venerdì 16 settembre 2011

FRASEOLOGIA NAPOLETANA CON IL VERBO PARLÀ 4°

FRASEOLOGIA NAPOLETANA CON IL VERBO PARLÀ
Parte quarta

N - Parlà comme a ‘nu libbro stracciato.
Ad litteram:parlare come un libro strappato id est: esprimersi in maniera incomprensibile, frammentaria, approssimativa e perciò inutile, come inutile sarebbe il consultare un libro che strappato e ridotto in pezzi non sarebbe nè consultabile, né comprensibile.
comme avv. e cong. = come
avv.
1 in quale modo, in quale maniera (in prop. interrogative dirette e indirette): comme staje?(come stai?); comme è gghiuto ‘o viaggio?(come è andato il viaggio?); dimme comme staje(dimmi come stai); comme maje? (come mai?), perché mai, per quale ragione: comme maje nun è cchiú partuto?(come mai non è piú partito?) | comm’ è ca?…,comme va ca?(com'è che...?, come va che...?), qual è il motivo per cui... | ma comme?!(ma come?!), per esprimere sdegno o meraviglia | comme dice?(come dici?), comme hê ditto?(come ài detto?), per chiedere che si ripeta qualcosa | comme sarria a ddicere?(come sarebbe a dire?), per chiedere una spiegazione | comm’è, comme nun è(com'è, come non è), (fam.) per introdurre un fatto che si è verificato all'improvviso | comme no?!(come no?!), certamente | comme ve permettite?!(come vi permette?!), si guardi bene dal permettersi
2 quanto (in prop. esclamative):comme chiove!( come piove!); comme sî bbuono!(come sei buono!); | e ccomme!, è proprio cosí!
3 il modo nel quale, in quale modo (introduce una prop. dichiarativa): le raccuntaje comme ll’amico fosse partuto(gli raccontò come l'amico sarebbe partito); nun te n’adduone ‘e comme sî ffesso?!(non ti accorgi come sei stupido?!) | preceduto da ecco, con lo stesso significato e funzione: ecco comme jettero ‘e ccose; ecco comme ce se po’ arruvinà (ecco come andarono le cose; ecco come ci si può rovinare)
4 nel modo in cui, quanto (introduce una prop. comparativa): è bbello comme credevo; arriva cchiú ttarde ‘e comme aveva avvisiato (è bello come credevo; arriverà più tardi di come aveva annunciato);| in frasi comparative ellittiche del verbo stabilisce una relazione di somiglianza o di identità: janco comm’ ô llatte; ‘a figlia è aveta comm’â mamma; poche so’ sfaticate come a tte; ‘e juorno comme ‘e notte (bianco come il latte; la figlia è alta come la madre; pochi sono pigri come te; di giorno come di notte) | in espressioni rafforzative o enfatiche: mo comme a mmo(ora come ora), oje comme oje(oggi come oggi), al momento attuale | con il sign. di nella condizione, in qualità di, introduce un'apposizione o un compl. predicativo: tu, comme arbitro, nun hê ‘a essere ‘e parte! (tu, come arbitro, devi essere imparziale!); fuje scíveto comme testemmonio(fu scelto come testimone); tutte ‘a vulevano comme mugliera(tutti la richiedevano come moglie)
5 nel modo in cui, in quella maniera che (introduce una prop. modale): aggiu fatto come tu hê voluto (ò fatto come tu ài voluto; tutto è succieso comme speràvamo (tutto è accaduto come speravàmo) | preceduto da accussí: lassa ‘e ccose accussí comme so’ (lascia le cose cosí come sono) | in correlazione con accussí o con tanto (in luogo di quanto): non è accussí tarde come pensavo;(non è cosí tardi come pensavo); tanto ll’une comme ll’ ate ( tanto gli uni come gli altri) ' comme (si), nello stesso modo che, quasi che: rispettalo comme (si) fosse pàteto (rispettalo come (se) fosse tuo padre) | comme non l’êsse ditto come non l’avessi detto, per ritirare una precedente affermazione.
cong.
1 appena, non appena; quando (introduce una prop. temporale): comme ‘o sapette, telefonaje (come lo seppe, telefonò) | a mano a mano che: ‘e nutizzie erano passate comme arrivavano (le notizie venivano comunicate come arrivavano)
2 (lett.) giacché, siccome (introduce una prop. causale): e comme n’effetto s’aveva avé… ( e siccome un effetto bisognava ottenere…)
‘no oppure’nu = corrisponde ad un ed uno della lingua italiana dove sono agg. num. card. , pron. indef. , art. indeterm. [ in italiano, uno come agg. num. e art. maschile si tronca in un davanti a un s.vo o agg.vo che cominci per vocale o per consonante o gruppo consonantico che non sia i semiconsonante, s impura, z, x, pn, ps, gn, sc (un amico, un cane, un brigante, un plico; ma: uno iettatore, uno sbaglio, uno zaino, uno xilofono, uno pneumotorace, uno pseudonimo, uno gnocco, uno sceriffo); il napoletano non conosce tante complicazioni ed usa indifferentemente ‘no/‘nu davanti ad ogni nome maschile sia che cominci per vocale, sia che cominci per consonante o gruppo consonantico (ad es.: n’ommo= un uomo – ‘nu sbaglio= un errore;) da notare che mentre nella lingua nazionale si è soliti apostrofare solo l’art. indeterminativo una davanti a voci femm. comincianti per vocali, mentre l’art. indeterminativo maschile uno non viene mai apostrofato e davanti a nomi maschili principianti per vocali se ne usa la forma tronca un (ad es.: un osso) nella parlata napoletana è d’uso apostrofare anche il maschile ‘no/‘nu davanti a nome maschile che cominci per vocale con la sola accortezza di evitare di appesantir la grafia con un doppio segno diacritico: per cui occorrerà scrivere n’ommo= un uomo e non ‘n’ommo l’etimo di ‘no/’nu è ovviamente dal lat. (u)nu(m) l’apocope della prima sillaba (u) comporta la doverosa indicazione di un segno diacritico (‘) quantunque oggi numerosi autori seguano il malvezzo di scrivere no/nu privi di qualsiasi segno diacritico, ma è costume che aborro, non trovando ragioni concrete e corrette per eliminare un sacrosanto segno etimologicamente ineccepibile ;la medesima cosa càpita con il corrspondente art. indeterminativo femm.le
‘na = corrispondente ad una della lingua italiana dove è agg. num. card. , pron. indef. , art. indeterm.come del resto nel napoletano dove però come agg. num. card. non viene usata la forma aferizzata ‘na, ma la forma intera una; l’etimo di ‘na è ovviamente dal lat. (u)na(m) l’aferesi della prima sillaba (u) comporta la doverosa indicazione di un segno diacritico (‘) quantunque oggi numerosi autori, anche preparati, seguano il malvezzo di scrivere l’articolo na come pure il corrispondente del maschile e neutro no/nuprivi di qualsiasi segno diacritico, ma è costume che aborro, non trovando, mi ripeto, ragioni concrete e corrette per eliminare un sacrosanto segno etimologicamente ineccepibile.
libbro s.vo m.le = libro, volume, insieme di fogli, stampati o manoscritti, cucitio incollati insieme secondo un dato ordine e racchiusi da una copertina; etimologicamente è voce derivata dal lat. libru(m)→libbro con consueto raddoppiamento espressivo dell’esplosiva labiale, orig. 'sottile membrana fra la corteccia e il legno dell'albero', che prima dell'introduzione del papiro si usava come materiale per scrivere;
stracciato = strappato,fatto a pezzi part.pass. agg.vato dell’infinito stracciare/straccià che è dal lat. volg. *extractiare, deriv. di tractus, part. pass. di trahere 'trarre'
O - Parlà assestato
Ad litteram:parlare con cura e precisione,esponendo in maniera chiara responsabile, affidabile, scrupolosa, coscienziosa. Détto di chi, si esprima in modo serio e costruttivo, dimostrando accuratezza, cura, attenzione, meticolosità, diligenza, scrupolosità, ordine, rigore,nonché il raziocinio d’ una mente concretamente in sesto.
assestato part. pass. aggettivato dell’infinito assestà = 1 mettere in sesto, in ordine (anche fig.); sistemare;2 regolare con cura, adattare con precisione; ||| assestarse v. rifl. o intr. pron.
1 sistemarsi; mettersi in ordine, a posto (anche fig.):

2 (ant. lett.) adattarsi, confarsi.
Etimologicamente assestare/assestà è un denominale di sesto (che è dal lat. sextu(m)) s. m.
1 ordine, assetto, disposizione normale di qualcosa:
2 (arch.) curvatura di un arco;
3 (ant.) compasso, sesta:
P - Parlà chiatto e ttunno
Corrisponde all’italiano Parlar chiaro e tondo È l’esatto contrario della precedente I - Parlà mazzecato.
Ad litteramquesta a margine è:parlare grasso e tondo,ma si può rendere con l’italiano parlar chiaro e tondo, quantunque l’espressione napoletana nella sua icasticità sia piú rappresentativa del concetto di profferir parole copiose (chiatto=grasso, abbondante ) e rotonde (tunno= tondo, rotondo, anche sferico, privo di spigolosità) id est parlare senza reticenze; esprimersi senza incertezze, con chiarezza e dovizia di particolari, senza nulla sottacere, usando un eloquio aperto, ampio e rotondo che in napoletano è détto grasso come che ponderoso e privo di spigolosità che se esistessero impedirebbero la necessarie trasparenza e/o chiarezza che son proprie di un parlare chiaro e tondo che cioè non voglia nasconder nulla.
Chiatto e ttunno = copioso, abbondante e rotondo locuzione avverbiale formato dall’unione di due aggettivi: chiatto/a agg.vo m.le o f.le= pingue, grasso/a e dunque copioso/a, abbondante
Voce che è dal greco plat(s) con raddoppiamento espressivo della dentale e consueto passaggio (che è anche in lemmi dal latino) del gruppo pl a chi (cfr. ad es. plu(s)→chiú – plumbeu(m)→chiummo – plaga→chiaja etc.) e tunno/a agg.vo m.le o f.le= tondo/a, rotondo/a, sferico/a e dunque senza spigoli o asperità
Voce che è dal lat. (ro)tundu(m)→tunno con tipica assimilazione progressiva nd→nn.
Q – Parlà a cocoricò
Espressione del parlato e solo del parlato a cui però è quasi impossibile dare una traduzione letterale atteso che la voce cocoricò nell’inteso comune si presta ad una doppia interpretazione; a) pappagalo, b) matto, folle;
Intendendo cocoricò come pappagallo (dandole cioè un etimo onomatopeico che si riallaccia al verso del pennuto uccello esotico addomesticabile, con caratteristico becco adunco e colori smaglianti) l’espressione varrebbe parlar pappagallescamente imitando l’altrui eloquio; intendendo invece, come io penso e ritengo, ntendendo cocoricò una voce derivata dal turco curuk→cucuruco→cocoricò (agg.vo che vale in primis marcio e per traslato folle, matto) ecco che l’espressione parlà a cocoricò acquista la medesima valenza della precedente parlà a spaccastrommole cioè in maniera concitata, a ruota libera senza nesso o senso, quasi alla maniera dei matti,valenza che semanticamente s’attaglia benissimo al curuk→cucuruco→cocoricò = folle, matto.
Q - Parlà a scampule ‘e mele cotte
Ad litteram: parlare alla maniera (dei venditori) di scampoli di mele cotte id est parlare per tropi ed immagini spesso menzognere e/o fasulle in maniera suadente, ma falsa ed ingannevole nell’intento di convincere l’ascoltatore/cliente ad acquistare scampoli residuali di mele cotte probabilmente invendute per cattiva qualità delle medesime.Analogamente ai venditori di scampoli di mele cotte chiunque usasse, soprattutto a fini illusorî,e/o ingannevoli, un eloquio suadente, ma menzognero potrebbe essere accreditato di parlà a scampule ‘e mele cotte.
scampule s.vo m.le pl. di scampulo s. m.
in primis piccolo taglio di tessuto che avanza da una pezza;
fig. come nel caso che ci occupa avanzo, rimasuglio
etimologicamente la voce scampulo è un deverbale di scampare/scampà =
1uscire salvo da un pericolo(nel caso dello scampolo da quello della vendita); sfuggire a un rischio (idem c.s.) mortale:
2 trovare rifugio in un luogo: scampà all'estero ||| v. tr.
1 proteggere, liberare, salvare da mali e pericoli: scampare qualcuno dalla morte | Dio ci (ce ne) scampi!, escl. che esprime la speranza di non incorrere in un pericolo, di non subire un male
2 evitare, scansare (un male, un danno e sim.); il verbo scampare, a sua volta deriva da campo (di battaglia), col pref. s- che indica allontanamento.

E con questa analizzata avrei esaurito l’esame delle piú usate locuzioni modali costruite con il verbo parlare, ma amor di completezza mi spinge ad illustrare altre due caratteristiche espressioni partenopee costruite usando l’infinito parlà:

R - Nun farme parlà!
Letteralmente: Non farmi parlare! Id est: Fammi tacere, non istigarmi a dire qualcosa di cui potrei pentirmi… Della persona o dell’argomento dei quali vorresti ch’io parlassi conosco cose e circostanze spiacevoli che se le riferissi potrebbero suscitare malumori, dissapori o malintesi di cui sarei responsabile e di cui dovrei pentirmi; per cui Non indurmi a parlare.È preferibile ch’io taccia!
S- Jí a pparlà cu ‘o pato
Letteralmente: Andare a parlare con il padre (della fidanzata). Id est: Ufficializzare una situazione impegnandosi chiaramente a mantenere l’impegno di fare sfociare un fidanzamento nel matrimonio. L’espressione napoletana, in disuso ormai dalla fine degli anni ’60 del 1900 in coincidenza con la rivoluzione dei costumi giovanili e della società, e con il subentro all’istituto del matrimonio, della disdicevole consuetudine della convivenza disimpegnata, libera e senza regole, l’espressione in esame corrisponde ad un dipresso a quella dell’italiano chiedere la mano della sposa Rispetto a quella dell’italiano, l’espressione napoletana coglie al meglio l’importanza della figura paterna (del tutto assente nell’espressione italiana) figura che sino alla fine degli anni ’60 del 1900 ebbe un posto preminente nell’àmbito della famiglia di cui rappresentò l’indiscussa guida materiale e morale responsabile titolare della cosiddetta patria potestas ed occorreva che con lui e con nessun altro l’aspirante promesso sposo parlasse dando garanzie di serietà morale, supportata da un lavoro retribuito e chiarisse le sue serie intenzioni di voler metter su famiglia impalmando la figliola di colui con cui si andava a parlare.
jí corrisponde al verbo italiano andare ( che etimologicamente qualcuno pensa derivi dal lat. ambulare o da un lat. volg. *ambitare, ma che molto piú esattamente sembra derivi da un *aditare frequentativo di adire ed è verbo che à alcune forme che ànno per tema vad- derivando dal lat. vadere/vadicare 'andare'); è reso,in napoletano, con derivazione dal lat. ire, con l’infinito jí/ghí e son numerose le locuzioni formate con détto infinito e per esaminarle rimando alibi. Preciso che in napoletano la grafia corretta dell’infinito è – come ò scritto – jí oppure in talune espressioni ghí/gghí (cfr. a gghí a gghí= di misura) dove la j è sostituita per comodità espressiva dal suono gh. È pertanto assolutamente errato (come purtroppo càpita di trovare nella stragrande maggioranza di sedicenti scrittori napoletani noti e/o meno noti!), è assolutamente errato rendere in napoletano l’infinito di andare con la sola vocale i talvolta accentata (í) talvolta, peggio ancóra!, seguíta da uno scorretto segno d’apocope (i’); la (i’) in napoletano è l’apocope del pronome io→i’ e non può essere anche l’apocope dell’infinito ire; l’infnito di andare in corretto napoletano è jí oppure in talune esopressioni ghí/gghí cosí come espressamente sostenuto dal poeta Eduardo Nicolardi (Napoli 28/02/1878 -† ivi 26/02/1954) che era solito far coniugare per iscritto in napoletano il verbo andare (jí) a tutti coloro che gli sottoponessero i loro parti… poetici dialettali e quando errassero nello scrivere, vergando (í) oppure (i’) in luogo di jí oppure, ove del caso, ghí/gghí, li metteva decisamente alla porta consigliando loro di abbandonare il napoletano e la poesia! A margine rammento che il verbo jí/ghí nella coniugazione dell’indicativo presente (1°,2° e 3° pers. sg.) si serve del basso latino *vadere/vadicare (con sincope dell’intera sillaba de/di) ed à: i’ vaco,tu vaje, isso va, mentre per 1° e 2° pers. pl.usa il tema di ji –re ed à nuje jammo, vuje jate per tornare a *va(di)c-are per la 3° ps. pl che è lloro vanno.
cu cong.
Corrisponde all’italiano con in tutte le sue funzioni ed accezioni :
1) esprime relazione di compagnia, se è seguito da un nome che indica essere animato (può essere rafforzato da insieme): è partito cu ‘o pato ; à magnato cu ll’ amice; campa (‘nzieme) cu ‘a sora;
2) in senso piú generico, introduce il termine cui si riferisce una qualsiasi relazione: s’è appiccecato cu ‘o frato; à sfugato cu mme;
3) con valore propriamente modale: restà cu ll’uocchie nchiuse; vulé bbene cu tutto ‘o cuore; trattà cu ‘e guante gialle( cioè con rispetto e dedizione quelli dovuti ai nobili che usavano indossare guanti di camoscio in tinta chiara) | con valore tra modale e di qualità: pasta cu ‘e ssarde; stanza cu ‘o bbagno; casa cu ‘o ciardino;
4) introduce una determinazione di mezzo o di strumento: cu ‘a bbona vulontà s’ave tutto; ‘o vino se fa cu ll'uva; scrivere cu ‘a penna stilografica; partí cu ‘o treno ;
5) indica una circostanza, stabilendo un rapporto di concomitanza: nun ascí cu ll’acqua!;
6) può avere valore concessivo o avversativo, assumendo il significato di 'non ostante,a malgrado': cu tutte ‘e guaje ca tène, riesce ancòra a ridere; cu tutta ‘a bbona vulontà, ma è proprio ‘mpussibbile. L’etimo della preposizione a margine è dal lat. cum. Rammento qui e valga anche a futura memoria che tutte le parole che abbiano un etimo da una voce latina terminante per consonante (che nella parola formata cade) non necessitano di alcun segno diacritico in quanto il segno diacritico dell’apocope (accento o apostrofo) è necessario apporlo graficamente quando a cadere sia una sillaba e non una o due consonanti; nel caso in esame cum dà cu e non l’inesatto cu’ che spesso mi è occorso di trovare negli scritti anche di famosi autori, accreditati da qualcuno (ma evidentemente a torto) d’essere esperti dell’ idioma napoletano, autori che invece ànno spesso marcato o marcano il loro napoletano sulla sintassi e la grammatica dell’italiano, facendo una sciocchezza sesquipedale atteso che – come ò piú volte détto e provato – il napoletano è un linguaggio del tutto originale ed autonomo, con una propria storia letteraria e di derivazione, come tutti gli altri linguaggi regionali, diretta dal latino volgare, con proprie regole grammaticali e di sintassi e non è tributaria di nessun altra lingua, men che meno dell’italiano/toscano! Ciò che ò appena detto vale anche per la preposizione seguente cioè
pe che (con etimo dal lat. per) corrisponde all’italiano per in tutte le sue funzioni ed accezioni :
1) determina il luogo attraversato da un corpo in movimento o attraverso il quale passa qualcosa che à un'estensione lineare (anche fig.): il ‘o treno è passato pe Caserta; ‘o curteoà sfilato pe ‘o corzo;’o mariuolo è trasuto p’’a fenesta; | può anche specificare lo spazio circoscritto entro cui un moto si svolge e, per estens., la cosa, l'ambito entro cui un fenomeno, una condizione si verificano: passiggià p’’o ciardino;jí pe mmare e pe tterra; tené delure pe tutt’’a vita | indica anche la direzione del moto: saglí e scennere p’’e scale; arrancà pe tutta ‘a sagliuta
2) indica una destinazione: partí pe Pparigge; ‘ncammenarse p’’a città; piglià ‘a strata p’’o mare; ‘o treno pe Rroma | (estens.) esprime la persona o la cosa verso cui si à una disposizione affettiva, un'inclinazione: tené simpatia pe quaccheduno; avé passione p’’a museca ;
3) introduce una determinazione di stato in luogo, che si riferisce per lo piú a uno spazio di una certa estensione: ‘ncuntrà quaccheduno p’’a strata; ce stanno cierti giurnale pe tterra;
4) esprime il tempo continuato durante il quale si svolge un'azione o un evento si verifica (può anche essere omesso): aspettà (pe) ore e ore; faticà (pe) anne e nun cacciarne niente; sciuccaje (pe) tutta ‘a notte; durarrà (pe) tutta ‘a vita | se introduce una determinazione precisa di tempo, esprime per lo piú una scadenza nel futuro: turnarrà p’’e ddiece; êsse ‘a essere pronto pe Nnatale
5) introduce un mezzo: mannà pe pposta; spedí pe ccurriere; dirlo pe ttelefono; parlà pe bbocca ‘e n’ato;
6) esprime la causa: era stracquo p’’a fatica; alluccava p’’o dulore; non ve preoccupate pe nnuje; supportaje tutto p’ ammore sujo; condannà pe ‘mmicidio;
7) introduce il fine o lo scopo: libbro pe gguagliune; pripararse pe ‘nu viaggio; attrezzarse p’’a montagna; | in dipendenza da verbi che indicano preghiera, giuramento, promessa, esortazione e sim., indica l'ente, la persona, il principio ideale per cui o in nome di cui si prega, si giura, si promette ecc.: facítelo pe Ddio; pe ccarità, facite ca nun se venesse a sapé in giro; giurà pe ll’uocchie suoje; ll’à prummiso pe qquanto tène ‘e cchiú ccaro |, Pe ttutte ‘e diavule!, p’’a miseria! e sim., formule di esclamazione o di imprecazione
8) introduce la persona o la cosa a vantaggio o a svantaggio della quale un'azione si compie o una circostanza si verifica: faciarria qualsiasi cosa pe tte; accussí nun va bbuono pe nnuje; piezzo e ppejo pe cchi nun vo’ capí; n’aria ca nun è bbona p’’a salute; murí p’’ammore d’’e figlie; pregàe p’’e muorte; avutà pe n’amico ; ‘a partita è fernuta tre a ddoje p’’a squadra ‘e casa ;
9) determina il limite, l'ambito entro cui un'azione, un modo di essere, uno stato ànno validità: pe ll’intelliggenza è ‘o meglio d’’a classe; p’’e tiempe ‘e mo, è pure assaje; pe chesta vota sarraje perdunato; pe lloro è comme a ‘nu figlio; pe mme, state sbaglianno; pe quanto te riguarda, ce penzo io personalmente ;
10) introduce il modo, la maniera in cui un'azione si compie: ; parlà pe ttelefono; chiammà pe nnomme ; pavà pe ccuntante; tené pe mmano; assumere pe ccuncorzo;
11) indica un prezzo, una stima: aggio accattato pe ppochissimi sorde ‘nu bbellu mobbile antico; vennere ‘na casa pe cciento meliune; nun ‘o faciarria pe ttutto ll'oro d’’o munno;
12) in funzione distributiva: marcià pe dduje;metterse pe ffile; uno pe vvota; duje pacche pe pperzona; juorno pe gghiuorno | per estensione, indica la percentuale (pe cciento, nell'uso scritto %): ‘nu ‘nteresse d’’o diece pe cciento (o 10%) | nelle operazioni matematiche, dice quante volte un numero si moltiplica o divide (nel secondo caso può essere omesso): multiplicà cinche pe ddoje 5 ; diciotto diviso (pe) ttre dà seje; da qui l'uso assol. di pe a indicare un prodotto (nell'uso scritto rappresentato dal segno X)
13) introduce una misura o un'estensione: ‘a strata è ‘nzagliuta pe pparicchie chilometri; l'esercito avanzaje pe ccinche miglia e cchiú;
14) introduce una funzione predicativa, equivalendo a come: averlo p’ amico; pigliarla pe mmugliera; tené pe ccerto; pavà ‘nu tot pe ccaparra;
15) indica scambio, sostituzione, equivalendo alle locuzioni in vece, in cambio, in luogo di e sim.: l’aggiu pigliato p’’o frato; t’’o ddice isso pe mme; capí ‘na cosa pe n’ata;
16) indica origine, provenienza familiare nella loc. pe pparte ‘e: parente pe pparte ‘e mamma;
17) il pe seguito dal verbo all'infinito introduce una prop. finale: l’hê scritto p’’o ringrazzià?; ce ne vo’ pe tte cunvincere!; | causale: fuje malamente cazziato p’ avé risposto scustumatamente; era assaje stanco pe nun avé durmuto tutt’’a notte| consecutiva: è troppo bbello p’ essere overo; sî abbastanza crisciuto pe ccapirlo
18) nelle loc. perifrastiche , stare/stà pe, essere sul punto, in procinto di: stongo pe ppartí; steva quase pe sse cummuovere;
19) concorre alla formazione di numerose loc. avverbiali: p’’o mumento; pe qquanno è ‘o caso; pe ttiempo; pe lluongo; pe llargo; pe ccerto; pe ll'appunto; pe ccaso; pe ccumbinazzione; pe ppoco | congiuntive: p’’o fatto ca; pe vvia ca | pe ppoco (assaje, bello, brutto, caro e sim.) ca è o ca fosse , con valore concessivo: pe ppoco ca è, meglio ‘e niente.
Rammento, come ò già detto, che derivando il napoletano pe dal lat. pe(r) non necessità di alcun segno diacritico (accento o apostrofo) e pertanto va sempre scritta semplicemente pe e non nel modo scorretto pe’ che purtroppo ò spesso trovato anche fra i soliti grandi autori partenopei accreditati, ingiustamente!, di essere esperti della lingua napoletana; ovviamente il pe usato davanti a vocale va eliso in p’,(ed è chiaro che l’apostrofo non indica la caduta del gruppo originario er ma della sola vocale e di pe); usato invece davanti a consonante il pe esige la geminazione della consonante per cui avremo pe pparlà e non pe parlà e cosí via.
pate s.vo m.le = padre quanto all’etimo dritto per dritto dal lat. pat(r)e(m)→pate con dissimilazione totale della liquida.
Giunto a questo punto penso di non dover aggiungere altro, d’aver contentato l’amico A.B. ed aver interessato qualcun altro dei miei 24 lettori, per cui metto un punto fermo ed annoto: satis est!




raffaele bracale

Nessun commento: