venerdì 4 settembre 2020

AUMMO AUMMO

AUMMO AUMMO

Anche questa volta faccio sèguito ad  un  quesito rivoltomi dall’amico N.C. (al solito, motivi di riservatezza mi impongono di  riportar solo le iniziali di nome e cognome di chi mi scrive per sollecitar ricerche) occupandomi della locuzione avverbiale napoletana in epigrafe per illustrarne significato ed etimologia. Gli ò risposto: Premesso che, quantunque la locuzione sia usatissima nel parlato popolare e addirittura intitoli una famosissima canzonetta di Luigi e Giuseppe Cioffi, è assente in tutti i calepini antichi o moderni del napoletano per cui, caro amico, dovrai contentarti di ciò che ti dirò e spero di essere chiaro preciso ed esauriente; comincio con il dirti che la locuzione avverbiale è usata in riferimento ad ogni atteggiamento, modo di agire che risulti essere silente, segreto,tacito, cauto, fatto con attenzione, insidiosamente, attentamente, lentamente, prudentemente, accortamente, con circospezione, con destrezza silente per modo che non si possa dar a vedere o ad intendere ciò che si stia facendo, o si abbia in mente di fare. Trattandosi di una locuzione avverbiale essa per solito accompagna un verbo, ma può essere usata anche da sola per comunicare che si intende agire nelle maniere suddette e ci si augura che pure l’eventuale interlocutore si comporti allo stesso modo; preciso che quando è usata da sola la locuzione va accompagnata dal gesto della bocca aperta e chiusa, senza dir motto, rapidamente quasi boccheggiando ad imitazione dell’ansare dei pesci [notoriamente muti] a fior d’acqua. Ed è proprio la somiglianza al movimento della bocca    che ansando quasi si comporta come chi mangia da cui trae origine l’iterazione aummo aummo  che risulta essere quindi quasi onomatopeica.

Non mi pare ci sia altro da aggiungere per cui mi fermo qui, sperando d’avere accontentato l’amico N.C. ed interessato qualcun altro  dei miei ventiquattro lettori e  chi  forte dovesse imbattersi in queste paginette. Satis est.

Raffaele Bracale

 

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