mercoledì 28 ottobre 2020

10 ESPRESSIONI [28.10.20]

 10 ESPRESSIONI [28.10.20]

1 - T'AMMERETAVE 'A CRUCE (oppure CROCE) GGIÀ 'A PARICCHIO..
Ad litteram: ti meritavi (nel senso di: avresti meritato) la croce già da parecchio tempo. A Napoli, la locuzione in epigrafe è usata per prendersi gioco pesantemente di coloro che, avendo ottenuta una croce di cavaliere o di commendatore, montano in superbia e si gloriano eccessivamente per il traguardo, quasi certamente, immeritatamente  raggiunto; ebbene a costoro (soprattutto quando siano  bottegai  e/o liberi professionisti), con la locuzione in epigrafe, si vuol sarcasticamente rammentar loro che ben altra croce e già da gran tempo, avrebbero meritato intendendoli classificare e ritienerli malfattori, delinquenti, masnadieri tali da poter  meritare piú che il premio della commenda o del cavalierato,   il supplizio della crocefissione quella cui, temporibus illis, erano condannati tutti i ladroni...e/o truffatori.

ammeretave letteralmente meritavi (voce verbale 2 pers. sing. imperfetto ind. dell’infinito ammeretà), ma nell’espressione a margine, più che valore di imperfetto à  il valore di condizionale passato; ammeretà=esser degno di avere, di guadagnare rafforzativo attraverso la prostesi della prep. ad  di meritare (ad+meritare→ammeretà) con etimo dal latino meritare derivato di meritus  p.p. di merere;

cruce/croce= croce (segno di distinzione, ma pure  strumento di morte infamante) con etimo dall’acc.vo  lat.  cruce(m) da crux-crucis; da notare la particolarità che il napoletano conserva sia la voce cruce  (con la vocale etimologica chiusa u) sia la voce croce forse per suggestione dell’italiano che muta, stranamente, l’originaria u nella vocale  o sia pure chiusa (ó) per conservare la chiusura della u  e se ciò non meraviglia  per l’italiano,  per il napoletano è cosa inusuale: infatti il napoletano conserva quasi sempre tali qual sono  le originarie sillabe e vocali lunghe e tende a chiuderle ulteriormente, piuttosto che ad aprire le sillabe d’avvio etimologiche che se brevi tendono alla dittongazione;

ggià =già, prima d’ora, prima d’allora  avverbio di tempo dal lat. iam;

‘a paricchio = da parecchio (tempo) loc. avv.le di tempo formata dalla prep. sempl. ‘a (da) +paricchio= parecchio, non poco; agg. indefinito, in nap. usato in modo indeclinabile,  che  indica quantità o numero rilevante, ma leggermente inferiore rispetto a molto (tuttavia i due agg. vengono spesso usati come sinonimi):doppo paricchi juorne (dopo parecchi giorni); nce stevano paricchi persone  (c'erano parecchie persone);  l’etimo è dal lat. volg. *pariculu(m), dim. di par paris pari.

2 - TRE CCOSE VO’ ‘O RRAÚ: CURA, CUNZEVERA E CCUNNIMMA.
Tre sono gli elementi essenziali al conseguimento di un buon ragú (ed evito di dilungarmi su questa regina delle salse, di cui alibi già dissi ad abundantiam…): 1) cura nella preparazione (con particolare riferimento al lungo tempo necessario (7 – 8 ore) per prepararlo), 2) congrua conserva di pomidoro(un buon ragú non si puó preparare con soltanto del  pomidoro fresco...) ed infine 3) un  adeguato condimento(olio e strutto).

tre= tre agg. num. card. invar. numero naturale corrispondente a due unità piú una; nella numerazione araba è rappresentato da 3, in quella romana da III; etimo dal lat. tris;

ccose= cose  sost. femm. plur. del sing. cosa termine generico usato per indicare qualsiasi entità, concreta o astratta, che sia oggetto dell'attenzione di chi parla o di chi scrive e che riceve determinazione dal contesto del discorso o dello scritto; spesso si impiega per alludere a ciò che non si può o non si vuole indicare con precisione; l’etimo è dal lat. causa(m); il medesimo che dà causa;

vo’/vole= vuole  voce verbale (3° pers. sing. ind. pres.) dell’infinito vulé= volere, esser risoluto a fare, ad ottenere, preceduto da negazione e seguito dal compl. oggetto anche verbale, non ammettere, non permettere  etc con etimo dal lat. volg. *volíre, per il class. velle, ricostruito sul tema del pres. volo e del perfetto volui; faccio notare che la prima delle voci a margine:  vo’ (vuole)  è voce autenticamente napoletana, forma apocopata dell’adiacente vole  ed è voce della 3° pers. sing. ind. pres. da non confondere con l’omofona ed omografa voce vo’ del toscano che sostituisce in proclisi (fenomeno che si produce quando una parola priva d'accento si appoggia alla parola seguente formando con essa un'unità fonetica (p. e. la strada, pr. lastràda; ti parlo, pr. tipàrlo)il normale voglio (voce della 1° pers. sing. ind. pres.);

cura= cura, attenzione, dedizione, sollecitudine, preoccupazione  con etimo dal lat. cura(m);

cunzerva/cunzèvera = conserva,  genericamente cibo preparato e confezionato per essere conservato a lungo senza che perda le sue caratteristiche: conserve alimentari; conserva di frutta:  marmellata, conserva (di pomidoro) che è quella che ci occupa: sorta di salsa  preparatoria e/o propedeutica di piú complessi sughi a base di pomidoro, ottenuta facendo essiccare al sole ed all’aria della passata  di pomidoro, addizionata di poco sale e talvolta con foglie di basilico; l’etimo della voce è un deverbale dal lat. conservare, comp. di cum 'con' e servare 'custodire, mantenere'; da notare che mentre per la voce cunzerva ci troviamo di fronte ad una diretta derivazione da conservare con nomale passaggio di ns→nz, per la forma cunzevera  si è avuta una metatesi  e successiva anaptissi eufonica della vocale e  secondo il percorso cunzerva→cunzevra→cunzevera;

cunnimma sost. femm. usato per indicare genericamente un abbondante condimento: olio e altri grassi (si noti come rispetto alla voce italiana condimento, il napoletano,  per indicarne l’abbondanza usi una voce femminile; sappiamo che il napoletano infatti  quasi sempre  usa il femminile per indicare cosa più grande e/o abbondante di un eventuale maschile; vedi alibi cucchiara piú grande di cucchiaio, tammorra  piú grande di tammurro, tina piú grande di tino etc. l’etimo di cunnimma è un deverbale del lat. condire attraverso l’aggiunta al tema verbale cond del consueto suffisso intensivo imma (femm. di immo←imen) e tipica assimilazione nd→nn.
3 - FARSE 'A PASSÏATA D''O RRAÚ.
Letteralmente: fare la passeggiata del ragú. Id est: andare a zonzo senza fretta. Un tempo, quando ancora la TV non rompeva l'anima cercando di imporci diete e diete, i napoletani, erano soliti consumare nel dí di festa un canonico piatto di maccheroni al ragú. Il ragú è una salsa che  à bisogno di una lunghissima, sorvegliata  cottura, tanto che la sua preparazione, un tempo  cominciava il sabato sera e giungeva a compimento la domenica mattina e durante il tempo necessario alla bisogna, gli uomini ed i bambini di casa si dedicavano a lente e salutari passeggiate domenicali, mentre le donne di casa accudivano la salsa in cottura e preparavano la tavolata della domenica.

passïata= passeggiata, il passeggiare, a piedi o talvolta su un mezzo di trasporto; il percorso che si compie passeggiando; sost. femm. derivato dal lat. passus + terminazione verbale (part. pass.) terminazione che all’infinito è iggiare/iggià di tipo frequentativo indicante ripetizione o frequenza di atti: infatti l’infinito  passiggià/passià  donde passïata non è che il frequentativo di pandere;

rraú = ragú s. m. tipica salsa della cucina partenopea (probabilmente mutuata dalla cucina francese) salsa per paste asciutte, risotti e sim. che si ottiene facendo cuocere lungamente a fuoco lento in un corposo intingolo di olio, sugna, conserva e  succo di pomidoro un pezzo di carne con aggiunta di cipolla, erbe aromatiche e altri ingredienti; etimologicamente la voce è un adattamento popolare (con geminazione della liquida d’avvio r→rr e sincope della gutturale g) del fr. ragoût, deriv. di ragoûter 'stuzzicare l'appetito' (da goût 'gusto').

4 - 'A COLLERA È PETROSA: TRASE 'NCUORPO E FA PERTOSE!
Ad litteram: Il dispiacere è (come) un sasso: entra nel corpo (animo) e fa buchi (fa danni). Ricorderò che in napoletano la voce collera non sta - come invece in italiano - per sentimento di sdegno, spesso improvviso, che si manifesta con parole o atti violenti; ira, ma vale ( con etimo dal lat. cholera(m))dispiacere, noia , fastidio quel dispiacere che si ritiene produca piú danno delle offese e/o percosse.

petrosa= generatrice di pietra  agg. femm.  derivato  dell’acc. lat. petra(m) + il suff. di presenza e/o abbondanza (cfr.  Rohlfs)  osa (femm. di oso←osus); dal sost. petra(m) deriva oltre che l’aggettivo a margine, il sostantivo metatetico preta;

trase= entra, penetra, si insinua  voce verbale (3° pers. sing. ind. pres.) dell’infinito trasí= entrare, penetrare, insinuarsi  con etimo dal lat. trans+ire→tra(n)sire=andare attraverso;

‘ncuorpo= nel corpo, dentro il corpo  agglutinazione della prep. in (aferizzata ‘n) con  il sost. cuorpo = corpo  che è dal nom. lat. corpus con dittongazione della o intesa breve: ŏ→uo;

pertose lett. buchi, pertugi  s. femm. plur.metafonetico del sing. masch. pertuso che etimologicamente è dal Lat. tardo pertusiu(m), deriv. del class. pertusus, part. pass. di pertundere 'bucare, forare', comp. di per 'attraverso' e tundere 'battere, passare'.

5. CHIJARSELA A LIBBRETTA.

Ad litteram: piegarsela a mo’ di libriccino id est:accettare, sia pure obtorto collo, che le cose vadano in un certo modo  ed uniformarvisi atteso che non ci sia altro da fare per migliorare la situazione ed anzi quell’accettare la situazione ed uniformarsi a che le cose vadano in quel modo rappresenta il miglior partito da prendere evitando di  contrastarsi per non soccombere o peggiorare la situazione.    Come si capisce,  intesa nel senso di accettare etc. la locuzione à un suo senso riduttivo e quasi negativo, che non ebbe   in origine, allorché, fu usata  come consiglio positivo e d’opportunità, e la  si riferí  al modo piú acconcio di consumare una pizza allorché non ci si potesse   accomodare ad un tavolo e servirsi di adeguate stoviglie (piatto, bicchiere) e posate (forchetta e coltello): in tal caso la pizza veniva e viene  consumata addentandola stando all’impiedi o addirittura passeggiando  e la maniera piú acconcia di tenere fra le mani la pietanza fu ed ancora  è quella di piegare la pizza in quattro parti fino a farle assumere quasi la foggia di un piccolo libro di quattro fogli, affinché, così piegata trattenga  e non lasci cadere i condimenti di cui è coperta , che se cadessero imbratterebbero gli abiti  di colui che mangia la suddetta pizza da asporto. Successivamente l’espressione in epigrafe che indicava il miglior modo di consumare una pizza d’asporto, estese per traslato il suo significato a quello di indicare il miglior atteggiamento comportamentale da tenere in malagurate evenienze quotidiane quando bisognasse far buon viso a cattivo gioco…e semanticamente questo secondo significato si spiega con il fatto che come il piegare la pizza a mo’ di libriccino è il modo piú vantaggioso per evitare di imbrattarsi, cosí l’accortezza di avere un atteggiamento di sopportazione innanzi ad eventi negativi o fastidiosamente vessatorî, è il modo migliore per eludere contrasti e lotte  che normalmente non fanno che peggiorare la situazione.

pizza= pizza, focaccia rustica variamente condita di antichissime origini latine, divenuta emblema della città partenopea e di qui esportata ovunque; l’etimo è per qualcuno da un  lat.  *(a)picia quale vivanda inventata dal cuoco romano Apicio, ma molto piú verosimilmente ritengo percorribile l’ipotesi che  pizza stia per pinsa part. pass. femm. del verbo pinsere=comprimere, schiacciare (infatti la pasta di cui è fatta la pizza dev’essere compressa, schiacciata e poi condita);  normale nel napoletano il passaggio di ns ad nz e la  successiva assimilazione regressiva nz→zz;

chijatella= piégatela  voce verbale (2° pers. sing. dell’imperativo, di tipo esortativo addizionato in posizione enclitica dei pronomi te(per te) e la ( da (il)la(m)) dell’infinito chijare/à- chiejare/à= piegare, curvare, flettere ed estensivamente sottomettere  con etimo dal tardo latino plicare denom. di plica(piega)normale il passaggio di pl→chi; nella forma chiejare/à  si è determinata  una  necessaria dittongazione in sillaba d’avvio con ii diventati ie;

a llibbretta = a mo’ di libriccino; libbretta s. forma femm.  del normale masch. libbretto  dim.(vedi suff. etto/a) di libbro con etimo dal lat. libru(m), originariamente  'sottile membrana fra la corteccia e il legno dell'albero', che prima dell'introduzione del papiro si usava come materiale per scrivere; la voce latina in napoletano comportò il raddoppiamento espressivo della labiale esplosiva b ed in luogo di libro (come in italiano) si ebbe libbro;

la voce libbretta  è usata spesso nel linguaggio popolare per indicare un attestato di credito o bancario o postale.Da notare che la voce libbretta se preceduta dall’articolo ‘a si rende con ‘a libbretta con la elle scempia; se invece è preceduta dalla preposizione a  si rende con a llibbretta con la elle geminata!

6 -CHESTO PASSA ‘O CUNVENTO oppure ‘O GUVERNO

Letteralmente: questo elargisce il convento oppure  il governo id est: questo ci viene dato e di questo occorre contentarsi; bisogna far buon viso a cattivo gioco  essendo inutile ribellarsi  o adontarsi, tanto la situazione non potrebbe in alcun modo migliorare, né, in effetti,  migliorerà!

chesto = questo, ciò agg. dimostr. [precede sempre il sostantivo], ma anche, come nel caso ns.  pron. dimostr. [f. -a]
 indica persona o cosa vicina a chi parla, o persona o cosa della quale si sta parlando, con etimo dal lat. volg. *(ec)cu(m) istu(m), propr. 'ecco questo';

passa = dà, concede, offre, (voce verbale 3° pers. sing. ind. pres.) dell’infinito passà=passare, concedere, dare, offrire  con etimo dal lat. volg. *passare, deriv. di passus 'passo';

cunvento= s. m. convento,edificio in cui vive una comunità di religiosi o religiose che ànno pronunciato voti solenni; nell'uso corrente, sin. di monastero: ‘nu cunvento ‘e muonece, ‘e monache (un convento di frati, di suore); trasí dint’ ô cunvento (entrare in convento), farsi frate o suora anche  l'insieme dei religiosi che abitano in un convento, ed infine (ant.) adunanza, riunione; ed  anche, moltitudine, folla; l’etimo della voce a margine è dal lat. conventu(m) 'adunanza, convegno', deriv. di cum + venire =convenire'trovarsi insieme' con tipica chiusura della sillaba lunga o intesa tale  d’avvio ō→u;

guverno = governo,  la direzione politica e amministrativa di uno stato: il governo della cosa pubblica,il complesso delle istituzioni alle quali compete il potere esecutivo con  il presidente del consiglio, i ministri ed esponenti minori: l’etimo della voce a margine è dal  lat. gubernu(m), propr. 'timone' con tipica alternanza partenopea b/v come alibi varca per barca o vocca per bocca.

7 -   CHI VA PE CHISTI MARE, CHISTI PISCE PIGLIA.

ad litteram: chi va per questi mari, questo pesce prende; id est: chi si imbarca in certe avventure, non può che conseguire questo tipo di scadenti risultati e se ne deve contentare, specie se si è imbarcato volontariamente, per sua scelta  e non spinto da necessità.

 

8 -   CHI M’À CECATO!?

Ad litteram: chi mi à accecato!? Id est: chi mi à indotto a regolarmi nella maniera in cui mi sono regolato, quasi rendendomi cieco, al segno  di non farmi rendere conto  o del pericolo a cui andavo incontro o degli errori che mi accingevo a compiere. Va da sé che la locuzione non è una vera e propria domanda, quanto una sorta di pubblica confessione del proprio errore  a causa del quale  ci si trova in situazioni  fastidiose; ci si chiede cioé da chi dipenda  ciò che è capitato, ma lo si fa  quasi surrettiziamente, ben sapendo di essere i soli responsabili  degli accadimenti cui ci si riferisce.

chi= chi, pron. rel. o interr. invar. [solo sing. ; ant. anche pl.] colui il quale, colei la quale (con valore dimostrativo-relativo; usato sia come sogg. sia come compl.): con etimo dal lat. qui (colui).

à cecato= lett. à accecato  e per traslato à spinto, à indotto  voce verbale (3° pers. sing. del pass. pross.) dell’infinito cecare/cecà=accecare   con etimo dal lat. caecare= accecare, render cieco.

9 -   COMME ‘AVUOTE E COMME ‘O GGIRE, SEMPE SISSANTANOVE È.

Ad litteram: come (lo) volti o come lo giri sempre sessantanove è.

 Detto di cosa e/o avvenimento  che si possono leggere solo con  interpretazioni  univoche essendo, per loro natura o apparire di semplice e diretta intellizione di talché è inutile arzigogolare intorno alla loro essenza  o sostanza.

La locuzione nasce dall’osservazione dei piccoli cilindretti di legno su cui sono incisi i novanta numeri del giuoco della tombola; orbene, detti numeri una volta estratti dal bussolotto che li contiene  sono tutti facilmente riconoscibili ed individuabili  o perché scritti in maniera tale da non ingenerare confusione  (come ad es. il caso del numero 1  che sia che venga guardato e letto da ds. o da sn. , dal basso in alto o viceversa rimane  sempre 1 e non può esser confuso con altro numero) o perché si è ricorsi allo strataggemma di segnalare con un piccolo tratto la base del numero  che se letto in maniera capovolta potrebbe risultare un numero diverso ( ad es. il numero sei  è vergato 6 con una congrua sottolineatura, che se mancasse potrebbe far leggere il sei - visto in maniera capovolta - come nove). Il numero 69 invece  non à bisogno di sottolineatura, perché da qualsiasi parte lo si guardi  permane 69, posto che il numero 96 nella tombola non esiste.

comme= come,  in quale modo, in quale maniera (in prop. interrogative dirette e indirette): comme staje(come stai?);  comme è gghiuto ‘o viaggio?(come è andato il viaggio?) quanto (in prop. esclamative): comme chiove! (come piove!);comme sî bbuono! (come sei buono!);  |e comme?! e come!, come è accaduto?!,il modo nel quale, in quale modo (introduce una prop. dichiarativa):le raccuntaje comme aveva fatto(gli raccontò come avesse fatto); l’etimo è dal lat. quo-mo(do) con tipico raddoppiamento della labiale m

avuote= vòlgi, indirizzi in altro verso, orienti altrove voce verbale (2° pers. sing. ind. pres.) dell’infinito avutà= volgere, mutare, orientare alibi forma intensiva di vutà  con etimo dal lat. volg. ad+volvitare in cui ol+cons. à dato ou attraverso un *avoutare>avutare>avutà;

gire= giri, inverti, volgi voce verbale (2° pers. sing. ind. pres.) dell’infinito girare/à= girare, invertire, volgere in altro senso con etimo dal  tardo lat. gyrare, deriv. di gyrus 'giro';

sissantanove= sessantanove agg. num. card. invar. qui in funzione di sostantivo;  numero naturale corrispondente a sei decine + nove unità; nella numerazione araba è rappresentato da 69, in quella romana da ILXX; rammenterò che, nella c.d. smorfia napoletana (elenco dei significati cabalistici dei numeri dall’1 al 90),  con il numero a margine si usa furbescamente indicare il coito orale portato a compimento reciprocamente.

10 -Â PPRIMMA ENTRATURA, GUARDATEVE 'E SSACCHE

Nell'accedere per la prima volta (in un luogo sconosciuto) badate alle tasche!

Locuzione/proverbio usatissimo in tutto il meridione (vedi Puglia e Calabria) dove la naturale sospettosità induce la gente ad essere molto attenta e guardiga  con le persone o i luoghi sconosciuti che si frequentano per la prima volta, nel timore che ci sia  sempre il rischio d'esser defraudati o vilipesi; d’altro canto tale sospettosità induce soprattutto i calabresi (vedi l’espressione fa ‘o calavrese (fare il calabrese) e cioè esser mentitori e mancator di parola, disattentendo addirittura ai patti sottoscritti nel timore che l’altro contraente (soprattutto se sconosciuto o forestiero) sia piú furbo o scaltro  e sottoscriva patti in danno altrui.

â pprimma= alla prima; primma= prima agg. num. ord.femm. del masch. primmo;  che in una serie occupa il posto numero uno, che precede tutti gli altri in ordine di tempo o di spazio;con etimo dal lat.  primu(m), superl. di pri°or 'che sta innanzi';

usata da sola senza preposizione o sostantivo di riferimento la voce primma=prima  è avv. di tempo:precedentemente o avv. di luogo:avanti, davanti  e quale avverbio  deriva dal lardo lat. prima con raddoppiamento popolare della labiale m;

entratura lett. entrata, accesso estensivamente frequentazione con etimo dal lat. volg. intratura (che sta per accedere) p. fut. femm. dell’infinito intrare; l’originario part. con funzione aggettivale, nel corso del tempo fu inteso sostantivo e finí per indicare piú che la cosa o persona che si accingesse a compier l’azione di entrare, l’azione medesima dell’entrare;

guardàteve = guardate+vi, badate, ponete attenzione voce verbale (2° pers. plur. imperativo esortativo) dell’infinito guardare/à=guardare, badare, porre attenzione e riguardo con etimo dal  francone *wardon 'stare in guardia'; cfr. ted. warten 'custodire' e Warte 'vedetta'addizionata in posizione enclitica del pron. pers. obliquo ve= vi  da v(uj)e= voi (lat. vos);

ssacche= tasche, scarselle e genericamente averi, danari estensivamente qui vale : tutto ciò(cose o persone) di vostro che se vilipeso o attentato, potrebbe arrecarvi danno; sost. femm. plur. di sacca  che è forma dell’acc.vo femm. sacca(m) del masch. saccu(m).

                                                      Brak

 

 

 

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