sabato 8 maggio 2021

10 ICASTICHE ESPRESSIONI POPOLARI PARTENOPEE

10 ICASTICHE ESPRESSIONI POPOLARI PARTENOPEE

 

1.‘ A PRIMMA SCHIAVUTTELLA, ‘A SICONNA SIGNURINELLA

Letteralmente: La prima (considerata) serva, la seconda (considerata) signorinella, cioè padroncina. Locuzione usata per sottolineare l’ingiusto comportamento di chi (soprattutto genitore) usi due pesi e due misure nei confronti dei proprî sottoposti (piú spesso) figlioli, considerandone uno alla stregua di servo/a ed un altro/a alla stregua di padroncino/a meritevole d’essere esentato da ogni lavoro, e d’essere anzi addirittura fatto oggetto di riverenza,ossequio,riguardo;

schiavuttella s.vo f.le diminutivo (cfr. il suff. ella) di schiavotta = serva, ragazza di servizio; ragazza di carnagione scura; voce denominale di schiavo dal lat. mediev. sclavu(m), slavu(m), propr. '(prigioniero di guerra) slavo'; semanticamente da riferirsi al fatto che gli schiavi erano spesso in genere di carnagione scura; da sottolineare che nell’espressione in esame esiste il voluto contrasto tra una ragazza di carnagione scura intesa perciò serva, ragazza di servizio ed una ragazza probabilmente di incarnato chiaro intesa perciò piú delicata, garbata, educata, sensibile, signorile insomma piú padrona, che serva!

 

 

2.ADDÓ VAJE CU ‘O SCIARABBALLO, DICETTE ‘O CICENIELLO ‘NFACCI’ Ô SCUNCIGLIO.

Letteralmente: Disse l’avannotto al murice: Dove vai con il (tuo)carretto?! Espressione usata per contestare al prepotente la sua azione fatta di sopraffazione, abuso, sopruso, angheria, ingiustizia, violenza e rammentargli che neppure all’arrogante è consentito eccedere ad libitum nel suo improprio vessatorio comportamento, senza aspettarsi una reazione (per piccola che sia) da parte del vessato tanto è vero che persino il piccolissimo avannotto redarguí lo spinoso murice (che intendeva, con la sua mole, sottrargli spazio vitale...);

addó/aró = cong. ed avverbio di luogo che usato genericamente vale dove oppure mentre, invece (con valore avversativo);  usato nelle interrogative vale dove, in quale luogo? usato nelle esclamative vale proprio là dove! ; etimologicamente da un latino de ubi con successivo rafforzamento popolare attraverso un ad del de d’avvio;

la forma aró con rotacizzazione osco-mediterranea della l'occlusiva dentale sonora (D) e passaggio a scempia dell’originaria doppia ( derivante dall’ ad+de), è forma popolare del parlato, mentre la forma addó è d’uso letterario;

vaje voce verbale (2ª persona sg. ind. pr.) dell’infinito jí (dal lat. ire) mentre per le forme a margine dell’ind. presente ci si serve del basso latino *vadere/vadicare (con sincope dell’intera sillaba de/di) e si ottiene : i’ vaco,tu vaje, isso va, mentre per 1ª e 2ª pers. pl. si usa il tema di ji –re e si ànno nuje jammo, vuje jate per tornare a *va(di)c-are per la 3ª ps. pl che è lloro vanno.

cu  preposizione semplice che corrisponde all’italiano con in tutte le sue funzioni ed accezioni : 1) esprime relazione di compagnia, se è seguito da un nome che indica essere animato (può essere rafforzato da insieme): è partito cu ‘o pato ; à magnato cu  ll’ amice; campa  (‘nzieme) cu ‘a sora; 2) in senso piú generico, introduce il termine cui si riferisce una qualsiasi relazione: s’è appiccecato cu ‘o frato; à sfugato cu mme; 3) con valore propriamente modale: restà cu ll’uocchie nchiuse; vulé bbene cu  tutto ‘o  cuore; trattà cu ‘e guante gialle( cioè con rispetto e dedizione quelli dovuti ai nobili che usavano indossare guanti di camoscio in tinta chiara) | con valore tra modale e di qualità: pasta cu ‘e  ssarde; stanza cu ‘o bbagno; casa cu ‘o ciardino; 4) introduce una determinazione di mezzo o di strumento: cu ‘a  bbona vulontà s’ave tutto; ‘o vino se fa cu ll'uva; scrivere cu ‘a penna stilografica; partí cu ‘o  treno ;

5) indica una circostanza, stabilendo un rapporto di concomitanza: nun ascí cu ll’acqua!; 6) può avere valore concessivo o avversativo, assumendo il significato di 'non ostante,a malgrado': cu tutte ‘e guaje ca tène, riesce ancòra a ridere; cu tutta ‘a bbona vulontà, ma  è proprio impossibbile. L’etimo della preposizione a margine è dal lat. cum. Faccio notare  che questo cu  comporta sempre per assimilazione regressiva il raddoppiamento dell’iniziale consonante scempia della parola successiva;  es.: cu(-m) te→cu tte = “con te” -  cu(-m) piacere→cu ppiacere; ovviamente ciò non vale quando la parola che segue il cu sia già provvista di suo di una doppia consonante; es.: cu(-m) stanchezza etc.

Rammento qui e valga anche a futura memoria che tutte le parole che abbiano un etimo da voce latina terminante per consonante (che nella parola formata cade) non necessitano di alcun segno diacritico in quanto il segno diacritico dell’apocope (accento o apostrofo) è necessario apporlo graficamente quando a cadere sia una sillaba e non una o due consonanti; nel caso in esame cum dà cu  e non l’inesatto cu’ che spesso mi è occorso di trovare negli scritti anche di famosi autori,  sedicenti  esperti della parlata napoletana.

sciarabballo s.vo m.le = carro rustico aperto con sedili per trasporto di passeggieri, usato soprattutto in provincia in sostituzione delle carrozze (vetture passeggieri riparate da un soffitto e da cortine di stoffa) ; qui iperbolicamente riferito alla grossa spinosa conchiglia del murice ; voce dal fr. char a bancs ;

‘nfacci’ ô locuzione prepositiva articolata: ad litteram in faccia ad il/lo ma piú in breve al. Al proposito rammento che nel napoletano, cosí come nell’italiano, le locuzioni articolate formate con preposizioni improprie ànno tutte una forma scissa, mantenendo separati gli articoli dalle preposizioni e mentre nell’italiano s’usa far seguire alla preposizione impropria il solo articolo, nel napoletano occorre aggiungere alla preposizione impropria non il solo articolo, ma la preposizione articolata formata con la preposizione semplice a ( ad es. nell’italiano si à: sotto il tavolo, ma nel napoletano si esige sotto al tavolo e ciò per riprodurre correttamente il pensiero di chi mentalmente articola in napoletano e non in italiano). Tanto premesso annoto altresí che mentre in italiano la gran parte delle preposizioni articolate formate dall’unione degli articoli sg. e pl. con le preposizioni semplici, ànno una forma agglutinata, nel napoletano ciò non avviene che per una o due preposizioni semplici, tutte le altre si rendono con la forma scissa mantenendo cioè separati gli articoli dalle preposizioni.

Passiamo ad elencare dunque le preposizioni articolate cosí come rese in italiano e poi in napoletano:

con la preposizione a in italiano si ànno al = a+il, allo/a= a+lo/la alle = a+ le agli = a+ gli (ma è bruttissimo e personalmente non l’uso mai preferendogli la forma scissa a gli!) in napoletano si ànno le medesime preposizioni articolate formate dall’unione degli articoli ‘o (lo/il), ‘a (la) ‘e (i/gli/le) con la preposizione a, unione che produce una preposizione articolata di tipo agglutinata resa graficamente con particolari forme contratte (crasi): â = a+ ‘a (a+ la), ô = a + ‘o (a+ il/lo), ê = a + ‘e (a + i/gli oppure a+ le);

con la preposizione di in italiano si ànno del = di+il, dello/a= di+lo/la delle = di+ le, degli = di+ gli; in napoletano le analoghe preposizioni formate dagli articoli ‘o (lo/il), ‘a (la) ‘e (i/gli/le) con la preposizione de (=di), produce una preposizione articolata di forma rigorosamente scissa o tutt’al piú apostrofata: de ‘o→d’’o, de ‘a→d’’a, de ‘e→d’’e; con la preposizione da in italiano si ànno dal = da+il, dallo/a= da+lo/la dalle = da+ le, dagli = di+ gli; in napoletano le analoghe preposizioni formate dagli articoli ‘o (lo/il), ‘a (la) ‘e (i/gli/le) con la preposizione da talora anche ‘a (=da), produce una preposizione articolata di forma normalmente scissa e spessa apostrofata: da ‘o→d’’o, da ‘a→d’’a, da ‘e→d’’e ma come ognuno vede la forma apostrofata (quantunque usatissima) presta il fianco alla confusione con le preposizioni articolate formate con la preposizione de (=di), e d’acchito è impossibile distinguere tra de ‘o→d’’o, de ‘a→d’’a, de ‘e→d’’e e da ‘o→d’’o, da ‘a→d’’a, da ‘e→d’’e e bisogna far ricorso al contesto per chiarirsi le idee; ò dunque proposto d’usare una forma affatto diversa per le preposizione napoletane da + ‘o→dô = dal, da+ ‘a→dâ = dalla, da+ ‘e→dê = dagli/dalle, forma che eliminando l’apostrofo e facendo ricorso alla medesima contrazione  (crasi) usata per le preposizioni articolate formate con la preposizione a consente di evitare la deprecabile confusione cui accennavo precedentemente. . Rammento che nel napoletano è usata spessissimo una locuzione articolata che con riferimento il moto a luogo rende i dal/dallo – dalla – dalle – dagli dell’italiano ; essa è (la trascrivo cosí come s’usa generalmente fare,ma a mio avviso erroneamente in quanto non ricostruibile nei suoi elementi costitutivi) essa è add’’o/add’’a/add’ ‘e es.: è gghiuto add’ ‘o zio(è andato dallo zio) è gghiuta add’ ‘a nonna, add’ ‘e pariente (è andata dalla nonna, dai parenti);; francamente non si capisce da cosa sia generato quel add’ né si comprenderebbe il motivo dell’agglutinazione della preposizione a con la successiva da→dd’; a mio avviso è piú corretta e qui la propugno: a ddô/ a ddâ/ a ddê per cui sempre ad es. avremo: è gghiuto a ddô zio(è andato dallo zio) è gghiuta a ddâ nonna, a ddê pariente (è andata dalla nonna, dai parenti);; rammento tuttavia di non confondere

a ddô con l’omofono addó←addo(ve) = dove, laddove che è un avverbio e cong. subord. che introduce proposizioni avversative, relative, interrogative dirette ed indirette.

Nel nostro caso la locuzione prepositiva è formata da un sostativo (faccia) con protesi agglutinata di un in→’n (illativo) sino ad ottenere un ‘nfaccia che unito alle crasi â = a+ ‘a (a+ la), ô = a + ‘o (a+ il/lo), ê = a + ‘e (a + i/gli oppure a+ le) dà volta a volta ‘nfacci’ ô, ‘nfacci’ â‘nfacci’ ê e cioè in faccia al/allo oppure soltanto asl/allo, oppure in faccia alla oppure soltanto alla, oppure in faccia alle/ a gli.

 

scunciglio/sconciglio. s.vo m.le in primis disordine, guasto, confusione ; per traslato uomo piccolo e deforme ed infine come nel caso che ci occupa voce regionale campana usata per indicare il murice, mollusco gasteropodo marino con grossa conchiglia spinosa avvolta a spira, da cui gli antichi estraevano la porpora. Etimologicamente deverbale di sconciglià/scunciglià = confondere,disordinare (dal lat. ex-conciliare→sconciliare→sconciglià/scunciglià).Il collegamento semantico tra il verbo ed il s.vo inteso murice si coglie osservando che la grossa conchiglia spinosa avvolta a spira del mollusco à forma disordinata, imprevista, fortuita, casuale.

ciceniello s.vo m.le voce regionale campana usata per indicare il novellame dei pesci (bianchetti/avannotti) ; quanto all’ etimo penso che esso vada cercato piú che nel latino “caecella” = anguillina, come per un certo tempo pensai, ma altrove e cioè che si tratti molto probabilmente di un diminutivo (eniello/e) derivato dal lat. caec(um) atteso che il novellame che è molto piccolo si presume cieco.

 

3. VECCHIA ‘A PANZA S’ARREPECCHIA : ‘A CHITARRA ‘UN SONA CCHIÚ.

Letteralmente: alla vecchia la pancia (le) si affloscia e raggrinzisce e la (sua) chitarra non suona piú. Id est: una donna vecchia perde l’avvenenza delle forme; la pancia, (come il seno) pèrdono di tonicità, afflosciandosi e conseguenzialmente le vengono rifiutati ed a mancare i piaceri del sesso (che ad una persona vecchia, non piú formosa od attraente, si negano). Nell’espressione in esame la voce chitarra (dall'ar. qîtâra, che è dal gr. kithára. che normalmente indica un noto strumento musicale a corde,provvisto di cassa armonica formata da due tavole (di cui la superiore con foro centrale, détto rosa) unite da una fascia, di paletta con meccanica per tender le corde) è usata per indicare furbescamente la vulva femminile, semanticamente richiamata dalla rosa/foro centrale, ed inteso quale strumento di piacere ;

in tale medesima accezione la voce chitarra la si ritrova nella smorfia napoletana che al numero 67 fa corrispondere l’espressione ‘o totaro dint’ â chitarra letteralmente: il totano nella chitarra, e ci si trova davanti ad una figurazione dal sapore marcatamente gioioso e furbesco, intendendosi con questa figura riferirsi all’immagine del coito ( che è dal lat. coitu(m), deriv. di coire←cu(m) +ire ='andare insieme') in effetti è molto semplice rendersi conto di cosa sia adombrato sotto la figura del totaro e cosa adombri la chitarra con il foro della rosa; quanto all’etimologia abbiamo: totaro deriv. del gr. teuthís o têutòs con lo stesso significato di mollusco simile al calamaro; la voce pur partendo dal greco è giunta nel napoletano attraverso un basso latino tutanu(m) con metaplasmo e cambio di suffisso nu→ro.

arrepecchia voce verbale 3ª pers. sg. ind. pres. dell’infinito arrepicchià = in primis rappezzare, accomodare alla meglio, estensivamente come nel caso che ci occupa aggrinzare,afflosciare; voce denominale di ad+ repecchia→arrepecchia rafforzativo di repecchia attestata altresí con lettura metatetica rechieppa s.vo f.le = grinza, piega,ruga (dal lat. rappicula→rapicla →repecchia).

4.SI 'O GALLO CACAVA, COCÒ NUN MUREVA.

Letteralmente: Se il gallo avesse defecato, Cocò non sarebbe morto. La locuzione la si oppone sarcasticamente, a chi si ostina a mettere in relazione di causa ed effetto due situazioni chiaramente incongruenti, a chi insomma continui a fare ragionamenti privi di conseguenzialità logica.Va da sé che nella fattispecie dell’espressione in esame non vi sia, né possa esservi alcun nesso di relazione tra il fatto che se il gallo avesse defecato, Cocò non sarebbe morto ; e ciò perché chi sia sia o fosse fosse quel non meglio identificato Cocò, la sua vita non può dipedere dalle funzioni fisiologiche di un gallo a meno che quel Cocò non fosse il nome del gallo medesimo affetto da una pericolosa stipsi. Ma in queste icastiche espressioni non v’è mai una razionalità tanto stringata !

5.CAMMENÀ CU ‘A CARROZZA D’ ’O SCARPARIELLO Letteralmente: Incedere con la carrozza del ciabattino; id est: usare come carrozza quella fornita dal ciabattino, e cioè le proprie scarpe, marciando a piedi. Espressione usata a divertita chiosa del comportamento di chi non perché salutista, ma perché parsimonioso al massimo,quasi avaro, pur di risparmiare i pochi soldi per servirsi di una carrozza per il trasporto pubblico, si rassegni a marciar a piedi.

carrozza s.vo f.le

1 vettura a quattro ruote, con chiusura a cabina o a mantice, trainata da uno o piú cavalli, per il trasporto di persone. DIM. carrozzella/carruzzella,

2 vagone ferroviario per il trasporto di persone: carrozza di prima, di seconda classe | carrozza letto, provvista di cuccette | carrozza ristorante, dove si servono i pasti | carrozza ristoro, dove si fa servizio di bar

3 mozzarella ‘ncarrozza, specialità della cucina napoletana costituita da due fette di pane senza crosta ripiene di mozzarella,bagnate nel latte, infarinate, intinte nell'uovo e poi fritte. etimologicamente carrozza è  voce dallo spagnolo carroza marcata su di un lat. barbarico *carrocea affine al cl. carrus;

scarpariello s.vo m.le diminutivo (cfr. suff. iello) di scarparo s.vo m.le letteralmente non è il ciabattino, colui che accomoda le scarpe rotte (costui, in corretto napoletano è ‘o solachianiello ), ma è il fabbricante di scarpe,in linea con l’etimologia del termine scarparo che è dal portoghese-spagnolo escarpa con l’aggiunta di un suffisso di attinenza arius→ aro di reminescenza latina; da quanto détto se ne ricava che la locuzione piú acconciamente potrebbe esser resa con Cammenà cu ‘a carrozza d’ ’o solachianiello (ciabattino) e non Cammenà cu ‘a carrozza d’ ’o scarpariello il (giovane fabbricante di scarpe.

5. TENÉ ‘A CÓRA ‘E PAGLIA.

Ad litteram: Avere la coda di paglia. Id est  Avere un comportamento tale da indurre i terzi a sospettare  di trovarsi ad avere a che fare con persona che non abbia la  la coscienza pulita,in quanto ci si  allarmara alla prima allusione sfavorevole, ci si  discolpa senza essere stati accusati, reagendo con eccessiva ed inusitata velocità o violenza verbale a critiche od osservazioni, quasi si prenda celermente  fuoco", proprio come la paglia. Si raccontava, in un’antica favola contadina  che una giovane volpe fósse caduta  disgraziatamente in una tagliola; pur riuscendo  a fuggire,  gran parte della coda le rimase presa e l’animale la cui bellezza stava tutta nella coda  si vergognava di farsi vedere in giro  con quell’antiestetico brutto mozzicone. Gli animali amici  che la conoscevano e sapevano del suo disagio ne  ebbero pietà e le costruirono una coda di paglia. Pare che tutti mantenessero il segreto tranne un galletto che disse la cosa in confidenza a qualcuno e, di confidenza in confidenza, la cosa fu saputa dai padroni dei pollai, i quali accesero un po' di fuoco davanti ad ogni stia. La volpe, per paura di bruciarsi la coda, evitò di avvicinarsi alle stie. Da quel momento si usò dire che avesse la coda di paglia chiunque,commessa una  qualche birbonata, temesse  di essere scoperto e si comportasse guardingamente, come pure si usa dire che abbia la coda di paglia chiunque ritenga e tema  che taluni  inusitati atteggiamenti e/o comportamenti di un suo contrattante siano aqscrivibili a lui (responsabile di una qualche malefatta tenuta nascosta e di cui declini la paternità).

 

6. RROBBA 'E MANGIATORIO, NUN SE PORTA A CCUNFESSORIO

Ad litteram: faccende inerenti il cibarsi, non vanno riferite in confessione. Id est: il peccato di gola... non è da ritenersi un vero peccato da confessare ; a malgrado che la gola sia uno dei vizi capitali, per il popolo napoletano, atavicamente perseguitato dalla fame, non si riesce a comprendere come sia possibile ritenere peccato lo sfamarsi anche lautamente... ed in maniera eccessiva.

32.ME PARE ‘O PUORCO CU ‘A SPICA ‘MMOCCA Sembra un maiale con una pannocchia in bocca

Icastica espressione usata per sarcastico dileggio di persona (uomo o piú spesso donna) panciuta, corpacciuta, ma paciosa appaiata per la sua pinguedine ad un maialetto cucinato e servito in tavola tutt’intero con in bocca infilata una pannocchia di granturco bollita salata ed unta di grasso;

me pron. pers. di prima pers. sg.corrispondente all’italiano mi

1 me, a me; forma complementare atona del pron. pers. io, si usa come compl. ogg. e come compl. di termine (come nel caso che ci occupa) quando non si vuol dare loro particolare rilievo, in posizione sia enclitica sia proclitica: tu me cazzie sempe!(tu mi rimproveri sempre); m’à scritto ajere(mi à scritto ieri); eccume arrivato (eccomi giunto); vedennome arrivà (vedendomi arrivare); diciteme si è overo(ditemi se è vero) | è anche usato in presenza delle forme pronominali atone la, lo, li, le e della particella ne(nn’): me ll’à cuntato (me lo à raccontato); me nn’ à parlato(me ne à parlato) | si usa nella coniugazione dei verbi pronominali: me vesto, me lavo ‘e mmane, me ne pento(mi vesto,mi lavo le mani,mi pento di ciò); m’ero scurdato(mi ero dimenticato);

2 esprime intensa partecipazione affettiva di chi parla all'azione espressa nel discorso (cosiddetto «dativo etico»): che mme dice maje?(che mi dici mai?); stàmmete bbuono(stammi(ti) bene)

3 con valore rafforzativo: A mme me pare ca (a me mi pare che)ma in italiano è forma che i puristi bocciano...

pare = sembra, pare, è simile a;  voce verbale (3ªpers. sg. ind. pres.)dell’infinito paré sembrare,parere, apparire, figurare; somigliare, assomigliare; etimologicamente deriva dal latino volg. *paríre→parere = apparire,manifestarsi come ;

puorco s.vo m.le 1. in primis porco, maiale, suino ; 2 (non com.) carne di maiale: sacicce ‘e puorco(salsicce di maiale);

3 (figuratamente ) persona che fa o dice cose oscene.

spica s.vo f.le spiga (segnatamente quella di granturco), ma anche spiga di grano,orzo, avena ed altri cereali voce dal lat. spica(m), propr. 'punta';

‘mmocca = in bocca locuzione di stato in luogo formata dalla preposizione in + il s.vo vocca/bocca ; rammento che nel napoletano la preposizione in usata in posizione protetica di sostantivi e/o avverbi viene agglutinata con essi assumendo la forma aferetica di ‘n (ad es.: in terra→’nterra, in cielo→’ncielo, in sopra→’ncoppa, in giú→’nsotto) e talora di ‘m davanti alla consonante consonante occlusiva bilabiale sorda (p) (cfr. ‘mparaviso = in paraviso ) o davanti all’ occlusiva bilabiale sonora (b) davanti alla quale dà luogo ad assimilazione progressiva (cfr. ad es.in bocca→ ‘mbocca→’mmocca ).

 

 

7. QUANNO ‘A MUGLIERA È BBELLA E BBONA O ‘NCANNACCATA E ‘O MARITO È  ‘NU CHIACHIELLO PAPURCHIO, SPONTANO SEMPE ‘E CCORNE

Quando una moglie è procace e piacente o (troppo)ingioiellata ed il marito è sciocco o bonaccione, spuntano sempre le corna

Id est:la moglie procace e sfrontata o eccessivamente provvista di gioielli vistosi d’un marito fesso e credulone, prima o poi lo tradirà.

bbella e bbona = bella ed appetibile; bbella è il femm. di bello che è dal tardo lat. bellu(m) 'carino', in origine dim. di bonus 'buono' ed à il consueto significato attribuito a ciò che è dotato di bellezza o che suscita ammirazione, piacere estetico; mentre bbona (femm. di buono) nel significato a margine non vale conforme al bene; onesta, moralmente positiva, che à mitezza di cuore, mansueta, bonaria e non vale neppure abile, capace; oppure détto di cosa: utile, efficace, efficiente ma - pur mantenendo l’etimo dal lat. *bonam=buona – sta per piacente, appetibile, che risveglia i sensi; da rammentare poi che in napoletano esiste un’espressione formata apparentemente da due agg.vi m.li, ma chè è invece un’espressione avverbiale temporale; l’espressione è bbello e bbuono che non si riferisce a persona o cosa di genere maschile, esteticamente gradevole o moralmente positiva, ma è, come ò anticipato un’ espressione avverbiale con valenza temporale e sta per all’improvviso con riferimento ad una situazione che da positiva (bella e buona) che era si sia mutata d’improvviso in maniera negativa es.: bbello e bbuono s’è miso a chiovere(d’improvviso è cominciato a piovere); ‘ncannaccata = ingioiellata;part. pass. f.le agg.vato dell’infinito ‘ncannaccà= provvedere di collane denominale da in→’n + cannacca (dall’arabo hannaqa= monile, collana);

chiachiello agg.vo e sost. m voce quasi desueta che indicò in primis un uomo di bassa statura e poi per estensione semantica lo sciocco credulone, il babbeo di nessuna personalità,l’inetto, l’incapace, il mancator di parola, il bonaccione, il banderuola aduso a mutar continuamente parere ed intenti e pertanto un essere inetto,spregevole, persona di scarsa serietà; quanto all’etimo si può supporre una base lat. cloac(u)la + il suff.masch. iello oppure, ma meno probabilmente,da collegarsi al greco kophòs=babbeo voce che però già diede il seguente chiafèo morfologicamente piú rispondente alla derivazione dalla voce greca;

chiafeo: antichissima voce, quasi desueta che indica lo sciocco, il grullo, il melenso etimologicamente da collegarsi al greco kophòs = babbeo, attreverso l’aggettivo kophàîos;

papurchio  agg.vo m.le e solo m.le = sciocco, stolto, fesso; voce dal tardo lat. [cfr.Du Cange] baburcus di medesimo significato.

 

8. DDOJE FEMMENE E 'NA PAPERA ARREVUTAJENO NAPULE.alibi anche  ‘NA FEMMENA E 'NA PAPERA ARREVUTAJENO NAPULE.

Ad litteram: Due donne ed un'oca misero a soqquadro Napoli. Alibi anche: Una donna ed un’oca misero a soqquadro Napoli   Uno dei consueti motti antimuliebri (presentato in duplice versione di cui la seconda molto piú sarcastica)  dell' antica cultura partenopea, motto nel quale si pogono in ridicolo le donne ritenute cosí eccessivamente rumorose e/o ciarliere al segno che bastano due donne o addirittura una sola donna ed una starnazzante oca per scatenare un putiferio che può giungere addirittura a coinvolgere un'intera città.Non dimentichiamo che le starnazzanti oche (qui papere) del Campidoglio difesero la città di Roma quando nel 390 a.C. [ o per alcuni, nel 387 a.C.] con il loro starnazzare destarono il valoroso Marco Manlio che lanciò l’allarme come rammentato nell’episodio dell’assedio della città da parte dei Galli comandati da Brenno; nè è dato sapere con certezza, anche se  è ipotizzabile, se le oche sacre a Giunone fossero governate da donne che gridando si unirono alle oche.

ddoje = due agg.vo f.le al m.le duje/dduje ( dal lat. m.le duo, f.le duae)

fémmene s.vo f.le pl. di fémmena

1 nome generico di ogni individuo umano o animale portatore di gameti femminili atti a essere fecondati da quelli maschili, e quindi caratterizzato dalla capacità di partorire figli o deporre uova

2essere umano di sesso femminile; donna, bambina;

3 parte di un congegno destinata a riceverne un'altra nel suo interno

( voce dal lat. femina(m), voce connessa con fecundus 'fecondo' con raddoppiamento espressivo della consonante nasale bilabiale (m) postonica tipico nello parole sdrucciole)

 

 

papera s.vo f.le

1 oca giovane e pingue | (fig.) donna sciocca e ciarliera

2 (fam.) errore commesso parlando in pubblico o recitando; anche, lapsus: fà, piglià ‘na papera (fare, prendere una papera); la voce etimologicamente è la femminilizzazione del s.vo papero (che piú che voce onomatopeica penso sia dallo spagnolo papero da collegarsi al tardo latino paparu(m).

A proposito della necessità di avere due termini simili, ma di genere diverso, rammento che in napoletano un oggetto (o cosa, animale etc. quale che sia) è inteso se maschile piú piccolo o contenuto del corrispondente femminile; abbiamo ad . es. ‘a tavula (piú grande rispetto a ‘o tavulo piú piccolo ),‘a tammorra (piú grande rispetto a ‘o tammurro piú piccolo ), ‘a cucchiara(piú grande rispetto a ‘o cucchiaro piú piccolo), ‘a carretta (piú grande rispetto a ‘o carretto piú piccolo ); ),‘a canesta (piú grande rispetto a ‘o canisto piú piccolo ), fanno eccezione ‘o tiano che è piú grande de ‘a tiana e ‘o caccavo piú grande de ‘a caccavella. Nella fattispecie ‘o papero è animale morfologicamente piú piccolo o meno pasciuto de ‘a papera che è più grossa e/o pasciuta.

arrevutajeno = misero a soqquadro voce verbale 3ª pers. pl. pass. rem.) dell’infinito arrevutà = rivoltare, mettere a soqquadro, mettere in gran disordine; etimologicamente deverbale del lat. volg. *volutare→ad+revolutare→arrevolutà→arrev(ol)utà→arrevutà, intensivo di volvere 'volgere'

Napule nome della città partenopea (dal greco Neapolis = città nuova, nome che fece seguito a quello di Palepoli = città vecchia che fu quella fondata tra il IX e l'VIII secolo a.C. da coloni greci sulle pendici del monte Echia).

9. ‘A RAMMA: ‘A SCERIAMMO, LL’APPENNIMMO E CCHIÚ BBELLE PARIMMO.

Letteralmente: Il rame [cioè le stoviglie di rame], lo soffreghiamo, l’ appendiamo e sembriamo piú belle.

Icastica desueta espressione ironica se non sarcastica usata nei confronti  di quelle attempate zitelle che nel vano tentativo di opporsi alle ingiurie del tempo, continuano a sottoporsi ad incessanti, pesanti  trattamenti di maquillage sperando di rendersi piú avvenenti e non si accorgono di peggiorare la situazione divenendo anche ridicole.

Sceriammo: voce verbale 2ª pers. pl. ind. pr. dell’infinito scerià [ soffregare, nettare, lucidare viene da un tardo latino: flicare da cui felericare e poi flericare, donde scericare e infine scerià tutti con il significato di soffregare].

10. APÀRETE ‘A CASTAGNA!

 Letteralmente: Para la castagna!Datatissima locuzione esclamativa rivolta amichevolmente ad un conoscente che si voglia mettere sull’avviso di non lasciarsi andare, ma di   tenersi pronto a porre riparo ad una  sopravveniente inattesa, ma  quasi certa, disgrazia che colpirà il malcapitato messo in guardia.

L’espressione è costruita adoperando  uno dei meno usati significati estensivi  di castagna  che è intesa non solo come il  frutto del castagno, a buccia coriacea di color marrone, lucida all'esterno e pelosa all'interno avvolta da uno spinoso riccio, ma anche, nel pugilato, un colpo molto potente, nel calcio un tiro fortissimo e nell’espressione in esame un guaio, una disgrazia o quanto meno un fastidio atteso che risulta molto  scomodo liberare il frutto dal suo spinoso riccio. Mette conto rammentare infine che il verbo aparà [dall’iberico aparar]  di cui apàrete è la seconda persona sg. dell’imperativo à numerosi significati: ornare, addobbare, ma pure frenare, trattenere, porre riparo.

Raffaele Bracale Brak

 

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