mercoledì 19 marzo 2008

MICHELEMMÀ.

IPOTESI SULLA CANZONE
MICHELEMMÀ.


Come è riportato da tutti i testi di storia della CANZONE NAPOLETANA, la composizione rammentata in epigrafe, chiaramente di autori ignoti, si fa risalire al 1600 circa prendendo a spunto la citazione contenuta nel testo che fa riferimento alle prime invasioni di turchi.
Salto a pié pari la nota querelle intorno al falso operato da Salvatore Di Giacomo che tentò pedestremente di far risalire la composizione di questa notissima tarantella all’ estro di Salvator Rosa e mi soffermo proprio sul titolo: MICHELEMMÀ.
Cosa vorrà mai dire Michelemmà?
La domanda non à una risposta univoca o ovvia avendo il detto termine suscitato varie ipotesi; la più accreditata è che MICHELEMMÀ significhi: Michela è mia; ma recentemente alcuni autori come il compianto Max Vajro, il vulcanico Salvatore Palomba, sulla scia del ricercatore Gaetano Amalfi, ipotizzano che la parola sia un intercalare del tipo Michela e ba un mottozzo modellato sullo schema di ‘o mare e ba presente in altre canzoni partenopee.

Non condivido né l’una, né l’altra opinione: la prima perché un nome chiaramente maschile (Michele)lo trasforma, ma non si capisce per quale ragione o strada semantica in uno femminile (Michela) ed arbitrariamente fa divenire un MA,MIA con una capriola non spiegabile;
Ugualmente non percorribile mi appare l’opinione piú nuova che oltre a continuare con l’equivoco del maschile fatto femminile fa un vero salto mortale trasformando un MA in un BA. ancora più fantasioso,ma non comprovabile, del MIA della prima ipotesi.
E allora?
Allora bisogna armarsi di pazienza e seguirmi in un ragionamento.
Innanzi tutto occorrerà rammentare che il termine MICHELE nel linguaggio napoletano non indica solamente un nome proprio di persona, ma è usato anche come aggettivo sostantivato di grado positivo nel significato di sciocco, tontolone e si usa dire eufemisticamente in luogo del becero far fesso (ingannare)far michele.
Nel linguaggio familiare poi tale accezione è usata dai genitori quasi a mo’ di scherno affettuoso nei confronti dei propri figliuoli, quando vogliono scherzare con loro ed in luogo di dire: ‘o fesso mio, lo scemo mio, dicono: ‘o michele mio.
Ciò premesso, dirò che ad un attento esame di tutta la canzone si può ragionevolmente pensare che si tratti di un racconto che una mamma stia facendo al proprio figliolo
Se ci poniamo in tale ottica possiamo giungere ad una conclusione che senza stravolgere il sesso della persona chiamata in causa e senza capriole semantiche, ci può condurre a dire che MICHELEMMÀ possa essere una corruzione trascrittoria di un ipotizzabile originario MICHELE ‘E MA’ (Michele di mamma) corrottosi nel corso del tempo in MICHELEMMÀ.
Ipotizzo cioè che ci sia stata una mamma che, stringendo tra le braccia un suo bambino cui per scherzo ed affetto dava bonariamente dello sciocco (michele), gli raccontava la favola della nascita di un’isola (ISCHIA?)ricoperta di fronzuta vegetazione (scarola) e su tale isola, peraltro detta “figlia de notaro” in quanto di pertinenza del vicino reame di Napoli, sbarcassero Turchi (Saraceni) e se la disputassero chi per conquistarne il monte (la cimma), chi per impadronirsi della spiaggia (lo streppone) .
Questa ipotesi poggia anche sul fatto accertato che una delle versioni piú accreditate del testo sia quella raccolta proprio da Gaetano Amalfi in Serrara d’Ischia , che potrebbe essere quella stella Diana riportata nel testo.
Concludendo penso si possa ritenere MICHELEMMÀ una tarantella dedicata non ad una donna, ma ad un’isola (ISCHIA) di cui in forma di favola si racconta la nascita; e non faccia meraviglia l’interessarsi d’un poeta alla nascita d’un’ isola; in una terra vulcanica niente di piú normale svegliarsi un mattino e trovare un’isola in mezzo al golfo…
Raffaele Bracale

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