IL VERBO FÁ E LA SUA FRASEOLOGIA
Anche questa volta raccolgo una richiesta del mio caro amico
N.C.(i consueti problemi di riservatezza mi costringono ad indicare solo le
iniziali di nome e cognome) che,abituale lettore delle mie cosucce , mi à
sollecitato a parlare del verbo in epigrafe e delle sue accezioni e/o
fraseologia nel napoletano.
Comincerò con il precisare che il verbo fare il cui infinito nel
napoletano è fá/ffá che io contrariamente a tutti gli altri
cultori dell’idioma napoletano (che usano
la grafia apocopata fa’)
preferisco rendere con la Á
accentata (fá/ffá ) per alcuni ben precisi motivi: 1)uniformità
di scrittura degli infiniti che in napoletano (nelle forme troncate) siano essi monosillabi o plurisillabi son
tutti accentati sull’ultima sillaba (cfr. ad es.da(re)→dà – magna(re)→magnà
– cammena(re)→cammenà –cade(re)→cadé
- murire→murí- dicere→dí etc.), 2) la
grafia apocopata fa’ si presta, a mio
avviso,fuor del contesto ad esser
confusa con la 2ª p.sg. dell’imperativo: fa’=
fai, come si presterebbe alla medesima confusione l’infinito apocopato da’ di dare che potrebbe essere inteso, prescindendo dal contesto, come2ª
p.sg. dell’imperativo: da’= dai, , come
ancóra si presterebbe alla medesima confusione l’infinito apocopato di’ di dicere che potrebbe essere inteso, prescindendo dal contesto, come2ª
p.sg. dell’imperativo: di’= dici, A proposito di infiniti rammento che
durante le mie numerose letture sulla
parlata napoletana ed in genere sui dialetti centro meridionali, mi è capitato
spesso, di imbattermi in taluni autori
che, ritenendo di fare cosa esatta, usano il segno diacritico dell' apocope (')
in luogo dell' accento tonico e non si rendono conto che solo l'accento tonico può appunto
dare un tono alla parola,e può (solo!)
indicarne graficamente l'esatta
pronuncia; mi è capitato peraltro di imbattermi in altri maldestri autori ed
addirittura compilatori di lessici, che per tema di errore, abbondano in segni
diacritici e sbagliano parimenti, ma poi presuntuosamente da asini e supponenti, spocchiosi, tronfi, saccenti,quali
mostran d’ essere!..., osano accusare di ignoranza e faciloneria chi non si adegua al loro inesatto modo di
scrivere! In effetti nella grafia della parlata napoletana non v’à ragione (checché ne dica
ad es. A. Altamura) accentare l'ultima vocale di certi infiniti ed aggiungervi
anche un pleonastico apostrofo per indicare l'avvenuta apocope dell' ultima
sillaba:l'accento, inglobando la doppia funzione, è piú che sufficiente alla bisogna; il segno
dell'apostrofo in fin di parola si deve porre quando si voglia tagliare un
termine mantenendone però il primitivo
accento tonico.
Per esempio il verbo
èssere può essere apocopato in èsse' che non andrà letto essè, ma èsse, come
ancóra ad es. il verbo tégnere, può per particolari esigenze espressive o
metriche essere apocopato in tégne’, mantenendo però il suo accento tonico e
non diventando alla lettura: tegnè, mentre – sempre a mo’ d’esempio –
l’infinito del verbo cadere va reso con
la grafia cadé e non cade’ che si dovrebbe leggere càde’ e non
cadé!
Parimenti la medesima cosa accade nel dialetto romanesco
dove quasi tutti gli infiniti risultano
apocopati e senza spostamento d’accento tonico per cui graficamente sono resi
con il segno (‘) come ad es. càpita con il verbo vedere che in napoletano è
reso con vedé ed in romanesco vede’ (che va letto: véde e non vedé.)È
pur vero che, in napoletano, alcuni
infiniti di verbi che, apocopati, risultano divenuti monosillabici, potrebbero
esser scritti con il segno dell’apocope (‘) piuttosto che con l’accento in
quanto che nei monosillabi l’accento tonico cade su quell’unica sillaba e non
può cadere su altre (che non esistono) e perciò potremmo avere ad es.: per il
verbo stare l’ apocopato: sta’ in luogo di stà e per l’infinito di fare l’ apocopato: fa’ invece di fá, ma
personalmente reputo piú comodo come ò détto
per mantenere una sorta di analogia di scrittura con gli infiniti di
altri verbi mono o plurisillabici, accentare tutti gli infiniti apocopati ed
usare stà e fá in luogo dei pur corretti sta’ e fa’ che valgono stare e fare, tenendo conto altresí che almeno nel caso di fa’ esso potrebbe essere inteso, ripeto, come voce dell’imperativo (fai→fa’), piuttosto che dell’infinito fare, cosa che invece non può capitare
con il verbo stare il cui imperativo nel napoletano non è sta’,
ma statte. A questo punto torniamo
all’assunto dell’epigrafe per rammentare che in napoletano il verbo fare (fá/ffá ) che è dal lat. fa(ce)re à le medesime accezioni del corrispondente fare dell’italiano e cioè: 1 compiere un'azione; porre in essere,
eseguire, operare: fá ‘nu passo, ‘o
bbene, ‘nu discorzo,’nu suonno;che ffaje stasera?(fare un passo, il bene, un discorso, un
sogno; che fai stasera?) | tené
assaje che ffá(avere molto da fare),
essere occupatissimo | sapé fá uno ‘e
tutto(saper fare (di) tutto),
essere versato in ogni campo | fá e sfá a
ccapa soja( fare e disfare a suo
piacimento), agire secondo il proprio comodo, senza render conto a
nessuno | fa’ tu!(fai/fa’ tu!), decidi tu | avé a cche ffá cu quaccheduno(avere
a che fare con qualcuno), trattare, avere rapporti con lui, ma anche entrare in contrasto con
qualcuno | nun tené niente a cche ffá cu
coccosa(non avere nulla a che fare con
qualcosa), non entrarci, non avere relazione con essa | darse ‘a fa(darsi da fare), adoperarsi, brigare per ottenere qualcosa | lassà fá a quaccheduno(lasciar farequalcuno), non
disturbarlo, lasciarlo libero di agire | fá ‘e tutto o ll’impussibbile(fare di tutto o l'impossibile),
tentare ogni mezzo pur di raggiungere uno scopo | saperce fa(saperci fare),
(fam.) essere in gamba, sapere il fatto proprio | fá ampressa, tarde(fare presto,
tardi), agire con rapidità o con lentezza; anche, rientrare presto o
tardi, spec. la sera | fá ‘e cunto(far di conto), (antiq.)
conteggiare, computare secondo le regole dell'aritmetica | fá festa(fare festa),
festeggiare, divertirsi | fá ‘a festa(o ‘a pelle) a quaccuno(fare la
festa (o la pelle) a qualcuno, ucciderlo | fá
fora a quaccuno(far fuori qualcuno), eliminarlo da una competizione;
anche, ucciderlo; fá fora coccosa( fare fuori
qualcosa), consumarla, distruggerla rapidamente | fá ‘a bbella vita(fare la
bella vita), godersela, spassarsela | fá ‘na bbella, ‘na bbrutta
vita(fare una bella, una brutta vita), vivere in buone, in
cattive condizioni materiali o morali | fá
fijura (far figura), dare una buona impressione | fá
‘na bbella, ‘na bbrutta fijura(fare una bella, una brutta figura),
dare, lasciare una buona, una cattiva impressione | fá córpo(fare colpo),
colpire, impressionare |fá caso a coccosa(
fare caso a qualcosa), badarci | farse
‘e capille(farsi i capelli),
tagliarli | farse’a varva( farsi
la barba), raderla | fá fuoco( fare
fuoco), sparare | fa furtuna( fare
fortuna), crearsi una posizione | fa
‘e ccarte (fare le carte), al gioco, distribuirle; in cartomanzia,
ricavarne predizioni; nell'uso fam., preparare i documenti necessari al
disbrigo di una pratica, ma in questo caso s’usa l’espressione caccià ‘e ccarte | fá ‘o
juoco ‘e quaccheduno (fare il gioco di qualcuno), assecondarlo, favorirlo
| fá rotta o vela (far rotta o vela), dirigersi | fá scalo( fare scalo), sostare |
farla a quaccheduno(farla a qualcuno), giocarlo,
raggirarlo | farla sporca(farla sporca), commettere
un'azione spregevole | farla grossa (farla grossa), commettere uno
sproposito | farla corta, (farla
corta, breve), affrettare la conclusione | farla fernuta (farla
finita), tagliar corto, smettere; anche, uccidersi | farla franca (farla
franca), cavarsela, sottrarsi alle conseguenze di una colpa o di un errore
| farla longa (farla lunga), dilungarsi in un discorso, in una
discussione |fá a ppiezze (fare
a pezzi), rompere; spezzettare; sbranare; (fig.) battere
clamorosamente, umiliare | fá ‘a famma (fare
la fame), soffrirla; (fig.) essere in miseria | fá paura (fare paura), spaventare | fá curaggio(fare coraggio),
incoraggiare | fá piacere a uno (far
piaceri a qualcuno), render lieto, contento/favorirlo | fá
strata(fare strada), aprire un passaggio; precedere indicando il
cammino, la direzione | farsi strada, aprirsi un passaggio; (fig.)
raggiungere una buona posizione | farsela
‘ncuollo, sotto, dint’ê cazune(farsela
addosso, sotto, nei calzoni), imbrattarsi di feci o di
orina; (fig.) spaventarsi |farne
d’ògne culor, ‘e crude o ‘e cotte( farne di tutti i colori, di
crude e di cotte), commettere ogni sorta di bricconerie | fá specie (far specie), far
meraviglia | fá silenzio(fare
silenzio), tacere | fá tesoro ‘e
coccosa(fare tesoro di qualcosa),
tenerla in gran pregio/ trarne esperienza | fá
‘a vocca, ‘o callo a coccosa(fare la
bocca, il callo a qualcosa), abituarvisi | nun fá niente (non fare nulla), oziare | nun fa niente! (non
fa nulla!), non importa | nun
ffá nè ccaudo nè ffriddo (non fare né caldo né freddo), lasciare
indifferenti |fá fronte ê spese (fare
fronte alle spese), riuscire a pagarle | fá fronte ô nemico (far
fronte al nemico), resistergli | farcela(farcela)riuscire in
qualcosa: ce ll’aggiu fatta! (ce
l'ò fatta!) | prov. : chi fa ‘a sé fa pe ttre (chi fa da
sé fa per tre), è meglio fare da sé le proprie cose che affidarle ad altri;
chi ‘a fa ca se ll’aspettasse(chi la fa l'aspetti), chi nuoce
agli altri non può che aspettarsi il contraccambio; cosa fatta se ne vène a ccapo(cosa
fatta se ne viene a capo), bisogna accettare il fatto compiuto;
2 unito a particelle pronominali, spec. nell'uso familiare, assume valore enfatico, esprimendo una partecipazione affettiva del soggetto all'azione: farse ‘na magnata, ‘na bbella passïata(farsi una mangiata, una bella passeggiata); facimmoce ddoje resate!(facciamoci due risate!);me ne faccio ‘nu bbaffo( me ne fo un baffo), infischiarsene;
2 unito a particelle pronominali, spec. nell'uso familiare, assume valore enfatico, esprimendo una partecipazione affettiva del soggetto all'azione: farse ‘na magnata, ‘na bbella passïata(farsi una mangiata, una bella passeggiata); facimmoce ddoje resate!(facciamoci due risate!);me ne faccio ‘nu bbaffo( me ne fo un baffo), infischiarsene;
3 con valore causativo, mettere in condizione di,
permettere: fá fá ‘e primme passe ô
criaturo(far fare i primi passi al
bambino); fá vevere ê cavalle( far bere i cavalli);
4 creare, produrre, fabbricare: Ddio facette ‘o munno ‘a zzero(Dio fece il mondo dal nulla) 'fá figlie (fare figli), generarli | fá frutte( fare frutti), produrli | fá ‘nu libbro(fare un libro), scriverlo | fá ‘na casa( fare una casa), costruirla | fá ‘na menesta (fare una minestra), prepararla | fá ‘nu cuntratto (fare un contratto), stipularlo | fá luce( fare luce), rischiarare, illuminare; (fig.) svelare un mistero, scoprire la verità
5 dire, parlare (per lo piú introducendo il discorso diretto):me facette: «Viene cu mme!» (mi fece: «Vieni con me!»)
6 credere, pensare:te facevo a Pparigge e ‘mmece staje cca!( ti facevo a Parigi e invece sei qui! )
7 emettere, versare: fá sanco dô naso (fare sangue, sanguinare dal naso)
8 raccogliere, mettere insieme: fá legna,denaro,ccravone, acqua, benzina (fare legna,danaro, carbone, acqua, benzina), rifornirsene; chesta città fa trecientomila perzone(questa città fa trecentomila abitanti), ne conta trecentomila |fá acqua (fare acqua), detto di natante, imbarcarla da una falla; (fig.) essere in condizioni di dissesto, (volg.) mingere;
9 (fam.) comprare, regalare: ‘a mamma ll’à fatto ‘nu paro ‘e scarpe nove(la mamma gli à fatto un paio di scarpe nuove) | con la particella pronominale, comprare per sé, procurarsi: farse ‘a machina, ‘a casa(farsi l’automobile, la casa);
10 esercitare un'arte, una professione, un mestiere: fá ‘o pittore, ‘o salumiere(fare il pittore, il salumiere) | praticare: fá ‘o sporto,fá ‘e tuffe(fare sport, fare dei tuffi)
11 comportarsi da: fá ‘o spallettone, ‘o cretino(fare il superuomo, il cretino) | agire come: ll’à fatto ‘a mamma, da ‘nfermera( gli à fatto da mamma, da infermiera)
12 detto di cose, avere una determinata funzione: ‘e capille lle facevano curnice â faccia (i capelli le facevano da cornice intorno al viso); ‘na preta faceva ‘a scannetiello (una pietra faceva da sedile/sgabello)
13 rendere, mettere in una determinata condizione: fá bbella ‘a casa soja( far bella la propria casa)
14 eleggere, nominare: fove fatto generale(fu fatto generale)
15 dare come risultato (nelle operazioni aritmetiche): tre pe ttre fa nove; ddiece meno doje fa otto(tre per tre fa nove; dieci meno due fa otto)
16 (gerg.) rubare: se so’ ffatto ‘o muturino (si sono fatto il motorino)
17 farse n’ommo, ‘na femmena (farsi un uomo, una donna,) (volg.) averci un rapporto sessuale |||
4 creare, produrre, fabbricare: Ddio facette ‘o munno ‘a zzero(Dio fece il mondo dal nulla) 'fá figlie (fare figli), generarli | fá frutte( fare frutti), produrli | fá ‘nu libbro(fare un libro), scriverlo | fá ‘na casa( fare una casa), costruirla | fá ‘na menesta (fare una minestra), prepararla | fá ‘nu cuntratto (fare un contratto), stipularlo | fá luce( fare luce), rischiarare, illuminare; (fig.) svelare un mistero, scoprire la verità
5 dire, parlare (per lo piú introducendo il discorso diretto):me facette: «Viene cu mme!» (mi fece: «Vieni con me!»)
6 credere, pensare:te facevo a Pparigge e ‘mmece staje cca!( ti facevo a Parigi e invece sei qui! )
7 emettere, versare: fá sanco dô naso (fare sangue, sanguinare dal naso)
8 raccogliere, mettere insieme: fá legna,denaro,ccravone, acqua, benzina (fare legna,danaro, carbone, acqua, benzina), rifornirsene; chesta città fa trecientomila perzone(questa città fa trecentomila abitanti), ne conta trecentomila |fá acqua (fare acqua), detto di natante, imbarcarla da una falla; (fig.) essere in condizioni di dissesto, (volg.) mingere;
9 (fam.) comprare, regalare: ‘a mamma ll’à fatto ‘nu paro ‘e scarpe nove(la mamma gli à fatto un paio di scarpe nuove) | con la particella pronominale, comprare per sé, procurarsi: farse ‘a machina, ‘a casa(farsi l’automobile, la casa);
10 esercitare un'arte, una professione, un mestiere: fá ‘o pittore, ‘o salumiere(fare il pittore, il salumiere) | praticare: fá ‘o sporto,fá ‘e tuffe(fare sport, fare dei tuffi)
11 comportarsi da: fá ‘o spallettone, ‘o cretino(fare il superuomo, il cretino) | agire come: ll’à fatto ‘a mamma, da ‘nfermera( gli à fatto da mamma, da infermiera)
12 detto di cose, avere una determinata funzione: ‘e capille lle facevano curnice â faccia (i capelli le facevano da cornice intorno al viso); ‘na preta faceva ‘a scannetiello (una pietra faceva da sedile/sgabello)
13 rendere, mettere in una determinata condizione: fá bbella ‘a casa soja( far bella la propria casa)
14 eleggere, nominare: fove fatto generale(fu fatto generale)
15 dare come risultato (nelle operazioni aritmetiche): tre pe ttre fa nove; ddiece meno doje fa otto(tre per tre fa nove; dieci meno due fa otto)
16 (gerg.) rubare: se so’ ffatto ‘o muturino (si sono fatto il motorino)
17 farse n’ommo, ‘na femmena (farsi un uomo, una donna,) (volg.) averci un rapporto sessuale |||
Come v. intr. [aus.
avere]
1 convenire, adattarsi, essere utile: chella casa nun fa pe nnuje; ‘a fatica nun fa pe tte(quella casa non fa per noi; il lavoro non fa per te )
2 divenire, essere (con uso impers. quando è riferito alla temperatura, al clima, all'avvicendarsi del giorno e della notte):fa cavero; fa malu tiempo;( fa caldo; fa brutto tempo;) ‘e vierno fa scuro ambressa(d'inverno fa buio presto);
3 compiersi (di un determinato tempo):fa n’anno,fanno dduje anne ca ce sapimmo (fa un anno, fanno due anni da che ci conosciamo);
4 in altre locuzioni: fá a ccazzotte, a mmazzate, a curtellate(fare a pugni, a botte, a coltellate); fá a ttiempo o ‘ntiempo (fare a (o in) tempo), riuscire a fare qualcosa entro una scadenza prefissata; fá a mmeno ‘e coccosa(fare a meno di qualcosa), ||| farse/farese v. rifl. o intr. pron.
1 trasformarsi, diventare: farse ggiudio(farsi ebreo);farse russo russo ‘nfaccia( farsi rosso in viso); ‘stu cacciuttiello s’è ffatto gruosso!(questo cucciolo s'è fatto grosso!) | farse ‘nquatto(farsi in quattro, (fig.) moltiplicare i propri sforzi, il proprio impegno a favore di qualcuno o di qualcosa || Anche in costruzioni impersonali:s’è ffatto scuro; se sta facenno tarde( s'è fatto scuro; si sta facendo tardi);
2 (gerg.) drogarsi:farse ‘e cucaina (farsi di cocaina).
1 convenire, adattarsi, essere utile: chella casa nun fa pe nnuje; ‘a fatica nun fa pe tte(quella casa non fa per noi; il lavoro non fa per te )
2 divenire, essere (con uso impers. quando è riferito alla temperatura, al clima, all'avvicendarsi del giorno e della notte):fa cavero; fa malu tiempo;( fa caldo; fa brutto tempo;) ‘e vierno fa scuro ambressa(d'inverno fa buio presto);
3 compiersi (di un determinato tempo):fa n’anno,fanno dduje anne ca ce sapimmo (fa un anno, fanno due anni da che ci conosciamo);
4 in altre locuzioni: fá a ccazzotte, a mmazzate, a curtellate(fare a pugni, a botte, a coltellate); fá a ttiempo o ‘ntiempo (fare a (o in) tempo), riuscire a fare qualcosa entro una scadenza prefissata; fá a mmeno ‘e coccosa(fare a meno di qualcosa), ||| farse/farese v. rifl. o intr. pron.
1 trasformarsi, diventare: farse ggiudio(farsi ebreo);farse russo russo ‘nfaccia( farsi rosso in viso); ‘stu cacciuttiello s’è ffatto gruosso!(questo cucciolo s'è fatto grosso!) | farse ‘nquatto(farsi in quattro, (fig.) moltiplicare i propri sforzi, il proprio impegno a favore di qualcuno o di qualcosa || Anche in costruzioni impersonali:s’è ffatto scuro; se sta facenno tarde( s'è fatto scuro; si sta facendo tardi);
2 (gerg.) drogarsi:farse ‘e cucaina (farsi di cocaina).
Giunti a questo punto passiamo all’elencazione ed
illustrazione della numerosa fraseologia costruita nel napoletano con il verbo
fare nelle numerose accezioni fino qui esaminate, cominciando però con
un’accezione di fare che è solo del napoletano e non trova riscontro
nell’italiano: considerare, giudicare che si ritrova nell’icastica espressione:
I’ TE FACCIO SCEMO,O
PAZZO (ti fo scemo,o pazzo) ti
considero sciocco oppure pazzo e ciò deriva dall’osservazione del tuo
comportamento o del tuo modo di proporti od agire in determinate circostanze
che richiederebbero, in una persona normale, reazioni o atteggiamenti ben
diversi da quelli da te tenuti che derivano con ogni probabilità ed
evidenza dalla tua scempiaggine o
follia, per cui ben posso giudicarti scemo o pazzo.
Continuiamo, senza ordine o sistematicità, con altre
espressioni:
FÁ CARNE 'E PUORCO...
Ad litteram: far carne di porco; id est:trarre il massimo del profitto, lucrare oltre il lecito o consentito, come chi si servisse della carne di maiale del quale, è noto, non si butta via nulla...
FÁ 'O PARO E 'O SPARO....
Ad litteram: fare a pari e dispari; id est:tentennare, non prendere decisioni, essere eternamente indecisi ed affidar tutto, per non assumer responsabilità, all'alea della sorte. |
|||
FÁ ‘E UNO TABBACCO P''A PIPPA.
Letteralmente: farne di uno tabacco per pipa. Id est ridurre a furia di percosse qualcuno talmente a mal partito al punto da trasformarlo, sia pure metaforicamente, in minutissimi pezzi quasi come il trinciato per pipa. |
|||
FÁ ASCÍ ‘E SSÒVERE
‘A CULO.
FÁ ASCÍ ‘E SSOVERE ‘A CULO.
Letteralmente: fare uscire le sorbe dal culo; id est:
percuotere qualcuno, torchiandolo fino allo spasimo, quasi strizzandolo fino
a che non dica o confessi ciò che sa o abbia fatto, costringendolo
iperbolicamente ad emettere le emorroidi (eufemisticamente dette sòvere che
sono in realtà i frutti del sorbo, dal lat.: sorbere→sobere→sòvere
in quanto frutti succosi e maturi, quasi da suggere);come le sorbe, frutto
piccolo e sferico, son ricche se mature di succhi, cosí le emorroidi (sacche
sferiche) son piú ricche, se irritate,
di sangue.
FÁ TREMMÀ ‘O STRUNZO ‘NCULO.
Ad litteram: far tremare lo stronzo nel culo; id est: incutere in qualcuno, attraverso gravi minacce, tanto timore o spavento da procurargli, iperbolicamente, un convulso tremore degli intestini e del loro contenuto prossimo ad essere espulso. FÁ ALIZZE E CRUCELLE. Ad litteram: fare sbadigli e crocette. Id est: consigliare di segnare con una crocetta la bocca mentre si sbadiglia. È risaputo che per norma di galateo, se si sbadiglia occorre coprirsi la bocca con la mano, ma tale norma viene di lontano allorché - come ricordato dall’espressione in esame - in caso di sbadiglio occorreva segnare ripetutamente la bocca con segni di croci usate a mo’ di protezione acciocché gli spiriti maligni non entrassero nella bocca spalancata; la faccenda è diventata poi una norma di galateo ma la sostanza protettiva o scaramantica del gesto è rimasta anche se ammantata di buona creanza. alizze = sbadigli; deverbale dal basso latino halare = sbadigliare crucelle = crocette; diminutivo attraverso il suffisso femm. plurale élle di cruce = croce da un acc. latino cruce(m) da crux – crucis.
FÁ CACÀ L’UVA, LL’ACENE E ‘O STREPPONE.
Ad litteram: far
defecare il grappolo d’uva, (i singoli) acini ed il raspo
relativi.Locuzione, spesso usata sotto forma di minaccia: te faccio cacà ll’uva, ll’aceno e ‘o
streppone (ti faccio defecare la
pigna d’uva, (i singoli) acini ed il raspo) con la quale si
significa l’azione violenta di chi
costringa o intenda costringere un
ladro o anche solo un profittatore a
restituire tutto il mal tolto, e cioè
pretenda di farsi restituire, sia pure sotto forma di feci, non solo
la pigna d’uva che gli sia stata sottratta, ma addirittura i singoli
acini e persino ad abundantiam il
vuoto raspo che non viene mangiato, ma che si intende far restituire da
digerito.La minaccia estensivamente poi viene usata nei confronti di chiunque
(adulti e/o bambini) siano messi in condizione di dover esser severamente
puniti per eventuali malefatte trascorse.
cacà= cacare, defecare voce
verbale infinito derivata dal lat. cacare=
andar di corpo;
uva = uva, il frutto della vite, costituito da un grappolo composto
di acini: dal lat. uva(m) nell’espressione
in epigrafe vale grappolo di uva che
a Napoli più spesso è detto pigna d’uva
per la forma a cono rovesciato
vagamente simile al frutto
conico delle conifere, costituito da squame legnose che nascondono i semi (pinoli);
acene pl. di aceno= acino, chicco dell’uva o di frutta similare dal latino acinu(m); in napoletano con il termine a margine non si intende
però solo il vero e proprio acino/chicco d’uva, ma anche talora anche il vinacciuolo e cioè ciascuno
dei semini che si trovano in un acino d'uva, semino che però piú
acconciamente è detto rallo←(g)rallo[dal lat.
granulu-m→granlu-m→grallu-m→grallo]; il
fiocine che molti, mangiando un grappolo d’uva, evitano di ingoiare e
sputano via, per cui sarebbe poi difficilissimo renderlo digerito, atteso che
non viene mangiato; rammento che talora questo rallo è impropriamente sostuito con il s.vo arillo che di per sé
[con derivazione dal lat. *(il)la-m
grillu-m →l’agrillu-m→ l’a(g)rillu-m→l’arillo e semplificazione
gr→(g)r→r] indica il grillo e ciò
forse avviene per confusione atteso che il termine arillo pare quasi un
diminutivo di rallo la medesima cosa, cioé il fatto che non venga mangiato, avviene anche con lo
streppone= raspo, grappolo di uva privo dei chicchi, gambo, fusto di fiori
recisi; la voce etimologicamente è un derivato metatetico del lat.
stirpe(m) attraverso un accrescitivo *sterpone(m)→streppone con
metatesi e raddoppiamente espressivo della p→pp.
VA’ FÁ LL’OSSE Ô PONTE
Letteralmente: vai a
racimolare le ossa al ponte. Id est: mandare qualcuno a quel
paese.Infatti la locuzione suona pure: mannà ô ponte, con il medesimo
significato.
Un tempo a Napoli
presso il ponte della Maddalena, già ponte Licciardo esisteva un macello
dove il popolo si recava
ad acquistare le carni delle bestie
macellate. I meno abbienti si
accontentavano di prelevare gratis et amore Dei le ossa usate per preparar
economici brodi, per cui spingere qualcuno a fare le ossa al ponte
significa augurargli grande miseria.
La medesima accezione vale per la
locuzione MANNÀ Ô PONTE (mandare
al ponte); tenendo presente che questa seconda locuzione la si usa
nei confronti di uomini attempati e un po’ rovinati dagli acciacchi e dall’età
ecco che essa locuzione à una valenza un po’ piú amara giacché la si rivolge
a chi - probabilmente - non à la
capacità di ripigliarsi ed è costretto a subire fino in fondo gli strali dell’avversa fortuna.
VA' A
FFÁ 'NCULO! ma meglio
VALLO A PIGLIÀ 'NCULO!
Superfluo tradurre questi conosciutissimi modi di rendere
l'italiano: va' a quel paese!La variante è sí piú becera, ma quanto piú
corposa, esplicita e dura, atteso che colui cui è rivolta la locuzione
è invitato a tenere nell'ipotetico rapporto
sodomitico la posizione soccombente,
non quella attiva prevista dalla prima locuzione; ambedue però, come quella
del num. precedente, si rivolgono ad un importuno, fastidioso soggetto,
invitato qui a dedicare il suo tempo ad altre attività che non quella di
infastidirci.
Rammento che nel fiorito
linguaggio espressivo popolare talora la prima espressione in esame, (nello
sciocco intento di evitar di pronunciare la parola culo ingiustamente intesa
volgare o becera) viene imbarocchita in VA’ A FFÁ DINTO A ‘NA CHIEJA ‘E MAZZO che ad litteram è: vai a fare (coire) in una piega di sedere dove con il termine
piega di sedere si intende il solco anatomico di separazione delle natiche
solco che icasticamente rappresenta una piegatura di quelle. Nel pronunciare
tuttavia quest’ultima espressione accade che in luogo di pronunciare il
termine culo becero e volgare se ne pronuncia uno analogo: mazzo di talché
per ovviare a tutto ciò qualcuno trasforma eufemisticamente l’espressione in
un’altra di analogo significato, ma
che suona VA’ A FFÁ DINTO A ‘NA CHIEJA ‘E VESTA! che ad litteram è: vai a fare (coire) in una piega di veste e
con essa espressione si dà luogo ad
una precisazione utilissima , con cui si
chiarisce che la piega di
sedere da prendere in considerazione è esattamente una piega femminile, cosa
che si evince dal fatto che la veste è un indumento femminile!
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