‘O
PATE D’ ‘E CCRIATURE E DINTORNI
Questa volta faccio sèguito ad
una provocazione fattami
dall’amico N.C. [al solito, motivi di riservatezza mi impongono di riportar solo le iniziali di nome e cognome
di chi mi scrive per sollecitar ricerche] che avendo létto ciò che alibi
scrissi intorno alla nomenclatura dell’organo sessuale riproduttivo femminile,
mi à sfidato ad illustrare anche le voci
napoletane usate per indicare l’organo sessuale riproduttivo maschile. Non mi
lascio intimidire dalla richiesta che può apparire, ma non lo è, pruriginosa e
provvedo alla bisogna precisando súbito che sono numerosissime le voci usate lasciando libero
sfogo alla fantasia; lasciando da parte la voce cazzo che non è segnatamente napoletana, ma è usata su
tutto il territorio nazionale,ed ugualmente tenendo separate un paio di espressioni che non son
riconducibili a classificazioni e cioè: ‘o pate d’ ‘e ccriature e ‘o dito ‘e san Paolo ca ‘ntorza ‘a panza
dirò che quelle che son voci d’uso strettamente meridionale possono genericamente esser
suddivise in tre gruppi; del primo fanno parte le voci mutuate dal mondo
animale: pesce,cefalo,palàmmeto, capitone senza recchie, piccione,suricillo;
del secondo gruppo fanno parte quelle attinte dal regno vegetale: fenucchio, cetriuolo,
fava, fungio, pipero, rafaniello ed infine del terzo gruppo fanno parte
quelle in prestito tra altri dolciumi o alimenti: franfellicco, saciccio, bbabbà,
panzarotto, psticciotto oppure tra gli oggetti:chiuovo, junco,penniello,spruoccolo,
martino.
E passo ad analizzare le voci cosí come elencate:
cazzo s.vo m.le1(in primis e come nel caso che ci occupa )
membro
virile, pene
2 (fig.) persona sciocca, minchiona; testa di cazzo, (fig.)
imbecille, minchione
3 (fig.) nulla, niente:
voce del gergo marinaresco dal greco
(a)kàtion = albero della nave); è
ovvio l’accostamento semantico tra l’albero della nave ed il pene in erezione.
‘o
pate d’ ‘e ccriature ad litteram:
il padre dei piccoli; id est padre di bambini/e e cioè l’organo maschile della
riproduzione, senza del quale si pensava fosse impossibile mettere al mondo dei
nati, il péne; il giro di parole fu eufemisticamente usato per evitare di
pronunciare parole piú disdicevoli; per vero tale circonlocuzione non è solo
napoletana, ad un dipresso la si ritrova anche altrove; nel dialetto romanesco
il poeta G.G.Belli trattando del medesimo organo riproduttivo intitolò un suo
divertente sonetto addirittura Er padre de li santi e in riferimento
all’organo femminile La madre de li santi.
Prendiamo in esame la voce ‘e ccriature;
scritta con la geminata iniziale cc essa è il plurale di criatura/o
(che etimologicamente vengono dal
latino creatura(m)) comprendente i due generi maschile e femminile:
insomma ‘e ccriature sono
onnicomprensivamente i nati maschi e le nate
femmine e talvolta anche solo le nate femmine; mentre usando la c
scempia: ‘e criature si
indica il plurale del maschile criaturo e dunque i soli nati
maschi.
‘o
dito ‘e san Paolo ca ‘ntorza ‘a panza ad litteram: il dito di san Paolo che
gonfia la pancia; espressione eufemistica/furbesca nella quale al pene, per
evitare di assegnargli altro nome
triviale è dato il nome di dito di san
Paolo nell’inteso che al miracoloso santo fósse sufficiente l’uso del solo dito e di non altro per riuscire
ad ingravidare una donna. Non è
dato però sapere perché mai si parli di
san Paolo e non di altro santo miracoloso a meno che con l’espressione non si
faccia riferimento al fatto che san Paolo da
lussurioso gentile fu convertito in credente purificandosi in età matura dopo d’aver abbondantemente
esercitato svariate pratiche sessuali durante la sua gioventú.
‘ntorza = gonfia,
indurisce voce verbale (3ª pers. sg. ind.
pr. dell’infinito ‘nturzà= gonfiare, indurire, rendere incinta verbo
denominale dal lat. in + tursu-m);
panza
= s.vo f.le pancia,
epa; nella fattispecie ventre ingravidato; voce dal basso latino panticem con metaplasmo e sincope della sillaba ti donde pantice(m)→
*pan(ti)cja→*pancja→panza);
pesce s.vo m.le
1 animale vertebrato acquatico di varia grandezza, per lo piú fusiforme,
rivestito di squame e provvisto di pinne per nuotare, con respirazione
branchiale e scheletro osseo o cartilagineo: pesce ago, pesce marino dal
corpo lungo e sottile, comune nel Mediterraneo; pesce corvo, ombrina
dalla tinta bruna scura e con i fianchi a strisce dorate; pesce dorato
(o rosso), originario della Cina, allevato per ornamento; pesce
farfalla, dotato di una pinna dorsale la cui parte anteriore è simile a
un'ala di farfalla; pesce vela, istioforo; pesce pappagallo,
pesce marino, presente nel Mediterraneo, con livrea vivacemente colorata; pesce
rondine (o volante), pesce di mare dal corpo allungato, grigio e roseo
a macchie, con capo grosso e arrotondato; le ampie pinne pettorali gli
permettono di compiere lunghi salti fuori dell'acqua | natà comme a ‘nu pesce nuotare
come un pesce, (fig.) benissimo ' essere, sentirese ‘nu pesce fora d’acqua essere, sentirsi un pesce
fuor d'acqua, (fig.) sentirsi a disagio in un ambiente che non si
conosce nun sapé che pisce piglià
non sapere che pesci pigliare, (fig.) non sapere che
decisione prendere 'menarse a
ppesce buttarsi a pesce (su qualcosa),
(fig.) con entusiasmo; riferito a cibo, cominciare a mangiarlo con
avidità | fà ‘o pesce ‘mbarile fare il pesce in barile, (fig.)
fare l'indifferente, far finta di nulla | piglià a ppisce ‘nfaccia prendere
(qualcuno) a pesci in faccia, (fig. popolarmente) trattarlo in malo
modo | pesce ‘e cannuccia' pesce da canna' (fig.) essere
credulone, abboccare facilmente | pesce gruosso, piccerillo ' pesce grosso,
piccolo, (fig.) persona molto, poco potente | pesce
d’abbrile pesce d'aprile, burla
che si fa tradizionalmente il primo di aprile ' prov. :’e pisce gruosse
se magnano ê piccerille i pesci grossi mangiano quelli piccoli, i
potenti ànno sempre la meglio.
2 (estens.) la carne del pesce come cibo; vivanda di pesce: pesce scaurato, ‘mbianco,â pezzajuola,
affummecato; pesce lesso, in bianco, in umido, affumicato;
zuppa, fritto ‘e pesce zuppa, fritto
di pesce | pesce luvardo pesce
azzurro, denominazione comune di alici, sardine, acciughe e sgombri | tené ‘na
faccia ‘e pesce scauratoavere una faccia da pesce lesso, (fig.)
avere un viso inespressivo
3 pl. (zool.) la classe di vertebrati acquatici cui
appartiene ogni pesce
4 (pl.) Pesci, (astr.) costellazione e segno dello
zodiaco in cui il Sole transita dal 20 febbraio al 20 marzo
5 (estens.) persona nata sotto questo segno
6 (tip.) errore di stampa che consiste nel saltare una parola o
una frase del testo originale.
7 ( popolarmente come nel
caso che ci occupa) pene. Da notare che nel sud d’Italia, circondato dal
mare, popolarmente per pene s’usa, quale
termine rappresentativo, un termine ittico (pesce),
mentre nel centro-nord d’Italia, cioè in
zone lontane dal mare, popolarmente per pene s’usa, quale termine
rappresentativo un termine venatorio (uccello);
la voce a margine è dal lat. pisce-m.
totaro s.vo m.le .
1mollusco marino commestibile, con corpo allungato, pinne
triangolari posteriori e dieci tentacoli provvisti di ventose; è noto anche col
nome di totano
2 (fig. e popolarmente
come nel caso che ci occupa) pene
infatti nella smorfia
napoletana al numero 67 si fa
corrispondere l’espressione ‘o totaro dint’ â chitarra
letteralmente: il totano nella chitarra, e ci si trova davanti ad una figurazione dal sapore
marcatamente gioioso e furbesco, intendendosi con questa figurazione riferirsi all’immagine del coito ( che è dal lat. coitu(m), deriv. di coire
'andare insieme') in effetti è molto semplice rendersi conto di cosa sia
adombrato sotto la figura del totaro e cosa adombri la chitarra
con il suo foro della rosa; quanto all’etimologia totano/aro è un deriv. del gr. teuthís o têutòs con lo
stesso significato di mollusco simile al calamaro; la voce pur partendo dal
greco è giunta nel napoletano attraverso un basso latino tutanu(m) con
metaplasmo e cambio di suffisso nu→ro.
piccione s.vo m.le
1 [f. -a] nome comune del colombo domestico, uccello di media
grandezza, forte e veloce, con piumaggio grigio scuro e becco leggermente
arcuato; è addomesticabile e viene allevato per le sue carni gustose (ord.
Colombiformi) | tiro al piccione, gara sportiva nella quale i
concorrenti cercano di abbattere con un colpo di fucile un piccione fatto
uscire improvvisamente da una gabbia; piccione di gesso, di rame,
bersagli di forma simile al piccione usati un tempo nelle gare di tiro al volo
| piglià dduje picciune cu ‘na fava prendere due piccioni con una fava,
(fig.) ottenere due risultati in una sola volta | fanno gluglú comme a
dduje picciune tubano come due piccioni, (fig.) si dice di due
innamorati che amoreggiano teneramente.
2 (fig. e popolarmente
come nel caso che ci occupa)
pene, persona sempliciotta, che si può raggirare con facilità (cfr. sub cazzo
n°2)
3 in macelleria, taglio di carne di bue compreso fra la rosa e le
costole. Piccolo taglio triangolare situato sopra
la noce, particolarmente tenero e saporito, si utilizza farne arrosti, ben
legato.la voce piccione è voce in uso
nel nord dell’Italia da Bologna in su; nel sud e segnatamente nel napoletano il termine piccione è sostituito
con cularda/codarda (da non
confondere con il cucuizzo che è la parte apicale e polposa della tracchia di gola)mentre
in Calabria e Lucania è d’uso la voce tudisco.
piccione è voce dal lat. tardo pipione(m),
deriv. di pipiare 'pigolare' cfr. piccià←pipiare;
rammento che nel napoletano
l’accostamento del pene al piccione lo si ritrova nel commento al numero 29
della smorfia dove sotto l’espressione d’accompagnamento della sortita del
numero: “Piccione e ova” giocata sull’assonanza
tra nove ed ova, piccione è ovviamente il pene
e le ove,sono i testicoli!
cefalo s.vo m.le 1 (in
primis) pesce di mare commestibile dal corpo quasi cilindrico,grossa testa
e dorso scuro a squame argentee (ord.
Mugiliformi) 2( fig. e popolarmente
come nel caso che ci occupa)
pene. voce dal
lat. tardo cephalu(m), che è dal gr. képhalos, deriv. di kephalé 'testa';
l’accostamento semantico tra la voce cefalo ed il pene è da cercarsi proprio
nella turgicità del glande in erezione
che nell’inteso popolare richiama la grossa testa del cefalo.
palàmmeto s.vo m.le
1 (in primis) pesce di mare commestibile
simile al tonnetto (ord. Perciformi)
2( fig. e popolarmente
come nel caso che ci occupa)
pene.voce
dal gr. pílamís –ídos; come per
la precedente voce l’accostamento semantico tra la voce palàmmeto ed il pene nel furbesco inteso popolare è da
cercarsi nella voluminosità del pesce
palamida con il turgore dell’asta
in erezione.La voce infatti è usata quando iperbolicamente e per
vanteria si intenda millantare le dimensioni del proprio membro.
capitone s.vo m.le 1 (in
primis) famosa anguilla femmina
di grosse dimensioni, pregiata per le sue carni, che è cibo tradizionale delle
feste di Natale;di essa si dice che sia provvista di orecchi: in effetti il capitone
e cioè la grossa anguilla femmina, regina delle napoletane tavole di magro
della vigilia di Natale, allorché viene ammannito arrostito alla brace, in
carpione, in umido, all’agro o fritto à una morfologia particolare e la sua
grossa testa appare fornita di due minuscole appendici laterali traslucide,
volgarmente détte orecchie; 2 (per traslato furbesco e giocoso. e popolarmente come nel caso che ci occupa) pene;
tuttavia in tale accezione si precisa che trattasi di un capitone privo di
orecchie; la voce capitone
etimologicamente è dall’accusativo latino capitone(m) da capito/onis
collaterale di caput/tis in quanto oltre il corpo à una testa molto
pronunciata; rammenterò che nelle tombole familiari quando si estraesse il num.
32 chi lo estraeva annunciava trionfante: trentaroje
‘o capitone!,ma súbito chiosava: cu
‘e rrecchie volendo significare che si intendeva riferire proprio alla
grossa anguilla provvista ai lati del capo di due piccole, trasparenti
appendici ritenute orecchie, e non intendeva, col dire capitone, riferirsi ad
altro furbesco richiamo non ittico, di appendice maschile spesso ricordata come
ò détto con la voce: ‘o capitone senza recchie (il capitone privo d’orecchie).
suricillo s.vo m.le diminutivo 1 (in
primis) topino, piccolo topo; 2
(per traslato furbesco e giocoso. e
popolarmente come nel caso che ci
occupa) pene;nell’accezione sub 2 la voce a margine è rammentata in una
famosa esclamazione/maledizione : mannaggia ô suricillo e ppezza ‘nfosa che
ad litteram è : accidenti al topino ed
(alla) pezza bagnata;Il motto viene pronunciato a mo’ di imprecazione da chi voglia evitare di pronunciarne altra
piú triviale specialmente davanti a situazioni
negative sí, ma poco importanti.
di
tale esclamazione/maledizione diffusamente dissi alibi e lí rimando chi volesse
approfondire; qui mi limito a rammentare
l’etimo della parola che deriva da uno xurikilla tardo latino usato in luogo
del piú classico mentula per indicare il membro maschile.
Abbandoniamo ora il regno animale e passiamo a quello vegetale,nel quale si
pescano alcuni nomi di ortaggi per
assegnarli al pene sempre con
riferimento alla durezza o alla forma allungata dell’ortaglie; vi incontriamo:
fenucchios.vo m.le 1 (in
primis) pianta erbacea con foglie basali dal picciolo
largo, bianco e carnoso che vengono consumate come ortaggio; i semi sono usati
per aromatizzare i cibi (fam. Ombrellifere) | finocchio dolce, si
coltiva negli orti per consumarne la testa carnosa ed il fusto ingrossato; 2 (per traslato
furbesco e giocoso. e popolarmente
come nel caso che ci occupa)
membro maschile; rammento che in questa seconda accezione si fa riferimento
semantico al finocchio dolce, quello
dalla grossa testa carnosa e dal fusto ingrossato; voce dal lat. tardo fenuculum→ fenuclum→fenucchio,
per il class. feniculu(m), deriv. di fìnum 'fieno'.
cetriuolo s.vo m.le 1 (in primis) pianta erbacea
rampicante con foglie lobate e fiori gialli, coltivata per i frutti
commestibili verdi, allungati e carnosi (fam. Cucurbitacee). 2 (fig.)
uomo sciocco, goffo
3 (per traslato furbesco e giocoso. e popolarmente come
nel caso che ci occupa) pene, membro virile; di tutto riposo l’accostamento
semantico da cercarsi nella forma e nel
turgore dell’ortaggio;
voce dal lat. volg. *citriolum, deriv. di citrus 'cedro',
per il colore verde
fava s.vo f.le 1 (in
primis) pianta erbacea con foglie paripennate, fiori bianchi macchiati
di nero e legume a baccello contenente semi commestibili, di color verde e
della forma di un grosso fagiolo appiattito (fam. Leguminose) | (estens.)
il seme commestibile della pianta: piglià dduje picciune cu ‘na fava - prendere
due piccioni con una fava, (fig.) raggiungere due obiettivi in un
colpo solo
2 (ant.) voto in un'assemblea che si esprimeva deponendo in un
vaso fave bianche o nere
3 (per metafora furbesca e
giocosa e popolarmente come
nel caso che ci occupa) glande; e per
estens., pene: voce dal lat. faba-m;
anche in questo caso l’accostamento semantico è da cercarsi nella forma allungata
dell’ortaglia; rammento che nell’accezione sub 3 il s.vo in esame è presente in
una canzone di Raffaele Viviani [Castellammare di
Stabia10/1/ 1888 – †Napoli22/3/1950]
La rumba degli scugnizzi lí
dove il poeta mette sulla bocca di uno scugnizzo l’espressione, rivolta ad una
procace contadinella:”Pacchianè, chi s’
‘o ppenzava, tiene chistu campo ‘e fave!” con riferimento salace al
fondoschiena della ragazza ritenuto terreno da poterci piantare metaforiche
fave.
fungio s.vo m.le 1 (in
primis) vegetale inferiore privo di clorofilla, e perciò obbligato a vita
parassitaria o saprofitica, costituito da cellule disposte lungo filamenti
detti ife | nell'uso comune, corpo fruttifero dei funghi piú grandi, di solito
formato da un gambo sormontato da un cappello; può essere velenoso o
commestibile: funghi freschi, secchi; funghi velenosi, mangerecci;
risotto coi funghi; funghi trifolati, fritti | andare a,
per funghi, a cercarli nei boschi | crescere, venir su come
funghi, (fig.) rapidamente e in gran quantità | a fungo, a
forma di fungo.
2 (estens.) qualsiasi oggetto a forma di fungo
3 (per traslato furbesco e giocoso. e popolarmente come
nel caso che ci occupa) pene, membro virile; ancóra un accostamento
semantico da cercarsi nella forma del vegetale con particolare attenzione al
turgido e lungo gambo del fungo ed al cappello che lo sormonta; voce dal lat.
fungu-m→fungio (dove il pl. funge
giustifica anche la palatalizzazione del sg. fungio laddove in italiano fungo
continua il suono gutturale latino mantenuto anche nel pl. attraverso l’acca
diacritica: funghi; rammento che nell’accezione sub 3 anche il s.vo in esame pure se addizionato
dello specificativo cinese è presente
in una gustosa, salace canzonetta di Renato Carosone [pseudonimo di Renato Carusone (Napoli , 3 gennaio
1920 – †Roma , 20 maggio 2001),] ‘Stu fungo cinese nella quale il vegetale, con
evidente metafora è accreditato della potenzialità di ingravidare una donna!
pipero
s.vo m.le ( al plurale
pipere)1(in
primis) nella parlata napoletana si
identifica un tipo particolare di gustoso peperone,di
vario colore (rosso, giallo, verde chiaro), non quadrilobato, ma di pizzuta
forma conica allungata e di sapore piuttosto forte come dal nome che con
derivazione dall’ acc.vo neutro tardo latino pipere(m) indica appunto un peperone dal sapore intenso, quasi pepato);
è una bacca di colore verde chiaro ,
rosso o giallo di gustoso sapore piuttosto piccante, di media grandezza e di
forma conica richiamante quella di un corno di toro ed in effetti nel resto
d’Italia questo peperone è détto appunto corno
di toro; si presta ad essere consumato per intero o ridotto in piccole
falde fritto o imbottito e talvolta è usato nella elaborazione di risotti o altri
primi piatti oppure nella preparazione
di spezzatini di maiale (cfr. alibi); 2(per traslato furbesco e giocoso come nel
caso che ci occupa ) la voce nel parlato vale pene, membro maschile con
riferimento semantico alla tipica forma
di questo peperone.
rafaniello s.vo m.le 1(in
primis) ravanello, pianta erbacea
che si coltiva per la radice commestibile di colore rosso o bianco, dal sapore
forte (fam. Crocifere). 2(per traslato furbesco e giocoso come nel
caso che ci occupa ) la voce nel parlato vale pene, membro maschile con
riferimento semantico non solo alla
tipica forma allungata e puntuta di
questo ortaggio, ma anche alla sua piccantezza. voce diminutiva (cfr. suffissi
i + ello del s.vo rafano che è dal lat. raphanu(m),marcato
sul greco rháphanos.
Abbandonato cosí il regno vegetale, passiamo ad
altri alimenti dolci o rustici; troveremo:
franfellicco s.vo m.le 1(in primis) duro, dolcissimo bastoncino di zucchero filato, da succhiare, a forma di J che è l’iniziale del nome Jesus e nella
tradizione popolare napoletana il
franfellicco essendo un dolce, in
origine natalizio, destinato ai bambini
fu ritenuto figurazione del Bambino Gesú, roccia su cui fonda la salvezza
dell’uomo. 2(per traslato furbesco e giocoso come nel caso che ci occupa ) la
voce nel parlato vale pene, membro maschile con riferimento semantico alla forma ed alla durezza del dolciume;
la voce franfellicco etimologicamente è un
adattamento locale del fr. franfeluque.
bbabbà
s.vo m.le 1(in primis) dolce
soffice e cedevole monoporzione di forma
tronco-conica sormontata da un gonfio cappello, dolce principe,
accanto alla sfogliatella ed alla mitica
pastiera, della cucina partenopea.
Esso dolce pur essendo originario della Polonia pervenne a Napoli
(divenendo uno dei dolci piú graditi della pasticceria partenopea) attraverso i
cuochi francesi (i famosissimi monzú[voce
corruttiva del fr. monsieur])
chiamati a Napoli dalla regina Maria
Carolina d’Asburgo (sorella della notissima
Maria Antonietta, quella che finí i
suoi giorni ghigliottinata con il consorte Luigi XVI al tempo (1793
rispettivamente 21/1 il re e 16/10 la regina) della rivoluzione francese) in
occasione delle proprie nozze ( 7 aprile 1768) con Ferdinando IV Borbone –
Napoli. Il dolce deve il suo nome alla morbidezza e cedevolezza dell’impasto
atto alla malferma dentatura delle persone anziane;baba in lingua polacca vale:nonna,donna
vecchia; quando poi il baba polacco,
al seguito del re Stanislao
Leszczinski, (che qualcuno vuole ne sia stato casualmente l’inventore)re di
Polonia dal 1704 al 1735, giunse in Francia dapprima a Luneville e di lí a Parigi alla pasticceria Sthorer, dove tutti lo conobbero ed apprezzarono,
esso vide il suo nome pronunciato alla
francese con la a finale
accentata babà e tale fu anche a Napoli (che anzi ne raddoppiò
espressivamente la seconda esplosiva labiale e babà diventò babbà e
preceduto dall’articolo addirittura ‘o
bbabbà); nella città partenopea , come ò détto, prese stabile dimora per il tramite dei monzú francesi (cuochi di corte); anzi a
Napoli vide raddoppiata b intervocalica
diventando babbà e fu dolce tanto amato ed apprezzato da
pervenire in talune locuzioni napoletane; Cito,ad es. : Sî ‘nu bbabbà! (Sei un babà)
détto di persona (uomo) d’indole buona e mansueta fino alla prona
accondiscenza, mentre riferito ad una donna
Sî ‘nu bbabbà vale Sei tanto bella e buona (che meriteresti
d’esser mangiata, come un babà!).
Rammento altresí che soprattutto nell’
icastico parlato della città bassa la
voce bbabbà è usata 2quale traslato furbesco
e giocoso come nel caso che ci occupa per indicare il pene, il membro virile con
riferimento semantico alla forma del dolce monoporzione.
panzarotto
s.vo m.le 1(in
primis) specialità della cucina napoletana; voce con
cui si indica una tipica frittella di
forma cilindrica, frittella lunga 10,
pasticciotto
s.vo m.le 1(in
primis) dolce monoporzione, per solito di pasta choux farcito di crema 2quale traslato furbesco
e salace come nel caso che ci occupa il
membro maschile; questa voce però è usata solo nell’espressione SFRUCULIÀ 'O PASTICCIOTTO
Ad litteram: sbreccare
il dolcino. Id est:annoiare, infastire, molestare qualcuno; locuzione di
valenza simile a quella che recita NUN SFRUCULIÀ 'A MAZZARELLA 'E
SAN GIUSEPPE, usata anch'essa in tono imperativo preceduta da un canonico NON. Qui, in luogo della mazzarella,
l'oggetto fatto segno di figurate sbreccature
è un ipotetico pasticcino, chiaramente usato eufemisticamente al posto
dell’ intuibilissimo sito anatomico maschile.
Esaurite cosí
anche le voci alimentari passiamo a vedere quali oggetti sono presi a prestito
per indicare il membro virile. Troviamo:
chiuovo,
chiuovo s.vo
m.le
(in primis)1 barretta
metallica di varie forme e dimensioni, generalmente appuntita a un'estremità
e con una testa piú o meno larga all'altra, che serve a unire fra loro parti di metallo,
legno o altro materiale, o per appendere oggetti alle pareti: conficcare,
piantare un chiodo con il martello; chiodi da tappezziere, da
calzolaio, da carpentiere | elemento metallico da applicare a suole
di scarpe, pneumatici ecc. per rinforzarli e migliorarne l'aderenza al suolo |
in alpinismo, attrezzo che si conficca in parete per sostenere una corda: chiodo
da roccia, da ghiaccio | essere sicco comme a ‘nu chiuovo -esseremagro
come un
chiodo, magrissimo | rrobba ‘a chiuove - roba da chiodi, (fam.)
cosa incredibile o gravemente riprovevole, meritevole d’essere
inchiodata al muro a mo’ di ricordo o ammonimento | chiuovo
leva chiuovo - chiodo scaccia chiodo, (fig.) una preoccupazione ne fa
dimenticare un'altra | attaccà quaccosa ô chiuovo - attaccare qualcosa
al chiodo, (fig.) cessare di usarla: attaccà ‘e guantune, ‘a bicicletta ô chiuovo- attaccare i
guantoni, la bicicletta al chiodo, ritirarsi dal pugilato, dal ciclismo |
tené ‘nu chiuovo ‘nfronte, dint’ô scianco avere un chiodo in fronte, al fianco,
(fig.) avere mal di testa, provare una fitta al fianco | tené ‘nu
chiuovo ‘ncapa-avere un chiodo in testa, (fig.)
un'idea fissa, una preoccupazione assillante;
2 (fig. fam.) debito: piantà e levà chiuove-piantare
e levar chiodi, fare, pagare debiti
3 (figuratamente e semanticamente
collegato al sentimento d’amore, perché – come questo – punge e perfora
(l’animo))i figli, la prole definiti chiuove ‘e dDio.)
4 chiuovo ‘e carofano = chiodo di
garofano, (bot.) gemma florale di un albero esotico delle mirtacee
che, essiccata, si usa come spezie
voce derivazione del lat. clavu(m);normale nel napoletano la risoluzione in chi del digramma cl (cfr.
clausum→chiuso, ecclesia→chiesa, clave-m→chiave etc.)
5(per traslato furbesco e
salace, come nel caso che ci occupa ) la voce nel parlato della città
bassa vale pene, membro maschile con
riferimento semantico alla tipica forma
di una grossa barretta metallica
appuntita ed alla sua attitudine a
penetrare qualcosa.
junco
s.vo m.le [pl. -che] 1(in primis) pianta
erbacea monocotiledone dallo stelo flessibile, che cresce spontanea nei terreni
umidi e paludosi, pianta le foglie forniscono materiale d'intreccio (fam.
Giuncacee)
2 (estens.)
il fusto stesso della pianta, fusto che mondato delle foglie viene usato per
produrre flessuosi bastoncini da passeggio;
3(per traslato furbesco e salace, come nel
caso che ci occupa ) la voce nel parlato della città bassa vale pene, membro maschile in erezione con riferimento semantico alla rigidezza,
elasticità e fllessuosità del fusto giuncaceo [cfr. Raffaele Viviani in ‘O guappo ‘nnammurato]; voce dal lat.
iuncu-m
penniello 1(in primis) attrezzo costituito da un mazzetto di peli naturali o di
fibre sintetiche fissato all'estremità di un supporto di legno, per lo piú
adoperato per dipingere, per verniciare o per spalmare sostanze liquide o
semiliquide: pennello di setole di maiale, di tasso; pennello
da imbianchino, da pittore | penniello p’ ‘a barba pennello per la
(o da) barba, con cui ci si insapona il viso prima della rasatura
' pennello per labbra, per occhi, pennellino usato per il trucco '
pennello da spolvero, per la pulizia di mobili intagliati o di oggetti
delicati 'll’arte d’ ‘o penniello l'arte del pennello, la pittura ' a
pennello, alla perfezione: chillu vestito te sta a ppenniello -quel
vestito ti sta a pennello;
2(per traslato furbesco e caustico, come nel
caso che ci occupa ) la voce nel parlato della città bassa vale pene, membro maschile con riferimento
semantico non solo alla tipica forma
dell’attrezzo, ma salacemente con riferimento alla capacità del pennello e del
pene di splamare sostanze liquide o semiliquide; voce dal lat. volg. *penĕllu(m), dim. di pínis 'coda, pene' con
dittongazione della breve ĕ e
raddoppiamento espressivo della
consonante nasale dentale (n)
spruoccolo
s.vo m.le1(in primis) stecco, pezzetto di legno 2o di ramo,
bastoncello, zeppa 2(per traslato furbesco e salace, come nel
caso che ci occupa ) la voce nel parlato della città bassa vale pene, membro maschile con riferimento
semantico non soltanto alla forma dell’aggeggio ma anche rammentandosi di una
tipica espressione partenopea che associa lo stecco ad un buco.Questa la
locuzione:'Nfila 'nu spruoccolo dinto a 'nu purtuso!
Letteralmente: Infila uno stecco in un buco! La
locuzione indica una perentoria esortazione a compiere l'operazione indicata
che deve servire a farci rammentare l'accadimento di qualcosa di positivo, ma
talmente raro da doversi tenere a mente mediante un segno ben visibile come
l'immissione di un bastoncello in un buco di casa, per modo che passandovi
innanzi e vedendolo ci si possa rammentare del rarissimo fatto che si è
verificato. Per intenderci, l'espressione viene usata, a sapido commento
allorchè, per esempio, un uomo politico mantiene una promessa, una donna è
puntuale ad un appuntamento et similia.L’espressione rammenta una cerimonia in uso nell’antica
Roma repubblicana allorché il Sommo sacerdote, a fini eponimi, soleva ad inizio d’anno infiggere un chiodo
in una delle pareti del tempio di Giano. Nel salace inteso della città bassa
partenopea il purtuso/buco dell’espressione richiamò d’acchito quello anatomico
femminile per cui lo spruoccolo finí per indicare il
membro maschile deputato a riempire quel purtuso (buco); etimologicamente spruoccolo è da un tardo lat. *(e)xperŏccolo→sp(e)roccolo→spruoccolo (da ex + pedunculu-m) con sincope, assimilazione
regressiva nc→cc
dittongazione della ŏ diventata tonica e
roticizazione osco/mediterranea d→r;
pertuso/purtuso
s.vo m.le = buco, foro, fessura, passaggio stretto voce da un
lat. tardo pertusiu(m), deriv. del class. pertusus, part. pass.
di pertundere 'bucare, forare', comp. di per 'attraverso' e tundere
'battere.
martino
s.vo m.le1(in primis) coltello , pugnale, generica
arma bianca affilata ed appuntita; 2(per
icastico traslato furbesco e salace,
come nel caso che ci occupa ) la voce in tale accezione desueta nel parlato della città bassa valse pene, membro maschile con riferimento
semantico non soltanto alla forma dell’aggeggio ed alla sua attitudine a
perforare e/o deflorare, ma soprattutto
rammentandosi di una tipica espressione partenopea dalla quale la voce
fu mutuata.Questa la locuzione:Chiave ‘ncinta e martino dinto!
Letteralmente:Chiave nella cintola,e membro dentro!
Antichissima locuzione risalente addirittura al tempo della ultima crociata [1271-1272] e che si riferí alla disavventura occorsa ad un
geloso cavaliere che, partito portando seco la chiave della cintura di castità
di cui aveva fornito la consorte,ritornando ebbe la sgradita sorpresa di
imbattersi nel fabbro (costruttore della cintura)che, evidentemente in possesso
di un duplicato della chiave, gli stava violando la moglie con il suo martino. Etimologicamente la voce martino
è una voce
furbesca – gergale ricavata sul nome , del soldato san Martino che perdura
ancóra nell’agg.vo ammartenato : che è precisamente colui che incede con aria di
gradasso, di spavaldo, di prepotente , come chi sia – in linea con la etimologia
– provvisto di martino alternativamente la spada, lo stocco, il coltello,
l’arma bianca insomma qualsiasi arma che offra sicurezza, quando non sicumera a chi
ne sia provvisto.
Non
mi pare ci sia altro da aggiungere per cui mi fermo qui, sperando d’avere
accontentato l’amico N.C. ed interessato qualcun altro dei miei ventiquattro lettori e chi forte dovesse imbattersi in queste
paginette. Satis est.
Raffaele Bracale
Nessun commento:
Posta un commento