venerdì 6 ottobre 2017

VARIE 17/1009



 1.FÀ  CACÀ LL’UVA, LL’ACENO I ‘O STREPPONE.
Ad litteram: far defecare il grappolo d’uva, gli acini(vinacciuoli) ed il raspo relativi.Locuzione, spesso usata sotto forma di minaccia: te faccio cacà ll’uva, ll’aceno e ‘o streppone (ti faccio defecare la pigna d’uva, i singoli acini(vinacciuoli) ed il raspo) con la quale si significa  l’azione violenta di chi costringa    o intenda costringere un ladro o anche solo un profittatore  a restituire tutto il mal tolto, e cioè   pretenda di farsi restituire, sia pure sotto forma di feci, non solo la pigna d’uva che gli sia stata sottratta, ma addirittura i singoli acini  e persino ad abundantiam il vuoto raspo che non viene mangiato, ma che si intende far restituire da digerito.La minaccia estensivamente poi viene usata nei confronti di chiunque (adulti e/o bambini) siano messi in condizione di dover esser severamente puniti per eventuali malefatte trascorse.
cacà= cacare, defecare  voce verbale infinito derivata dal lat. cacare= andar di corpo;
uva = uva, il frutto della vite, costituito da un grappolo composto di acini: dal lat. uva(m) nell’espressione in epigrafe  vale grappolo di uva   che a Napoli più spesso è detto pigna d’uva per la forma a cono rovesciato  vagamente simile al  frutto conico delle conifere, costituito da squame legnose che nascondono i semi (pinoli);
aceno= acino, chicco dell’uva o di frutta similare  dal latino acinu(m); in napoletano con il termine a margine non si intende però solo il vero e proprio acino/chicco d’uva, ma anche il vinacciuolo e cioè  ciascuno dei semi che si trovano in un acino d'uva; il  fiocine che molti, mangiando un grappolo d’uva, evitano di ingoiare e sputano via, per cui sarebbe poi difficilissimo renderlo digerito, atteso che non viene mangiato ; la medesima cosa avviene anche con lo
streppone= raspo, grappolo di uva privo dei chicchi, gambo, fusto di fiori recisi; la voce etimologicamente è dal lat. stirpe(m) attraverso un accrescitivo *sterpone(m) con metatesi e raddoppiamente espressivo della p→pp.
2. JÍ TRUVANNO CRISTO ‘INT’ Ê LUPINE  o meglio JÍ TRUVANNO CRISTO DINTO A LA PINA
ad litteram: Andar cercando Cristo fra i lupini  o meglio  Andar cercando Cristo  nella pigna. Id est: mettersi alla ricerca  di una cosa difficile da trovarsi  o da conseguirsi; cosa pretestuosa e probabilmente inutile, per cui, il piú delle volte,  non metterebbe conto il mettersene alla ricerca.
Come ò segnalato la prima locuzione è meno esatta della seconda  che risulta essere quella originaria, mentre la prima ne è solo una frettolosa corruzione; ed in effetti se si analizza la seconda locuzione (quella consigliata), si può intendere a pieno la valenza delle espressioni,  valenza che è difficile cogliere accettando la prima locuzione che fa riferimento  ad  incoferenti e pretestuosi lupini; quanto piú corretta la seconda, quella che   fa riferimento alla pigna in quanto i pinoli in essa contenuti presentano un ciuffetto di cinque peli comunemente détto: manina di Cristo e la locuzione richiama appunto  la ricerca di détta manina, operazione lunga e che non sempre si conclude positavamente: infatti  occorre innanzitutto procurarsi una pigna fresca, abbrustolirla al fuoco per poi spaccarla ed estrarne  i contenitori dei pinoli, da cui trar fuori i suddetti ed alla fine andare alla ricerca della manina e cioè per metinomia,di Cristo; spesso càpita però che i contenitori siano vuoti di pinoli e dunque tutta la fatica fatta vada sprecata e si riveli inutile. Qualche altro scrittore di cose napoletane  nel vano tentativo di fare accogliere la prima locuzione, fa riferimento ad una non meglio annotata o rammentata  leggenda  che vede stranamente la Vergine Maria  non esser misericordiosa con la pianta di lupini; nelle mie ricerche tale leggenda è risultata pressocché sconosciuta, mentre non v’è  anziano popolano che non sia a conoscenza della manina di Cristo.
3.JÍ TRUVANNO CHI LL’ACCIDE  nell’espressione: VA TRUVANNO CHI LL’ACCIDE
Ad  litteram: andare in cerca di chi l’uccida nell’espressione va in cerca di chi l’uccida
espressione usata  per commentare le antipatiche  azioni del provocatore, di chi stuzzichi il prossimo fino a destare, anche se figuratamente, nei meno pazienti, istinti omicidi.
4.JÍ TRUVANNO GUAJE CU ‘A LANTERNELLA
Ad  litteram: andare in cerca di guai  con un lanternino;  detto di chi  per suo puro masochismo   e non per sopraggiunte casualità, si vada cacciando di proposito  nei guai, quasi andandone  alla ricerca con una lanterna per meglio trovarli.
5.JÍ PE FFICHE E TRUVÀ CETRÓLE
Ad  litteram: andare in cerca di fichi e trovare cetrioli. Locuzione di portata  simile a quella ricordata alibi: (jí p’ajuto e truvà sgarrupo) cioè andare in cerca di qualcosa di buono ed imbattersi nel contrario  atteso che  il cetriolo pure essendo un ortaggio buono ed edibile, non è certo saporito e gustoso come un fico. Con significato furbesco: andare in cerca di vulve ed imbattersi in péni.
Di analogo significato e portata  è la locuzione molto becera, ma molto icastica: (JÍ PE ‘NU CULO TRUVÀ ‘NU CAZZO) con la quale si adombra l’incresciosa situazione di chi vada in cerca di una persona da sodomizzare e si imbatta in una che lo sodomizzi.
6. JÍ Ô BBATTESEMO SENZA ‘O CRIATURO
Ad litteram: recarsi al fonte battesimale senza il bambino (da battezzare)  locuzione usata  per bollare situazioni  macroscopicamenti carenti degli elementi essenziali alla loro esistenza, riferita spercialmente a tutti coloro che distratti per natura, o perché colpevolmente poco attenti  si accingono ad operazioni  destinate a fallire perché prive  del necessario sostrato  dimenticato per distrazione  o non conferito per disattenzione.
7.JÍ  A PPUORTECE PE ‘NA RAPESTA.
Ad litteram: recarsi  a Portici per (acquistare) una rapa. Id est: Agire sconsideratamente  impegnandosi   eccessivamente, affaticandosi  oltremodo per raggiungere un risultato modesto o meschino. Cosí si dice, a dileggio,  di chi  si comporta in maniera poco giudiziosa, assennata, attenta, accorta  o riflessiva sprecando energie e – nella fattispecie -   si recasse  al mercato ortofrutticolo all’ingrosso di  Portici, piccolo comune agricolo  nei pressi di Napoli, per acquistare una sola, insignificante rapa.
7 bis.JÍ  A PPUORTO P’ ‘A RAPESTA. Ad litteram: recarsi  al porto per  la rapa. L’espressione in esame è una corruzione della precedente, ma è di significato alquanto diverso; questa in esame è una locuzione usata a dileggio di chi si comporti  in maniera imprudente, scriteriata, dissennata mettendosi in situazioni pericolose, come  quella di frequentare la malfamata e perigliosa zona portuale, e  lo faccia  non per necessità o per lavoro, ma al solo scopo di dar soddisfazione alle proprie esigenze sessuali frequentando le prostitute stanziali del porto atte ad occuparsi della  ... rapesta del loro cliente. Infatti nella locuzione il s.vo rapesta [1 in primis rapa; 2 per traslato furbesco  membro maschile; 3per traslato offensivo  uomo inetto e dappoco;   la voce rapa è dal lat. rapa←rapu-m = rapa, mentre la voce napoletana rapesta è dal neutro  lat. rapistru-m attraverso il pl. rapistra poi inteso f.le e lètto rapista→ rapesta  con semplificazione di str→st come in fenesta da  fenestra(m) ]  qui rapesta è usato appunto nel senso traslato/furbesco.A margine rammento infatti che è da collegarsi alla rapa  l’agg.vo arrapato   che è il part. pass. usato anche come agg.vo dell’infinito arrapà (arrapare), v.bo tr.vo  di origine meridionale,pervenuto anche nel lessico italiano sia pure come voce volgare. è un denominale  del lat.  rapa, propr. neutro pl. di rapum 'rapa', poi considerato come f.le sg.in senso maliziosamente allusivo alla durezza dell’ortaggio] = eccitare sessualmente; piú spesso usato come intr. o intr. pron. (arrapà, arraparse, fà arrapà), eccitarsi sessualmente; quantunque sia piú comunemente usata al maschile (arrapato= eccitato ) nulla vieta che la voce sia coniugata anche  al f.le (arrapata= eccitata) quantunque l’eccitazione maschile  meglio si presti in pratica ad esser rappresentata dalla turgidità della rapa!



8.JÍ DINT’ A LL’OSSA.
Ad litteram: andare nelle ossa  detto di tutto ciò che risulti ampiamente giovevole, utile e proficuo che faccia quasi  assaporarne i benefici fin dentro le ossa; la locuzione però non attiene esclusivamente al piano fisico , potendosi usare anche o spesso  con riferimenti morali.
9. JÍ ‘NFREVA
Ad litteram: andare in febbre  id est: adontarsi, lasciarsi cogliere da moti di rabbia innanzi a situazioni ritenute cosí ingiuste o prevaricanti  da destare agitazione, foriera di febbre.
10.JÍ METTENNO ‘A FUNE ‘E NOTTE
Ad litteram: Andar mettendo la fune di notte.  Locuzione che si usava pronunciare risentitamente,  in forma negativa ( nun vaco mettenno ‘a fune ‘e notte) (non vado tendendo la fune di notte)oppure sotto forma di domande retoriche:ma che ghiesse mettenno fune ‘e notte?(forse che vado tendendo funi di notte?),oppure ma che te cride ca vaco mettenno fune ‘e notte? (pensi forse ch’io vada tendendo funi di notte?) per protestare la propria onestà, davanti ad eccessive richieste  di carattere economico; a mo’ d’esempio  quando un figlio chiede troppo al proprio genitore, costui  nel negargli il richiesto usa  a mo’ di spiegazione la locuzione in epigrafe, volendo significare:  essendo una persona  onesta e non un masnadiero abituato a rapinare i viandanti tendendo una fune traverso la strada, per farli inciampare e crollare al suolo, non ò i mezzi economici che occorrerebbero per aderire alle tue esose  richieste; perciò règolati e mòderale !
11.JÍ TRUVANNO OVA ‘E LUPO E PIETTENE ‘E QUINNECE.
Ad litteram: andare in cerca di uova di lupo e pettini da quindici (denti) id est: impegnarsi in ricerche assurde , faticose ma vane come sarebbe l’andare alla ricerca di uova di lupo  che è un animale viviparo  o cercare pettini di quindici denti, laddove tradizionalmente i pettini da cardatura non ne contavano mai piú di  tredici.
12.JÍ TRUVANNO SCESCÉ
Espressione intraducibile ad litteram  con la quale si identifica  chi, in ogni occasioni cerchi cavilli, pretesti, adducendo scuse  per non operare come dovrebbe o  facendo le viste di non comprendere,  per esimersi; talvolta  chi si comporta come nella locuzione in epigrafe lo fa allo scopo dichiarato di litigare, pensando di trovare nel litigio il proprio tornaconto. La parola scescé è un chiara corruzione del francese chercher (cercare), ma non ci sono certezze circa il suo primo utilizzo nel senso indicato. Si può però tranquillamente ipotizzare che durante la dominazione murattiana, se non durante  quella angioina, un milite francese  si fermasse a chiedere una informazione ad un popolano dicendogli forse: “Je cherche (io cerco) oppure usasse una frase analoga  contenente l’infinito: chercher”
Il popolano che con ogni probabilità  non conosceva la lingua francese  fraintese lo chercher, che gli giunse all’orecchio come scescè e pensando che questo scescé fosse qualcosa o qualcuno di cui il milite andava alla ricerca, comunicò agli astanti che il milite jeva truvanno scescé (andava alla ricerca di un non meglio identificato scescé).
13.ESSERE LL’URDEMU LAMPIONE ‘E FOREROTTA.
ad litteram: essere l’ ultimo lampione di Fuorigrotta  id est: essere l’ultimo, inutile, insignificante individuo di un cossesso quale esso sia. La locuzione  si riferisce al fatto che un tempo a Napoli i lampioni  dell’illuminazione stradale erano numerati  ed accesi a sera progressivamente secondo la loro numerazione cardinale. l’ultimo di  essi lampioni contrassegnato con il num. 6666 era ubicato nella periferica zona occidentale  della città  nel quartiere detto di Fuorigrotta  ed era l’ultimo ad essere acceso , quando già le prime luci del giorno  ne  sminuivano l’utilità;alla luce di quanto detto  si comprende che  è solo un  divertente, ma incoferente  esercizio mentale considerare che con la quadruplice sequenza del num. 6  che nella smorfia indica tra l’altro lo sciocco, il lampione  contrassegnato 6666  possa indicare un gran babbeo.
14.LL’OMMO ‘NCOPP’Â SALÈRA
Ad litteram: l’uomo sulla saliera. Cosí con l’espressione in epigrafe a Napoli si è soliti prendersi giuoco  di uomini che siano piccoli e non fisicamente prestanti, assimilati  a quella statuina posta  come impugnatura  alla sommità dei coperchi delle saliere di terracotta, statuina che  riproduceva le sembianze di un tal Tom Pouce(nome d’arte di Charles S. Stratton, nanetto inglese [che si esibiva nel circo dell’impresario Barnum Phineas Taylor(Bethel, Connecticut, 1810 - † Bridgeport, Connecticut, 1891)] ,pagliaccio inglese, venuto a Napoli sul finire del 1860,ad esibirsi in un circo equestre;costui  fu uomo molto piccolo e ridicolo  e per questo fu preso a modello dagli artigiani napoletani che lo raffigurarono a tutto tondo come maniglia del coperchio delle stoviglie in terracotta di uso quotidiano.
15.LLOCO TE VOGLIO, ZUOPPO, A ‘STA SAGLIUTA
Ad litteram: Lí ti voglio (vedere), zoppo, innanzi a questa salita (vediamo cosa saprai fare...). Locuzione che ricorda quasi il dantesco: Qui si parrà la tua nobilitate e che viene usata  nei confronti  di tutti i saccenti, supponenti millantatori  che certamente crolleranno innanzi alle prime autentiche difficoltà, quando  non saranno sufficienti per raggiungere un risultato  le parole di cui i millantatori sono ricchi e vacui dispensatori, ma occorreranno invece i fatti  che i soliti millantatori sono incapaci di produrre.
16.LEVAMMO ‘ACCASIONE
Ad litteram: Togliamo l’occasione  id est: facciamo in modo da non lasciare ad altri il destro di inopportuni interventi, rinunciamo magari a qualche piccolo vantaggio pur di non favorire  la maldestra  commistione di terzi, in faccende  che non dovrebbero riguardarli.
17. LEVAMMO ‘A TAVERNA ‘A NANTE A CCARNEVALE.
Ad litteram: Togliamo la taverna  di davanti a Carnevale. Icastica locuzione di valenza simile alla precedente, ma con un piú marcato riferimento ad eventuali ipotetici eccessi  alimentari  che si potrebbero produrre se non si procedesse ad eliminare eventuali occasioni  scatenanti detti eccessi. Un tempo la locuzione in epigrafe era usata ad esempio in tutte le case  dove, preparata una buona torta, si correva il rischio che i bambini  ne mangiassero continuatamente fino, forse ad incorrere in fastidiose indigestioni; in tali occasioni  un adulto, provvedendo a metter la torta fuori della portata dei  ragazzi , si esprimeva con la locuzione in epigrafe, usata in occasioni analoghe quando occorresse sottrarre qualcosa ad un utilizzo sfrenato ed incontrollato.
18. LEVÀTE ‘O BBRITO.
Ad litteram: Togliete il vetro  id est: Raccogliete, mettete via, lavate e riponete i bicchieri usati in quanto la giornata è finita e la mescita chiude.Secco comando che gli osti solevano dare ai garzoni nell’approssimarsi dell’ora di chiusura dell’osteria, affinché raccogliessero e  lavassero i bicchieri usati dagli avventori, che - a quel comando dato dall’oste ai garzoni - capivano che dovevano abbandonare il locale; per traslato oggi la locuzione è usata ogni qualvolta si voglia fare intendere  che si approssima la fine d’una qualunque operazione intrapresa e quindi occorre affrettarsi.
Brak

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