MACCARONE
Pur avendo già trattato dell’argomento in epigrafe alibi
sotto il titolo:”MAGNARSE ‘E MACCARUNE”, su precisa richiesta del caro amico A.
M. (i consueti problemi di riservatezza mi costringono ad indicare solo le
iniziali di nome e cognome)vi torno su, per chiarire quali siano i motivi della
mia scelta etimologica. Accontento l’amico e chi leggesse dicendo in primis che la
voce maccarone che al plurale metafonetico diventa maccarune indica in primis una generica pasta alimentare, piú nota con varie
specifiche denominazioni giusta il
formato di détta pasta: lunga o corta, bucata e non; per traslato vale sciocco,
stupido, melenso ed addirittura babbeo,incapace, impotente [nel caso di
maccarone senza pertuso]il tutto in riferimento alla semplicità, alla pochezza di significato o di consistenza del semplice
impasto di cui è fatto il maccherone, che, nell’inteso comune, è migliore se è
doppio e forato come nella locuzione:
Meglio unu maccarone ca ciento vermicielle! (meglio un solo maccherone, che
cento vermicelli!); quanto
all’etimologia il termine maccarone
deriverebbe,secondo alcuni, dal greco makaría= piatto di fave e fiocchi di
avena,che però d’acchito, come ognuno può arguire, non ànno nulla da spartire
con i maccheroni vuoi di farina, vuoi di semola, cosa che mi fa respingere
l’ipotesi etimologica; ugualmente è da respingere l’altra ipotesi che chiama in
causa il greco makariòs= beati o pasto
funebre, atteso che – per quanto ben cucinati o conditi – i maccheroni mai
possono attagliarsi al significato di beatitudine, che –lessico alla mano - è:” lo stato di piena, perfetta e costante
felicità, specialmente quella delle anime elette in paradiso, conseguente al
possesso del Sommo Bene” cosa che – con ogni buona volontà –non si può riferire ad o pretendere da un piatto di pasta; a mio
avviso perciò è molto piú convincente
l’etimologia che chiama in causa il
latino maccare = impastare e comprimere tenendo presente infatti che originariamente i maccarune della latinità
furono essenzialmente della pasta casalinga ( sorta di gnocchi) ricavata
dall’impasto di farina, sale ed acqua; tale impasto veniva schiacciato (maccatus) e tagliato in pezzetti
poi compressi come accadeva anche (vedi alibi) per i greco -napoletani strangulaprievete .
E qui penso di poter far punto convinto d’avere chiarito la
mia posizione, esaurendo l’argomento,
soddisfacendo l’amico A.M. ed interessandoo qualcun altro dei miei ventiquattro
lettori e piú genericamente chi dovesse
imbattersi in queste paginette.Satis est.
Raffaele Bracale
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