IL VERBO PARÉ E LA SUA FRASEOLOGIA. 3
5 - Paré ‘a gatta d’ ‘o sturente ca fótte e s’allamenta variante
5bis - Paré ‘a gatta d’ ‘o sturente ca magna e
s’allamenta
Letteralmente la prima (5) Sembrare la gatta dello studente
che coisce e si lamenta; la variante (5bis) Sembrare la gatta dello studente
che mangia e si lamenta; ambedue usate per sarcasticamente bollare la
pessima,incomprensibile abitudine delle
persone (soprattutto donne che tengono, per partito preso, un ingiustificato
comportamento immotivatamente lagnoso,
uggioso e piagnucoloso anche in
occasioni del tutto gradevoli, quali nel primo caso il coire, nel secondo il
mangiare. Anche di queste due espressioni è protagonista una gatta
(presumibilmente femmina) atteso che -
come ò anticipato – le locuzioni vengon di preferenza riferite al comportamento
di donne; in queste due espressioni in esame
però la gatta non è piú la bestiola della sié Maria come nella locuzione sub 4, ma è la
bestiola (forse tenuta come domestico animale di compagnia) d’un non meglio
identificato studente che entra nelle due locuzioni soltanto per fornire una
rima al verbo allamenta,tenendo presente che nell’idioma napoletano, quando non
siano parole tronche accentate sull’ultima sillaba, le vocali finali delle parole son tutte
pronunciate in modo evanescente e/o debole per cui un’acconcia rima con
allamenta può esser fornita da qualsiasi
parola terminante ovviamente in ènta, ma pure in ènte o ènto e sturente può rimare tranquillamente con
allamenta!
Studente/sturente agg.vo e s,vo m.le (al f.le è sturentessa)
= studente, chi è iscritto a una scuola media o ad una università: di per sé la
voce è il p. pres. dell’infinito studià/sturià
denominale dal lat. studiu(m)→sturiu(m)→sturio
fótte voce verbale (3ª pers. sg. ind. pr. dell’infinito
fottere = coire, possedere carnalmente dal lat.. volg. *futtere, per il class.
Futuere;
allamenta voce verbale (3ª pers. sg. ind. pr. dell’infinito
allamentar(se) dal lat.parlato ad + lamentare, class. lamentari, deriv. di
lamentum 'lamento'
magna voce verbale (3ª pers. sg. ind. pr. dell’infinito
magnà= mangiare etimologicamente magnare/magnà
è forma metatetica del francese manger
originata dal latino manducare incrociata con una voce popolare (gnam,
gnam) di tipo onomatopeico).
6 -Paré ‘a gatta ‘e
madama quatti-quarte ca magna ‘nu chilo e pesa tre cquarte!
Letteralmente: Sembrare la gatta della madama da quattro
quarti(di nobiltà) che mangia (cibo per) un chilogrammo, ma pesa (solo) tre
quarti di chilo; icastica espressione usata con evidenti risvolti a) ironici e/o giocosi, e b) velati
d’invidia; i risvolti sono a) ironici e/o giocosi quando ci si intenda riferire a persone
avare e possessive che temano possano
andare perdute parte delle proprie sostanze
e siano tanto spilorce al segno di rifiutarsi d’assimilare del tutto ciò
che mangino per non eccedere nel consumo delle vettovaglie e/o dei beni posseduti;
l’ espressione è poi usata con evidenti
risvolti b) velati d’invidia
quando con essa ci si intenda riferire a persone che, pur ingozzandosi di cibo
a profusione, riescono (forse perché dotate d’un particolare metabolismo…) a
non assimilarlo del tutto, mantenendosi magre ed asciutte a dispetto delle
calorie assunte. La cosa che piú diverte nell’espressione in esame è che anche
in questo caso il protagonista è un gatto che però non è quello delle
precedenti locuzioni; infatti non è né
il gatto d’uno studente, né quello della sié Maria ma si tratta della bestiola
d’una non meglio identificata madama da
quattro quarti(di nobiltà) cioè d’una persona falsamente nobile, d’una persona
che ostenta raffinatezza che non à, cercando di assumere atteggiamenti attribuiti
a classi sociali piú elevate o persona che segue mode nuove ed eccentriche, con
l'intenzione di distinguersi dai piú; a Napoli una persona che tenga questi
atteggiamenti, se donna, è détta
appunto ironicamente madama ‘e
quatti-quarte cioè signora da quattro quarti (di nobiltà) id est nobiltà di
quattro quarti, cioè di padre, di madre, avolo ed avola paterni e materni, i
quali abbiano sempre vissuto nobilmente, non abbiano fatto esercizio alcuno
vile per il quale abbiano pregiudicata la nobiltà; persona tanto veramente
nobile da potere esibire uno stemma
derivato da quelli dei suoi,uno stemma
inquartato, stemma cioè che in
ognuno delle quattro sezioni dell’ arma di famiglia, siano riconoscibili gli
stemmi d’origine di padre, di madre, avolo ed avola paterni e materni, che
concorsero all’effige della nuova insegna.Faccio notare che nella stragrande
maggioranza dei casi càpita che veramente
la donna ironicamente détta madama ‘e quatti-quarte sia persona magra ed
asciutta di talché,quasi per sineddoche,
si possa riferire proprio a lei piuttosto
che al suo gatto l’assunto ironico e/o invidioso di mangiare per un chilo e di
pesare solo tre quarti di chilo!
madama s.vo f.le
1madama, signora, titolo di riguardo che veniva rivolto in
passato a una signora; oggi usato solo in tono scherzoso o ironico
2 in epoca coloniale, concubina indigena di un bianco
3 nel gergo della malavita, la polizia.
Voce derivata dal fr.
madame, comp. di ma 'mia' e dame 'signora';
quatti-quarte =
quattro quarti; quatti sta per quatto =
quattro agg. num. card. invar.
1 numero naturale che corrisponde a tre unità piú una; nella
numerazione araba è rappresentato da 4, in quella romana da IV: le quattro
stagioni; i quattro Vangeli; i quattro punti cardinali; animali a quattro
zampe; le quattro operazioni aritmetiche | sottintendendo il sostantivo:
mettersi in fila per quattro, persone; un servizio da caffè per quattro,
persone; rompere, dividere in quattro, parti; bob a quattro, posti; carrozza,
tiro a quattro, cavalli
2 posposto al sostantivo, con valore di ordinale: l'articolo
quattro della Costituzione; la citazione è a pagina quattro | sottintendendo il
sostantivo: le (ore) quattro, antimeridiane o pomeridiane
3 indica un numero indeterminato, col significato di alcuni,
pochi: faticà pe quatto sorde; ò venduto
quelle quattro cianfrusaglie per liberare la casa | farsi in quattro per
qualcuno, (fig.) adoperarsi in ogni modo per essergli utile | dirne quattro a
qualcuno, (fig.) sgridarlo, trattarlo duramente | fare il diavolo a quattro,
(fig.) fare gran baccano, buttare tutto sottosopra
voce dal lat. quatt(u)o(r);
quarte plur. di
quarto= la quarta parte di un'unità; nella fattispecie il quarto è ognuno dei
quattro campi che formano lo scudo gentilizio; voce dal lat. quartu(m);
chilo s. m.
abbreviazione di chilogrammo ; unità di misura di peso corrispondente a 1000
grammi; si abbrevia come détto, in
chilo; voce dal gr. chílioi 'mille' attrav. il fr. kilo;
tre cquarte = tre
quarti (di chilo);
tre agg. num. card. invar.
1 numero naturale corrispondente a due unità piú una; nella
numerazione araba è rappresentato da 3, in quella romana da III: tre libri; tre
anni; le tre Parche, le tre Furie, le tre Grazie; le tre virtú teologali |
sottintendendo il sostantivo: piegare il foglio in tre (parti); chi fa da sé fa
per tre (persone)
2 posposto al sostantivo, con valore di ordinale: la stanza
tre di un albergo; il primo capitolo inizia a pagina tre | sottintendendo il
sostantivo: sono le (ore) tre; arriverà il (giorno) tre
3 con valore indeterminato indica una piccola quantità: dire
una cosa in tre parole; non saper dire tre parole, (fig.) mancare di capacità
espositiva | in qualche caso, indica molto, parecchio: prima di parlare è
meglio pensarci tre volte
cquarte= quarte cfr.
antea.
7 - Paré ‘a gatta purmunara
Ad litteram: Sembrare un gatto (ma piú esattemente un gatto
femmina) goloso di polmone (vaccino).
Divertito riferimento, prendendo a modello il comportamento del gatto che
notoriamente è avido di polmone vaccino,
a tutte quelle persone (ma segnatamente donne/massaie) che ripetutamente desiderose di cibo (quale
che sia) ghiottonescamente si diano
continuamente a piluccare
assumendo piccoli, ma reiterati assaggi di ciò che stiano preparando in
cucina.
purmunara agg.vo f.le
dal m.le purmunaro =goloso/a di polmone; la voce purmunaro è, attraverso il
suffisso di pertinenza aro/ara dal lat arius/ara→arus/ara, un denominale di
purmone (polmone) dal lat. pulmone(m) con cambio espressivo della liquida l→r.
8 – Paré ‘a palata e ‘a jonta
Ad litteram:sembrare il filone di pane e la (sua) giunta Il
paragone di questa espressione
riguarda sempre due persone che
incedano di conserva; si deve però trattare realmente di due persone di cui l'una sia longilinea e
prestante e l'altra piccola e piuttosto
in carne per modo da essere paragonati ad un grosso filone di pane ed alla
piccola giunta che il fornaio soleva
accordare al compratore, per aggiustare
il peso del filone di pane spesso
inferiore al previsto chilogrammo della pezzatura; spesso però il medesimo
riferimento vien fatto con persone che nella realtà non sono né una longilinea,
né l’altra piccola e grassa, ma che son solite accompagnmarsi.
palata s.vo f.le =
filone di pane; pezzatura di pane che non eccede il peso d’ un chilogrammo ed
occupa la metà della pala per infornare; un quarto o meno della pala l’occupano
le c.d. palatelle (piccoli filoncini da
500 o 250 gr.);rammento che a Napoli il pane è venduto nelle piú varie forme o pezzature tra le
quali da ricordare ‘o paniello o ‘a panella (etimologicamente dal latino
panis + i suffissi di genere iello o ella )
per ambedue si tratta di ampie
pagnotte rotondeggianti di ca 1 kg.di
peso; si à altresí ‘o palatone (grosso filone di ca 2 kg., bastevole al fabbisogno
giornaliero di una famiglia numerosa, il
suo nome gli deriva dal fatto che , al
momento di infornarlo, detto filone occupa per intero la lunga pala usata alla bisogna; la palata,
ripeto, è invece il filone il cui peso non eccede 1 kg. ed
occupa la metà della pala per infornare;e ripeto altresí che un quarto o meno
della pala l’ occupano le cosiddétte palatelle
(piccoli filoncini da 500 o 250 gr.); tra le varie pezzature e/o tipi di
pane si à ancóra la cocchia che(con derivazione dal
lat. cop(u)la(m)→cocchia), sta per coppia
in quanto in origine fu un tipo di pane formato dall’accoppiamento di due palatelle accostate ed unite al momento
della lievitazione e poi cosí infornate; in seguito, pur mantenendo la pezzatura di 1 kg., corrispondente al peso di due palatelle accoppiate,
la cocchia prese una sua forma alquanto
diversa e fu un po’ piú larga,
piú schiacciata e meno lunga della
palata.Si ànno infine panini,
marsigliesi e ciabatte che sono tutti formati di pane molto contenuti, quasi delle monoporzioni adatte ad essere
consumate farcite di salumi o formaggi o gustose frittate per un rapido,
contenuto asciolvere o quale pasto da
asporto comunemente détto marenna (che etimologicamente è un gerundivo lat. neutro pl.
merenda→marenna inteso femm. sg. con tipica assimilazione progressiva nd→nn.
La voce palata è un
denominale di pala (dal lat. pala(m)) con riferimento all’attrezzo (lungo e
stretto asse di legno) usato per infornare il filone di pane.
Rammento infine che in napoletano esiste un’altra voce quasi
simile a palata, ma di tutt’altro significato; dico cioè della voce palïata che vale un gran numero di gravi,
dolorose batoste; quest’ultima voce (palïata) originariamente si riferiva al fatto che le percosse
erano inferte con un palo donde il nome (palïata); in prosieguo di
tempo è venuta meno la particolarità del palo, ma è rimasta l’idea della gran quantità di percosse che la palïata comporta.Rammento
che morfologicamente dal sostantivo palo ci si sarebbe atteso come corretta
derivazione la voce palata e non
palïata, ma poi che il napoletano aveva già la voce palata con tutt’altro
significato come ò détto ecco che per indicare la bastonatura inferta con un
palo si ricorse al termine palïata che necessitò dell’anaptissi di comodo di
una ï nella voce palata. La locuzione fà
‘na palïata (percuotere lungamente e dolorosamente) non è piú molto usata, un
tempo, invece, era sulla bocca di tutte le mamme che con essa espressione
minacciavano i loro vivaci figlioletti
insensibili a piú dolci rimbrotti, affinché si calmassero e recedessero dal
loro irrequieto atteggiamento.
jonta/ghionta s.vo f.le
duplice morfologia d’una identica voce che vale giunta, aggiunta,
sovrappiú; nella fattispecie piccolo pezzo di pane dato a complemento d’un
filone di pane al fine di sistemarne il giusto peso. La voce è dal lat.
(ad)iuncta→juncta→jonta/ghionta, '(le) cose aggiunte', part. pass. neutro
pl.poi inteso femminile di adiungere 'aggiungere'.
9 - Paré ‘a lampa d’
‘o Sacramento
Ad litteram: sembrare la lampada del Sacramento Id est: essere cosí di salute malferma e
d’aspetto smunto e macilento da potersi paragonare al piccolo cero, dall’esile
fiammella che arde davanti la custodia
del SS. Sacramento nelle chiese cattoliche, cero che però si consuma
rapidamente.
lampa – s.vo f.le di
per sé fiamma, ma anche estensivamente lampada, lume ed altrove pure quantità
di vino ingollata in un’unica bevuta; spesso è usata figuratamente per
significare la vita ed il suo durare; etimologicamente dal nom. sing. del
latino lamp(s)-lampa(dis);
sacramento s.vo m.le 1 (teol.) nel cristianesimo, rito
istituito da Gesù Cristo per operare la salvezza dell'uomo; secondo alcune
chiese (p. e. orientali e cattolica), conferisce o accresce la grazia; secondo
altre, la testimonia nella fede: amministrare, impartire, ricevere i sacramenti
| i sette sacramenti, nella chiesa cattolica, battesimo, cresima, eucaristia,
penitenza o riconciliazione, unzione degli infermi, ordine e matrimonio:
accostarsi ai sacramenti, confessarsi e fare la comunione | fare qualcosa con
tutti i sacramenti, (fig. fam.) con tutte le regole, col massimo scrupolo
2 in particolare,come nel caso che ci occupa, scritto in segno di devozione e/o rispetto
con l’iniziale maiuscola, il Sacramento dell'eucaristia | l'ostia consacrata:
esporre il Sacramento, il SS. Sacramento
3 (ant. , lett.) giuramento solenne: a te guardando, / o bel
sole di Dio, fo sacramento
dal lat. sacramentu(m), deriv. di sacrare 'consacrare'.
10 - Paré ‘a limma e ‘a raspa
Ad litteram: Sembrare una lima ed una raspa; id est: détto,
con riferimento all’asperità dei due utensili da carpentieri che venendo a
contatto posson suscitare anche delle scintille,détto di due persone che per la ruvidezza dei rispettivi
caratteri, se entrano in una qualche
relazione son usi contrastarsi ripetutamente sino a giungere a continuo
litigio.
limma s.vo f.le = lima, utensile manuale costituito gener. da
una barra di acciaio temprato sulla cui superficie sono ricavati numerosi denti
a bordo tagliente; serve ad asportare piccole quantità di materiale da
superfici dure in lavori di sgrossatura e di
rifinitura; voce dal lat. lima(m) con raddoppiamento espressivo della
nasale bilabiale.
raspa s.vo f.le = raspa, utensile manuale, attrezzo simile
ad una lima, ma con denti piú grossi e piú radi, usato soprattutto nella
lavorazione del legno; serve ad asportare rapidamente piccole quantità di
materiale da superfici dure in lavori di sgrossatura, ma non di
rifinitura; voce deverbale
di raspare/raspà che è dal germ.
raspôn 'grattare'.
11 - Paré ‘a morte ‘ncopp’ ê cantarelle
Ad litteram: Sembrare la morte ( id est:un morto) su gli
scolatoi. Détto con divertita irriverenza di qualcuno che sia tanto smagrito e
male in arnese da potersi paragonare ad uno di
quei cadaveri che temporibus illis venivano per un certo tempo inumati (in catacombe o ipogei di talune
chiese provviste di terra santa) posti a sedere su di una sorta di ampi càntari
o cantèri (vasi di comodo) fino a che, perduti per scolatura i liquidi
corporali non risultassero tanto asciutti ed incartapecoriti da poter daro loro
acconcia sepoltura in terra consacrata o direttamente in nicchie senza la
necessità di tenerli dapprima in una bara lignea.
‘ncopp’ ê locuzione
che vale la preposizione articolata sulle o altrove sugli
formata dall’ unione di
‘ncoppa a e dall’ articolo ‘e (=i/gli/le)che fuso con
la preposizione a si rende graficamente
con ê= a+’e come altrove (cfr. ultra)
a+’a=â - a+’o=ô; rammento al proposito
che con la preposizione su in italiano
si ànno sul = su+il, sullo/a= su+lo/la sulle = su+ le, sugli = su+ gli; in
napoletano per formare analoghe
preposizioni, si fa ricorso alla preposizione impropria ‘ncoppa (sopra – su,
dal lat in+cuppa(m)); le locuzioni articolate formate con preposizioni
improprie ànno tutte una forma scissa, mantenendo separati gli articoli dalle
preposizioni e mentre nell’italiano s’usa far seguire alla preposizione
impropria il solo articolo, nel napoletano occorre aggiungere alla preposizione impropria non il solo articolo, ma la preposizione
articolata formata con la preposizione semplice a ( ad es. nell’italiano si à:
sulla tavola o sopra la tavola , ma nel
napoletano si esige sulla o sopra alla tavola
e ciò per riprodurre correttamente il pensiero di chi mentalmente
articola in napoletano e non in
italiano) per cui le locuzioni articolate
formate da ‘ncoppa a e dagli articoli ‘o (lo/il), ‘a (la) ‘e
(i/gli/le) saranno rispettivamente ‘ncopp’ô ‘ncopp’â, ‘ncopp’ê che rendono rispettivamente
sul/sullo,sulla,sugli/sulle. Tutte le altre preposizioni formate dagli articoli
‘o (lo/il), ‘a (la) ‘e (i/gli/le) con le corrispondenti preposizioni semplici
napoletane delle italiane per (pe) tra/fra(‘ntra/’nfra) ànno una forma
rigorosamente scissa, ma solo per la preposizione pe, (mentre per ‘ntra/’nfra
non è consentito) scissa o tutt’ al piú
apostrofata: pe ‘o→p’’o (per il/lo), pe ‘a→p’’a (per la), pe ‘e→p’’e (per
gli/le), mentre avremo solo ntra/’nfra ‘o ntra/’nfra ‘a ntra/’nfra ‘e. Per
tutte le altre preposizione articolate formate dall’unione dei soliti articoli
con preposizioni improprie (sotto, sopra, dietro, davanti,
insieme,vicino, lontano etc.), ci si regolerà alla medesima maniera di quanto ò
già detto circa le preposizioni formate da dinto o ‘ncoppa tenendo presente che
in napoletano sotto, sopra,dietro, davanti, insieme,vicino, lontano sono rese rispettivamente con sotto,
‘ncoppa,arreto, annanze,’nzieme,vicino/bbicino,luntano e tenendo presente
altresí che occorre sempre rammentare
che le parole e le frasi da esse formate servono a riprodurre un pensiero;
ora sia che si parli, sia che si scriva,
un napoletano, nello scrivere in vernacolo, non potrà pensare in toscano e fare
poi una sorta di traduzione:commetterebbe un gravissimo errore.Per esemplificare:
un napoletano che dovesse scrivere: sono entrato dentro la casa, non potrebbe
mai scrivere: so’ trasuto dint’ ‘a casa; ma dovrebbe scrivere: so’ trasuto
dint’â casa (dove la â è la scrittura contratta(crasi) della preposizione
articolata alla), che sarebbe l’esatta riproduzione del suo pensiero
napoletano: sono entrato dentro alla casa. Allo stesso modo dovrà comportarsi
usando sopra (‘ncopp’ a...) o sotto (sott’a....) in mezzo (‘mmiez’ a...) vicino
al/allo (vicino a ‘o→vicino ô) e cosí via, perché un napoletano articola
mentalmente sopra al/alla/alle/ a gli... e non sopra il/la/le/gli... e
parimenti pensa sotto al... etc. e non
sotto il ... etc. D’ altro canto anche per la lingua italiana i piú moderni ed
usati vocabolarî (TRECCANI) almeno per dentro
non disdegnano le costruzioni: dentro al, dentro alla accanto alle piú classiche dentro il, dentro
la.
cantarelle s.vo f.le pl. del sg. cantarella di per sé ampio
càntero/càntaro, ma qui e nell’inteso generale vaso scolatoio su cui venivano
assisi i cadaveri a cedere i liquidi ed
essiccarsi. La voce a margine etimologicamente è una femminilizzazione sia pure
in incongrua forma di diminutivo della voce càntero/càntaro che è dal lat. dal basso latino càntharu(m) a
sua volta dal greco kàntharos; rammenterò ora di non confondere la voce càntero/càntaro con l’altra voce partenopea - cantàro (che è
dall’arabo quintâr) diversa per accento tonico e significato: questa seconda
infatti è voce usata per indicare una unità di misura: cantàio= circa un quintale ed è a tale misura che si riferisce
il detto napoletano: Meglio ‘nu cantàro ‘ncapo ca n’onza ‘nculo ( e cioè:
meglio sopportare il peso d’un quintale in testa che (il vilipendio) di
un’oncia (ca 27 grammi) nel culo (e non occorre spiegare cosa rappresenti l’oncia richiamata…)); molti napoletani
sprovveduti e/o poco informati confondono la faccenda ed usano dire,
erroneamente: Meglio ‘nu càntaro ‘ncapo…etc.(e cioè: meglio portare un pitale
in testa che un’oncia nel culo!), ma ognuno vede che è incongruo porre in
relazione un peso (oncia) con un vaso di comodo (càntaro) piuttosto che con un
altro peso (cantàro)!
Ò parlato di incongruità circa la femminilizzazione
diminutiva di càntaro in càntara e poi cantarella, in quanto è noto che in
napoletano un oggetto o cosa che sia è inteso, se maschile, piú piccolo o
contenuto del corrispondente femminile; abbiamo ad . es. ‘a tavula (piú grande
rispetto a ‘o tavulo piú piccolo ),‘a tammorra (piú grande rispetto a ‘o
tammurro piú piccolo ), ‘a cucchiara(piú grande rispetto a ‘o cucchiaro piú
piccolo), ‘a carretta (piú grande rispetto a ‘o carretto piú piccolo ); fanno
eccezione ‘o tiano che è piú grande de ‘a tiana e ‘o caccavo piú grande de ‘a
caccavella. Ora atteso che una càntera/càntara è piú grossa o ampia del
càntero/càntaro non à senso farne il diminutivo
canterella/cantarella a meno che non lo si abbia fatto per tentar di rendere
(con un diminutivo aggraziante) meno tetra una cosa lugubre quale è uno
scolatoio per cadaveri!
(SEGUE)
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