LOCUZIONI VARIE(10.3.20)
1.QUANNO 'E MULINARE
FANNO A PPONIE, STRIGNE 'E SACCHE.
Ad litteram: quando litigano gli addetti al mulino,
conviene stringere le bocche dei sacchi. Id est: non conviene lasciarsi
coinvolgere nelle altrui lotte, altrimenti si finisce per rimetterci del
proprio.
2.MEGLIO
MAGNÀ POCO E SPISSO CA FÀ UNU MUORZO.
Ad litteram: meglio mangiar poco e spesso che consumar
tutto in un solo boccone. Contrariamente a quel che si possa pensare, il
proverbio non è una norma statuita da qualche scuola medica che consigli di
alimentarsi parcamente senza dar fondo alle vettovaglie; è invece un consiglio
epicureo che spinge a piluccare, per estendere al massimo - nel tempo -il
piacere della tavola, piuttosto che esaurirlo in pochissimo spazio di tempo.
3.TRE
SONGO 'E CCOSE CA STRUDENO 'NA CASA: ZEPPOLE, PANE CAUDO E MACCARUNE.
Ad litteram:Tre sono le cose che mandano alla rovina una
casa: focaccine dolci, pane caldo, maccheroni. Da sempre a Napoli, le spase per
l'alimentazione hanno costituito un grosso problema; il proverbio in epigrafe
elenca quali furono una volta gli alimenti molto cari, che producevano grossi
problemi alle vuote tasche dei napoletani; essi alimenti erano: le focaccine
dolci, molto appetite dai golosi, il pane caldo cioè fresco che veniva
consumato in quantità maggiore di quello raffermo, ed i famosi maccheroni che
all'epoca costavano molto piú della
verdura; oggi tutto costa di piú , per cui è difficile fare un elenco delle
cose che posson mandare in malora l'economia di una casa.
4.ADDÓ
HÊ FATTO 'O PUMPIERE? DINTO Â VASCA D''E CAPITUNE?!
Ad litteram: dove hai imparato a fare il pompiere? Nella
tinozza dei capitoni?!La frase è usata quando ci si voglia prender giuoco di
qualcuno che si atteggia a baldanzoso esperto di qualcosa di cui in realtà non
ha esperienza, come di un pompiere che, in luogo delle manichette o pompe
idrovore abbia avuto rapporti con la sola acqua contenuta nelle tinozze dove
vengono messi le anguille o i piú grossi
capitoni.
5.'A
VIPERA CA MUZZECAJE A CCHELLA MURETTE 'E TUOSSECO.
Ad litteram: la vipera che morsicò quella donna, perì di
veleno; per significare che persino la vipera che è solita avvelenare con i
suoi morsi le persone, dovette cedere e soccombere davanti alla cattiveria e
alla perversione di una donna molto piú
pericolosa di essa vipera.
6.E
SSEMPE CARULINA, E SSEMPE CARULINA...
Ad litteram Sempre Carolina... sempre Carolina Id est: a
consumare sempre la stessa pietanza, ci si stufa. La frase in epigrafe veniva
pronunciata dal re Ferdinando I Borbone Napoli quando volesse giustificarsi
delle frequenti scappatelle fatte a tutto danno di sua moglie Maria Carolina
d'Austria, che - però, si dice - lo ripagava con la medesima moneta; per
traslato la locuzione è usata a mo' di giustificazione, in tutte le occasioni
in cui qualcuno abbia svicolato dalla consueta strada o condotta di vita, per
evidente scocciatura di far sempre le medesime cose.
7.TRE
CCOSE STANNO MALE A 'STU MUNNO: N'AUCIELLO 'MMANO A 'NU PICCERILLO, 'NU FIASCO
'MMANO A 'NU TERISCO, 'NA ZITA 'MMANO A 'NU VIECCHIO.
Ad litteram: tre cose sono sbagliate nel mondo: un uccello
nelle mani di un bambino, un fiasco in mano ad un tedesco e una giovane donna
in mano ad un vecchio; in effetti l'esperienza dimostra che i bambini sono, sia
pure involontariamente, crudeli e finirebbero per ammazzare l'uccellino che gli
fosse stato affidato,il tedesco, notoriamente crapulone, finirebbe per
ubriacarsi ed il vecchio, per definizione lussurioso, finirebbe per nuocere ad
una giovane donna che egli possedesse.
8.UOVO
'E N'ORA, PANE 'E 'NU JUORNO, VINO 'E N'ANNO E GUAGLIONA 'E VINT'ANNE.
Ad litteram: uovo di un'ora, pane di un giorno, vino di un
anno, e ragazza di vent'anni. Questa è la ricetta di una vita sana e
contenutamente epicurea. Ad essa non devono mancare uova freschissime, pane
riposato per lo meno un giorno, quando pur mantenendo la sua fragranza ha avuto
tempo di rilasciare tutta l'umidità dovuta alla cottura, vino giovane che è il
piú dolce e il meno alcoolico, ed una
ragazza ancora nel fior degli anni,capace di concedere tutte le sue grazie
ancora intatte.
9.A CHI PIACE LU SPITO, NUN PIACE LA SPATA.
Ad litteram: a chi piace lo spiedo, non piace la spada. Id
est: chi ama le riunioni conviviali(adombrate - nel proverbio - dal termine
"spito" cioè spiedo), tenute intorno ad un desco imbandito, è di
spirito ed indole pacifici, per cui rifugge dalla guerra (la spata cioè spada
del proverbio).
10.ADDÓ
NUN MIETTE LL'ACO, NCE MIETTE 'A CAPA.
Ad litteram: dove non metti l'ago, ci metterai il capo.Id
est: occorre porre subito riparo anche ai piccoli danni, ché - se lasciati a se
stessi - possono ingigantirsi al punto di dare gran nocumento; come un piccolo
buco su di un abito, se non riparato in fretta può diventare così grande da lasciar
passare il capo, così un qualsiasi piccolo e fugace danno va riparato subito,
prima che ingrandendosi, non produca effetti irreparabili.
11.ZITTO
CHI SAPE 'O JUOCO!
Ad litteram: zitto chi conosce il giuoco! Id est: faccia
silenzio chi è a conoscenza del trucco o dell'imbroglio. Con la frase in
epigrafe olim si solevano raccomandare ai monelli spettatori dei loro giochi, i
prestigitatori di strada, affinché non rivelassero il trucco compromettendo la
buona riuscita del giuoco da cui dipendeva una piú o meno congrua raccolta di moneta.
12.VUO' CAMPÀ LIBBERO E BBIATO: MEGLIO SULO CA
MALE ACCUMPAGNATO.
Ad litteram: vuoi vivere libero e beato: meglio solo che
male accompagnato Il proverbio in epigrafe, in fondo traduce l'adagio latino:
beata solitudo, oh sola beatitudo.
13.QUANNO 'NA FEMMENA S'ACCONCIA 'O QUARTO 'E
COPPA, VO' AFFITTÀ CHILLO 'E SOTTO.
Ad litteram: quando una donna cura eccessivamente il suo
aspetto esteriore, magari esponendo le grazie di cui è portatrice, lo fa nella
speranza di trovar partito sotto forma o di marito o di uno che soddisfi le sue
voglie sessuali.
14.QUANNO
QUACCHE AMICO TE VENE A TTRUVÀ, QUACCHE CCAZZO LLE VENE A MMANCÀ.
Ad litteram: quando qualche amico ti viene a visitare,
qualcosa gli manca (e la vuole da te)Id est: non bisogna mai attendersi gesti
di liberalità o affetto; anche quelli che reputiamo amici, sono - in fondo -
degli sfruttatori, che ti frequentano solo per carpirti qualcosa.
15.LL'UOCCHIE
SO' FFATTE PE GGUARDÀ, MA 'E MMANE PE TTUCCÀ.
Ad litteram: gli occhi sono fatti per guardare, ma le mani
(son fatte) per toccare. Con questo proverbio, a Napoli, sogliono difendere
(quasi a mo' di giustificazione) il proprio operato, quelli che - giovani o
vecchi che siano - sogliono azzardare palpeggiamenti delle rotondità femminili.
16.ZAPPA
'E FEMMENA E SURCO 'E VACCA, MALA CHELLA TERRA CA L'ANCAPPA.
Ad litteram:Povera quella terra che sopporta una zappatura
operata da una donna ed un solco prodotto dal lavoro di una mucca(invece che di
un bue).Proverbio marcatamente maschilista, nato in ambito contadino, nel quale
è adombrata la convinzione che il lavoro femmineo, non produce buoni frutti e
sia anzi deleterio per la terra.
17.'AMICE
E VINO ÀNNO 'A ESSERE VIECCHIE!
Ad litteram: gli amici ed il vino (per essere buoni) devono
essere di antica data.
18.'A
MEGLIA VITA È CCHELLA D''E VACCARE PECCHÉ, TUTTA 'A JURNATA, MANEJANO ZIZZE E DDENARE.
Ad litteram: la vita migliore è quella degli allevatori di
bovini perché trascorrono l'intera giornata palpando mammelle (per la mungitura
delle vacche)e contando il denaro (guadagnato con la vendita dei prodotti
caseari); per traslato: la vita migliore è quella che si trascorre tra donne e
danaro.
19.'O
TURCO FATTO CRESTIANO, VO' 'MPALÀ TUTTE CHILLE CA GHIASTEMMANO.
Ad litteram: il turco diventato cristiano vuole impalare
tutti i bestemmiatori. Id est: I neofiti sono spesso troppo zelanti e perciò
pericolosissimi.
20.'O
PATATERNO ADDÓ VEDE 'A CULATA, LLA SPANNE 'O SOLE
Ad litteram: il Padreterno dove vede un bucato sciorinato, lì
invia il sole. Id est: la bontà e la provvidenza del Cielo sono sempre presenti
là dove occorre.
21.'O
GALANTOMMO APPEZZENTÚTO, ADDEVIVENTA 'NU CHIAVECO.
Ad litteram: il galantumo che va in miseria, diventa un
essere spregevole. In effetti la disincantata osservazione della realtà
dimostra che chi perde onori e gloria, diventa il peggior degli uomini giacché
si lascia vincere dall'astio e dal livore verso coloro che il suo precedente
status gli consentiva di tenere sottomessi e che nella nuova situazione possono
permettersi di alzare la testa e contrattare alla pari con lui.
22.'E
VRUOCCOLE SO' BBUONE DINT’Ô LIETTO.
Letteralmente: i broccoli sono buoni nel letto. Per
intendere il significato del proverbio bisogna rammentare che a Napoli con la parola
vruoccole si intendono sia la tipica verdura che per secoli i napoletani
mangiarono,tanto da esser ricordati come "mangiafoglie", sia le
moine, le carezze che gli innamorati son soliti scambiarsi specie
nell'intimità; il proverbio sembra ripudiare ormai la verdura per apprezzare
solo i vezzi degli innamorati.
23.STATTE
BBUONO Ê SANTE: È ZZUMPATA 'A VACCA 'NCUOLLO Ô
VOJO!
Letteralmente: buonanotte!la vacca ha montato il bue. Id
est: Accidenti: il mondo sta andando alla rovescia e non v'è rimedio: ci
troviamo davanti a situazioni così contrarie alla norma che è impossibile
raddrizzare.
24.QUANNO
'O VINO È DDOCE, SE FA CCHIÚ FORTE ACÌTO.
Letteralmente: quando il vino è dolce si muta in un aceto
piú forte, piú aspro.Id est: quando una persona è d'indole
buona e remissiva e paziente, nel momento che dovesse inalberarsi, diventerebbe
così cattiva, dura ed impaziente da produrre su i terzi effetti devastanti.
25.'O
FATTO D''E QUATTE SURDE.
Letteralmente: il racconto dei quattro sordi. Il raccontino
che qui di seguito si narra, adombra il dramma della incomunicabilità e la
locuzione in epigrafe viene pronunciata a Napoli a sapido commento in una
situazione nella quale non ci si riesca a capire alla stregua di quei quattro
sordi che viaggiatori del medesimo treno, giunti ad una stazione, così
dialogarono: Il primo: Scusate simmo arrivate a Napule? (Scusate, siamo giunti
a Napoli?) Il secondo: Nonzignore, cca è Napule!(Nossignore, qua è Napoli!) Il
terzo: I' me penzavo ca stevamo a Napule (Io credevo che stessimo a Napoli). Il
quarto concluse: Maje pe cumanno, quanno stammo a Napule, m'avvisate? (Per
cortesia, quando saremo a Napoli, mi terrete informato?).
26.A
'NU CETRANGOLO SPREMMUTO, CHIAVECE 'NU CAUCIO 'A COPPA .
Schiaccia con una pedata una melarancia premuta.Id est: il
danno e la beffa; la locuzione cattivissima nel suo enunciato, consiglia di
calpestare un frutto già spremuto; ossia bisogna vilipendere e ridurre a mal
partito chi sia già vilipeso e sfruttato, per modo che costui non abbia né la
forza, nè il tempo di risollevarsi e riprendersi.Il tristo consiglio è dato nel
convincimento che se si lascia ad uno sfruttato la maniera o l'occasione di
riprendersi, costui si vendicherà in maniera violenta e allora sarà impossibile
contrastarlo; per cui conviene infeierire e non dar quartiere, addirittura
ponendoselo sotto i tacchi come un frutto spremuto ed inutile ormai.
27.AMMORE,
TOSSE E RROGNA NUN SE PONNO ANNASCONNERE.
Amore, tosse e scabbia non si posson celare; le
manifestazioni di queste tre situazioni sono così eclatanti che nessuno può
nasconderle; per quanto ci si ingegni in senso opposto amore, tosse e scabbia
saranno sempre palesi; la locuzione è usata sempre che si voglia alludere a
situazioni non celabili.
28.'MPARATE
A PPARLÀ, NO A FFATICÀ.
Letteralmente: impara a parlare, non a lavorare. Amaro, ma
ammiccante proverbio napoletano dal quale è facile comprendere la disistima
tenuta dai napoletani per tutti coloro che non si guadagnano da vivere con un
serio e duro lavoro, ma fondono la propria esistenza sul fumo dell'eloquio,
ritenuto però estremamente utile al conseguimento di mezzi di sussistenza,
molto piú dell'onesto e duro lavoro
(FATICA)in fondo la vita è dei furbi di quelli capaci di riempirti la testa di
vuote chiacchiere e di non lavorare mai vivendo ugualmente benissimo.
29.CHI
TROPPO S''O SPARAGNA, VENE 'A 'ATTA E SSE LU MAGNA.
Letteralmente: chi troppo risparmia,viene la gatta e lo
mangia. Il proverbio- che nella traduzione toscana assume l'aspetto di un
anacoluto sta a significare che non conviene eccedere nel risparmiare, perché
spesso ciò che è stato risparmiato viene dilapidato da un terzo profittatore
che disperde o consuma tutto il messo da parte.
30.'A
SOTTO P''E CHIANCARELLE.
Letteralmente: attenti ai panconcelli! Esclamazione usata a
sapido commento di una narrazione di fatti paurosi o misteriosi un po' piú colorita del toscano: accidenti!Essa
esclamazione richiama l'avviso rivolto dagli operai che demoliscono un
fabbricato affinché i passanti stiano attenti alle accidentali cadute di
panconcelli(chiancarelle)le sottili assi trasversali di legno di castagno, assi
che poste di traverso sulle travi portanti facevano olim da supporto ai solai e
alle pavimentazione delle stanze.Al proposito a Napoli è noto l'aneddoto
relativo al nobile cavaliere settecentesco Ferdinando Sanfelice che fattosi
erigere un palazzo nella zona detta della Sanità, vi appose un'epigrafe
dittante: eques Ferdinandus Sanfelicius fecit(il cav. Ferdinando Sanfelice
edificò) ed un bello spirito partenopeo per irridere il Sanfelice paventando il
crollo dello stabile, aggiunse a lettere cubitali Levàteve 'a sotto (toglietevi
di sotto! ).
31.A
'STU NUNNO SULO 'O CANTERO È NNICESSARIO.
Letteralmente: la sola cosa necessaria a questo mondo è il
pitale. Id est: niente e - soprattutto - nessuno sono veramente necessarii alla
buona riuascita dell'esistenza la sola cosa che conta è nutrirsi bene e
digerire meglio. In effetti con la parola cantero - oggetto destinato ad
accogliere gli esiti fisiologici - si vuole proprio adombrare la buona salute
indicata da una buona digestione, che intanto avviene se si è avuta la
possibilità di nutrirsi. Si tenga presente che la parola cantero non à l'esatto
corrispettivo in italiano essendo il pitale(con la quale parola si è reso in
italiano) destinato ad accogliere gli esiti prettamente liquidi, mentre il
cantaro era destinato ad accogliere quelli solidi.
32.CA TU
FAJE N’IRRE E N’ORRE, CCA FATICA NUN NE CORRE.
Ad litteram: che tu fai un irre-orre, qui lavoro non ne corre.
Id est per quanto tu ti affanni, barcamenandoti nel tentativo di chiarire il
tuo pensiero e i tuoi desiderata,per pervenire ad un risultato concreto in
termini di lavoro, è tempo sprecato: qui lavoro non ce n’è! [Esattamente
irre-orre è una locuzione onomatopeica, usata come s.vo m.le invariabile per
indicare le parole e le tergiversazioni di chi è indeciso,o non riesce a formulare chiaramente il proprio pensiero;
qui la locuzione è usata in una morfologia scissa che sotto il termine irre
sottende i pensieri e sotto il termine orre cela i desiderata].
Brak
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