martedì 27 luglio 2010

CÈRA, CÉRA & DINTORNI

CÈRA, CÉRA & DINTORNI
L’amica T.M. (al solito, motivi di privatezza mi impongono di riportar solo le iniziali di nome e cognome di chi mi scrive per sollecitar ricerche), rimasta colpita dall’espressione “M’à fatto ‘na cèra!”pronunciata con aria dispiaciuta e/o compunta mi à chiesto di spiegarla soffermandomi sui tempi e usi dell’espressione, nonché su significato ed etimo del s.vo f.le cèra. L’accontento súbito dicendole che l’espressione napoletana in esame potrebbe esser resa nella corrispondente dell’italiano “Mi à fatto una céra” id est, con valenza negativa: Mi à lanciato un occhiataccia,mi à guardato come per ammonirmi, per richiamarmi, riprendere, rimproverare, o anche ma con valenza positiva Mi à lanciato un occhiata compiaciuta ,mi à guardato come per farmi un complimento,compiacersi della mia avvenenza per elogiare, encomiare, lodare . Ò usato il condizionale perché in realtà nell’italiano il s.vo céra (stupido, inutile,erroneo, scorretto adattamento del napoletano cèra e ne vedremo il perché... ) non è usato da solo in senso compiuto in valenza negativa o positiva – come invece càpita con il napoletano – , ma esige sempre d’ essere accompagnato da un aggettivo che ne specifichi il senso positivo o negativo: fare una buona/cattiva céra. Il napoletano pur ammettendo costruzioni del tipo fà ‘na bbona/mala cèra (fare una buona/cattiva céra), non si sente vincolato dagli aggettivi e secondo il contesto o il modo con cui vien pronunciata l’espressione esclamatoria “Mi à fatto una céra!” ellittica di aggettivi fa sí che essa assuma da sola significato positivo o negativo, sebbene il piú delle volte, nel parlato comune, sia usata in senso negativo. Da quanto détto se ne ricava che sulla bocca di chi la pronuncia, indirizzata ad adulti o adolescenti,
l’espressione può assumere carattere di encomio o di biasimo secondoché venga riportata con toni e modi garbati o dispiaciuti.In italiano la cosa non è possibile ed occorre sempre accompagnare il s.vo céra da un aggettivo che dia all’espressione il significato voluto: positivo o negativo.Per esemplificare dirò che un adolescente che con aria dispiaciuta dicesse: Mammema m’à fatto ‘na cèra!(Mia madre mi à fatto una céra!) vorrebbe certamente dire che la mamma gli à lanciato un’occhiataccia di rimprovero e/o di ammonimento;in italiano per significar la medesima cosa non sarebbe sufficiente esclamare: Mia madre mi à fatto una céra!, ma occorrerebbe dir: Mia madre mi à fatto una céra!; al contrario una avvenente signorina che con aria soddisfatta comunicasse a’ terzi: Chillu giuvinotto m’à fatto ‘na cèra! (Quel giovanotto mi à fatto una céra) vorrebbe senza dubbio dire che il giovanotto l’à sogguardata con interesse lodandone silenziosamente grazie ed avvenenza. La cosa in italiano esigerebbe l’espressione Quel giovanotto mi à fatto una bella o buona céra! che chiarisse la portata della guardata.
Giunti qui possiamo ricordare che il s.vo f.le napoletano cèra fa parte di quei tanti altri termini nati napoletani (ammuina/o,camorra, guaglione, scugnizzo,sfogliatella, vongola etc. e loro derivati) e poi pervenuti ed accolti nella lingua nazionale, sebbene nella fattispecie il s.vo originario cèra è stato accolto nell’olimpo dell’italiano con – mi ripeto uno stupido, inutile,erroneo, scorretto cambiamento della vocale tonica che da è è divenuta é producendo un risibile céra di cui non si avvertiva la necessità in quanto questo céra di significato analogo al napoletano cèra ( aspetto, espressione del viso: avere una buona, una cattiva céra, apparire in buona, in cattiva salute; far buona, cattiva céra, fare buona, cattiva accoglienza) risulta essere omofono ed omografo di altro s.vo céra (nome generico di sostanze plastiche, fusibili a basse temperature, di origine animale o vegetale, costituite da esteri di acidi grassi con alcoli; in partic., la secrezione giallo-bruna delle ghiandole addominali delle api, con cui esse costruiscono i favi e che è usata per fabbricare candele, come impermeabilizzante, in farmacia, in cosmetica ecc.)a che pro cambiar l’accento tonico della parola cèra che evita di per sé confusione con il s.vo céra or ora illustrato che etimologicamente è dal lat. círa(m), avvicinabile al gr. kírós.
Diversa è l’etimologia della napoletana cèra che è dal gr. kára 'testa, faccia' che à anche generato il fr. ant. chiere.
In chiusura rammento che sarò grato a chi riuscisse convincentemente a spiegarmi il senso di taluni adattamenti operati dall’italiano che si arroga il diritto di mutare aperte vocali etimologiche per sostituirle con le corrispondenti chiuse nel provinciale convincimento che una vocale chiusa (é) sia piú consona alla elegante (?) lingua di Alighieri Dante
della corrispondente aperta (è) come càpita ad es. anche con il s.vo nap. fessaria= sciocchezza, stupidata, donde la toscana fesséria di significato analogo, dove il toscano trasforma senza motivo una a etimologica ( fessaria è un derivato di fessa) per adottare una piú chiusa e ( e l’originaria fessaria vien trasformata in fesseria.
E qui penso di poter far punto convinto d’avere esaurito l’argomento, soddisfatto l’amica T.M., interessato qualcuno dei miei ventiquattro lettori ed incuriosito chi dovesse leggere queste paginette.
Satis est.
Raffaele Bracale

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