28 ICONICHE LOCUZIONI NAPOLETANE
1 ESSERE A LL'ABBLATIVO.
Letteralmente: essere all'ablativo. Id est: essere ormai alla
fine, ineluttabilmente alla
conclusione dell’opera intrapresa; si è fatto tutto ciò che che si poteva
fare; per traslato, trovarsi nella
condizione di non poter porre riparo a nulla. Come facilmente si intuisce
l'ablativo della locuzione è appunto l'ultimo caso delle declinazioni latine.
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2 ESSERE MURO E MMURO CU 'A VICARIA.
Letteralmente: essere adiacente alle mura della Vicaria. Id est: essere
prossimo a finire sotto i rigori della legge per pregressi reati che stanno
per esser scoperti. La
Vicaria della locuzione era la suprema corte di giustizia
operante in Napoli dal 1550 in poi ed
era insediata in CastelCapuano assieme alle carceri viceregnali. Chi finiva
davanti alla corte della Vicaria e veniva condannato, era subito allocato
nelle carceri ivi esistenti o in quelle vicinissime di San Francesco.
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3 CU 'O TIEMPO E CU 'A
PAGLIA...
Letteralmente: col tempo e la paglia (maturano le nespole). La frase,
pronunciata anche non interamente, ma solo con le parole in epigrafe vuole
ammonire colui cui viene rivolta a portare pazienza, a non precorrere i
tempi, perché i risultati sperati si otterranno solo attendendo un congruo
lasso di tempo, come avviene per le nespole d'inverno o coronate che vengono
raccolte dagli alberi quando la maturazione non è completa e viene portata a
compimento stendendo le nespole raccolte su di un letto di paglia in locali
aerati e attendendo con pazienza: l'attesa porta però frutti dolcissimi e
saporiti.
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4 SÎ ARRIVATO Â MONACA ‘E LIGNAMMO.
Letteralmente: sei giunto presso la monaca di legno. Id est: sei prossimo
alla pazzia. Anticamente la frase in epigrafe veniva rivolta a coloro che
davano segni di pazzia o davano ripetutamente in escandescenze. La monaca di
legno dell’epigrafe altro non era che una statua lignea raffigurante una
suora nell’atto di elemosinare . Detta statua era situata sulla soglia del
monastero delle Pentite presso l’Ospedale Incurabili di Napoli, ospedale dove
fin dal 1600 si curavano le malattie mentali e dove prestava servizio il
famoso Giorgio Cattaneo, da cui il s.vo mastuggiorgio (cfr. alibi) .
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5 STAMMO A LL'ERVA.
Letteralmente: stiamo all'erba. Id est: siamo in miseria, siamo alla fine, non
c'è piú niente da fare. L'erba della locuzione con l'erba propriamente détta
c'entra solo per il colore; in effetti la locuzione, anche se in maniera piú
estensiva, richiama quasi il toscano: siamo al verde dove il verde era il
colore con cui erano tinte alla base le candele usate nei pubblici incanti:
quando, consumandosi, la candela giungeva al verde, significava che s'era
giunti alla fine dell'asta e occorreva tentare di far qualcosa se si voleva
raggiunger lo scopo dell'acquisto del bene messo all'incanto; dopo sarebbe stato
troppo tardi.
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6 HÊ SCIUPATO ‘NU SANGRADALE.
Letteralmente: Ài sciupato un sangradale. Lo si dice di chi, a furia di folli
spese o cattiva gestione dei propri mezzi di fortuna, dilapidi un ingente
patrimonio al punto di ridursi alla miseria piú cupa ed esser costretti,
magari, ad elemosinare per sopravvivere; il sangradale dell'epigrafe è il
santo graal la mitica coppa in cui il Signore istituí la santa Eucarestia
durante l'ultima cena e nella quale coppa Giuseppe d'Arimatea raccolse il
divino sangue sgorgato dal costato di Cristo a seguito del colpo infertogli
con la lancia dal centurione sul Golgota. Si tratta probabilmente di una
leggenda scaturita dalla fantasia di Chrétien de Troyes che la descrisse nel
poema Parsifal di ben 9000 versi e che fu ripresa da Wagner nel suo Parsifal
dove il cavaliere Galaad, l'unico casto e puro, riesce nell'impresa di
impossessarsi del Graal laddove avevan fallito tutti gli altri cavalieri non
abbastanza puri.
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7 FATTE CAPITANO E MMAGNE GALLINE.
Letteralmente: diventa capitano e
mangerai galline. Id est: la condizione socio-economica di ciascuno,
determina il conseguente tenore di vita (olim il mangiar gallina era ritenuto
segno di lusso e perciò se lo potevano permettere i facoltosi capitani non
certo i semplici, poveri soldati). La locuzione à pure un'altra valenza dove
l'imperativo fatte non corrisponde a diventa,
ma a mostrati ossia: fa’ le viste di essere un capitano e
godine i benefici.
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8 CHI NASCE TUNNO NUN PO’ MMURÍ QUATRO.
Letteralmente: chi nasce tondo non può morire quadrato. Id est: è impossibile
mutare l'indole di una persona che, nata con un'inclinazione, se la porterà
dietro per tutta la vita. La locuzione, usata con rincrescimento osservando
l'inutilità degli sforzi compiuti per cercar di correggere le cattive
inclinazioni dei ragazzi, in fondo traduce il principio dell'impossibilità
della quadratura del cerchio.
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9 A CCHI PARLA ARRETO, 'O CULO LLE RISPONNE.
Letteralmente: a chi parla alle spalle gli risponde il sedere. La locuzione
vuole significare che coloro che parlano alle spalle di un individuo, cioè
gli sparlatori, gli spettegolatori meritano come risposta del loro vaniloquio
una salve di peti.
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10 A CCRAJE A CCRAJE COMME Â CURNACCHIA.
Letteralmente: a cra, a cra come una cornacchia. La locuzione, che si usa per
commentare amaramente il comportamento dell'infingardo che tende a
procrastinare sine die la propria opera, gioca sulla omofonia tra il verso
della cornacchia [cra-cra] e la parola latina cras che in napoletano è resa
con craje e che significa: domani,
giorno a cui suole rimandare il proprio operato chi non abbia seria
intenzione di lavorare .
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11 CHELLO CA NUN SE FA NUN SE SAPE.
Letteralmente:(solo) ciò che non si fa non si viene a sapere. Id est: La fama
diffonde le notizie e le propaga, per cui se si vuole che le cose proprie non
si sappiano in giro, occorre non farle, giacché ciò che è fatto prima o poi
viene risaputo.
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12 'O PESCE GRUOSSO, MAGNA Ô PICCERILLO.
Letteralmente: il pesce grande mangia il piccolo. Id est piú generalmente: il
potente divora il debole per cui se ne deduce che è lotta impari destinata
sempre all'insuccesso quella combattuta da un piccolo contro un grande.
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13 'O PUORCO SE 'NGRASSA PE NNE FÀ SACICCE.
Letteralmente: il maiale è ingrassato per farne salsicce. La locuzione vuole
amaramente significare che dalla disincantata osservazione della realtà si
deduce che nessuno fa del bene disinterassatamente; anzi chiunque fa del bene
ad un altro mira certamente al proprio tornaconto che gliene deriverà, come -
nel caso in epigrafe - il maiale non deve pensare che lo si lasci ingrassare
per fargli del bene, perchè il fine perseguito da colui che l'alleva è quello
di procurarsi il proprio tornaconto sotto specie di salsicce.
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14 JÍ METTENNO 'A FUNA 'E NOTTE.
Letteralmente: Andar tendendo la fune di notte. Lo si dice sarcasticamente
nei confronti specialmente dei bottegai che lievitano proditoriamente i
prezzi delle loro mercanzie, ma anche nei confronti di tutti coloro che
vendono a caro prezzo la loro opera. La locuzione usata nei confronti di
costoro - bottegai e salariati - li equipara quasi a quei masnadieri che
nottetempo erano soliti tendere lungo le strade avvolte nel buio, una fune
nella quale incespicavano passanti e carrozze, che stramazzando a terra diventavano
facilmente cosí oggetto di rapina da parte dei masnadieri.
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15 SE SO' RUTTE 'E TIEMPE, BAGNAJUÓ.
Letteralmente: Bagnino, si sono guastati i tempi(per cui non avrai piú
clienti bagnanti ed i tuoi guadagni precipiteranno di colpo). La locuzione è usata
a mo’ d’avvertimento quando si intenda sottolineare che una situazione sta
mutando in peggio e si appropinquano relative conseguenze negative.
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16 PARLA QUANNO PISCIA ‘A GALLINA!
Letteralmente: parla quando orina la gallina.Id est: Zittisci! Cosí, icasticamente
ed in maniera perentoria, si suole imporre di zittire a chi parli
inopportunamente o fuori luogo o insista a profferire insulsaggini e/o magari gratuite cattiverie. Si sa che la
gallina espleta le sue funzioni fisiologiche, non in maniera autonoma e
separata, ma in un unicum, per modo che si potrebbe quasi pensare che, non
avendo un organo deputato esclusivamente alla bisogna, la gallina non orini
mai, di talché colui cui viene rivolto l'invito in epigrafe pare che debba
tacere sempre.
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17 PUOZZE PASSÀ P''A LOGGIA.
Letteralmente: Possa passare per la
Loggia (di Genova). E' come a dire: Possa tu morire. Per la
zona della Loggia di Genova, infatti, temporibus illis, transitavano tutti i
cortei funebri provenienti dal centro storico e diretti al Camposanto.
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18 CORE CUNTENTO Â LOGGIA.
Letteralmente: Cuor contento alla Loggia. Cosí il popolo suole apostrofare
ogni persona propensa, anche ingiustificatamente, ad atteggiamenti giocosi ed
allegri, rammentando con la locuzione il soprannome dato, per la sua perenne
allegria, alla fine dell'Ottocento, ad un celebre facchino della Loggia di
Genova che era una sorta di territorio franco concesso dalla città di Napoli
alla Repubblica marinara di Genova, dove i genovesi svolgevano i loro
commerci, autoamministrandosi.
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19 CESSO A VVIENTO!
Letteralmente: gabinetto aperto. Offesa totalizzante e che non ammette
replica rivolta a persona spregevole sia fisicamente, ma soprattutto
moralmente che viene equiparata a quei vespasiani pubblici di un tempo costruiti
in ghisa ed aperti, per consentire un agevole ricambio d'aria, sia in alto
che in basso.
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20 'A MALORA 'E CHIAJA.
Letteralmente: la cattiva ora di Chiaja. Cosí a Napoli viene apostrofato
chiunque sia ripugnante d'aspetto e di modi. Occorre sapere, per comprendere
la locuzione che Chiaja è oggi uno dei quartieri piú eleganti e chic della
città, ma un tempo era solo un borgo molto prossimo al mare ed era abitato da
popolani e pescatori d'infimo ceto. Orbene, temporibus illis, era invalso
l'uso che le popolane abitanti a Chiaja, sul tardo pomeriggio del giorno
solevano recarsi nei pressi del mare a rovesciare nel medesimo i contenuti
maleodoranti dei grossi pitali nei quali la famiglia lasciava i propri esiti
fisiologici: quel lasso di tempo in cui si svolgevano queste operazioni era
detto 'a malora.
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21 FARNE UNA CCHIÚ 'E CATUCCIO.
Letteralmente: compierne una piú di Catuccio. Id est: farne di tutti i
colori, compiere infamie e scelleratezze tali da sorpassare quelle compiute
in Francia dal settecentesco Louis Philippe Bourguignon (La Courtille, Belleville, 1693
-† Parigi 1721).Costui,
figlio d'un bottaio, lasciò gli studi intrapresi presso i gesuiti, per
darsi alla malavita e divenne
protagonista, durante una dozzina d'anni, di furti e avventure d'ogni
sorta, che resero la sua biografia
popolare in tutta Europa . Questo celebre brigante venne soprannominato Cartouche, nome corrotto in napoletano con il termine
Catuccio. Arrestato, fu
giustiziato nella piazza di Grève. La locuzione viene usata per bollare
il comportamento non raccomandabile di chi agisce procurando danno a terzi,
ma iperbolicamente anche per sottolineare il comportamento un po' troppo
vivace dei ragazzi.
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22 ESSERE PASSATA 'E CÒVETA O 'E CUTTURA.
Letteralmente: essere passata di raccolta cioè già sfiorita sull'albero
perché abbondandemente maturata oppure essere oramai passata di cottura cioè
bruciacchiata perchè troppo cotta. Ambedue le espressioni fanno furbescamente
riferimento ad una donna piuttosto in avanti con gli anni perciò sfiorita e
non piú degna di attenzioni galanti alla medesima stregua o di un frutto
lasciato sul ramo troppo tempo dopo la maturazione o come un cibo lasciato
sul fuoco oltre il tempo necessario, facendolo quasi bruciare.
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23 QUANNO 'O DIAVULO T'ACCAREZZA È SSIGNO CA VO’ LL'ANEMA.
Letteralmente : quando il diavolo ti carezza, significa che vuole l'anima. Lo
si afferma a commento delle azioni degli adulatori o di coloro che godono di
cattiva fame; se uno di costoro ti blandisce, offrendoti servigi o opere
gratuite, bisogna non fidarsi, giacché nel loro operare c'è nascosta la
richiesta di qualcosa molto piú importante della prestazione offerta.
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24 È GGHIUTO 'O CCASO 'A SOTTO I 'E MACCARUNE 'A COPPA.
Letteralmente: È finito il cacio sotto ed i maccheroni sopra. La locuzione la
si usa per commentare con disappunto una situazione che non si sia evoluta
secondo i principi logici ed esatti e codificati. In effetti, secondo logica
si vorrebbe che il formaggio guarnisse dal di sopra un piatto di maccheroni,
non che facesse loro da strame. Id est: maledizione! Il mondo va alla
rovescia!
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25 DOPPO MUORTO, BUZZARATO.
Letteralmente: dopo morto, buggerato; dopo aver subito la morte, sopportare
anche il vilipendio. La locuzione corrisponde, anche se in maniera un po' piú
dura al toscano: il danno e la beffa. Essa fu usata nel corposo linguaggio
partenopeo da un anonimo prelato napoletano che assistette al consueto
percuotimento del capo del defunto papa PIO XII, con il previsto martelletto
d'argento operato dal cardinale camerlengo, per accertarsi che il pontefice
non reagisse dimostrando cosí d'essere effettivamente morto.
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26 TROPPI GALLE A CCANTÀ NUN SCHIARA MAJE JUORNO.
Letteralmente: troppi galli a cantare, non spunta mai il giorno. Id est:
quando ci sono troppe persone ad esprimere un'opinione, un parere, non si
arriva mai ad una conclusione; ed in effetti tenendo presente l'antico adagio
latino: tot capita, tot sententiae: tante teste, tanti pareri, sarà ben
difficile, anzi sarà impossibile trovarne di collimanti per modo che si possa
finalmente giungere ad una conclusione.
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27 NUN C'È PRERECA SENZA SANT' AUSTINO.
Letteralmente: Non v'è predica senza sant'Agostino. Come si sa,
sant'Agostino, vescovo d' Ippona, è uno dei piú famosi padri della Chiesa
cattolica e non v'è predicatore che nei sermoni non usi citare gli scritti
del santo vescovo. L'espressione in epigrafe viene usata a mo' di
risentimento da chi si senta chiamato in causa - soprattutto ingiustamente -
e fatto segno di attenzioni non richieste e perciò non desiderate.
28 TENÉ DDOJE
FACCE, COMME A SAN MATTEO
Con questa espressione s’usa riferirsi
ad una persona ipocrita o dalla
doppia vita.Per il vero nessun testo biblico attesta che il santo evangelista
fósse un ipocrita o dalla doppia vita, se si esclude il fatto che Levi
[questo era il nome di Matteo allorché svolgeva la professione di pubblicano]
chiamato dal Signore abbandonò la propria attività per seguire il Cristo
cambiando vita e nome; questa evenienza altamente positiva non può aver ispirato
l’espressione chiaramente negativa. Il bandolo della matassa sta nel fatto
che il san Matteo, a cui si fa riferimento
nell’espressione, è quello realizzato da Michelangelo Naccherino(Firenze
1550 - †Napoli 1622).[ Allievo a Firenze del Giambologna, ne trascrisse i
moduli in un'ampia produzione per la quale si avvalse anche di una operosa
bottega. Nel 1573, dopo una permanenza in Sicilia, si stabilì a Napoli, dove,
nominato scultore di corte, scolpí con grazia decorativa monumenti funebri
(tomba Pignatelli in S. Maria dei Pellegrini; tomba Caniglia in S. Giacomo
degli Spagnoli) e statue (Madonna delle Grazie in S. Giovanni a Carbonara
etc.]. La statua del san Matteo,
tuttora conservato sull’altare della cripta del Duomo di Salerno, è
stranamente bifronte e la si può
vedere da entrambi i lati dell’altare e non è peregrina l’idea che lo
scultore nel realizzarla abbia utilizzato una precedente opera di bottega
raffigurante un Giano bifronte.
Brak
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