domenica 9 dicembre 2018

DOLCI NATALIZI


DOLCI NATALIZI




DIVINO AMORE

Gustosi dolcetti natalizi preparati dalle suore dell’omonimo convento del Divino Amore in via Spaccanapoli a Napoli.

Ingredienti
500 g di mandorle dolci sgusciate
500 g di zucchero
3 uova
scorza grattugiata di 1 limone
1 bustina di vainiglia
100 gr. di canditi misti (cedro, cocozzata, e scorzette d'arancia)
ostie q.b.
marmellata di albicocche 3 cucchiai
zucchero 2 cucchiai
acqua 2 cucchiai

Per la copertura:
Ghiaccia bianca
colorante rosa
procedimento
Macinate le mandorle, non pelate, con il macinacaffe' o il mixer, unite lo zucchero e con un po' di acqua fredda fate un impasto di giusta consistenza.
Incorporatevi 2 uova intere ed un rosso, la scorza grattugiata del limone, la vainiglia ed i canditi tagliati minutamente. Lavorate l'impasto, formate degli ovetti, collocateli sulla placca del forno foderati di ostie e fateli cuocere a 180° per una ventina di minuti.
Una volta che siano raffreddati, eliminate i bordi d'ostia superflui, spennellate leggermente i dolci con marmellata di albicocche diluita con poca acqua e zucchero e ricopriteli con ghiaccia bianca (ottenuta con zucchero a velo vainigliato, albume sbattuto a neve ferma) e coloratela di rosa con colorante per alimenti.
SUSAMIELLI
A Napoli,sia pure per un equivoco, come chiarirò, rammentando la grevezza degli ingredienti usati per questo dolce, si suole dare del susamiello ad ogni persona dal carattere greve e scostante che difficilmente riesce a familiarizzare con gli altri, risultando fastidioso e noioso; ma il dolcetto è buonissimo, pure se a prova di denti! Tuttavia devo precisare che ad un piú attento esame la voce susamiello nel significato di persona dal carattere greve e scostante che difficilmente riesce a familiarizzare con gli altri, risultando fastidioso e noioso, non deriva la sua origine dal summenzionato gustosissimo dolcetto che à la forma di una esse maiuscola, bensí dal riferimento  ai pesanti ceppi (pur essi forma di una esse maiuscola), usati per costringere le caviglie dei condannati ai bagni penali.
ingredienti
Farina 250 Gr.
Miele 250 Gr.
Zuchero 100 Gr.
mandorle 100 Gr.
cubetti di cocozzata, cedro e scorzette di arance candite;
"pisto" cioè un trito di cannella, chiodi di garofano, noce moscata, vaniglia,
un pizzico di ammoniaca(quella per dolci, ovviamente)

procedimento:
Tritare finemente nel mixer tutte le mandorle;
mischiare le mandorle, lo zucchero, il pisto, il cedro, le scorzette, la cocozzata (il tutto tritato in piccoli pezzi) con la farina; scaldare a fuoco moderato il miele e, appena
sciolto, unirlo alla farina, disposta a fontana, insieme con un pizzico di ammoniaca. Lavorare l'impasto fino a quando non diventa
omogeneo, a questo punto fare dei salamini e sistemarli su una teglia unta piegati a forma di S, schiacciandoli leggermente. Infornare a 180° per 15-20 minuti circa. Va ricordato che i susamielli in origine si chiamavano sesamelli, in quanto venivano ricoperti da semi di sesamo.
Esiste una variante dei susamielli, ed è detta sapienza, il cui nome pare derivi dalle suore del monastero della Sapienza, Suore produttrici di ottimi susamielli con l’aggiunta di mandorle intere poste sulla superficie dei singoli dolcetti.


ROCCOCÒ
Tipico dolce meridionale, ma soprattutto campano, d’impasto durissimo, deriva il suo nome roccocò dal francese rococo (roccia artificiale) probabilmente con riferimento alla durezza dell’impasto.
Ingredienti

500 g farina
400 g zucchero
270 g mandorle (70 da tritare e 200 da tostare e utilizzare intere)
6 g pisto (35 chiodi di garofano + un cucchiaino di pepe bianco + 1/2 cucchiaino di cannella + 1/2 noce moscata)
1/2 cucchiaino di bicarbonato di ammonio (circa 4 grammi)
scorze di agrumi grattugiate (1 limone + 1 arancio + 1 mandarino)
150 ml acqua
1 tuorlo d'uovo sbattuto con un cucchiaio di latte per spennellare.
(Con queste dosi vengono circa 18 roccocò)
Procedimento

Disporre la farina a fontana e aggiungere al centro tutti gli ingredienti tranne le mandorle intere. Impastare ed amalgamare bene.

Aggiungere le mandorle intere e impastare un po' a mano, cercando di distribuire bene le mandorle nell'impasto.

Formare bastoncini dello spessore di un dito e metterli a 9 a 9 in teglia sulla carta forno, creando delle ciambelline. Poi schiacciarle leggermente e spennellarle con il tuorlo sbattuto con il latte.

Infornare in forno caldo a 200 °C per 10 min ed a  180° per altri 10 minuti.

MOSTACCIUOLI

  Anticamente questi dolci erano preparati con un'imbottitura di mosto cotto, donde il nome.





Ingredienti:

1 kg farina,
1 kg di zucchero,
350 g di gherigli di noci secche tostate e tritate,
2 bucce di limoni grattugiate,
½ bustina di cannella,
2 cucchiai di cacao amarissimo,
2 etti di cioccolato fondente,
un po' di sale fino.


Preparazione:

Si mescolano tutti gli ingredienti e si impastano con mezzo bicchiere  di acqua tiepida. La pasta ottenuta, piuttosto morbida, va stesa allo spessore di 2 cm circa, senza lavorarla molto, e si taglia a forma di rombi.
Si sistemano i rombi così ottenuti sulla placca del forno precedentemente unta, e si infornano per mezz'ora a 150°.

Si sfornano, e una volta raffreddati si ricoprono con del cioccolato fuso, oppure, nella versione originaria, con una sciroppo denso di acqua e zucchero nel quale va aggiunto il cacao amarissimo.

PASTE DI MANDORLA


L'origine del nome pasta reale pare risalga all'epoca di Re Ferdinando IV Borbone Napoli
Si racconta che il Re si recò un pomeriggio in visita al convento delle suore di San Gregorio Armeno nell’omonima strada napoletana e, dopo aver visitato la cappella ed il convento, fu accompagnato dalle sorelle nel refettorio, ove su un grande tavolo era preparato un sontuoso  buffet in cui facevano bella mostra di sé aragoste, pesci arrostiti, polli e fagiani oltre a della splendida frutta.
Il Re che pure era  un gran mangiatore  si scusò dicendo che da poco aveva finito di pranzare e non sarebbe stato il caso riaffrontare un pasto del genere. Ma le suorine tra allegri  sguardi di complicità pregarono Re Ferdinando di degnarsi di un assaggio, e   quale fu la sorpresa del sovrano quando si accorse che tutto quel ben di Dio non erano altro che dolci efficientemente scolpiti con la pasta di mandorle e certosinamente dipinti a mano.
La pasta di mandorla è un impasto dolce tipicamente siciliano,salentino  e napoletano che serve a confezionare diversi tipi di dolciumi.Nata a Napoli, oltrepassò lo stretto per accasarsi nella Sicilia orientale dove finí per  rappresentare uno dei dolci piú amati, accanto a quelli approntati con ricotta di pecora, miele e frutta candita; nell’isola  i maestri pasticcieri si specializzarono a lavorare  la mandorla in maniera artigianale con il miele, fino ad ottenere una pura pasta di mandorla che può inoltre essere aromatizzata al limone o all'arancia oltre che essere ricoperta di glasse zuccherine variamente colorate e decorate.
Una delle piú note applicazioni dolciarie della pasta di mandorle è appunto  la cosiddetta Frutta Martorana o pasta reale, ossia i finti frutti: vero capolavoro dell'artigianato dolciario prima partenopeo e poi  siciliano.
ingredienti
1 kg. di zucchero,
5 bicchieri d’acqua,
8 etti di farina di mandorle,
1 etto di farina di majorca
1 bustina di vaniglia,
coloranti varî
procedimento
Sciogliete a fuoco molto basso lo zucchero con i bicchieri di acqua. Attendete che cominci a filare: ve ne accorgerete quando qualche goccia di zucchero sciolto, fatta scolare da un mestolo di legno, si allungherà a filo. Quindi togliete il tegame dal fuoco. Aggiungete la farina di mandorle, la farina di majorca, la vaniglia e mescolate fino a quando la pasta si staccherà tutta insieme dal tegame. Versate l'impasto su un tavolo di marmo bagnato. Appena si sarà raffreddato, lavoratelo a lungo con le mani. Quando sarà compatto e liscio, sistematelo negli stampi dalla forma voluta o ritagliatelo semplicemente con una rotellina dentata in rombi, quadrati o losanghe. Decorate infine, a vostro piacimento, spennellando con coloranti per alimenti.
STRUFFOLI E STRINGHETTE
Questa volta per una veloce ricerca linguistica farò riferimento alle voci in epigrafe che in napoletano indicano un tipico dolce natalizio o carnascialesco, dolce che però, non necessitando di particolari ingredienti stagionali può essere preparato durante tutto l’anno, con gran soddisfazione di chi  ne mangi, essendo una preparazione squisita.
Prima di addentrarci in questioni linguistiche, mi par opportuno indicare qui di seguito l’esatta ricetta del dolce,indicandone le dosi e il relativo modo di approntarlo.Ricorderò, prima di riportare la ricetta, che detto dolce è originariamente un dolce napoletano nato tra la fine del XVIIsec. ed i principi del XVII nelle cucine di monasteri femminili napoletani, ad opera delle monache della Croce di Lucca(attualmente a Napoli, nei pressi della centralissima piazzetta Miraglia, la piccola chiesa della Croce di Lucca è quanto rimane del grande complesso conventuale destinato oggi alla clinica universitaria del Policlinico, lungo l’attigua via del Sole. Il convento pare sia  stato edificato intorno al  1537, (e poi restaurato nel 1739 con il  suo,  da un tal cavaliere  Ferdinando Sanfelice).  con il denaro delle offerte raccolte a Lucca dal devoto Sebastiano Puccini(donde il nome: Croce di Lucca)). e di quelle di S. Maria dello Splendore La Chiesa e l’annesso Conservatorio (convento muliebre),  siti in Napoli nel popolare quartiere di Montecalvario,furono voluti nel 1592 da Lucia Caracciolo, facoltosa e munifica  nobildonna partenopea che vi impose la regola francescana; a far tempo poi  dal 1600,  chiesa e conservatorio furon diretti dal venerabile mons. Carlo Carafa (della famosissima famiglia Carafa, che diede ecclesiastici (anche un papa: Paolo IV che istituì l’Indice dei libri proibiti )uomini di lettere e d’armi, che ne curò a proprie spese l’ampliamento ed il restauro; successivamente nella seconda metà del 1800, il rev. Angelo de Simone, coltissimo sacerdote, professore di lingue nel famoso Istituto Universitario Orientale di Napoli, si adoperò per curare l’ultimo restauro ed abbellimento della Chiesa  così come ancora oggi si può osservare.
Le monache che conducevano la Chiesa e l’annesso Conservatorio per Orfane e Povere bisognose, divennero famose, oltre che per la loro opera caritatevole, anche per gli squisiti dolci natalizî e/o pasquali  che erano solite preparare ed offrire o vendere ai visitatori, per far fronte al mantenimento delle loro beneficate.
Veniamo alla ricetta:



Ingredienti e dosi per 10 persone
Farina 00 600 gr ,
Uova 4 + 1 tuorlo,
zucchero 2 cucchiai ,
strutto: 40 gr.
1 bicchierino di STREGA tipico odorosissimo liquore d'erbe prodotto nel beneventano,in alternativa 1 bicchierino d'anice
Scorza di mezzo limone grattuggiata
Sale un pizzico
olio per friggere 6 bicchieri

Per condire e decorare:
Miele d’acacia 400 gr ,
confettini colorati (a Napoli si chiamano diavulilli)
confettini cannellini (confettini che all'interno contengono una festucola di cannella spezia odorosissima e gustosa, da cui prendono il nome tali confettini.)
100 gr di scorzette d’ arancia candita, 100 gr di cedro candito, 50 gr di zucca candita (prodotto tipico napoletano dove si chiama cocozzata)il tutto tagliato a cubettini da ½ cm di spigolo.



procedimento
Disponete la farina a fontana sul piano di lavoro, impastatela con uova, burro o strutto, zucchero, la buccia grattugiata di mezzo limone,un bicchierino di STREGA o di anice e un po' di sale. Ottenuto un amalgama omogeneo e sostenuto, dategli la forma di una palla e fatelo riposare mezz'ora. Poi lavoratela ancora brevemente con poca farina e dividetela in palle grandi come arance, da cui ricavare, rullandoli sul piano infarinato, tanti bastoncelli spessi un dito; tagliateli a tocchettini di circa 1 cm. che disporrete senza sovrapporli su un telo infarinato.
Al momento di friggerli, porli in un setaccio e scuoterli in modo da eliminare la farina in eccesso.

Friggeteli pochi alla volta in abbondante olio bollente: prelevateli quando siano ben dorati, quasi coloriti. Sgocciolateli e depositateli ad asciugare su carta assorbente da cucina.
Fate liquefare il miele a bagnomaria in una pentola abbastanza capiente, toglietela dal fuoco e unite gli struffoli fritti, rimescolando a lungo, ma  delicatamente fino a quando non si siano bene impregnati di miele. Versare quindi la metà circa dei confettini e della frutta candita tagliata a pezzettini e rimescolare di nuovo.
Prendete quindi il piatto di portata, mettetevi al centro un barattolo di vetro vuoto (serve per facilitare la formazione del buco centrale) e disponete gli struffoli tutt'intorno a questo in modo da formare una ciambella. Poi, a miele ancora caldo, prendete i confettini e la frutta candita restanti e spargeteli sugli struffoli tentando di ottenere un effetto esteticamente gradevole.
Quando il miele si sarà solidificato (1/2 ora), togliete delicatamente il barattolo dal centro del piatto e servite gli struffoli.
Poiché gli struffoli ànno il difetto di risultare talvolta un po' duri, in alternativa, dalle palle di pasta si possono ricavare con un matterello infarinato delle sfoglie alte 1/2 cm. da cui con una rotella dentellata delle lunghe stringhe larghe 3 cm. tagliandole poi diagonalmente fino ad ottenere tanti piccoli rombi che posti su dei fogli di carta oleata vengono fritti e poi trattati, per la decorazione e presentazione come gli struffoli; rispetto a questi ultimi le stringhette ànno il vantaggio, quando vengon fritte, di gonfiarsi mantenendosi poi friabili e soffici.
 Ed affrontiamo finalmente le questioni linguistiche:
struffoli plurale di struffolo parola originariamente napoletana pervenuta poi anche nella lingua nazionale dove indica oltre il dolce fatto con palline di farina e uova, fritte e tenute insieme con miele  (specialità dell'Italia meridionale, ma pure di quella centrale dove à però il nome di cicerchiata),  anche una cosa del tutto diversa, e cioè una  piccola matassa di cenci e  paglia usata dagli scultori per levigare e lustrare il marmo; per vero questa matassa in origine fu detta struffo, voce poi desueta per far posto a struffolo o strufolo tanto da non esser più riportata dai dizionarî anche i più accorsati; le voci struffo e strufolo, nel significato di levigatoio deriva probabilmente  dal longob. straufinon donde anche il verbo strofinare; ben più complesso l’etimo della voce struffolo (dolce partenopeo e centro-meridionale); la maggioranza degli studiosi meridionali propendono per una culla greca: stroggolos (ritorto) (dal verbo strongolâo (attorcere) verbo che – come vedemmo alibi – in unione al verbo prepto (incavo)  generò i napoletanissimi strangulaprievete) con evidente metaplasmo g>f; pur allettandomi lo stroggolos (ritorto) d’avvio, penso che non sia peregrina l’idea che lo veda in connubio con un latino tufer(bernoccolo,pallina) per cui lo struffolo verrebbe ad essere una pallina ritorta; rammenterò poi  che il termine struffolo in talune regioni dell’alta Italia, oltre ai due significati riportati à anche quello di ciccioli  (pezzetti residui del grasso di maiale  sciolto ad alte temperature per ottenerne lo strutto o sugna) ed anche in tal significato lo struffolo (cicciolo*)  andrebbe a riallacciarsi all’antico struffo inteso come brandello o cencio;
stringhette: diminutivo plurale di stringa = nastrino ed in effetti il dolce (in forma di piccoli rombi) viene ricavato – come ò indicato nella preparazione – dal taglio in senso diagonale di piú fettucce o nastri di pasta larghi tre cm. e lunghi circa 30 cm.; etimologicamente la voce stringa  da cui stringhette deriva forse da un ant. tedesco strangî, stranga , ma non gli sarebbe estraneo il greco straggàlê;
cicerchiata Tipica specialità dell'Italia centrale: Abruzzo, Umbria, Marche e Lazio. Quella della cicerchiata che ad un dipresso ripete gli struffoli partenopei è una preparazione tradizionale antichissima. Il nome deriva dalla voce  cicerchia ( una sorta di piccolo cece; pianta erbacea rampicante, con fiori bianchi o rosei simili a quelli del pisello, coltivata come foraggio o per sovescio (pratica agraria che consiste nel sotterrare piante erbacee nel terreno in cui sono cresciute, allo scopo di arricchirlo di sostanze organiche).Spesso però, in talune regioni centro meridionali le cicerchie vengono usate a mo’ di ceci, per preparare gustosissime zuppe o  minestre con aggiunta di pasta secca (fam. Leguminose), il nome cicerchia deriva da un basso latino cicercula(m), dim. di cicer 'cece'; ma  con  i ceci  in realtà ,questo dolce non à  nessuna affinità se non nell'aspetto;
cannella:  droga aromatica usata in cucina e costituita dalla sottile corteccia interna, arrotolata in bastoncini e di colore giallo-bruno, di un'omonima pianta tipica delle regioni tropicali asiatiche || Anche come agg. invar.: di colore giallo bruno tendente al rossiccio. voce pervenuta nell’italiano e nel napoletano attraverso il francese cannelle o l’olandese kaneel(la Francia e l’Olanda importarono in Europa, per prime detta droga) quale diminutivo di canna posto che tale spezie, come detto, non è che una corteccia arrotolata a mo’ di bastoncino o piccola canna;
diavulille letteralmente: piccoli diavoli; in realtà minuscolissimi confettini colorati in varî colori, ma prevalentemente in rosso fuoco, donde popolarmente gliene derivò il nome di diavulillo plur.: diavulille diminutivo di diavulo o riavulo (con tipica variazione mediterranea di D>R): nell'ebraismo e nel cristianesimo, potenza che guida le forze del male e si identifica con Lucifero, il capo degli angeli che si ribellarono a Dio, poi divenutoSatana, principe delle tenebre; per estens., ognuno degli altri angeli ribelli e la forza del male che essi incarnano,  nella fantasia popolare è concepito per lo più come un mostro di forme umane con corna, ali, coda e altri attributi animaleschi, grande tentatore, amante di ogni disordine ed eccesso; etimologicamente la voce napoletana diavulo/riavulo è dal lat. tardo diabolu(m), che è  dal gr. diábolos, propr. 'calunniatore', deriv. di diabállein 'disunire, mettere male, calunniare', che nel gr. cristiano traduce l'ebr. satan seu Satana ' il contraddittore';
cocozzata = polpa di una zucca bianca opportunamente candita; la canditura,  che consiste nel far bollire lentamente una sostanza vegetale in uno sciroppo zuccherino, fino a che la concentrazione di zucchero sia sufficiente a ricoprire interamente la sostanza vegetale agglutinandosi ad essa tenacemente, è riservata agli interi frutti  o anche  alle sole bucce (scorzette: diminutivo di scorza dal lat. scortea(m) 'veste di pelle', femm. sostantivato  dell'agg. scorteus, deriv. di scortum 'pelle') degli agrumi; talvolta, però – come in questo caso – si giunge a candire altri vegetali come la polpa delle  cocurbitacee; infatti la voce cocozza/cucozza  (donde, con l’aggiunta del suffisso ata, si ottiene cocozzata), è il modo napoletano di rendere l’italiano zucca;interessante è notare come etimologicamente, mentre  la voce cocozza  derivi dritto per dritto da un tardo lat.: cucutia(m),la voce italiana zucca abbia il medesimo etimo, però  con metatesi ed aferesi della sillaba iniziale; in italiano abbiamo infatti talvolta anche cocuzza o cucuzza termini giocosi usati per indicare il capo, la testa.
*cicciolo = ciò che resta dei tocchi di grasso del maiale dopo che siano stati fusi per ricavarne lo strutto; l’etimo è ovvio: da ciccia  + il suff. diminutivo olo;
in napoletano cicciolo si rende con cicolo/ciculo  ma l’etimologia è molto più complessa in quanto cicolo/ciculo   derivano da un latino volgare *insiciculu(m) da un classico insiciu(m)=carne tritata attraverso un’assimilazione s- c> c-c aplologia (caduta di una sillaba all'interno di una parola che dovrebbe presentare, in base alla sua  etimologia, due sillabe consecutive identiche o simili) ed aferesi della sillaba d’avvio in.
Raffaele Bracale

Nessun commento: