25 ICONICHE LOCUZIONI NAPOLETANE
1 PARE PASCALE PASSAGUAJE.
Letteralmente: sembrare Pasquale passaguai. Cosí
sarcasticamente viene appellato chi si va reiteratamente lamentando di
innumerevoli guai che gli occorrono, di sciagure che - a suo dire, ma non si sa
quanto veridicamente - si abbattono su di lui rendendogli la vita un calvario
di cui lamentarsi, compiangendosi, con tutti. Il Pasquale richiamato nella
locuzione fu un tal Pasquale Barilotto
lamentoso personaggio di farse pulcinelleche del teatro di A. Petito.
2 PARÉ 'O PASTORE D''A MERAVIGLIA.
Letteralmente: sembrare un pastore della meraviglia Id est:
avere l'aria imbambolata, incerta, statica ed irresoluta quale quella di
certuni pastori del presepe napoletano settecentesco raffigurati a bocca
spalancata, in pose stupite ed incantate per il prodigio cui stavano
assistendo; tali figurine in terracotta il popolo napoletano suole chiamarle
appunto pasture d''a meraviglia, traducendo quasi alla lettera l'evangelista
LUCA che scrisse: pastores mirati sunt.
3 MEGLIO A SSAN FRANCISCO CA 'NCOPP'Ô MUOLO.
Letteralmente: meglio (stare) in san Francesco che sul
molo. Id est: di due situazioni ugualmente sfavorevoli conviene scegliere
quella che comporti minor danno. Temporibus illis in piazza san Francesco, a
Napoli erano ubicate le carceri, mentre sul Molo grande era innalzato il
patibolo che poi fu spostato in piazza Mercato; per cui la locuzione significa:
meglio carcerato e vivo, che morto impiccato.
4 FUTTATENNE!
Letteralmente:Infischiatene, non dar peso, lascia correre,
non porvi attenzione. È il pressante invito a lasciar correre dato a chi si sta
adontando o si sta preoccupando eccessivamente per quanto malevolmente si stia
dicendo sul suo conto o si stia operando a suo danno. Tale icastico invito fu
scritto dai napoletani su parecchi muri cittadini nel 1969 allorché il santo
patrono della città, san Gennaro, venne privato dalla Chiesa di Roma della
obbligatorietà della "memoria" il 19 settembre con messa propria. I
napoletani ritennero la cosa un declassamento del loro santo e allora scrissero
sui muri cittadini: SAN GENNÀ FUTTATENNE! Volevano lasciare intendere che essi,
i napoletani, non si sarebbero dimenticati del santo quali che fossero stati i
dettami di Roma.
5 FÀ ‘E UNO TABBACCO P''A PIPPA.
Letteralmente: farne di uno tabacco per pipa. Id est ridurre
a furia di percosse qualcuno talmente a mal partito al punto da trasformarlo,
sia pure metaforicamente, in minutissimi pezzi quasi come il trinciato per
pipa.
6 FÀ TRENTA E UNO TRENTUNO.
Quando manchi poco per raggiungere lo scopo prefisso,
conviene fare quell'ultimo piccolo sforzo ed agguantare la meta: in fondo da
trenta a trentuno non v'è che un piccolissimo lasso. La locuzione rammenta
l'operato di papa Leone X che fatti 30 cardinali, in extremis ne creò un
trentunesimo non previsto.
6 ESSERE CARTA CANUSCIUTA.
Letteralmente: essere carta nota. Id est: godere di cattiva
fama, mostrarsi inaffidabile e facilmente riconoscibile alla medesima stregua
di una carta da giuoco opportunamente "segnata" dal baro che se ne
serve.
7 ESSERE CCHIÚ FETENTE 'E 'NA RECCHIA 'E CUNFESSORE.
Letteralmente: essere piú sporco di un orecchio di
confessore. L'icastica espressione viene riferita ad ogni persona assolutamente
priva di senso morale, capace di ogni nefandezza; tale individuo è parificato
ad un orecchio di confessore, non perché i preti vivano con le orecchie
sporche, ma perché i confessori devono, per il loro ufficio, prestare
l'orecchio ad ogni nefandezza ed alla summa dei peccati che vengono quasi
depositati nell'orecchio del confessore, orecchio che ne rimane metaforicamente
insozzato.
8 'O RIALO CA FACETTE BBERTA Â NEPOTA: ARAPETTE 'A CASCIA E
LLE DETTE 'NA NOCE.
Letteralmente : il regalo che fece Berta alla nipote: aprì
la cassa e le regalò una noce. La locuzione è usata per sottolineare
l'inconsistenza di un dono, specialmente quando il donatore lascerebbe
intendere di essere intenzionato a fare grosse elargizioni che, all'atto
pratico, risultano invece essere parva res.
9 'E PPAZZIE D''E CANE FERNESCENO A CCAZZE 'NCULO.
Letteralmente: i giochi dei cani finiscono con pratiche
sodomitiche. Id est: i giuochi di cattivo gusto finiscono inevitabilmente per
degenerare, per cui sarebbe opportuno non porvi mano per nulla. La icastica
locuzione prende l'avvio dalla osservazione della realtà allorché in una torma
di cani randagi si comincia per gioco a rincorrersi e a latrarsi contro l'un
l'altro e si finisce per montarsi vicendevolmente; la postura delle bestie fa
pensare, sia pure erroneamente, a pratiche sodomitiche.
10.TRE CCALLE E MMiSCAMMÒCE.
Letteralmente: tre calli(cioè mezzo tornese) e
mescoliamoci. Così, sarcasticamente, è definito a Napoli colui che si
intromette nelle faccende altrui, che vuol sempre dire la sua, interessandosi,
con poco impegno o spesa, delle faccende altrui. Il tre calle era una moneta di
piccolissimo valore; su una delle due facce v'era raffigurato un cavallo da cui
per contrazione derivò il nome di callo. La locuzione significa: con poca spesa
si interessa delle faccende altrui.
11.CHI SE FA MASTO, CADE DINT'Ô MASTRILLO.
Letteralmente: chi si fa maestro, finisce per essere
intrappolato. L'ammonimento della locuzione a non ergersi maestri e domini
delle situazioni, viene rivolto soprattutto ai presuntuosi e supponenti che son
soliti dare ammaestramenti o consigli non richiesti, ma poi finiscono per fare
la fine dei sorci presi in trappola proprio da coloro che pretendono di
ammaestrare.
mastrillo = trappola per topi (dal lat. volg.
mustriculu(m)→mustriclu(m)→mastrillo).
12.TUTTO A GGIESÚ E NNIENTE A MMARIA.
Letteralmente: tutto a Gesú e niente a Maria; ma non è un
incitamento a conferire tutta la propria devozione a Gesú e a negarla alla
Vergine; è invece l'amara constatazione che fa il napoletano davanti ad una
iniqua distribuzione di beni di cui ci si dolga, nella speranza che chi di
dovere si ravveda e provveda ad una piú equa redistribuzione. Il piú delle
volte però non v'è ravvedimento e la faccenda non migliora per il petente.
13.CHI GUVERNA 'A RROBBA 'E LL'ATE NUN SE COCCA SENZA ‘O
MMAGNATO!
Letteralmente: chi amministra i beni altrui, non va a letto
digiuno. Disincantata osservazione della realtà che piú che legittimare
comportamenti che viceversa integrano ipotesi di reato, denuncia
l'impossibilità di porvi riparo: gli amministratori di beni altrui sono incorreggibili
ladri!
14.PARÉ LL'OMMO 'NCOPP'Â SALERA
Letteralmente: sembrare l'uomo sulla saliera. Id est:
sembrare, meglio essere un uomo piccolo e goffo, un omuncolo simile a quel Tom
Pouce, viaggiatore inglese, venuto a Napoli sul finire del 1860, molto piccolo
e ridicolo preso a modello dagli artigiani napoletani che lo raffigurarono a
tutto tondo sulle stoviglie in terracotta di uso quotidiano. Per traslato,
l'espressione viene riferita con tono di scherno verso tutti quegli omettini
che si danno le arie di esseri prestanti fisicamente e moralmente, laddove sono
invece l'esatto opposto.
15.FÀ COMME A SSANTA CHIARA:
DOPP' ARRUBBATA CE METTETENO 'E PPORTE 'E FIERRO.
Letteralmente: far come per santa Chiara; dopo che fu
depredata le si apposero porte di ferro. Id est: correre ai ripari quando sia
troppo tardi, quando si sia già subìto il danno paventato, alla stessa stregua
di ciò che accadde per la basilica di santa Chiara che fu provvista di solide
porte di ferro in luogo del preesistente debole uscio di legno, ma solo quando
i ladri avevano già perpetrato i loro furti a danno della antica chiesa
partenopea.
16.ESSERE 'A TINA 'E MIEZO.
Letteralmente: essere il tino di mezzo. Id est: essere la
massima somma di quanto piú sporco, piú laido, piú lercio possa esistere.
Offesa gravissima che si rivolge a persona ritenuta così massimamente sporca,
laida e lercia da essere paragonata al grosso tino di legno posto al centro del
carro per la raccolta dei liquami da usare come fertilizzanti, nel quale tino
venivano versati i liquami raccolti con due tini piú piccoli posti ai lati del
tino di mezzo dove veniva riposto il letame raccolto.
17.'A CAPA 'E LL'OMMO È 'NA SFOGLIA 'E CEPOLLA.
Letteralmente: la testa dell'uomo è una falda di cipolla. È
il filosofico, icastico commento di un napoletano davanti a comportamenti che
meriterebbero d'esser censurati e che si evita invece di criticare, partendo
dall'umana considerazione che quei comportamenti siano stati generati non da
cattiva volontà, ma da un fatto ineluttabile e cioé che il cervello umano è
labile e deperibile ed inconsistente alla stessa stregua di una leggera,
sottile falda di cipolla.
18.NUN TENÉ VOCE 'NCAPITULO.
Letteralmente: non aver voce nel capitolo. Il capitolo
della locuzione è il consesso capitolare dei canonaci della Cattedrale; solo ad
alcuni di essi era riservato il diritto di voto e di intervento in una
discussione. La locuzione sta a significare che colui a cui è rivolta
l'espressione non ha nè l'autorità, nè la capacità di esprimere pareri o farli
valere, non contando nulla.
19.TU NUN CUSE, NUN FILE E NNUN TIESSE; TANTA GLIUOMMERE 'A
DO' 'E CCACCE?
Letteralmente: Tu non cuci, non fili e non tessi, tanti
gomitoli da dove li tiri fuori? Tale domanda sarcastica la si rivolge a colui
che fa mostra di una inesplicabile, improvvisa ricchezza; ed in effetti posto
che colui cui viene rivolta la domanda non è impegnato in un lavoro che possa
produrre ricchezza, si comprende che la domanda è del tipo retorico
sottintendendo che probabilmente la ricchezza mostrata è frutto di mali affari.
E' da ricordare anche che il termine GLIUOMMERO (gomitolo)indicava, temporibus
illis, anche una grossa somma di danaro corrispondente a circa 100 ducati
d'argento.
20.MENARSE DINT'Ê VRACHE...
Letteralmente: buttarsi nelle imbracature. Id est:
rallentare il proprio ritmo lavorativo, lasciarsi prendere dalla pigrizia,
procedere a rilento. L'icastica espressione che suole riferirsi al lento agire
soprattutto dei giovani, prende l'avvio dall'osservazione del modo di procedere
di cavalli che quando sono stanchi, sogliono appoggiarsi con le natiche sui
finimenti posteriori detti vrache (imbracature) proprio perché imbracano la
bestia.
21.CHI POCO TÈNE, CARO TÈNE.
Letteralmente: Chi à poco, lo tiene da conto. Id est: il
povero non può essere generoso
22.LASSA CA VA A FFUNNO 'O BASTIMENTO, ABBASTA CA MÒRENO 'E
ZZOCCOLE.
Letteralmente: lascia che affondi la nave, purchè muoiano i
ratti. Con questa locuzione si suole commentare l'azione spericolata di chi è
disposto anche al peggio pur di raggiungere un suo precipuo scopo; proverbio
nato nell'ambito marinaresco tenendo presente le lotte che combattevano i
marinai con i ratti che infestavano le navi.
23.NCE VONNO CAZZE 'E VATECARE PE FFÀ FIGLIE CARRETTIERE
Letteralmente: occorrono membri da vetturali per generare
figli carrettieri Id est: per ottenere i risultati sperati occorre partire da
adeguate premesse; addirittura nella locuzione si adombra quasi la certezza che
taluni risultati non possano essere raggiunti che per via genetica, quasi che
ad esempio il mestiere di carrettiere non si possa imparare se non si abbia un
genitore vetturale di bestie da soma...
24.SI MINE 'NA SPORTA 'E TARALLE 'NCAPO A CCHILLO, NUN NE
VA MANCO UNO 'NTERRA
Letteralmente: se butti il contenuto di una cesta di
taralli sulla testa di quello non ne cade a terra neppure uno (stanti le
frondose ed irte corna di cui è provvista la testa e nelle quali, i taralli
rimarrebbero infilati). Icastica ed iperbolica descrizione di un uomo molto
tradito dalla propria donna.
25.MUNTAGNE E MMUNTAGNE NUN S'AFFRONTANO.
Letteralmente: le montagne non si scontrano con le proprie
simili. E' una velata minaccia di vendetta con la quale si vuol lasciare
intendere che si è pronti a scendere ad un confronto anche cruento, stante la
considerazione che solo i monti sono immobili...
Raffaele Bracale Brak
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