lunedì 27 marzo 2017

VARIE 17/334



1.JÍ TRUVANNO CRISTO ‘INT’ Ê LUPINE  o meglio JÍ TRUVANNO CRISTO DINTO A LA PINA
ad litteram: Andar cercando Cristo fra i lupini  o meglio  Andar cercando Cristo  nella pigna. Id est: mettersi alla ricerca  di una cosa difficile da trovarsi  o da conseguirsi; cosa pretestuosa e probabilmente inutile, per cui, il piú delle volte,  non metterebbe conto il mettersene alla ricerca.
Come ò segnalato la prima locuzione è meno esatta della seconda  che risulta essere quella originaria, mentre la prima ne è solo una frettolosa corruzione; ed in effetti se si analizza la seconda locuzione (quella consigliata), si può intendere a pieno la valenza delle espressioni,  valenza che è difficile cogliere accettando la prima locuzione che fa riferimento  ad  incoferenti e pretestuosi lupini; quanto piú corretta la seconda, quella che   fa riferimento alla pigna in quanto i pinoli in essa contenuti presentano un ciuffetto di cinque peli comunemente détto: manina di Cristo e la locuzione richiama appunto  la ricerca di détta manina, operazione lunga e che non sempre si conclude positavamente: infatti  occorre innanzitutto procurarsi una pigna fresca, abbrustolirla al fuoco per poi spaccarla ed estrarne  i contenitori dei pinoli, da cui trar fuori i suddetti ed alla fine andare alla ricerca della manina e cioè per metinomia,di Cristo; spesso càpita però che i contenitori siano vuoti di pinoli e dunque tutta la fatica fatta vada sprecata e si riveli inutile. Qualche altro scrittore di cose napoletane  nel vano tentativo di fare accogliere la prima locuzione, fa riferimento ad una non meglio annotata o rammentata  leggenda  che vede stranamente la Vergine Maria  non esser misericordiosa con la pianta di lupini; nelle mie ricerche tale leggenda è risultata pressocché sconosciuta, mentre non v’è  anziano popolano che non sia a conoscenza della manina di Cristo.
2.JÍ TRUVANNO CHI LL’ACCIDE  nell’espressione: VA TRUVANNO CHI LL’ACCIDE
Ad  litteram: andare in cerca di chi l’uccida nell’espressione va in cerca di chi l’uccida
espressione usata  per commentare le antipatiche  azioni del provocatore, di chi stuzzichi il prossimo fino a destare, anche se figuratamente, nei meno pazienti, istinti omicidi.
3.JÍ TRUVANNO GUAJE CU ‘A LANTERNELLA
Ad  litteram: andare in cerca di guai  con un lanternino detto di chi  per suo puro masochismo   e non per sopraggiunte casualità, si vada cacciando di proposito  nei guai, quasi andandone  alla ricerca con una lanterna per meglio trovarli.
4.JÍ PE FFICHE E TRUVÀ CETRÓLE
Ad  litteram: andare in cerca di fichi e trovare cetrioli. Locuzione di portata  simile a quella ricordata alibi: (jí p’ajuto e truvà sgarrupo) cioè andare in cerca di qualcosa di buono ed imbattersi nel contrario  atteso che  il cetriolo pure essendo un ortaggio buono ed edibile, non è certo saporito e gustoso come un fico.Di analogo significato e portata  è la locuzione molto becera, ma molto icastica: (jí pe ‘nu culo truvà ‘nu cazzo) con la quale si adombra l’incresciosa situazione di chi vada in cerca di una persona da sodomizzare e si imbatta in una che lo sodomizzi.
5. JÍ Ô BBATTESEMO SENZA ‘O CRIATURO
Ad litteram: recarsi al fonte battesimale senza il bambino (da battezzare)  locuzione usata  per bollare situazioni  macroscopicamenti carenti degli elementi essenziali alla loro esistenza, riferita spercialmente a tutti coloro che distratti per natura, o perché colpevolmente poco attenti  si accingono ad operazioni  destinate a fallire perché prive  del necessario sostrato  dimenticato per distrazione  o non conferito per disattenzione.
6.JÍ  A PPUORTECE PE ‘NA RAPESTA.
Ad litteram: recarsi  a Portici per (acquistare) una rapa. Id est: Agire sconsideratamente  impegnandosi   eccessivamente, affaticandosi  oltremodo per raggiungere un risultato modesto o meschino. Cosí si dice, a dileggio,  di chi  si comporta in maniera poco giudiziosa, assennata, attenta, accorta  o riflessiva sprecando energie e – nella fattispecie -   si recasse  al mercato ortofrutticolo all’ingrosso di  Portici, piccolo comune agricolo  nei pressi di Napoli, per acquistare una sola, insignificante rapa.
6 bis.JÍ  A PPUORTO P’ ‘A RAPESTA. Ad litteram: recarsi  al porto per  la rapa. L’espressione in esame è una corruzione della precedente, ma è di significato alquanto diverso; questa in esame è una locuzione usata a dileggio di chi si comporti  in maniera imprudente, scriteriata, dissennata mettendosi in situazioni pericolose, come  quella di frequentare la malfamata e perigliosa zona portuale, e  lo faccia  non per necessità o per lavoro, ma al solo scopo di dar soddisfazione alle proprie esigenze sessuali frequentando le prostitute stanziali del porto atte ad occuparsi della  ... rapesta del loro cliente. Infatti nella locuzione il s.vo rapesta [1 in primis rapa; 2 per traslato furbesco  membro maschile; 3per traslato offensivo  uomo inetto e dappoco;   la voce rapa è dal lat. rapa←rapu-m = rapa, mentre la voce napoletana rapesta è dal neutro  lat. rapistru-m attraverso il pl. rapistra poi inteso f.le e lètto rapistarapesta  con semplificazione di str→st come in fenesta da  fenestra(m) ]  qui rapesta è usato appunto nel senso traslato/furbesco.A margine rammento infatti che è da collegarsi alla rapa  l’agg.vo arrapato   che è il part. pass. usato anche come agg.vo dell’infinito arrapà (arrapare), v.bo tr.vo  di origine meridionale,pervenuto anche nel lessico italiano sia pure come voce volgare. è un denominale  del lat.  rapa, propr. neutro pl. di rapum 'rapa', poi considerato come f.le sg.in senso maliziosamente allusivo alla durezza dell’ortaggio] = eccitare sessualmente; piú spesso usato come intr. o intr. pron. (arrapà, arraparse, fà arrapà), eccitarsi sessualmente; quantunque sia piú comunemente usata al maschile (arrapato= eccitato ) nulla vieta che la voce sia coniugata anche  al f.le (arrapata= eccitata) quantunque l’eccitazione maschile  meglio si presti in pratica ad esser rappresentata dalla turgidità della rapa!



7.JÍ DINT’ A LL’OSSA.
Ad litteram: andare nelle ossa  detto di tutto ciò che risulti ampiamente giovevole, utile e proficuo che faccia quasi  assaporarne i benefici fin dentro le ossa; la locuzione però non attiene esclusivamente al piano fisico , potendosi usare anche o spesso  con riferimenti morali.
8. JÍ ‘NFREVA
Ad litteram: andare in febbre  id est: adontarsi, lasciarsi cogliere da moti di rabbia innanzi a situazioni ritenute cosí ingiuste o prevaricanti  da destare agitazione, foriera di febbre.
9.JÍ METTENNO ‘A FUNE ‘E NOTTE
Ad litteram: Andar mettendo la fune di notte.  Locuzione che si usava pronunciare risentitamente,  in forma negativa ( nun vaco mettenno ‘a fune ‘e notte) (non vado tendendo la fune di notte)oppure sotto forma di domande retoriche:ma che ghiesse mettenno fune ‘e notte?(forse che vado tendendo funi di notte?),oppure ma che te cride ca vaco mettenno fune ‘e notte? (pensi forse ch’io vada tendendo funi di notte?) per protestare la propria onestà, davanti ad eccessive richieste  di carattere economico; a mo’ d’esempio  quando un figlio chiede troppo al proprio genitore, costui  nel negargli il richiesto usa  a mo’ di spiegazione la locuzione in epigrafe, volendo significare:  essendo una persona  onesta e non un masnadiero abituato a rapinare i viandanti tendendo una fune traverso la strada, per farli inciampare e crollare al suolo, non ò i mezzi economici che occorrerebbero per aderire alle tue esose  richieste; perciò règolati e mòderale !
10.JÍ TRUVANNO OVA ‘E LUPO E PIETTENE ‘E QUINNECE.
Ad litteram: andare in cerca di uova di lupo e pettini da quindici (denti) id est: impegnarsi in ricerche assurde , faticose ma vane come sarebbe l’andare alla ricerca di uova di lupo  che è un animale viviparo  o cercare pettini di quindici denti, laddove tradizionalmente i pettini da cardatura non ne contavano mai piú di  tredici.
11.JÍ TRUVANNO SCESCÉ
Espressione intraducibile ad litteram  con la quale si identifica  chi, in ogni occasioni cerchi cavilli, pretesti, adducendo scuse  per non operare come dovrebbe o  facendo le viste di non comprendere,  per esimersi; talvolta  chi si comporta come nella locuzione in epigrafe lo fa allo scopo dichiarato di litigare, pensando di trovare nel litigio il proprio tornaconto. La parola scescé è un chiara corruzione del francese chercher (cercare), ma non ci sono certezze circa il suo primo utilizzo nel senso indicato. Si può però tranquillamente ipotizzare che durante la dominazione murattiana, se non durante  quella angioina, un milite francese  si fermasse a chiedere una informazione ad un popolano dicendogli forse: “Je cherche (io cerco) oppure usasse una frase analoga  contenente l’infinito: chercher”
Il popolano che con ogni probabilità  non conosceva la lingua francese  fraintese lo chercher, che gli giunse all’orecchio come scescè e pensando che questo scescé fosse qualcosa o qualcuno di cui il milite andava alla ricerca, comunicò agli astanti che il milite jeva truvanno scescé (andava alla ricerca di un non meglio identificato scescé).
12.LL’URDEMU LAMPIONE ‘E FOREROTTA.
ad litteram:l’ ultimo lampione di Fuorigrotta  id est: essere l’ultimo, inutile, insignificante individuo di un cossesso quale esso sia. La locuzione  si riferisce al fatto che un tempo a Napoli i lampioni  dell’illuminazione stradale erano numerati  ed accesi a sera progressivamente secondo la loro numerazione cardinale. l’ultimo di  essi lampioni contrassegnato con il num. 6666 era ubicato nella periferica zona occidentale  della città  nel quartiere detto di Fuorigrotta  ed era l’ultimo ad essere acceso , quando già le prime luci del giorno  ne  sminuivano l’utilità;alla luce di quanto detto  si comprende che  è solo un  divertente, ma incoferente  esercizio mentale considerare che con la quadruplice sequenza del num. 6  che nella smorfia indica tra l’altro lo sciocco, il lampione  contrassegnato 6666  possa indicare un gran babbeo.
13.LL’OMMO ‘NCOPP’Â SALÈRA
Ad litteram: l’uomo sulla saliera. Cosí con l’espressione in epigrafe a Napoli si è soliti prendersi giuoco  di uomini che siano piccoli e non fisicamente prestanti, assimilati  a quella statuina posta  come impugnatura  alla sommità dei coperchi delle saliere di terracotta, statuina che  riproduceva le sembianze di un tal Tom Pouce nanetto inglese che  intorno al 1860 si esibí a Napoli in uno spettacolo di circo equestre.
14.LLOCO TE VOGLIO, ZUOPPO, A ‘STA SAGLIUTA
Ad litteram: Lí ti voglio (vedere), zoppo, innanzi a questa salita (vediamo cosa saprai fare...). Locuzione che ricorda quasi il dantesco: Qui si parrà la tua nobilitate e che viene usata  nei confronti  di tutti i saccenti, supponenti millantatori  che certamente crolleranno innanzi alle prime autentiche difficoltà, quando  non saranno sufficienti per raggiungere un risultato  le parole di cui i millantatori sono ricchi e vacui dispensatori, ma occorreranno invece i fatti  che i soliti millantatori sono incapaci di produrre.
15.LEVAMMO ‘ACCASIONE
Ad litteram: Togliamo l’occasione  id est: facciamo in modo da non lasciare ad altri il destro di inopportuni interventi, rinunciamo magari a qualche piccolo vantaggio pur di non favorire  la maldestra  commistione di terzi, in faccende  che non dovrebbero riguardarli.
16. LEVAMMO ‘A TAVERNA ‘A NANTE A CCARNEVALE.
Ad litteram: Togliamo la taverna  di davanti a Carnevale. Icastica locuzione di valenza simile alla precedente, ma con un piú marcato riferimento ad eventuali ipotetici eccessi  alimentari  che si potrebbero produrre se non si procedesse ad eliminare eventuali occasioni  scatenanti detti eccessi. Un tempo la locuzione in epigrafe era usata ad esempio in tutte le case  dove, preparata una buona torta, si correva il rischio che i bambini  ne mangiassero continuatamente fino, forse ad incorrere in fastidiose indigestioni; in tali occasioni  un adulto, provvedendo a metter la torta fuori della portata dei  ragazzi , si esprimeva con la locuzione in epigrafe, usata in occasioni analoghe quando occorresse sottrarre qualcosa ad un utilizzo sfrenato ed incontrollato.
17. LEVÀTE ‘O BBRITO.
Ad litteram: Togliete il vetro  id est: Raccogliete, mettete via, lavate e riponete i bicchieri usati in quanto la giornata è finita e la mescita chiude.Secco comando che gli osti solevano dare ai garzoni nell’approssimarsi dell’ora di chiusura dell’osteria, affinché raccogliessero e  lavassero i bicchieri usati dagli avventori, che - a quel comando dato dall’oste ai garzoni - capivano che dovevano abbandonare il locale; per traslato oggi la locuzione è usata ogni qualvolta si voglia fare intendere  che si approssima la fine d’una qualunque operazione intrapresa e quindi occorre affrettarsi.
18.LEVÀ ‘A FRASCA ‘A MIEZO
Ad litteram: togliere la frasca di mezzo; id est: cessare definitivamente un’ attività, togliersi di mezzo, sbaraccare; la locuzione richiama  ciò che facevano gli antichi osti - con mescita  specialmente in strade di campagna - i quali al momento della cessazione  anche solo stagionale della propria attività solevano staccare  dall’architrave della porta dell’osteria il telaio ligneo ricoperto di frasche che vi avevano apposto all’inizio della stagione per segnalare che in quella osteria era giunto il vino nuovo. A Napoli vi fu una strada un tempo periferica che proprio per la presenza di numerose osterie  che inalberavano le frasche (segno che in quelle mescite si vedeva o serviva accanto al vino stagionato, anche vino nuovo) fu detta  ‘a ‘Nfrascata; attualmente la strada  è intitolata al poeta pittore Salvator Rosa ((Napoli, 21 o 22 luglio 1615 – † Roma15 dicembre 1673)
19. LILLO, LÉLLA Ô PERE ‘E SANT’ ANNA.
Ad litteram: Lillo, Lélla  al piede di sant’Anna.id est: prostrati ai piedi di Sant’Anna. Cosí con l’espressione in epigrafe vengono indicate tutte le coppie di coniugi    anziani  in ispecie quelli che si recano  insieme a quotidiane funzioni religiose  o anche quelle coppie di anziani  che non ricevono mai visite di parenti od amici  e si devono contentare della reciproca compagnia; la locuzione rammenta una coppia di attempati coniugi  realmente esistiti e dimoranti in quella strada detta ‘a ‘nfrascata, coniugi che non  si volevano rassegnare alla mancanza di figli e solevano recarsi in una cappella privata  della zona a prostarsi davanti all’effige di sant’Anna per impetrare la grazia di un erede, ma restarono ugualmente soli.
L’espressione in epigrafe nacque in origine come Lillo, Lélla e ‘o  pere ‘e sant’ Anna con riferimento ad un’abitudine invalsa nel popolino di recarsi a venerare una presunta reliquia di Sant’ANNA (un piede!) conservato nella cappella della propria abitazione napoletana  dal conte Giovan Battista di Tocco di Montemiletto[esponente d’una nobile  famiglia feudale, insignita dell'ordine del Toson d'oro cheprese nome appunto dalla signoria di Tocco (da Casauria) da essa posseduta. Fiorì a Napoli, a Venezia, a Benevento, ecc. Si estinse nel ramo primogenito dei principi di Montemiletto (1613), e continuò nel ramo dei T. già despoti dei Romeni da quando Leonardo di T. fu inviato (1357) a conquistare la Romania, l'Epiro, l'Acaia da Filippo principe di Taranto, e ritornati nel 1517 in Italia sfuggendo all'occupazione di Maometto II abitazione ubicata appunto alla confluenza piú alta della strada detta ‘a ‘nfrascata; tale nobiluomo fu discendente del capostipite Guglielmo di Tocco che s’ebbe il titolo di conte di Montemiletto (Av) al tempo degli Angioini sotto Carlo III Durazzo. L’incredibile reliquia (oggetto della venerazione di creduli fedeli) era esposta dal conte  in occasione della ricorrenza di sant’Anna (26 luglio) sull’altarino della propria  cappella privata,ma nell’occasione della festa aperta ai visitatori; la reliquia era  conservata in una preziosa teca di cristallo tempestata di gemme preziose, ma (a mio avviso)  probabilmente si trattava – come è lecito supporre! -  solo di un reperto artistico ligneo e/o di cartapesta che in quell’epoca (fine ‘500 principio ‘600) di smaccata  credulità popolare era stata accreditata come una  autentica reliquia; questo piede di sant’Anna faceva il paio con altra presunta reliquia (il bastone di san Giuseppe) protagonista d’un’altra espressione che suona
20. SFRUCULIÀ 'A MAZZARELLA 'E SAN GIUSEPPE
Ad litteram: sbreccare il bastoncino  di san Giuseppe id est: annoiare, infastidire, tediare qualcuno molestandolo  con continuità asfissiante.
La locuzione  si riferisce ad un'espressione che la leggenda vuole affiorasse, a mo' di avvertimento,  sulle labbra di un servitore veneto posto a guardia  di un bastone ligneo ceduto da alcuni lestofanti al credulone cantante lirico  Nicola Grimaldi (Napoli 1673 -  † ivi 1732). Debuttò all'età di dodici anni e divenne in seguito uno dei piú celebri cantanti evirati, prima con voce di soprano, poi con voce di contralto.), come appartenuto al santo padre putativo di Gesù. Il settecentesco celeberrimo cantante il 1° agosto del 1713 rientrò a Napoli da Venezia - dove aveva trionfato a “La Fenice” - convinto di recare con sé l’autentico bastone (la mazzarella) al quale San Giuseppe si era sostenuto nell’accompagnare la Madonna alla Grotta di Betlemme e che (stando almeno a quanto fa intendere Annibale Ruccello) si favoleggiava fosse efficace strumento per scacciare il Maligno dal corpo degli indemoniati. Espose dunque,  in una nicchia ricavata nel salotto del suo palazzo (palazzo Cuomo) alla Riviera di Chiaia, il bastone e vi pose a guardia un suo servitore veneto con il compito di rammentare ai visitatori di non sottrarre, a mo' di sacre reliquie, minuti pezzetti (frecule) della verga, insomma di non sfregolarla o sfruculià. Come si intende il verbo a margine è dunque un denominale che partendo dal s.vo latino frecula (pezzettino) addizionata in posizione protetica di una esse (distrattiva) è approdato a sfruculià/sfreculià passando attraverso una s (intensiva)+ il lat. volg. *friculiare=sfregare dolcemente, ma insistentemente fino a sbreccare in tutto o in parte l’oggetto dello sfregamento; chiaro ed intuitivo il traslato semantico da sfregare/sbreccare e l’infastidire.
  Normalmente, a mo' di ammonimento,  la locuzione è usata come imperativo preceduta da un corposo NON.
Torniamo alla locuzione di partenza  per la quale si può ipotizzare  che  - correttamente! -  l’originario Lillo, Lélla e ‘o pere ‘e sant’ Anna (Lillo, Lélla e il piede di  sant’ Anna) sia stato trasformato in Lillo, Lélla ô pere ‘e sant’ Anna. (Lillo, Lélla al piede di sant’ Anna id est: Lillo, Lélla(prostrati) ai piedi di sant’Anna) quando ci si rese conto che il piede oggetto di venerazione non era una reliquia del corpo di sant’Anna, ma solo un pregevole (?) manufatto.



21. LEVARSE ‘A MIEZ’Ê BBOTTE
Ad litteram: togliersi di mezzo ai, sottrarsi al pericolo dei fuochi artificiali. Id est:  Defilarsi, sottrarsi ai rischi e/o pericoli e farlo vilmente  magari in  danno altrui. Da notare che con la voce bbotte nell’espressione in esame si intendono i fuochi d’artificio e  non si intendono le percosse,(come improvvidamente ritiene qualcuno dei sedicenti addetti ai lavori del napoletano, ma colpevolmente a digiuno dell’autentica parlata napoletana nella quale ‘e bbotte non sono le percosse,ma i fuochi artificiali; è nell’italiano, non nel napoletano!,  che le botte son sinonimo di percosse, e l’espressione in esame è napoletana non italiana e quindi  chi opera la confusione tra le botte italiane e ‘e bbotte napoletane (che al sg. bòtta  vale colpo,scoppio di fuoco artificiale o di arma da fuoco e per ampiamento semantico anche schianto, dolore improvviso, colpo apoplettico, ma non percossa!) è un asino calzato e vestito e non si può arrogare il diritto di sedere tra gli addetti ai lavori del napoletano!
22. SI SCAMPA ‘A CHESTI BBOTTE MASTU FRANCISCO NUN GHIESCE CCHIÚ ‘E NOTTE
Ad litteram: Se esce (uscirà) indenne da questi colpi, mastro Francesco non esce (uscirà) piú di notte. Occorre far tesoro dell’esperienza e ripromettersi di non incorrere nei medesimi errori. Un tal non meglio identificato mastro Francesco aveva preso la pessima abitudine di recarsi a defecare nottetempo lungo il muro di cinta della casa d’ un suo vicino, fabbricante di fuochi artificiali; costui una notte per dissuaderlo lo accolse con una salva di fragorosi e pericolosi colpi di fuoco d’artificio ed  il mastro Francesco si ripropose di tenere altro comportamente per non incappare in altre disavventure.
Brak

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