ALCUNE LOCUZIONI PARTENOPEE CON IL VERBO FARE
FÀ CACÀ L’UVA, L’ACENO E ‘O
STREPPONE.
Ad litteram: far
defecare il grappolo d’uva, gli acini(vinacciuoli) ed il raspo
relativi.Locuzione, spesso usata sotto forma di minaccia: te faccio cacà ll’uva, ll’aceno e ‘o streppone (ti faccio defecare la pigna d’uva, i singoli
acini(vinacciuoli) ed il raspo) con la quale si significa l’azione violenta di chi costringa o intenda costringere un ladro o anche solo
un profittatore a restituire tutto il
mal tolto, e cioè pretenda di farsi
restituire, sia pure sotto forma di feci, non solo la pigna d’uva che gli sia
stata sottratta, ma addirittura i singoli acini
e persino ad abundantiam il vuoto raspo che non viene mangiato, ma che
si intende far restituire da digerito.La minaccia estensivamente poi viene usata
nei confronti di chiunque (adulti e/o bambini) siano messi in condizione di
dover esser severamente puniti per eventuali malefatte trascorse.
cacà= cacare,
defecare voce verbale infinito
derivata dal lat. cacare= andar di corpo;
uva = uva, il frutto
della vite, costituito da un grappolo composto di acini: dal lat. uva(m) nell’espressione in epigrafe vale grappolo
di uva che
a Napoli più spesso è detto pigna d’uva per
la forma a cono rovesciato vagamente
simile al frutto conico delle conifere,
costituito da squame legnose che nascondono i semi (pinoli);
aceno= acino, chicco
dell’uva o di frutta similare dal
latino acinu(m); in napoletano con il
termine a margine non si intende però solo il vero e proprio acino/chicco d’uva,
ma anche il vinacciuolo e cioè ciascuno dei semi che si trovano in un
acino d'uva; il fiocine che molti,
mangiando un grappolo d’uva, evitano di ingoiare e sputano via, per cui sarebbe
poi difficilissimo renderlo digerito, atteso che non viene mangiato ; la
medesima cosa avviene anche con lo
streppone= raspo,
grappolo di uva privo dei chicchi, gambo, fusto di fiori recisi; la voce
etimologicamente è dal lat. stirpe(m) attraverso
un accrescitivo *sterpone(m) con
metatesi e raddoppiamente espressivo della p→pp.
VA’ FÀ LL’OSSE Ô
PONTE
Letteralmente: vai a
racimolare le ossa al ponte. Id est: mandare qualcuno a quel paese.Infatti
la locuzione suona pure: mannà ô ponte, con il medesimo significato.
Un tempo a Napoli
presso il ponte della Maddalena, già ponte Licciardo esisteva un macello
dove il popolo si recava ad acquistare le carni delle bestie macellate. I meno abbienti si accontentavano di prelevare
gratis et amore Dei le ossa usate per preparar economici brodi, per cui
spingere qualcuno a fare le ossa al ponte significa augurargli grande miseria. La medesima
accezione vale per la locuzione mannà
ô ponte; tenendo presente che questa seconda locuzione la si usa nei
confronti di uomini attempati e un po’ rovinati dagli acciacchi e dall’età ecco
che essa locuzione à una valenza un po’ piú amara giacché la si rivolge a
chi - probabilmente - non à la capacità
di ripigliarsi ed è costretto a subire fino in fondo gli strali dell’avversa fortuna.
FÀ ‘E UNO TABBACCO P''A PIPPA. |
FÀ CARNE 'E PUORCO |
FÀ 'O PARO E 'O
SPARO FÀ PALLA CORTA Ad litteram: fare la
palla corta Id est: mancare il
fine prefissato, non giungere al risultato
per avere errato nel conferire
la forza necessaria affinché si potesse raggiungere lo scopo; con altra
valenza riferito ad uno che infastidisca, vale: con le tue richieste e/o parole non otterrai nulla di ciò che vuoi:
non sei convincente, né induci a
prestarti fede e/o aiuto! La
locuzione è mutuata dal giuoco
delle bocce o del bigliardo, giochi
nei quali la biglia (palla) messa in giuoco può mancare di raggiungere il punto voluto e risultare corta se, per conclamata imperizia, nel lanciarla il giocatore non vi à
impresso la necessaria e giusta spinta. Palla s.vo f.le 1 corpo di forma sferica: una palla di ferro,
di marmo, di vetro, di neve ' le palle degli occhi,
(fam.) i globi oculari | palla di lardo, di grasso, (fig.)
persona molto grassa. Voce dal long. *palla
con medesima radice di balla Corta agg.vo f.le1 di
poca lunghezza o di lunghezza inferiore al normale: la via più corta per
arrivare; capelli (tagliati) corti; armi a canna corta; calzoni,
pantaloni corti, al di sopra del ginocchio; maniche corte,
sopra il gomito; mi va, mi sta corto, si dice di indumento che
non raggiunge la misura giusta, soprattutto delle gambe e delle braccia | palla
(tirata) corta, che non arriva a destinazione | andare per le corte,
sbrigarsi, venire al dunque | venire alle corte, concludere qualcosa
in fretta; alle corte!, veniamo al sodo! | l'ultimo a comparir fu
gamba corta, (scherz.) si dice a chi arriva per ultimo. Voce da un lat. *curta(m)
marcata sul m.le curtu(m). FÀ ZITE E
MURTICIELLE E BATTESIME BUNARIELLE. FÀ SCENNERE 'NA COSA DA 'E CCOGLIE 'ABRAMO. coglie
s.vo fem.le pl. di coglia = testicolo derivato dal
lat. volg. *colea(m); la voce coglia con il suo plurale coglie è attestata nel parlato
popolare della città bassa come alternativo di coglione e del pl. metafonetico
cugliune usati piú spesso
come voci offensive AbramoAvraham,
"Padre di molti popoli";è il primo patriarca dell'Ebraismo,
del Cristianesimo
e dell'Islam.
La sua storia è narrata nel Libro della Genesi ed è ripresa nel Corano.
Secondo Gen17,5
il suo nome originale Avram, poi cambiato da Dio in Avraham; è considerato
dall’Islam antenato del popolo arabo, attraverso Ismaele.
L'Ebraismo, il Cristianesimo e l'Islam
(détte religioni abramitiche) proclamano tutte
una loro presunta discendenza comune
da Abramo. Non esistono tuttavia altre testimonianze storiche della sua esistenza indipendenti dalla
Genesi, quindi non è possibile sapere se fu una reale figura storica. Se lo
fu, visse tra il ventesimo ed il XIX secolo a.C.
L’episodio piú significativo riguardante la vita di Abramo si riferisce alla
richiesta fattagli da Dio di sacrificargli l’unico figlio Isacco generato ad
Abramo in vecchiaia da sua moglie Sara. Abramo, seppur a malincuore, accettò.
Mentre legava Isacco per il sacrificio, però, apparve un angelo
che gli disse di non far male a suo figlio e che Dio aveva apprezzato la sua
ubbidienza, benedicendolo "con ogni benedizione". FÀ ‘E SSETTE CHIESIELLE. Letteralmente: visitare le sette chiesine ovvero per
traslato : andarsene in giro per le case altrui senza uno specifico motivo,
ma solo per il gusto di intrattenersi
negli altrui domicili, nella speranza - magari - di scroccare un pranzo, o quanto meno un caffé
che a Napoli non si rifiuta a chicchessia. Detto anche di chi, prima di decidersi
a fare un acquisto visita innumerevoli negozi per informarsi sui prezzi
dell’articolo cercato, per confrontarli e metterli a paragone. Originariamente
le sette chiese della locuzione sono sette bene identificati luoghi di
culto e cioè nell’ordine: Spirito santo, san Nicola alla Carità, san Liborio
alla Pignasecca, Madonna delle Grazie, santa Brigida, san Ferdinando di
Palazzo e san Francesco di Paola, quelle chiese cioè che tutti i
napoletani andando dalla odierna
piazza Dante (anticamente Largo del Mercatello) a piazza del Plebiscito
(l’antico Largo di Palazzo) percorrendo la centralissima strada di
Toledo, sono soliti visitare durante il cosiddetto struscio la rituale passeggiata che si compie il giovedì santo , durante la
quale si “visitano” i cosiddetti sepolcri
ovvero le solenni esposizioni dell’Eucarestia che si tengono in
ogni chiesa di culto cattolico.Dal fatto che le chiese incontrate nel rituale
tratto dello struscio fossero sette si
instaurò la consetudine
pseudo-religiosa che i cosiddetti
sepolcri da visitare dovessero essere in numero dispari e qualche devoto
poco propenso a camminare per ottemperare a tale pseudo-precetto si recava nella chiesa piú vicina alla
propria abitazione e vi entrava ed usciva
sette volte di fila per biascicare orazioni, ritenendo in tal modo di
aver fatte le rituali dispari visite previste. FÀ LL’AMICO E ‘MPRENÀ ‘A VAJASSA. Ad litteram: fare l’amico ed ingravidare la serva id est: comportarsi da “doppiogiochista”, da
falso amico come chi , atteggiandosi ad amico, frequenti una casa ed in luogo di ricordi
amicali lasci la fantesca di casa ingravidata, profittando della libertà che si usa
concedere agli amici. amico = amico,animato
da amicizia, benevolo agg.vo e s.vo
m.le dallat. amicu(m), deriv. di amare ‘mprenà= ingravidare, render pregna voce verbale infinito dal lat. tardo impraegnare
'rendere gravida', comp. di in illativo e un deriv. del lat. volg. *praegnu(m),
che diede il napoletano prena=
ingravidata; vajassa = serva, fantesca Etimologicamente il
termine vajassa è dalla voce araba
baassa pervenutaci attraverso il francese bajasse: fantesca,
donna rozza e un po’ sporca, ed estensivamente donna del popolo villana e
gridanciana; dalla medesima voce bajasse il toscano trasse bagascia = meretrice. FÀ ‘A FATICA D’’E PRIEVETE. Ad litteram: fare il lavoro dei preti. Id est: fare
un’attività tranquilla e non impegnativa
quale, ingiustamente, si riteneva ed ancóra si ritiene che fosse
e sia quella svolta dai sacerdoti al segno che, altrove si dice che si ‘a fatica fosse bbona ‘a faccesro ‘e
prievete (se il lavoro fosse una cosa buona, lo farebbero i preti). Fatica s. f. sinonimo di lavoro, impegno quantunque di
per sé il termine fatica connoti il semplice lavoro, ma uno sforzo fisico o intellettuale che genera stanchezza,
quella che nasce da un'attività fisica
o psichica troppo intensa o prolungata; l’etimo è dal lat. volg. *fatiga(m), deriv. di fatigare
'prostrare, stancare'; prievete s. m. plurale metafonetico di prevete: prete,presbitero,
sacerdote, uomo consacrato, addetto al culto,
che abbia ricevuto il sacramento dell’ordinazione; etimologicamente il
napoletano prevete da cui poi per sincope della sillaba
implicata ve si è
probabilmente formato il toscano prete
è dal tardo latino presbyteru(m), che è dal greco presbyteros, propriamente: piú
anziano; cfr. presbitero; la via seguíta per giungere a prevete partendo da
presbyteru(m) è la seguente: presbyteru(m)→pre’bytero/e→prebeto/e→preveto/e; FÀ SCENNERE 'NA COSA DA 'E CCOGLIE 'ABRAMO. FÀ TRE FFICHE NOVE
ROTELE Letteralmente: fare con tre fichi nove rotoli. Con l'espressione in epigrafe, a Napoli si è soliti
bollare i comportamenti o - meglio - il vaniloquio di chi esagera e si ammanti di meriti che non possiede, né
può possedere. Per intendere appieno la valenza della
locuzione occorre sapere che il rotolo era una unità di peso del Regno delle
due sicilie corrispondente in Sicilia a gr.790 mentre a Napoli e suo
circondario, Ancora ricordiamo che il rotolo deriva la sua origine
dalla misura araba RATE,trasformazione a sua volta della parola greca LITRA,
che originariamente indicava sia una misura monetaria che di peso; FÀ FETECCHIA: I l termine in epigrafe ha un variegato ventaglio di significati
nella lingua napoletana, ma tutti riconducibili al primario significato di vescia,
scorreggia non rumorosa, scoppio silenzioso simile a quello del fungo che
giunto a maturazione esplode silenziosamente emettendo le spore; col termine
fetecchia , restando nell’ambito della silenziosità,viene indicato altresì lo
scppio non riuscito di un fuoco d’artificio, e più in generale un qualsiasi
fallimento o fiasco di un’operazione non giunta a buon fine Per
ciò che attiene l’etimologia, tutti concordemente la fanno risalire al latino
foetere nel suo significato di puzzare – tenendo prersente il primario
significato di fetecchia, ma anche negli altri significati c’è una sorta di non olezzo che pervade la parola.e la
riconduce al foetere latino. FÀ QUATTO CIAPPETTE. Letteralmente: fare quattro ciappette. Id est:
compiere un lavoro in maniera
rabberciata e disimpegnata ; detto
soprattutto di lavori che impegnano
poco le braccia e molto la mente, lavori che però
siano fatti con poca attenzione e dedizione e se ad es. si tratta di vergare uno scritto, lo si fa servendosi
di concetti triti, ripetitivi e striminziti, vergati alla meno peggio, , messi in fila in maniera abborracciata, quasi automaticamente conseguenziali, non
supportati da idee nuove, ma farciti di ovvietà noiose e monotone. Con altra
valenza leggermente differente, ma corposamente sarcastica il concetto in epigrafe viene riferito, con una tipica
espressione che è: Sape fà quatte ciappette!, a chi
saccente e supponente, faccia le viste, al contrario, di essere molto colto, di conoscere tutte le evenienze del vivere
vantandosi di possedere conoscenze in vasti campi dello scibile umano,
laddove in realtà tutta la sua cultura
e tutte le sue conoscenze si riducono
a pochissime nozioni trite e ritrite, ovvie, non originali, noiose e monotone spesso non accompagnate
da autentica e conclamata scienza e/o esperienza, ma fondate esclusivamente sul sentito dire. o sui manualetti di
pronto impiego di talune professioni e non le specifico per non incorrere
nelle ire di amici e/o parenti... La parola ciappetta di per sé non è che il diminutivo di ciappa
s f fibbia, fermaglio,
borchia voce pervenuta nel napoletano
attraverso lo spagnolo chapa derivato
del lat. capulum attraverso un plurale metatetico, inteso poi
femminile, regionale *clapa→chiapa→chapa. Va da sé che semanticamente è
quasi impossibile collegare il concetto di un piccolo fermaglio, una piccola
fibbia o una borchietta con l’idea di
nozioni trite e ritrite, ovvie noiose e monotone. Ma la cosa si può risolvere
seguendo quella che fu l’originaria
formulazione dell’espressione in epigrafe, espressione che purtroppo, nessuno mai degli addetti ai lavori si è
peritato di prendere in considerazione od esame. Lo faccio qui di sèguito,pur
non essendo un paludato o patentato addetto, augurandomi di fare cosa gradita
a chi mi leggerà. In origine infatti nelle isole al largo di
Napoli (dove l’espressione nacque) non
si usò l’espressione Sapé fà quatte
ciappette ma s’usò dire Sapé fà quatte scippe sciappe con riferimento a chi avesse imparato a fare
appena pochi tratti di penna (scippi) e si vantasse, chiaramente a
torto, di essere molto istruito;
quando poi l’espressione Sapé fà quatte scippe sciappe approdò a Napoli fu trasformata in Sapé fà quatte cippe ciappe e ciò perché probabilmente le voci scippe
sciappe (di cui la seconda non corrispondeva né ad un oggetto, né ad una
idea, ma era stata ricavata da scippe
(plurale di scippo (deverbale del
lat. ex-cippare) nel senso
però di tratto di penna e non di
graffio) per bisticcio ed allitterazione espressivi ) furono intese come originarie cippe e ciappe
addizionate della solita esse protetica
intensiva napoletana, ma poiché i concetti che gli originarii scippe sciappe dovevano rappresentare
erano concetti riduttivi e negativi, si pensò – a ragione forse – che non
avevano senso le esse intensive e scippe sciappe divennero cippe ciappe; allorché poi ci si rese
conto che al derivato cippe non si
poteva collegare alcun oggetto reale o concetto comprensibile si preferí
eleminar tout court quel cippe e mantenere solo quelle residuali ciappe (in origine sciappe)
divenute quasi per magia corrispondenti ad un oggetto reale (fibbie,
fermagli, borchie) e dovendo esse ciappe
esprimere concetti negativi e riduttivi, se ne fece il diminutivo ciappette e l’espressione diventò Sape fà quatte ciappette che vale saper fare quattro insignificanti cosucce e menarne vanto quasi si trattasse di cose
pregnanti e/o importanti, che è poi
l’atteggiamento tipico d’ogni saccente e supponente. |
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