sabato 9 marzo 2019

STRANGULAPRIEVETE CU CREMA ‘E RICOTTA SALATA E CREMA ‘E RUCOLA


STRANGULAPRIEVETE CU CREMA  ‘E RICOTTA SALATA E CREMA  ‘E RUCOLA
Ingredienti e dosi per 6 persone


9 etti di Strangulaprievete freschi,
8 etti di  pummarulelle d’ ‘o piennolo vesuviano,
250 g Ricotta ovina salata,
2 spicchi d'Aglio
1 cucchiaio d'Origano secco
1 bicchiere d'Olio d’oliva e.v. p.s. a f.,
1 Peperoncino piccante lavat, asciugato, privato di picciolo e corona ed aperto, ma non separato longitudinalmente,
1 etto di pecorino grattugiato,
Sale grosso un pugno
Sale fino e pepe nero q. s.
per la crema di rucola
Ingredienti e dosi per 6 persone:
12 fascetti di rucola piccante,
1 bicchiere e mezzo di olio d’oliva e.v.p. s. a f.,
il succo di un limone non trattato,
1 etto di gherigli di noci,
½ etto di pinoli tostati,
2 spicchi d’aglio mondati e tritati,
sale fino e pepe nero q.s.

procedimento
 Si comincia approntando la crema di rucola mondando e lavando  la rucola e tagliandone via  i gambi troppo lunghi e meno teneri.
Una volta asciugata metterla in un mixer con lame da umido , con sale, pepe, 1 bicchiere olio d’oliva e.v.p. s. a f.,,  un cucchiaio di aglio tritato  ed il succo di un limone, frullare ed  aggiungere a seguire i gherigli di noci ed   i pinoli che, a nostro piacimento, avremo tostato piú o meno leggermente in una padella con un filino d’olio.
Si otterrà cosí una salsina della quale potremo regolare la densità a seconda dell’olio d’oliva che aggiungeremo. A seguire lavare i  pomidorini, tagliarli in quattro ed eventualmente eliminare i semi interni. Far rosolare i due agli in camicia, schiacciati in un gran tegame con il peperoncino, eliminarli ed aggiungere tutti i pomidoro. Regolare di sale fino e proseguire la cottura a pentola coperta per circa 20 minuti, mescolando di tanto in tanto. A fine cottura aromatizzare con l'origano.
Nel frattempo far lessare gli strangulaprievete in abbondante acqua salata; grattugiare la ricotta salata, metterla nella zuppiera e scioglierla con un mestolino dell'acqua di cottura degli strangulaprievete. Prelevare con una schiumarola gli strangulaprievete appena affiorano in superfice, versarli nella zuppiera con la ricotta , condire il tutto con il sugo con i pomodorini; aggiungere la crema di rucola,  mescolare,amalgamare ed impiattare serverdo immediatamente, cospargendo di pecorino e pepe nero.

- NOTA
 1)Non si sa bene a quale regione attribuire la nascita di questa ricetta; se la contendono Basilicata, Campania e Calabria In realtà questi piccoli gnocchi di farina di grano duro e acqua bollente, sale sono molto semplici, e son molto popolari in tutta l'Italia del Sud e vengono addirittura conditi a volte in modo spartano, solo con olio, aglio e peperoncino soffritti. In Basilicata e Calabria spesso usano preparli con la rucola e/o le olive, in Puglia  con le cime di rapa. In Campania gli strangulaprievete vengono spesso conditi con il mitico ragú, o con il cosiddetto sugo finto (salsa di pomidoro senza carne) e cubetti di mozzarella o provola di bufala; la ricetta a margine quantunque forse d’origine lucane,  non può comunque essere attribuita ad un’unica regione; nelle cucine regionali meridionali c’è una continua osmosi e/o contaminazione, ma i risultati son sempre ottimi!
2) Con il sostantivo strangulapriévete, nell’idioma napoletano, si designano degli gnocchi semplici, fatti in casa con acqua, farina e sale. È vero che sia nell’uso quotidiano che in certa letteratura deteriore ò trovato pure — per indicare la medesima pasta — il termine strangulamuónece, ma si tratta chiaramente di un vocabolo pretestuoso, teso a prendersi gioco dei monaci, oltre che dei sacerdoti richiamati a torto nel primo lemma. Nella storia della parola, in realtà, il clero non c’entra affatto, se non per una gustosa omofonia che vi risuona o, se si vuole prendere per buona una notizia suggestiva del fantasioso Nicola   Vottiero(1780 ca) , il quale riferisce che strangulapriévete chiamavano nel Settecento gli gnocchi i monaci e strangulamuónece a rimbrotto i preti.
Disdicevole è peraltro che, partendo da strangulapriévete, l’italiano mediatico abbia tratto fuori uno ‘strozzapreti’ da far venire i brividi all’ascolto o sobbalzar dalla poltrona. Vuoi vedere che  aumme aumme e tenendomene all’oscuro son  tornati tra di noi i lanzichenecchi?! È ben vero che tra gli studiosi dell’ idioma napoletano non è mancato, non so se per distrazione o per un eccesso di laicismo malinteso, chi accredita una semantica da serracollo, come per esempio fanno il D’Ascoli e il Santella, ma mi sto ancora chiedendo chi sia stato il primitivo ignorante che, non conoscendo l’etimologia della prima parte del termine strangula-priévete, à creduto di fare cosa intelligente (lasciandosi fuorviare dallo strangula d’avvio sostituendolo con ‘strozza’, (dal verbo strozzare, sinonimo in toscano di ‘strangolare’) e dimostrando, invece, d’essere un asino integrale.
Cerchiamo d’esser seri. Il termine strangulapriévete, unico originale vocabolo che  possa arrogarsi il diritto di significare gli gnocchi napoletani, viene da secoli lontani e nasce dalla lingua greca, tanto da far sospettare che tale preparazione sia d’origine se non greca, certamente delle zone della Magna Grecia Dall’impasto di acqua, farina e sale si ricavano, arrotolandoli sul tagliere cosparso di farina asciutta, dei bastoncelli a sezione cilindrica, spessi un centimetro, che vengono tagliati in piccoli cilindretti di un paio di centimetri ognuno. I cilindretti vengon poi incavati, facendoli strusciare sul tagliere e tenendoli premuti contro il medesimo col polpastrello o dell’indice o del medio. Questa doppia operazione dell’arrotolamento e della incavatura ci fa comprendere perché il verbo greco straggalào, con i significati di arrotolare, attorcere, curvare, ed il verbo  prepto con quelli di comprimere, incavare, siano all’origine del termine napoletano strangulaprievete voce  con cui designiamo i nostri gnocchi napoletani. Rammento   che tali strangulaprievete greco-napoletani nella zona dell’avellinese prendono il nome di trille poi che l’operazione dell’incavatura è fatta contemporaneamente con i polpastrelli di tre dita: indice, medio ed anulare strusciando i cilindretti di pasta sul tagliere cosparso di farina, quel tagliere che in napoletano è détto laganaturo e nell’avellinese tumpagno.
Piú chiaramente dirò che per il tagliere, i napoletani usano  il generico termine di laganaturo (che deriva , come il sostantivo femminile lagana = sorta di larga fettuccina di pasta fresca ed estensivamente anche la intera sfoglia di pasta fresca da cui si ricavano le lagane o laganelle se piú strette, su cui è forgiato - con il concorso di un suffisso turo (atto a, per) - dal greco làganon ma che i napoletani utilizzarono attraverso un neutro latinizzato lagana inteso femminile; per verità con il termine laganaturo a Napoli  si indicò  ( ed ecco il motivo per cui l’ò detto: generico) alternativamente sia il tagliere, che il bastone cilindrico con cui si spiana la pasta per cavarne le lagane; tale bastone fu ed è quello che in toscano dovrebbe correttamente dirsi matterello (diminutivo di màttero che è da congiungersi al latino matéola= mazza, bastone), ma che qualcuno e segnatamente chi parla dalla televisione...,  si ostina a dire, impropriamente, con voce romanesca mattarello. Atteso dunque che sia il tagliere che il matterello sono  due strumenti utili alla produzione delle lagane, poco male che avessero il medesimo nome. Quanto al tagliere dell’avellinese dirò à il nome di tumpagno ed è, contrariamente al tagliere napoletano che è rettangolare,  di forma circolare, né piú, né meno cioè  che un fondo di botte che noi, figli di Partenope, usiamo dire appunto ‘o tumpagno (dal greco tympànion che sta giustappunto per chiusura).

Ma torniamo a gli strangulaprievete ed annotiamo che 
come ò chiarito i sacerdoti non c’entrano nulla e di conseguenza men che meno i monaci chiamati in causa da qualche buontempone che non aveva di meglio cui pensare... Quanto allo stravolgimento di strangulaprievete in strozzapreti non posso che ribadire l’ignoranza e l’imbecillità di chi à fatto un simile strazio, ed à  trovato sedicenti studiosi della lingua italiana pronti ad accoglierlo nei dizionarî in uso, diventati oramai il secchio della spazzatura in cui vien recepito di tutto, asinerie e capocchierie comprese. Si consideri la voce strangolapreti come appare in uno dei piú diffusi dizionarî: «Gnocchetto duro e compatto, che, essendo di difficile masticazione, rischia di far morire soffocati». Ben tre stupidaggini infilate in una sola frase e che rischiano di farci soffocare dal ridere. Una cosa di cui ci si può solo vergognare.
3) Le pummarulelle d’ ‘o piennolo d’ ‘o Vesuvio, ovvero i pomidorini del  pendolo del Vesuvio son quei pomidorini piccoli rossi e maturi coltivati nell’area vesuviana, donde il nome,  uniti in una sorta di resta formata intrecciando i flessuosi lunghi piccioli dei pomidorini  che sono sferici, pizzuti  e piccoli, rossi ben maturi, dolcissimi e sugosi. Questa resta viene preparata nei mesi estivi e conservata per essere usata anche nei mesi invernali, tenendola legata ai muri laterali di finestre o balconi delle cucine napoletane; i pomidorini vengono  prelevati volta a volta tirandoli via per strappo dalla resta.
p.s. qualora fosse impossibile procurarsi pomidorini del piennulo, è possibile sostituirli con pomidorini pachino, ma non è la stessa cosa!
4) Con il sostantivo f.le rucola ( che è un derivato di ruca  addizionato del suff. lat. diminutivo f.le ola (cfr.il m.le olus) si indica regionalmente quell’erba aromatica lievemente piccante che si mangia da sola o si  mescola con l'insalata cruda (fam. Crocifere) che in italiano prende il nome di ruchetta; sia rucola che rughetta, come visto, sono un derivato di ruca che a sua volta è dal lat. Lat. (e)ruca(m) 'bruco', poi 'ruchetta', perché la peluria che ricopre lo stelo dell’erba aromatica/insalatina,  ricorda il corpo villoso del bruco.
Vini:  secchi e profunati bianchi campani ( Solopaca, Capri, Ischia, Falanghina, Fiano, Greco di Tufo) freddi di frigo.
Mangia Napoli, bbona salute, scialàteve e facíteve ‘a scarpetta !
Raffaele Bracale

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