CRIATURO/A
Mi è stato chiesto dalla cara amica D. C. (i consueti
problemi di riservatezza mi costringono ad indicare solo le iniziali di nome e
cognome) via e-mail di spendere qualche
parola per illustrare significato, etimo
e chiarire quale sia il plurale dei termini partenopei in epigrafe.
Rispondo dicendo
súbito che con le voci criaturo e criatura [ ambedue dal tardo latino
creatura-m] si intendono rispettivante un bambino, un pargolo, un piccino e
correlativamente al femminile una bambina, pargola, piccina, d’età
compresa tra i due e gli otto anni e fin qui nulla quaestio; ora, premesso
che da gli otto anni in su si parla non
piú di bambino/a, ma di adolescente che
in napoletano vanno resi con bardascio/a [dal persiano bardal attraverso l’ arabo: bardağ] oppure
guaglione/guagliona [dal lat .galio/onis→galione-m.], mi soffermo sul problema del plurale delle
voci in esame e dico che con il plurale (maschile) ‘e criature ci si riferisce
a piú bambini (di sesso maschile), mentre
con il plurale (femminile) ‘e ccriature [da notare la geminazione iniziale
della C, dovuto all’articolo femminile ‘e = le ] ci si riferisce, tenendo
presente il contesto, o a piú bambine, oppure a piú bambini e
bambine onnicomprensivamente cosa che rappresenta una patente differenza
con la lingua italiana la cui grammatica classicamente dà preminenza al plurale
maschile quando nella medesima espressione occora riferirsi a termini di genere
diverso.
E qui penso di poter far punto convinto d’avere esaurito
l’argomento, soddisfatto l’amica D.C. ed interessato qualcun altro dei miei
ventiquattro lettori e piú genericamente
chi dovesse imbattersi in queste paginette.Satis est.
Raffaele Bracale
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