IL VERBO PARÉ E LA SUA FRASEOLOGIA. 2
Terminata cosí l’elencazione e prima di analizzare le singole espressioni, mi pare
comunque giusto se non necessario
dilungarmi alquanto sul verbo
parere/paré (che etimologicamente deriva dal latino volg. *paríre→parere =
apparire,manifestarsi come ) che è quel
verbo intransitivo con ausiliare avere che, come nell’italiano, sta per: 1
avere una certa apparenza; apparire, sembrare (può indicare contrapposizione
tra apparenza e realtà): pareva ‘nu santo; me pare ‘na brava perzona; me pare
sincero (pareva un santo; mi pare una brava persona; mi pare sincero) | pare
ajere (pare ieri), di fatto accaduto molto tempo fa, ma che si ricorda come se
fosse recente | pare impossibile, per esprimere disappunto, collera, stupore:
me pare ‘mpussibbile ca nun capisce maje chello ca lle dico ( mi pare
impossibile che non capisca mai quello che gli si dice) | nun me pare overo!
(non mi par vero!), espressione con cui si manifesta contentezza,
soddisfazione,gioia;
2 essere di una determinata opinione; credere, pensare: me
pare ch’ aggiu capito bbuono…(mi pare di aver capito bene); me pareva ca fosse
ll’ora ‘e partí(mi pareva che fosse tempo di partire) | con una determinazione
che ne precisa il valore: me pare justo ca tu lle cirche scusa!(mi pare giusto
che tu le chieda scusa); me pare fosse ora ca tu ‘a fernisce(mi pare ora che tu
la smetta); che te ne pare ‘e chella perzona?, (che ti pare di quella persona?)
| me pareva (bbuono)!(mi pareva (bene)!), avevo pensato, visto giusto | te
pare?(ti pare?), nun te pare pure a tte?(non
sembra anche a te?), per sollecitare l'assenso di altri, per chiedere
l'approvazione: aggio raggione io , nun te pare?(ò ragione io, non ti pare?);
si adopera anche per esprimere il proprio dissenso o per schermirsi e come
formula di cortesia: «Sî stato tu a ffarlo?» «Ma te pare!»; («Sei stato tu a
farlo?» «Ma ti pare!»); «Dongo ‘mpiccio?» «Ma te pare!» («Disturbo?» «Ma ti
pare!») | (fam.) volere:fa’ comme te pare! (fai un po' come ti pare!)
3 (ant.) manifestarsi, mostrarsi, comparire:pare ‘na pupata
‘e ficusecche (sembra come una pupattola…) | ancóra usato in talune particolari
espressioni esclamative : vo’ paré! (a fforza ‘nu bbuonu guaglione) ( vuol
sembrare a ogni costo!,ma non è una brava persona), voler apparire, mettersi in
mostra come…;pare a tte! (sembra cosí a te,ma in realtà non è come pensi!)cosí
appare al tuo giudizio, ma ti sbagli. pe nun paré(per non apparire), per
passare inosservato ||| v. intr. impers. apparire probabile, verosimile;
sembrare: pare ca vo’ chiovere (sembra
che voglia piovere); «È arraggiato?» «Pare».
(«È arrabbiato?» «Pare»).
E passiamo all’esame delle singole espressioni:
1 – Paré ‘a cuccuvaja ‘e Puorto
Letteralmente: Sembrare la civetta del Porto; icastica,
antica espressione usata a mo’ di dileggio riferita ad una donna molto poco
avvenente, arcigna e sgraziata, anziana, bassa, tracagnotta e grassa e che incuta spavento o timore.
L’espressione in origine (fine XVI sec.) faceva riferimento alla civetta che
accompagnava la statua della dea Minerva (dea della filosofia e della saggezza
oltreché protettrice delle acque) una delle statue presenti sul basamento
della Fontana degli Incanti: detta anche
d’ ‘a Cuccuvaja in Piazza dell'Olmo, nel Quartiere Porto; la fontana fu détta
degli Incanti perché (a voler credere ad una leggenda) una malefica, potente strega della città, usava
frequentemente l'acqua della fontana per i suoi incantesmi; ma piú
verosimilmente fu cosí chiamata prendendo a riferimento gli Incantatori (venditori di merce ai
pubblici incanti) che svolgevano il loro lavoro all’aperto nei pressi della
fontana che sorgeva nel mezzo della piazza all'ombra di un grande olmo che dava
il nome alla piazza.
La fontana disegnata da Giovanni da Nola (Nola 1488 –
†Napoli 1560) sorgeva, come ò détto, nel mezzo della Piazza su di una base
quadrangolare formata da un monte con 4 grotte, nelle quali vi erano le statue
di: Venere, Apollo, Cupido, Minerva; in cima al monte da una tazza rigurgitante
acqua si ergeva un aquila con le Armi dell'Imperatore Carlo V e sull'esterno,
in un tondo ortogonale alla grotta della Minerva, era scolpita una civetta (in
napoletano cuccovaja); come è risaputo la fontana fu costruita nel XVI secolo
nella piazza dell’ Olmo al Porto, quando il viceré Pedro Álvarez de
Toledo(Salamanca 1484 – †Firenze 22/02/ 1553)
volle realizzare una struttura idrica per l'approvvigionamento degli
abitati del luogo. Fu disegnata, ripeto
da Giovanni Merliano scultore noto come
Giovanni da Nola, ma al rifacimento di alcune parti andate distrutte
partecipò anche lo scultore Annibale Caccavello(Napoli 1515 – †Napoli
1570) che scolpí la statua di Venere.
Danneggiata nei
tumulti (luglio 1647) di Masaniello (Tommaso Aniello d'Amalfi, meglio
conosciuto come Masaniello (Napoli, 29 giugno 1620 – †Napoli, 16 luglio 1647),
la fontana venne riportata al nuovo splendore con i rifacimenti di alcune parti
realizzate da tali non meglio identificati Francesco Castellano ed Antonio
Iodice, sotto la supervisione di Francesco Antonio Picchiatti(Napoli1619 –
†Napoli 1694); riparata piú volte nel corso del XVIII secolo, nel 1834,
l'architetto Pietro Bianchi((Lugano 1787 -† Napoli 1849). ne ricostruí una
buona parte;scampata alle demolizioni del Risanamento, venne smontata ed
all'inizio del XX secolo ricostruita in
piazza Salvatore Di Giacomo(Napoli 1860 -† ivi 1934) a Posillipo, ma per i napoletani d’antan
rimase e rimane ancóra ‘a funtana d’ ‘a cuccuvaja ‘e Puorto;rammento poi che sul finire del 1800 ed i principi del 1900 con l’espressione ‘a cuccuvaja ‘e Puorto
, pur continuando ad usarla quale
insolente espressione di irrisione, non
ci si riferiva piú all’antica tozza, brutta
civetta che accompagnava la Minerva, ma ci si riferiva con sarcastica,
malevola impertinenza a Matilde
Serao(Patrasso 1856 - †Napoli 1927), la famosissima scrittrice e giornalista
napoletana fondatrice a Napoli de Il Giorno con sede in Angiporto della
Galleria, giornalista che per il vero era effettivamente una donna molto poco avvenente, arcigna e
sgraziata, anziana, bassa, tracagnotta e
grassa, la cui vista incuteva timore se non addirittura sgomento!
cuccuvaja s.vo f.le =
1.civetta e talora nottola, ed anche 2. donna brutta e sgraziata che incute
timore; etimologicamente voce dal greco
kikkabâu.
2 - Paré ‘a funa e ‘a teròcciola
Letteralmente: Sembrare la fune e la carrucola; icastica,
antica espressione peraltro desueta preferendole l’uso della successiva (Paré
variante stà cazza e ccucchiara) ambedue
usate per indicare due individui (amici,consanguinei etc.) che stiano sempre
insieme procedendo di pari passo
quasi inscindibilmente legati; nell’espressione a margine
gli oggetti presi a modello sono una fune ed una carrucola di pozzo, fune e
carrucola che solo in unione posson concorrere ad issare il secchio colmo
d’acqua; nell’espressione che segue gli oggetti presi a modello sono invece il
secchio della calcina e la mestola strumenti usati dal muratore sempre insieme.
funa s.vo f.le =
fune, insieme di piú fili di canapa, d'acciaio o di altro materiale ritorti e
intrecciati fra di loro; corda, cavo,
etimologicamente dal lat.parlato *funa(m) per il cl. fune(m); teròcciola s.vo
f.le = carrucola,macchina per sollevare pesi costituita da una ruota scanalata
entro cui scorre una fune, paranco, girella ed altrove per traslato (semanticamente spiegato con il
continuo cigolio della carrucola) anche viva parlantina, chiacchiera spesso
fastidiosa; rammento ancora che la voce teròcciola usata al pl. teròcciole
indicò un tempo le piccole carrucole metalliche che in tempi remoti regolavano
le grosse bretelle di cuoio, che sorreggevano
le braghe. Etimologicamente la voce
a margine è forsedal lat.
volg.torciola diminutivo di torcja variante di torca= collana, ma trovo piú
perseguibile l’idea del lat. trochlĕa marcato sul greco trochiléia;
3 - Paré variante stà
cazza e ccucchiara
Letteralmente: sembrare variante Stare (uniti come) secchio della calcina e
cazzuola/mestola; cioè:andar di pari passo, stare sempre insieme.
Détto di tutti coloro che sceltisi un amico o un compagno non si separano da lui che per
brevissimo lasso di tempo, andando sempre
di pari passo, stando sempre
insieme come càpita appunto per il
secchio della calcina e la cazzuola che vengono usate dal muratore di concerto
durante il lavoro giornaliero ed anche quando questo sia terminato il muratore,
nettati i ferri del mestiere è solito conservarli insieme ponendo la cazzuola
nel secchio della calcina per modo che l’indomani possa facilmente ritrovarli
ed usarli alla ripresa del lavoro.
La cazza come ò
accennato fu in origine un recipiente per lo piú di ferro, provvisto di manico,
nel quale si fondevano i metalli , poi indicò ed ancóra indica quel
contenitore ,quel secchio di
ferro in cui i muratori usano impastare malta e/o calcina; la voce è dal lat. tardo cattia(m), da collegarsi al gr.
ky/athos 'coppa, tazza'; la voce è usata piú spesso in italiano che in
napoletano dove il suddetto contenitore
è chiamato piú acconciamente cardarella diminutivo adattato di caldara→cardara=
caldaia = in origine recipiente
metallico in cui si fa bollire o cuocere qualcosa e poi estensivamente ogni
capace recipiente metallico atto a contenere materiali caldi o freddi;
caldara→cardara è voce derivata del latino tardo caldaria(m), deriv. di
calidus 'caldo'.
Poiché, come ò detto, la voce cazza è poco nota e usata a
Napoli accade che l’espressione in epigrafe venga talvolta impropriamente
enunciata come Essere cazzo e cucchiara
con un accostamento erroneo ed inconferente non essendovi certamente nessun nesso tra il membro maschile e la cucchiara= cucchiaia, cazzuola che è appunto la mestola che usano i muratori
per prelevar la calcina o malta dalla cazza
distribuendola e pareggiandola su muri e/o mattoni;
cucchiara è di per sé
il femminile di cucchiaro con etimo dal latino cochlearju(m) con normale
semplificazione - di rj→r e chiusura di
o in u in sillaba atona; cucchiaro è
stato reso femminile appunto per
indicare, come già dissi altrove, un oggetto piú grande del corrispondente
maschile (es.: tammurro piú piccolo – tammorra piú grande, tino piú piccolo –
tina piú grande etc. con le sole
eccezioni di caccavella piú piccola – caccavo
piú grande e di tiana piú piccola – tiano piú grande );ugualmente è erroneo stravolgere
l’espressione in epigrafe in (come pure talvolta m’è occorso d’udire) Essere
tazza e cucchiara , atteso che la tazza , per grande che possa essere (fino a
diventar una ciotola) potrebbe procedere di conserva con un cucchiaino (tazza
da caffè), al massimo con un cucchiaio
(tazza/ciotola da caffellatte) mai con
una cucchiara (cazzuola).
Qualcuno, mi ripeto,
meno esperto della tradizione e/o della parlata napoletane riferisce
erroneamente il modo di dire con l’espressione:Pàrono oppure stanno tazza e cucchiaro:sembrano
oppure stanno (come) tazza e cucchiaio,
espressione inesatta come ò spiegato ed invece la locuzione, sulle labbra dei
vecchi napoletani, consci di quel che dicono comporta giustamente la presenza
della cucchiara arnese tipico dei muratori .
4 - Paré ‘a gatta d’ ‘a sié Marí: ‘nu poco chiagne e ‘nu
poco rire: quanno sta moscia, rire e quann’è cuntenta, chiagne! Letteralmente:
sembrare la gatta della signora Maria, un po’ piange ed un po’ ride:quando è
triste, ride, quando è contenta piange! Caustica espressione che prende a
modello la gatta d’una non meglio
identificata signora Maria (nell’espressione, come si vede, in luogo di sié
Maria di quest’ultimo nome è usato una forma apocopata Marí che torna comoda
per rimare (sia pure solo fonicamente nel parlato) con il primo successivo rire
(ride) (pronunciato come rí tenendo cioè ben
evanescente l’ intera sillaba re
ed escludendo addirittura a
livello vocale la pronuncia della liquida r)) rammento che il gatto/la gatta è
un animale domestico molto comune nelle case napoletane,quasi come componente
di famiglia; presente anche in tantissime icastiche espressioni partenope non
poteva mancare nel libro dei sogni;
; la gatta, animale
protagonista(vedi ultra) come ò détto
anche d’altre espressioni è accreditata nella fattispecie, quasi fosse
un essere umano, di immotivatamente un po’ ridere ed un po’ piangere indecisa
sempre su quale comportamento tenére;anzi
è addirittura accreditata di tènere un comportamento sciocco, illogico e
non spiegabile ridendo in tempo di mestizia e piangendo in quello della gioia.
Della medesima strambe, sconcertanti, ma
volute indecisione ed incongruenza sono
accusate soprattutto le giovani donne
lunatiche e capricciose incapaci di tenére un comportamento stabile,
donne che infatti si abbandonano ad un costante altalenare spesso immotivato
e/o incomprensibile, tra uggiose scontentezze ed inopinate gaiezze et versa
vice!
gatta/’atta/jatta
s.vo f.le ma usato senza differenza per indicare sia la bestia maschio
che quella femmina; gatto, mammifero carnivoro domestico, con corpo agilissimo
e flessuoso, capo rotondo, occhi fosforescenti, baffi (vibrisse) sul labbro
superiore, zampe con artigli retrattili; la voce etimologicamente è dal lat.
parl. *catta(m) per il class. cattu(m);
sié s.vo f.le = signora
quanto all’etimo è
l’apocope ricostruita di signora dalla medesima voce francese femminilizzata e
metatetica di seigneur cioè da
seigneuse→sie-(gneuse).
poco/u agg. indef. =
poco, che è in piccola quantità o misura, in piccolo numero: pocu vvino; pocu
ddenaro; poca pacienza; nce steva poca
ggente; pe poche minute; ‘nfra pochi mise; essere ‘e pochi pparole, essere una
persona riservata; pochi cchiacchiere, e sim., espressioni usate per tagliar
corto | scarso, debole, insufficiente (con riferimento all'intensità): nce
steva poco viento; ‘o ffa cu pocu ggenio
con poco entusiasmo; tengo poca memmoria; tène pocu ggenio ‘e sturià | breve,
corto: me ce vularrà poco tiempo; nc'è poca strata ‘a fà; cca ce sta pocu
spazzio(c'è poco spazio qui) | piccolo, esiguo: cu poca spesa; è ppoca cosa,
essere scarso di quantità, qualità, valore, importanza e sim. || nella loc.
avv.’nu poco à valore attenuativo: è ‘nu poco cchiú ccurto; sta ‘nu poco meglio d’ ajere ; stongo ‘nu poco stanca; m’
à fatto arraggià ‘nu poco(mi à fatto inquietare un poco) | con valore enfatico:
tiene mente ‘nu poco che mm’hê cumbinato!(guarda un po' che cosa mi ài combinato!); dimme ‘nu poco che ‘ntenzione
tiene!(dimmi un po', che intenzioni ài!); rifliette ‘nu poco si te
cummiene!(considera un po' tu se ti conviene!) | ‘nu bbellu ppoco , parecchio,
molto: è cresciuto‘nu bbellu ppoco | ‘nu poco... ‘nu poco... , in parte... in
parte...: ‘nu poco p’ ‘o ccavero, ‘nu poco p’ ‘o remmore se senteva
stupetiato(un po' per il caldo, un po' per il rumore, si sentiva frastornato)
come pron. indef. [f. -a]
1 à gli stessi sign. dell'agg. e sottintende un sostantivo
precedentemente espresso: «Tiene pane?» «Sí, ma ne tengo poco»; «Ce sta ancòra spazzio dint’ô baúglio? » «Poco» «Ài del
pane?» «Sí, ma ne ò poco»; «C'è ancora spazio nel baule?» «Poco»
2 pl. non molte persone: èramo poche(eravamo in pochi);
pochi / poche ‘e nuje; (pochi, poche di noi); tu, io e poch’ ate(tu, io e pochi
altri)
3 con valore neutro, in espressioni ellittiche: è ppoco ca à
scritto(è poco che à scritto), è poco tempo; starrà cca ‘nfra poco(sarà qui fra
poco), fra poco tempo; da cca â stazzionance passa poco(da qui alla stazione
c'è poco), poca distanza; oje aggiu spiso poco(oggi ò speso poco), poco denaro;
ce corre poco (ci passa poco), c'è poca distanza o poca differenza; ogni poco,
| con lo stesso uso della loc. ‘nu poco ,
un poco/un po’: aspettava ‘a ‘nu bbellu ppoco(aspettava da un bel
po');avesse ‘a necessità ‘e guadagnà ‘nu poco ‘e cchiú( avrebbe bisogno di
guadagnare un poco di piú).
4 con valore neutro, nel sign. di poca cosa, poche cose: oje
ce sta poco ‘a fà; pe stasera me rummane poco ‘a sturià (oggi c'è poco da fare;
per stasera mi rimane poco da studiare); se l'è ppigliata p’accussí ppoco?!; e
chesto te pare poco? (se l'è presa per cosí poco?!; e questo ti sembra poco?) | | vulerce poco a…(volerci poco a…), per
esprimere la facilità con cui può accadere o si può fare qualcosa: ce vo’ poco
a ffà succedere ‘nu guajo(ci vuol poco a far succedere un guaio); ce vuleva
poco a ‘ntennerlo!(ci voleva poco a capirlo!) | ce manca poco ca…(mancarci poco
che), per indicare che un fatto sta per accadere (sempre seguito da frase
negativa):ce mancaje poco ca nun cadesse (mancò poco che non cadesse) | pe poco
nun, quasi: pe poco nun cadeva |
5 con valore neutro, nel sign. di piccole quantità:’nu poco
‘e pane, ‘nu poco ‘e vino; «Vuó ancòra zuccaro?» «Sí,’nu poco»; «Vuoi ancora
zucchero?» «Sí, un poco»; pigliane ‘nu poco pe vvota(prendine un po' per
volta); facimmo ‘nu poco peduno(facciamo un po' per ciascuno)
come s. m. ciò che è poco; in partic., pochi beni, poche
sostanze: m’ accuntento ‘e poco; vive cu chellu ppoco ca ll’ à lassato ‘o
marito;
la voce è dal lat. paucu(m).
quanno = quando, allorché
ogni volta che, tutte le volte che (con valore iterativo) giacché, dal
momento che (con valore causale):: avv.
di tempo derivato dal latino quando con
assimilazione progressiva nd→nn;
sta voce verbale (3ª pers. sg. ind. pres. dell’infinito
stare = stare, fermarsi, restare ma anche come in questo caso essere voce dal lat. stare
chiagne voce verbale (3ª pers. sg. ind. pres. dell’infinito
chiagnere= piangere dal lat. plangere in origine 'battere, battersi il
petto' con il tipico passaggio del gruppo pl + vocale al napoletano chi
(cfr.plus→cchiú – plumbeu(m)→chiummo – plaga→chiaja etc.);
ride/rire voce verbale (3ª pers. sg. ind. pres.
dell’infinito ridere/rirere dal lat.
tardo ridere, con mutamento di coniug. rispetto al class. ridíre e con
rotacizzazione osco-mediterranea della dentale,
che da ridere dà rirere;
moscia agg.vo f.le =
mogia, depressa, abbattuta, avvilita, abbacchiata, mesta triste;
etimologicamente è la femminilizzazione metafonetica del masch. muscio che è dal lat. musteu(m), deriv. di mustum
'mosto'; propr. 'simile a mosto
cuntenta agg.vo f.le
soddisfatta, appagata, lieta, allegra etimologicamente è la
femminilizzazione di cuntento che è dal
lat. contentu(m), part. pass. di continíre 'contenere', propr. 'contenuto,
appagato'.
(SEGUE)
Nessun commento:
Posta un commento