FÀ ‘E
SSETTE CHIESIELLE.
Letteralmente: visitare le sette chiesine ovvero per traslato : andarsene in giro
per le case altrui senza uno specifico motivo, ma solo per il gusto di
intrattenersi negli altrui domicili,
nella speranza - magari - di scroccare un
pranzo, o quanto meno un caffé che a Napoli non si rifiuta a chicchessia. Detto
anche di chi, prima di decidersi a fare un acquisto visita innumerevoli negozi
per informarsi sui prezzi dell’articolo cercato, per confrontarli e metterli a
paragone.
Originariamente
le sette chiese della locuzione sono sette bene identificati luoghi di culto
e cioè nell’ordine: Spirito santo, san Nicola alla Carità, san Liborio alla
Pignasecca, Madonna delle Grazie, santa Brigida, san Ferdinando di Palazzo e
san Francesco di Paola, quelle chiese cioè che tutti i napoletani andando dalla odierna piazza Dante
(anticamente Largo del Mercatello) a piazza del Plebiscito (l’antico Largo di
Palazzo) percorrendo la centralissima strada di Toledo, sono soliti visitare durante il cosiddetto struscio la rituale passeggiata pomeridiana o serale che si compie il giovedì santo , durante la
quale si “visitano” i cosiddetti sepolcri ovvero le solenni esposizioni o riposizioni
dell’Eucarestia che si tengono in ogni chiesa di culto cattolico.Dal fatto che
le chiese incontrate nel rituale tratto dello struscio fossero sette si instaurò
la consetudine pseudo-religiosa che i cosiddetti sepolcri da visitare dovessero essere in numero dispari e qualche
devoto poco propenso a camminare per ottemperare a tale pseudo-precetto si recava nella chiesa piú vicina alla
propria abitazione e vi entrava ed usciva
sette volte di fila per biascicare orazioni, ritenendo in tal modo di
aver fatte le rituali dispari visite previste.
La voce struscio (deverbale del lat. volg.
*extrusare,
deriv. del class. extrudere)
venne adottata con riferimento al fruscío prodotto dalle nuove lunghe vesti di
raso indossate dalle signore in occasione della rituale passeggiata del
giovedì santo. P.S.
Nella mente ingenua del popolino si confuserole cerimonie del giovedì e del
venerdì' santo e si parlò impropriamente di "sepolcri" in luogo di "esposizione solenne"
o "riposizione". Rammento a
completamento di quanto fin qui détto che la consuetudine partenopea dello
struscio (rituale passeggiata del giovedì santo, con sfoggio di fruscianti
abiti nuovi) fu determinata da una prammatica
emessa nel 1588 dal viceré Juan de Zunica conte di Morales (?Alcantara
-†ivi1605)[il medesimo che spostando al 1° di maggio (festività
dei santi Filippo e Giacomo)l’ abitudine
di sfratti e traslochi, l’aveva regolamentata definitivamente] il quale
importando a Napoli un uso iberico, per favorire la concentrazione spirituale
dei fedeli durante la settimana santa, proibí l’uso di carrozze e cavalli che
con il loro frastuono avrebbero nociuto al raccoglimento di quei fedeli.
Raffaele
Bracale
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