11 MODI DI DIRE 1.7.21
1.AIZÀ ‘A MANO
Ad litteram: sollevare la mano; id est: perdonare,
assolvere
L’ espressione, che viene usata quando si voglia fare
intendere che si è proclivi al perdono soprattutto di
piccole mende, ricorda il gesto del
sacerdote che al momento di assolvere i
peccati , alza la mano per benedire e
mandar perdonato il peccatore pentito.
2. Ô TIEMPO ‘E PAPPACONE.
Ad litteram: Al tempo di Pappacoda Espressione usata a Napoli per dire che ciò di
cui si sta parlando risale ad un tempo antichissimo, di cui si è quasi perso
memoria e - tutto sommato - non vale la pena ricordarsene in quanto si tratterebbe di cose impossibili da
riprodurre o riproporre; La parola Pappacone
è - come già alibi ricordato - corruzione del termine Pappacoda,
antichissima e nobile famiglia napoletana che à lasciato sue numerose ed artistiche vestigia in parecchie strade di
Napoli.E ciò valga a smentire l’inesatta affermazione di taluni sprovveduti di
storia patria che ritengono (chiaramente a torto) che il Pappacone
dell’espressione sia un adattamento
del nome Pappagone, maschera
teatrale, piuttosto recente (1966), creazione del famosissimo Peppino De
Filippo(Napoli,
24 agosto
1903 –† Roma, 26 gennaio
1980). Essendo
l’espressione in esame molto piú datata rispetto alla creazione del De Filippo se ne evince che non vi sia
alcun collegamento se non una semplice assonanza tra Pappagone e Pappacone.
3. Ô TIEMPO D’’E CAZUNE A TERÒCCIOLE.
Ad litteram: Al tempo dei calzoni con le carrucole. Espressione analoga alla
precedente , espressione con la quale si vuol significare che si sta
richiamando alla memoria tempi lontani, anzi remoti quali quelli in cui le
braghe erano sorrette da grosse bretelle di cuoio, regolate da piccole
carrucole metalliche.
4. ARRICURDARSE ‘O
CIPPO A FFURCELLA, ‘A LAVA D’’E VIRGENE, ‘O CATAFARCO Ô PENNINO, ‘O MARE Ô
CERRIGLIO, ‘O PERE ‘E LATTERE A FFURIA.
Ad litteram: Rammentarsi del pioppo a Forcella, della lava dei Vergini,
del catafalco al Pendino, del mare al Cerriglio e del palmizio piantato a
dimora nei giardini di piazza Cavour al tempo che il luogo era détto ‘o Llario
d’’e ppigne in quanto vi si trovavano numerosissimi e frondosi pini
mediterranei.
L’espressione viene pronunciata a caustico commento delle parole di qualcuno
che continui a rammentare/rsi cose o luoghi o avvenimenti ormai remotissimi
quali, nella fattispecie, i pioppi esistenti alla fine di via Forcella; per il
vero la parola originaria dell’espressione era chiuppo ( id est: pioppo;
chiuppo etimologicamente è da un lat. volg. *ploppu(m), per il class. populus;
tipico il passaggio in napoletano PL→CHI) parola poi corrotta in cippo e cosí
mantenuta nella tradizione orale della locuzione;in essa poi sono ricordati
vari altri accadimenti , quali 1- ‘a lava d’’e Virgene(la lava in
lingua napoletana, etimologicamente dal dal lat. labe(m) 'caduta, rovina',
deriv. di labi 'scivolare' non indica solamente la massa fluida e incandescente
costituita di minerali fusi, che fuoriesce dai vulcani in eruzione: colata di
lava., ma anche un a copiosa, quasi torrentizia caduta di acqua; ed è a
quest’ultima che qui si fa riferimento (con l’espressione ‘a lava d’’e Virgene
si intende infatti quel tumultuoso torrente di acqua piovana che a Napoli fino
agli inizi degli anni ’60 del 1900, quando furono finalmente adeguatamente
sistemate le fogne cittadine, si precipitava dalla collina di Capodimonte sulla
sottostante via dei Vergini (cosí chiamata perché nella zona esisteva un
monastero di Verginisti antica congregazione religiosa di predicatori) e
percorrendo di gran carriera la via Foria si adagiava, placandosi, in piazza
Carlo III, trasportando seco masserizie,ceste di frutta e verdura e tutto ciò
che capitasse lungo il suo precipitoso percorso),2 - ‘o catafarco al Pendino
(id est: il grosso altare che veniva eretto nella centrale zona del Pendino,
altare eretto per le celebrazioni della festa, ormai desueta, del Corpus
Domini; in primis la parola catafarco (di etimo incerto, ma con molta
probabilità derivata da un connubio greco ed arabo: greco katà =sopra –arabo
falah= rialzo) indica il palco, l’alta castellana ( anche cosí in napoletano, con derivazione da un antico castellame, si indica il catafalco su cui veniva un tempo, al
centro della chiesa, sistemata la bara durante i funerali solenni; qui è usato
per traslato ad indicare un altare molto imponente),o ancóra 3-‘o pere ‘e lattere a Ffuria cioè, ripeto,allorché in piazza
Cavour cioé in quella zona al principio di via Foria, che sino a tutto il 1860
era chiamata Largo delle Pigne e che gli usurpatori del Reame maldestramente intitolarono
al massimo mestatore del cosiddetto risorgimento, il conte di Cavour Camillo
Benso, cosí come mutarono la toponomastica di tante strade vie e piazze napoletane
a cominciare da quel Largo di PALAZZO [che il Re Ferdinando I delle Due Sicilie, come
voto nei confronti di san Francesco da Paola, che aveva intercesso per lui
affinché ritornasse sul trono del Regno, decise la costruzione di una chiesa
che fu portata a termine tra 1816 ed il 1846 al centro del costruendo porticato],
trasformato in piazza del Plebiscito [ in memoria di quella truffa storica che il 21 ottobre 1860 aveva
decretato l’annessione del Regno delle Due Sicilie allo staterello
savoiardo Regno di Sardegna], da Largo
di Mercatello trasformato in piazza Dante, Corso Maria Teresa [strada
panoramica, una delle arterie principali della città di Napoli, di cui può
essere considerata come la prima "tangenziale" in ordine di tempo
anch’essa voluta nel 1852 dal Re Ferdinando II]degradata a Corso Vittorio
Emanuele, in omaggio al monarca usurpatore ed altre vie;orbene originariamente
l’odierna piazza Cavour s’ebbe il nome di Largo delle Pigne [ed in napoletano
Llario d’’e ppigne (id est Largo dei Pini, détte in napoletano PIGNE con
riferimento a gli strobili di détti alberi sempreverdi della famiglia delle
Pinaceae che trovano il loro ambiente
ideale vicino alle coste del mare )]
ed infine: 4 - ‘o mare al Cerriglio (cioè
quando il mare lambiva la zona del Cerriglio, zona prossima al porto, nella
quale era ubicato il Sedile di Porto, uno dei tanti comprensorî amministrativi
in cui, in periodo viceregnale, era divisa la città di Napoli; nella medesima zona
del Cerriglio esistette (1600 circa) una antica bettola o osteria , peraltro
frequentata da ogni tipo di avventori dai nobili (che vi venivano a provare
l’ebrezza dell’ incontro con il popolino), ai plebei (che per pochi soldi vi si
sfamavano), agli artisti (in cerca di ispirazione) alle prostitute (in cerca di
clienti); abituale frequentatore di questa bettola pare fosse, durante il suo
soggiorno partenopeo, il Caravaggio(Michelangelo Merisi, detto il Caravaggio
Caravaggio o Milano, 1571 † Porto Ercole (Monte Argentario), 18 luglio 1610) .
sulla porta di detta bettola erano riportati i seguenti popolareschi versi
epicurei se non edonistici:
Magnammo,
amice mieje, e po' vevimmo
nfino ca stace ll'uoglio a la lucerna:
Chi sa’ si all'auto munno nce vedimmo!
Chi sa’ si all'auto munno nc'è taverna!
stace = ci sta; il ce dal lat.
volg. *hicce, per il class. hic 'qui'in posizione enclitica corrisponde,
svolgendone le medesime funzioni, all’italiano ci che è pron. pers. di prima
pers. pl. atono; in presenza delle particelle pron. atone lo, la, li, le e
della particella ne, viene sostituito da ce: ce lo disse, mandatecelo; che ce
ne importa?; in gruppo con altri pron. pers., si prepone a si e se: ci si
ragiona bene; non ci se ne accorge (pop. la posposizione: si ci mette); si
pospone a mi, ti, gli, le, vi: ti ci affidiamo (piú com.: ci affidiamo a te)];
vale pure noi ( e si usa come compl. ogg., in posizione sia proclitica sia
enclitica);
lucerna = lampada portatile ad olio o petrolio e qui, per traslato vita etimologicamente
derivata da un tardo latino lucerna(m), forse deriv. di lux lucis 'luce', o piú
probabilmente deverbale di luceo con il suffisso di appartenenza ernus/a;
taverna = bettola, osteria di infimo ordine; etimologicamente dal latino
taberna(m) che significò bottega ed osteria ed è in quest’ultimo significato
che la voce fu accolta,con tipica alternanza partenopea di B/V, nella lingua
napoletana che per il significato di bottega preferí ricorrere, come vedemmo
alibi, al greco apoteca donde trasse puteca.
5. ACRUS EST E TE LL’HÊ ‘A VEVERE
Ad litteram : È acre, ma devi berlo
La locuzione è
tipico esempio di frammistione tra un tardo latino improbabile ed un
vernacolo pieno.
Cosí a
Napoli si suole ripetere a chi non si voglia convincere della ineluttabilità di
talune situazioni cui bisogna soggiacere, stante una forza maggiore. Narro qui
di seguito la storiella donde prese vita la locuzione in epigrafe. Un
anziano curato era in urto col proprio dispettoso sacrestano che sostituí il
vino per la celebrazione della Messa con un acre aceto. Allorché il curato portò alle labbra il calice contenente
l’aceto, se ne dolse con il sacrista dicendo: “Acrus est!” ed il dispettoso
sacrestano di rimando : “te ll’hê ‘a vevere!” (Devi berlo Non puoi esimerti.)
il curato, minacciandolo:” Dopo la messa
t’aspetto in sacrestia...”
il sacrista, concluse:” Hê ‘a vedé si me
truove!” (Probabilmente non mi troverai...)
Oggi la locuzione non à bisogno di due
interlocutori; viene pronunciata anche da uno solo, da chi tenti di convincere
qualcun altro che debba soggiacere agli
eventi e non se ne possa esimere.
6. AMMACCA
E SSALA, AULIVE ‘E GAETA!
Ad litteram:
Comprimi e sala, ulive di Gaeta Locuzione
che nel richiamare il modo sbrigativo di conservare in apposite botticelle le
ulive coltivate in quel di Gaeta,viene usata per redarguire e salacemente
commentare tutte quelle azioni compiute in modo eccessivamente sbrigativo e
perciò raffazzonato, senza porvi soverchia attenzione.
7. “ A
LLU FRIJERE SIENTE LL’ADDORE” - “A LLU CAGNO, SIENTE ‘O CHIANTO”
Ad litteram: “Al momento di friggere, avvertirai il (vero) odore” - “Al
momento di cambiarli, piangerai.”
Locuzione
che riproponendo un veloce scambio di battute intercorse tra un venditore ed un compratore, viene
usata quando si voglia far comprendere a qualcuno di non tentare di fare il
furbo in una contrattazione usando metodi truffaldini,perché correrebbe il
rischio d’esser ripagato allo stesso modo.
Un anziano curato, recatosi al mercato ad
acquistare del pesce, si vide servito con merce non fresca, anzi quasi
putrescente; accortosi della faccenda, ripagò il pescivendolo con moneta falsa,
ma nell’allontanarsi sentí il
pescivendolo che si gloriava di averlo gabbato e a mo’ di dileggio gli
rivolgeva la prima frase della locuzione in epigrafe; e il curato, prontamente,
gli rispose con la seconda frase.
8. ADDÓ ARRIVAMMO, LLÀ METTIMMO ‘O SPRUOCCOLO
Ad litteram:
Dove giungiamo là poniamo uno stecco.
La locuzione è usata sia a mo’ di divertito commento di un’azione iniziata e non compiuta del
tutto, sia per rassicurare qualcuno timoroso
dell’intraprendere un quid ritenuto troppo gravoso da conseguirsi in tempi brevi; ebbene in tal caso gli si
potrebbe dire:” Non temere: non dobbiamo fare tutto in un’unica soluzione; Noi
cominciamo l’opera e la proseguiamo fino al momento che le forze ci sorreggono; giunti a quel
punto, vi poniamo un metaforico stecco, segno da cui riprendere l’operazione
per portarla successivamente a
compimento.”
Spruoccolo s.m. = stecco, bastoncino,
piccolo pezzo di legno di taglio irregolare dal b.lat. (e)xperoccolo←pedunculu(m) con sincope d’avvio, assimilazione
regressiva nc→cc, dittongazione della ŏ→uo, nonché rotacizzazione osco mediterranea d→r.
9. CHIAITARSE QUACCOSA
Ad
litteram: Reclamare, richiedere (con
insistenza) qualcosa,piatirla quasi lamentosamente,
esigerla,
pretenderla, ridomandarla, rivendicarla con accanimento,
con petulanza, con pressione e
sollecitazione quasi ricorrendo (per ottenerla) alla questione o al litigio.Il verbo chiaità[=rivendicare, richiedere] donde il riflessivo chiaitarse trova
il suo etimo nel lat. placitàre attraverso un plagitare con caduta della “g” intervocaliva e sviluppo di una “j”
di transito poi assorbita nella “i” donde plagitare→pla(g)itare→plajitare→plaitare→chiaità;
normale nel napoletano e tipico l’ esito
del digramma pl in chi (cfr. platea→chiazza - plumbeum→chiummo -
pluere→chiovere – plattu-m→chiatto etc.);a sua volta plagitare è un
denominale di plagitu-m←placitu-m= lite, litigio, vertenza che diede il
napoletano chiajeto di pari significato.
10 – E TTE PAREVA!?
Locuzione esclamativa/interrogativa che non va tradotta
pedissequamente ad litteram: “ E ti sembrava!?”,ma che va addizionata di un
sottinteso che cosí non fósse per
darle l’esatto significato che è quello di: “Siamo alle solite!, Me lo aspettavo!, Ci risiamo!, Non poteva mancare!”
e viene usata con un senso di risentito
rammarico o da chi sia inopinatamente coinvolto in faccende
temute che à cercato invano di evitare; o anche da chi debba, con dispiacere, notare che il comportamento tenuto da qualcuno nei suoi riguardi sia
monotonamente , reiteratamente, prevaricante e deleterio e non si discosti mai
da tale pessima linea di condotta.
11 – DOPPO PASCA VIÉNEME
PESCA E MMIETTE ‘O CULO ‘INT’A LL’EVERA FRESCA!
Ad
litteram: Dopo Pasqua vieni a pescarmi [cioé trovami(se ne sei capace...)] e
(per farlo) poggia le natiche nell’erba fresca. Espressione sarcastica posta
sulla bocca di un debitore che intenda procrastinare ad libitum un pagamento o
rimandare ad un tempo migliore l’adempimento d’un compito gravoso o fastidioso
quasi che il moroso voglia
sfidare
il creditore a trovarlo e gli significhi che dopo la Pasqua non lo potrà
reperire presso il proprio domicilio, ma altrove e cioé quasi certamente in
giro per freschi prati pramaverili là dove si sarà recato per la consueta gita del lunedí in albis.
Brak
Nessun commento:
Posta un commento