MANTENÉ ‘A CANNELA
A richiesta e suggerimento dell’amico P.C. [che identifico,
per problemi di riservatezza con le sole iniziali] mi soffermo ad illustrare
l’origine dell’espressione in epigrafe, locuzione che [per essere nel significato
di “reggere la candela”, “mantenere il moccolo”,non prettamente napoletana, ma
d’uso ed intendimento comune nello stivale..] non necessita di chiarimento
valendo nell’inteso generale: “essere
testimone volontario o involontario di incontro ed effusioni amorose di
innamorati”. Mette conto invece cercare di chiarire donde derivi la locuzione,
cosa che faccio qui di seguito affermando ch’essa vien di lontano già dai tempi
coevi dell’antica Roma e dai tempi seguenti sino a quelli che videro, finalmente!,
una piú o meno adeguata illuminazione stradale dal crepuscolo alla successiva
alba. In effetti nel lungo periodo antecedente quello dell’illuminazione
stradale, chi, nobile o plebeo che fósse, col favore delle tenebre si recasse
ad un convegno amoroso , per evitare di
perdersi prima ancora di raggiungere l’amata o di incappare in soggetti
infidi e perigliosi si faceva accompagnare se plebeo da un amico fidato e se
nobile o signorotto da uno schiavo o servitore più affidabile, muniti di una
torcia o di una lanterna; costoro restavano ad attendere che terminasse
l’incontro notturno amoroso e riportavano a casa sano e salvo l’amico o il padrone avendogli fornito luce ed assistenza nelle
eventuali evenienze [ scavalcare un
muro, una siepe,una cancellata] imprese ardue e pericolose al buio.
Questa che ò appena illustrata è l’origine piú accreditata
della locuzione in esame.
Esiste però un’altra opinione che ammanta di prestigio ed
importanza la locuzione chiamando in causa
il matrimonio secondo il rito ebraico per il quale la tradizione vuole
che i novelli sposi si nascondano sotto lo huppàh, un baldacchino [o in
mancanza un ampio mantello di seta ricamato] che simboleggia il futuro tetto
coniugale. Sotto questo riparo è
codificato che ci sia anche il fratello
maggiore dello sposo o altro teste che illumini con una torcia i due coniugi.
Mio sommesso, ma deciso avviso è però che il rito ebraico derivi dall’uso antico
come l’espressione in esame e questa non
derivi dal rito ebraico.
E faccio punto qui convinto d’avere esaurito l’argomento,
soddisfatto l’amico P.C. ed interessato qualcun altro dei miei ventiquattro
lettori e piú genericamente chi dovesse
imbattersi in queste paginette.Satis est.
Raffaele Bracale
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