenciaio=
chi compra e rivende stracci e cenci: ma per l’esatta voce del napoletano che
indica codesto cenciaiuolo/cenciaio vedi infra sapunaro;
quanto all’etimo la
voce a margine risulta essere l’agglutinazione di due voci verbali: accatta e venne; accatta (3 per.
sg. ind. pres. dell’infinito accattare/accattà=
comprare, acquistare, ma in origine prendere,
conquistare giusta l’etimo dal lat. ad+
captare che è un frequentativo di capere=prendere);
venne (3 per. sg. ind. pres. dell’infinito vennere= vendere, cedere
ad altri la proprietà di qualcosa ricevendone un corrispettivo ; l’etimo di vennere è dal lat. vendere,
da vínum dare 'dare in vendita' con
la tipica assimilazione progr. nd→nn; l’agglutinazione
di accatta con venne attraverso la
congiunzione e à prodotto la caduta
della a finale di accatta e la geminazione della v di venne; per cui si è avuto
accatta
e vvénne→accattevvénne;
- bazzariota svo.m.le
spesso usato come agg.vom.le e solo m.le voce antica e desueta che in
origine indicò un rivenditore girovago, un treccone cioè un venditore
al minuto di generi alimentari (spec. verdure,legumi, uova, pollame ecc.);
rivendugliolo cioè chi rivende al minuto, per lo
piú cibo o merci di poco conto, in baracche o con carrettini, | (spreg.) venditore disonesto; poi per ampliamento semantico
indicò il perdigiorno, il briccone, il giovinastro sfaccendato (detto alibi icasticamente stracquachiazze e cioè propriamente il bighellone aduso ad un cosí lungo, continuo, ma
inconferente girovagare tale da addirittura consumare, stancar le piazze; di
per sé il verbo stracquà che forma la voce stracquachiazze unito con il sostantivo chiazze
plurale di chiazza (=piazza dal latino platea)
indicherebbe lo spiovere, il venir meno della pioggia, ma nel caso di stracquachiazze estensivamente sta per
il venir meno… delle forze o della consistenza strutturale delle ipotetiche piazze calpestate, senza
tregua dal perdigiorno o dal bazzariota di turno;
quanto all’etimo bazzariota deriva dall’arabo bazàr=mercato attraverso un
greco mod. bazariotes o pazariotes=
mercante, negoziante;
- putecaro s.m.
(al f. –ara) che letteramente indica
1)il titolare di
una (vedi infra) puteca, proprietario,
gestore di una bottega, spec. di generi alimentari,
(in senso spreg.) 2) persona venale e gretta;
3)trafficante;
la voce putecaro etimologicamente – come ò accennato – parte
dal sost. puteca ( che è dal greco apothéki→(a)pot(h)éki→puteca
) con l’aggiunta del consueto suff. di competenza arius→aro;
- sapunaro s.
m. letteralmente venditore
girovago, chi compra e
rivende roba usata di scarso valore, rigattiere, robivecchi; tale venditore girovago aduso a
comprare e rivendere, per poche lire, roba vecchia, usata, di scarso valore tra cui pentolame, cenci, ed abiti dismessi era solito offrire in cambio
di détte merci in luogo di (sia pure poco) danaro, del sapone voce che è dal
tardo lat. sapone(m), e che indicò in origine una
'miscela di cenere e sego per tingere i capelli', voce di orig. germ. (vedi
sapp) solo successivamente indicò le
paste usate quali detergenti. Rammenterò che i saponi conferiti dai saponari
nei loro scambi, non erano le
saponette industriali che conosciamo, ma
un tipo di sapone artigianale molto
morbido e di colore ambra (da usare per detergere abiti e biancheria e non per la pulizia personale), che veniva ceduto avvolto in fogli di carta
oleata, a mo’ di fétte, staccandole con
una lama da un parallelepipedo compatto;
tale sapone era comunemente detto sapone ‘e piazza= sapone della piazza,
forse perché venduto non in una qualche specifica bottega (come è invece per altre merci) ,
ma esclusivamente per istrada /piazza dai venditori
girovaghi e/o rigattieri, robivecchi (saponari
) che ne erano anche i produttori artigianali secondo antiche
ricette ; va da sé che la voce a margine deriva da sapone(m) + il suff. di
competenza arius→aro;
- sciammuttajuolo s.
m. antica e desueta voce
con la quale si indicò quel generico commerciante, sorta di rigattiere che si dedicava a gli sciammuottoli=
piccoli traffici, contenuti affarucci, scambi e baratti o all’aria aperta o in minuscole bottegucce nei
mercatini rionali, contentandosi di sciammuttulïà= guadagnucchiare, fare
piccolissimi guadagni, ottenuti spesso con varî generi di espedienti ( tra i quali talvolta non mancava il furtarello);
non tranqullissimo
l’etimo del verbo sciammuttulïà donde
derivano anche sia sciammuottolo che sciammuttajuolo; qualcuno ipotizza uno *sciambà (da un lat. *examplare= rendere ampio, ma non mi
riesce di cogliere il collegamento
semantico, neppure per traslato , esistente tra il rendere ampio ed il guadagnucchiare,
fare piccolissimi guadagni; preferisco (quantunque non chiarissima...) l’idea
del Faré che riferendosi al concetto di baratto, scambio ipotizzò un
metaplasmo operato partendo da un lat. tardo cambiare→scambiare ,
di orig. gallica attraverso un fr. échanger,
temo però comunque che occorrerà tornare
su queste voci per tentare di venire a
capo dell’esatto percorso semantico e morfologico dell’etimo proposto dal Faré ;
suggeco s.m.
altra antica
voce desueta che tuttavia compare – con qualche aggiustamento (subico –
subiugo) - in Calabria e Sicilia; voce
che indicò il venditore al minuto (con botteguccia o piú spesso, carrettino o banco fisso in mercatini rionali) di
cibi crudi e/o cotti; l’etimo della voce
a margine è dal lat. subiugus= soggetto
al giogo che nella fattispecie, semanticamente è quello dell’ assisa (=tassa,
imposta,sorta di calmiere, voce derivata
dal fr. ant. assise, che è dal lat. mediev. accisia, deriv. di accidere
'tagliare');il suggeco si ebbe questo nome
trattandosi infatti di un
commerciante soggetto alle ricognizioni
continue degli ufficiali deputati della grascia voce che derivata dal lat. volg. *crassia(m),
che è da crassus;indicò1)nel medioevo, ogni sorta di vettovaglia da cui
era costituito l'approvvigionamento di una città; anche, il dazio che si doveva
pagare per introdurvela
2)la magistratura cittadina che
sovrintendeva agli approvvigionamenti;
va da sé che gli
ufficiali della grascia nelle loro visite, come primo provvedimento esigessero
la tassa dell’assisa, o multassero chi non applicasse i prezzi stabiliti con il
calmiere; non mi risulta che esista
nell’italiano una voce che corrisponda al napoletano suggeco;
- trafecante s.m.
commerciante, negoziante generico chiunque
compra e rivende qualcosa; per estensione e figuratamente: maneggione cioè chi à per le mani molti traffici e affari,
soprattutto se poco puliti;
quanto all’etimo si tratta del part. pres. del verbo trafecà dal catal. trafegar "travasare",
e piú genericam. "spostare da un luogo a un altro", ricondotto a un
lat. *transfaecare
"liberare dalla feccia".
Come ò fatto per le voci dell’italiano, tratto ora
le voci napoletane di pertinenza di queste appena
illustrate; abbiamo:
bazzarre s.m. = 1) bazar,
2) negozio in cui si
vendono le merci piú svariate,
3) emporio
di articoli spesso di scarso valore. ...
4) (fig.) luogo pieno di
oggetti ammassati alla rinfusa.
quanto all’etimo la
voce a margine deriva dall’arabo bazar (marcato
sull’omonimo persiano bazar
'mercato'); la voce del napoletano ( che – come risaputo - rifuggia dalle
parole terminanti per consonante: unica eccezione nun) à comportato il
tipico raddoppiamento espressivo della consonante erre e la paragoge della vocale finale evanescente (cfr. alibi tramme←tram, bisse←bis, barre←bar,gasse←gas, autobbusso←autobus)
nijozio s.m. brutta vecchia voce peraltro pochissimo usata nel parlato popolare (che gli preferí
sempre la voce successiva), ma in uso nel linguaggio dei letterati o di autori
di canzonette, linguaggio dove accanto al
significato di negozio, ebbe varî
significati traslati: cosa di cui non
soccorre il nome, notizia, generica cosa, membro virile quanto all’etimo siamo in presenza d’un osceno
adattamento dell’italiano negozio sconcezza operata da non so bene quale
improvvido letterato aduso a trattare piú con i volumi della propria bibloteca
che con l’eloquio del popolo;
puteca
s.f. bottega, locale al piano terreno, per lo piú aperto
sulla strada, dove si espongono e si vendono merci di vario genere; negozio, ma
anche ripostiglio, magazzino;
l’etimo – come ò già accennato - è dal
greco apothéki→(a)pot(h)éki→potèki→puteca
)
sciammuottolo s.m. antichissima voce in uso nel linguaggio
popolare ed attesta per iscritto in Biaso Valentino scrittore di metà
settecento di cui mi fallano precise notizie biografiche, voce usata nei
significati di botteguccia, piccolo negozio oltre che (vedi antea –
anche per l’etimo - sub sciammuttajuolo) in quelli di baratto, affaruccio.
A margine e completamento
di tutte le voci esaminate mi piace aggiungerne alcune che però non si
riferiscono a venditori con esercizio di
un preciso negozio e/o punto di
vendita, ma sono voci che riguardano venditori girovaghi di merci per lo piú
usate e di scarsissimo valore; in
italiano abbiamo ordunque:
rigattiere/a, s.vo m.le
o f.le
chi compra e rivende in giro
merce usata di scarso valore; voce derivata per adattamento dal fr. regrattier
'venditore al dettaglio', deriv. di gratter 'grattare';
robivecchi, s.vo
m.le e f.le
Chi compra e rivende in giro oggetti usati; cenciaiolo, rigattiere; voce
derivata
dalla locuz. roba
vecchia, e piú propr. dal romanesco robivecchi!, grido di richiamo dei cenciaioli
romani;
stracciaiolo/a, stracciaiuolo/a s.vo m.le o f.le
Chi compra e rivende stracci e altra roba usata di
poco valore, straccivendolo ambulante; voce
denominale di straccio (deverbale del lat. volg. *extractiare, che è datractus,
part. pass. di trahere 'trarre')con l’aggiunta del suffisso aiolo/aiuolo/ajuolo suffisso
costituito per accumulo dei suff. -aio e -olo, accumulo presente
in sostantivi indicanti chi esercita un mestiere (legnaiuolo/legnaiolo,
vignaiuolo/vignaiolo) o chi à inclinazione per qualcosa (donnaiuolo/donnaiolo, forcaiolo), oppure in aggettivi che stabiliscono
una relazione di tempo o di luogo (marzaiolo, prataiolo).
straccivendolo/a s.vo
m.le o f.le s.
chi compra o rivende
stracci e/o altra merce usata e
scadente; voce denominale di stracci con l’aggiunta del suffisso -vendolo(secondo elemento di parole
composte formate modernamente, deriv. di vendere; significa 'venditore
di... ', mentre il primo elemento del composto indica il tipo di merce
venduta...).
In napoletano le voci
or ora elencate ed esaminate son rese con bbarraccaro, iudechiéro/èra,
sapunaro, spetacciaro, spogliampise. Esaminiamole:
bbarraccaro/a, s.vo m.le o f.le disusato
nella città bassa chi compra(va) e rivende(va) in giro cenci
e/o abiti usati tenendo quale magazzino delle proprie merci una o piú baracche
ubicate ai margini delle zone di mercato; la voce è un denominale di barracca
(baracca) addizionato del consueto suffisso
aio/aro che continuano il lat. –arius
e compaiono in sostantivi, derivati dal latino o formati in italiano o in
napoletano , che indicano mestiere (orologiaio/rilurgiaro-
bottegaio/putecaro) oppure luogo, ambiente pieno di qualcosa o destinato a
contenere o accogliere qualcosa (letamaio, lutammaro).; barracca
(baracca), che è dallo spagnolo barraca con
raddoppiamento espressivo dell’ occlusiva velare sorda (c), è la costruzione di legno o di altro materiale
leggero per il ricovero, generalmente provvisorio, di uomini e animali, o (come
nel caso che ci occupa) per il deposito di merce;
iudechiéro/chèra, , s.vo m.le o f.le ampiamente desueto
rivendugliolo, spesso ebreo che nella città bassa,
soprattutto nella zona detta Judeca(Giudecca) compra(va) e rivende(va) in giro
cenci, merci di poco conto e/o abiti usati; la voce è stata costruita partendo
dal s.vo Judeca (Giudecca vecchia che a Napoli fu la zona popolare tra via Forcella e piazza
porta Capuana ove era ubicato il ghetto ebraico) addizionato del suff. m.le di
pertinenza iéro o f.le èra; sottolineo che in napoletano il
suffisso maschile iéro(dal francese
ier cfr. G. Rohlfs) al femminile perde il dittongo diventando èra come ad es. alibi salumiero, ma
salumèra;
sapunaro, , s.vo m.le
o f.le di questo icastico
termine ò già détto a pg. 9 ed ivi rimando;
spetacciaro/a, s.vo m.le o f.le abbondantemente desueto; si tratta di voce assente nei repertorii
scritti, ma in uso nel parlato della città bassa nei significati di
rivenditore/trice al minuto di merci di poco conto o piú spesso di
abiti usati e mal messi al segno di apparire delle petacce (vesti lacere sbrindellate, sdrucite, logore, lise);
la voce petacce s.vo f.le pl. di petaccia
= cencio,
brandello, straccio ed estensivamente abito
di tessuto logoro; piú in generale anche pezzo di tessuto logoro, riutilizzabile
industrialmente per la fabbricazione di carta e tessuti o impiegato in usi
domestici per pulire e spolverare (in quest'ultimo caso, anche come prodotto
commerciale specificamente fabbricato a tale scopo), ma il s.vo petaccia rispetto a straccio à un valore accresciuto nel negativo: cchiú ca ‘nu straccio era ‘na petaccia! Quanto all’etimo, petaccia appare a taluno un derivato dello spagnolo pedazo= pezzo ma a mio avviso non è errato vedervi un
derivato del lat. volg. *pettia(m), di origine celtica = pezza secondo il seguente percorso
morfologico: pettia(m)→pet(ti)a(m) +
il suff. dispregiativo aceus/a→accio/a; tuttavia
qualcuno à anche ipotizzato un lat. volg. *pitacium accanto al classico pittacium/pittacia=
cencio, brandello. C’è da scegliere, quantunque a me piaccia la derivazione dal lat. volg. *pettia(m).
Etimologicamente la voce spetacciaro/a,
è stata ottenuta sempre partendo
dal s.vo petacce con protesi della tipica s intensiva partenopea ed unendo il tipico suffisso
di competenza aro altrove anche ero suffisso come ebbi modo di dire
che continua il lat arius→aro/aio; ò détto che la voce in esame
non è attestata se non nel parlato; tuttavia in talun repertorio si incontra
ugualmente marcato sulla voce petacce (con protesi della tipica s intensiva partenopea e con il tipico suffisso accrescitivo) l’agg.vo spetaccione/a = 1
(détto di stoffa, o di vestito)
rattoppato/a, liso/a, logoro/a, consumato/a, frusto/a, consunto/a,
sbrindellato/a, strappato/a, stracciato/a
2 ( détto di persona) . povero/a, miserabile, straccione/a,
pezzente
spogliampise. , s.vo e talora a.vo m.le e f.le straccione, cencioso, ma letteralmente chi
spoglia(va) degli abiti gli impiccati, oppure li depreda(va) degli ultimi
averi, svuotando loro le tasche o ne compra(va) dal boia, per rivenderli, gli
abiti; estensivamente in seguito il termine
indicò colui che rivendesse abiti usati e per traslato la voce fu usata quale
sinonimo di miserabile, spregevole, abietto, meschino, in quanto
semanticamente tali aggettivazioni ben si attagliano sia a chi si dedicasse alla spoliazione e/o
depredazione (in tutti i sensi) degli impiccati,sia a chi indossasse abiti
dismessi da povera gente, per cui abiti lisi, consunti, sia a chi si dedicasse alla rivendita di abiti usati,come che fosse sottratti ad impiccati. Etimologicamente la
voce è formata dall’unione di spoglia
+ il s.vo ‘mpise ; la voce verbale spoglia è la 3° p. sg. ind. pr. dell’infinito spuglià (dal lat. spoliare,
deriv. di spolium 'spoglia') =spogliare; ‘mpise è il pl. di ‘mpiso =
appeso, impiccato (p.p. sostantivato di ‘mpennere
= appendere impiccare che è dal lat. in→impendere 'pesare', poi
''sospendere' ', comp. di in→’m e pendere 'sospendere'.
Qui giunto prima di porre il punto fermo, mi piace dire
d’un’ ultima voce napoletana (che peraltro non trova riscontro nell’italiano,
voce usata per indicare un particolare tipo di
venditore girovago, il cosiddetto rammariello che fu - si può dire – il primo ideatore delle cosiddette vendite rateali a domicilio; costui girava di
casa in casa vendendo principalmente biancheria personale e da casa (ma anche
altre piccole merci di cui fosse richiesto: filati, trine etc.) e tutto ciò che
occorresse per mettere insieme un adeguato corredo da sposa; il corredo è
l'insieme degli abiti, della biancheria e degli altri effetti personali di cui
si dispone; si dice soprattutto di ciò che la sposa porta con sé per farne uso
durante la vita matrimoniale: corredo
nuziale. La particolarità e precipuità della vendita fatta dal rammariello erano date dal fatto che,
consegnata tutta la merce , il venditore passava a riscuotere di mese in mese
le contenute rate in cui veniva suddiviso il prezzo pattuito, permettendo in
tal modo anche ai meno abbienti, con piccoli esborsi mensili, di assicurarsi
buona merce ( mai il rammariello avrebbe ceduto merce scadente: correva il
rischio di perder la clientela e perciò il lavoro ed un sia pure modesto
guadagno!). E veniamo all’origine della parola rammariello; come si intuisce si
tratta del diminutivo di rammaro che fu il ramaio, il venditore di utensili da
cucina che furono di rame (ramma) etimologicamente da ramma (a sua volta da un
basso latino (ae)ràmen da aes/aeris=rame,bronzo, con procope d’avvio di ae, raddoppiamento
espressivo della m, e cambio di genere) + il suffisso di pertinenza arius→aro.
Originariamente ‘o rammaro fu il venditore porta a porta delle stoviglie di
rame; quando poi – con l’avvento dell’alluminio - non si vendettero piú pentole
e stoviglie (mestoli, schiumarole, cucchiaie e forchettoni) il ramaio fu
costretto a cambiar merce e si adattò a vendere biancheria personale ( camicie
da notte, sottovesti etc.) e da casa (coperte, lenzuola, asciugamani etc)
inventandosi per attirare la clientela (…la nuova mercanzia era piú costosa del
pregresso pentolame in rame) la vendita rateale, ed il popolino gli confezionò
ipso facto il nome di rammariello che ricordasse l’antico mestiere di ramaio ed
il nome di rammariello fu usato da tutti coloro che vendevano biancheria a
domicilio, anche da quelli che presero a fare tale mestiere pur senza essere
stati dapprima ramai.
E
qui penso di poter far punto, convinto, se non di avere esaurito l’argomento,
di averne détto a sufficenza, accontentato l’amico Edoardo ed interessato
qualcuno dei miei consueti ventiquattro lettori. Satis est.
raffaele bracale
22/10/08
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