giovedì 8 dicembre 2016

VARIE 16/979

1.'E FESSE SO' SSEMPE 'E PRIMME A SSE FÀ SÈNTERE... I fessi son sempre i primi a parlare - cioè: gli sciocchi, quelli che non ànno argomenti seri, profondi, autorevoli, affidabili, posati, contegnosi, ponderati da proporre, son sempre i primi ad esprimere un parere... 2.DICETTE PULICENELLA:'A MEGLIA MMEDICINA? VINO 'E CANTINA E PPURPETTE 'E CUCINA... Disse Pulcinella:La miglior medicina? Vino vecchio e stagionato e polpette fatte in casa... Imiglior rimedi per la salute son quelli genuini forniti dal desco. 3.STANNO CAZZA E CCUCCHIARA. Stanno (uniti come) secchio della calcina e cazzuola/mestola; cioè:vanno di pari passo, stanno sempre insieme. Détto di tutti coloro che sceltisi un amico o un compagno non si separano da lui che per brevissimo lasso di tempo, andando sempre di pari passo, stando sempre insieme come càpita appunto per il secchio della calcina e la cazzuola che vengono usate dal muratore di concerto durante il lavoro giornaliero ed anche quando questo sia terminato il muratore, nettati i ferri del mestiere è solito conservarli insieme ponendo la cazzuola nel secchio della calcina per modo che l’indomani possa facilmente ritrovarli ed usarli alla ripresa del lavoro. La cazza come ò accennato fu in origine un recipiente per lo piú di ferro, provvisto di manico, nel quale si fondevano i metalli , poi indicò ed ancóra indica quel contenitore ,quel secchio di ferro in cui i muratori usano impastare malta e/o calcina; la voce è dal lat. tardo cattia(m), da collegarsi al gr. ky/athos 'coppa, tazza'; la voce è usata piú spesso in italiano che in napoletano dove il suddetto contenitore è chiamato piú acconciamente cardarella diminutivo adattato di caldara→cardara= caldaia = in origine recipiente metallico in cui si fa bollire o cuocere qualcosa e poi estensivamente ogni capace recipiente metallico atto a contenere materiali caldi o freddi; caldara→cardara è voce derivata del latino tardo caldaria(m), deriv. di calidus 'caldo'. Poiché, come ò detto, la voce cazza è poco nota e usata a Napoli accade che l’espressione in epigrafe venga talvolta impropriamente enunciata come Essere cazzo e cucchiara con un accostamento erroneo ed inconferente non essendovi certamente nessun nesso tra il membro maschile e la cucchiara= cucchiaia, cazzuola che è appunto la mestola che usano i muratori per prelevar la calcina o malta dalla cazza distribuendola e pareggiandola su muri e/o mattoni; cucchiara è di per sé il femminile di cucchiaro con etimo dal latino cochlearju(m) con normale semplificazione - di rj→r e chiusura di o in u in sillaba atona; cucchiaro è stato reso femminile appunto per indicare, come già dissi altrove, un oggetto piú grande del corrispondente maschile (es.: tammurro piú piccolo – tammorra piú grande, tino piú piccolo – tina piú grande etc. con le sole eccezioni di caccavella piú piccola – caccavo piú grande e di tiana piú piccola – tiano piú grande );ugualmente è erroneo stravolgere l’espressione in epigrafe in (come pure talvolta m’è occorso d’udire) Essere tazza e cucchiara , atteso che la tazza , per grande che possa essere (fino a diventar una ciotola) potrebbe procedere di conserva con un cucchiaino (tazza da caffè), al massimo con un cucchiaio (tazza/ciotola da caffellatte) mai con una cucchiara (cazzuola). Qualcuno, mi ripeto, meno esperto della tradizione e/o della parlata napoletane riferisce erroneamente il modo di dire con l’espressione:Pàrono oppure stanno tazza e cucchiaro:sembrano oppure stanno (come) tazza e cucchiaio, espressione inesatta come ò spiegato ed invece la locuzione, sulle labbra dei vecchi napoletani, consci di quel che dicono comporta giustamente la presenza della cucchiara arnese tipico dei muratori; il medesimo concetto di continua salda unione si esprime con le locuzioni: 1)paré ‘a funa e ‘a terocciola (sembrare la fune e la carrucola) 2) paré ‘o servezziale e ‘o pignatiello (sembrare il clistere ed il pentolino). 4.STAMMO ASSECCANNO 'O MARE CU 'NA CUCCIULELLA... Stiamo prosciugando il mare con una conchiglia - Cioè: ci siamo imbarcati in un'impresa impossibile...e che non approderà a nulla 5.ARROSTERE 'O CCASO CU 'O FUMMO D''A CANNELA. Arrostire il formaggio con il fumo di una candela - cioè:tentare di far qualcosa con mezzi inadeguati, che non produrranno l’effetto sperato. 6.'A MALA NUTTATA I 'A FIGLIA FEMMENA. La notte travagliata e il parto di una figlia - cioè: Le disgrazie non vengono mai sole.Un tempo la nascita di una figlia era ritenuta una iattura: la donna non lavorava che poco e male e quindi non era produttiva e gravava sul bilancio familiare atteso che bisognava fornirla di dote sia che scegliesse la strada del matrimonio, sia quella del monastero. 7.NUN TENÉ MANCO 'A CAPA 'E SI' VICIENZO. Non aver nemmeno la testa del sig. Vincenzo. Cioè:esser poverissimo. 'A capa 'e si' Vicienzo è la corruzione dell'espressione latina:caput sine censu ovverossia:persona senza alcun reddito, persona che pertanto non pagava tasse. Notazioni linguistiche: Rammento che spesso sulla bocca del popolino, meno conscio o attento del/al proprio idioma, l’espressione in esame è resa con la trasformazione del corretto si’ (che è di per sé l’apocope di si(gnore)→si’ ) con uno scorretto zi’ (che è l’apocope di uno zio/a etimologicamente derivante da un tardo latino thiu(m) e thia(m) da un greco tehîos ) per cui si ottiene lo scorretto zi’Vicienzo in luogo del corretto si’ Vicienzo ed altrove si sente pronunciare scorrettamente ‘o zi’ prevete e ‘a zi’ badessa in luogo dei corretti si’prevete e sié badessa dove il si’ (ò detto e ripeto) è l’apocope di si-gnore (che etimologicamente è dal francese seigneur forgiato sul latino seniore(m) comparativo di senex=vecchio,anziano mentre il sié è l’apocope ricostruita di signora dalla medesima voce francese femminilizzata e metatetica di seigneur → sie-(gneuse)→sie’. Rammenterò a margine di tutto ciò un’altra tipica espressione partenopea che è ‘o si’ nisciuno usata per dileggio nei confronti di chi sia uomo di nessuna valenza teorica e/opratica; a tale insignificante individuo s’usa dire: sî ‘o si’ nisciuno(sei il signor nessuno, non vali o conti nulla!); l’espressione ‘o si’ nisciuno, spessissimo scorrettamente suole rendersi con‘o zi’ nisciuno incorrendo maldestramente nell’equivoco di cui ò già detto; in tale equivoco incorse inopinatamente anche il famoso scrittore partenopeo don Peppino Marotta che tradusse in un suo scritto l’espressione‘o si’ nisciuno con un inconferente lo zio Nessuno invece dell’atteso il signor Nessuno… Ma Marotta fu cosí grande scrittore e napoletano da pietra di paragone, che gli perdono tutto! 8.DICETTE MUNZIGNORE Ô CUCCHIERE:"VA' CHIANO , CA VACO 'E PRESSA!" Disse il monsignore al suo cocchiere:"Va' piano, ché ò premura!" Ossia:la fretta è una cattiva consigliera da cui guardarsi evitando di servirsene anche quando occorra far presto; chi si affretta spesso sbaglia per precipitazione ed è costretto a cominciare da capo l’intrapreso con ulteriore perdita di tempo. Il proverbio in esame non fa che rappresentare icasticamente il concetto espresso nell’antico motto latino: Festina lente (Affrettati lentamente!). 9.CHI D'AUSTO NN’È VVESTUTO, 'NU MALANNO LL' È VVENUTO Proverbio d’origine contadine dal doppio significato; in primis e letteralmente Chi alla fine dell' estate non si copre bene, incorrerà in qualche malanno; con la fine dell’estate e l’approssimarsi della stagione autunnale prodromica di quella invernale occorre esser previdenti, provvedendo a coprirsi per non incorrere in problemi di salute; nel significato traslato, nel quale il participio passato vestuto è da intendersi come provvisto di moneta, il proverbio vale Chi alla fine dell' estate non è riuscito a guadagnare abbastanza danaro con la vendita delle messi raccolte durante i mesi estivi andrà incontro a periodi di magra intesa come malanno. 10.SENZA DENARE NUN SE CANTANO MESSE. Senza denaro non si celebrano messe cantate. Cioé: tutto à il suo prezzo. 11. A N’ ALDARE SGARRUPATO NUN S'APPICCENO CANNELE. Letteralmente: Ad altare diruto non portar ceri accesi.che figuratamente significa : Non à senso corteggiare donne anziane e sfiorite. 12.GIACCHINO METTETTE 'A LEGGE E GIACCHINO FUJE 'MPISO. Ad litteram: Giocchino [Murat]emanò una legge e Gioacchino fu impiccato. Cioè: Chi è causa del suo mal, pianga se stesso. Locuzione che fa riferimento a Gioacchino Murat ucciso a Pizzocalabro in attuazione di una norma da lui stesso dettata, nè muta la sostanza dell’espressione il fatto che Murat fósse stato fulicilato e non impiccato. . 13.SI LL'AUCIELLE CANUSCESSENO 'O GGRANO, NUN NE LASSASSENO MANCO N' ACENO! Se gli uccelli conoscessero il grano, non ne lascerebbero un chicco! - Cioè: se gli uomini fossero a conoscenza di tutti i benefici che la vita offre, ne approfitterebbero sempre. 14.DICETTE PULICENELLA: PE MMARE NUN CE STANNO TAVERNE. Disse Pulcinella: In mare non vi sono ripari. 15.VA' DINTO Ê CHIESIE GRANNE CA TRUOVE SEGGE E SCANNE... Va' nelle chiese grandi dove troverai sedie e scranni - Cioè: Chi vuol qualcosa lo deve cercare nei negozi piú grandi che sono i piú forniti.Per ampliamento semantico: chi vuole aiuto deve rivolgersi ai piú attrezzati e o versati alla bisogna per scienza e coscienza. 16. HÊ ‘A FERNÍ SOTT’Ê PPRETE! Antichissima e desueta ancorché icastica espressione di malevola maledizione che si poteva cogliere sulle labbra dei napoletani di vecchissimo conio, che ad litteram va resa con: “Devi decedere sotto le pietre!” Si tratta di un malaugurio indirizzato verso un inveterato avversario, nemico, rivale, antagonista, oppositore, contendente o semplicemente soggetto molesto, noioso, seccante, irritante, sgradevole tanto da augurargli, sia pure poco caritevolmente, di vederlo perire coperto di pietre che però non son quelle [come improvvidamente ipotizzò qualcuno (a digiuno di storia) chiosando sulla locuzione]da crollo successivo ad un sisma, bensí quelle reperibili lungo percorsi impervi e sassosi, come le pietre che sin dal 1492 gli ebrei erranti della diaspora ispanica usarono per coprire le salme, necessariamente lasciate insepolte di chi decedeva nel periglioso cammino, affinché avvoltoi o altre bestie randage non facessero scempio del corpo del defunto.Ò parlato appunto di antichissima espressione perché fu mutuata appunto dal comportamento degli ebrei erranti che ne fecero addirittura una tradizione che perdura tuttora, al segno che chi visiti un cimitero israelita si sente in obbligo di portar seco una pietra da depositare sulla tomba del defunto. In conclusione l’espressione in epigrafe va intesa come un anatema con il quale si auspica che il soggetto contro cui è indirizzato perisca improvvisamente, per istrada, non venga sepolto in una bara, ma lasciato sul luogo del trapasso coperto di pietre alla maniera degli ebrei ispanici. Brak

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